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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 27836/2023 DEL 3 OTTOBRE 2023

Impugnazione delibera assembleare – Art. 1137 c.c. – sindacato dell’autorità giudiziaria

Si deve fare applicazione del principio secondo il quale il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., è limitato a un riscontro di legittimità delle decisione, avuto riguardo all’osservanza delle norme di legge o del regolamento ovvero all’eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l’assemblea medesima dispone, e non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui l’assemblea dispone, o alla valutazione della convenienza economica di quanto deliberato (Cass. Sez. 2 13-5-2022 n. 15320 Rv. 664798-01, Cass. Sez.6-2 25-2-2020 n. 5061 Rv. 657265-01, Cass. Sez. 2 20-6-2012 n. 10199 Rv. 622882-01). Inoltre, è acquisito il principio secondo il quale le delibere assembleari sono nulle, tra l’altro, nel caso in cui siano contrarie a norme imperative e siano assunte in materie che esulano dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 n. 2 e 3 cod. civ. e sono annullabili nel caso in cui, pur assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, abbiano a oggetto la ripartizione tra i condomini delle spese in violazione dei criteri previsti dalla legge o dal regolamento (Cass. Sez. U 14-4-2021 n. 9839 Rv. 661084-03, Cass. Sez. U 7-3-2005 n. 4806 Rv. 579439-01). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, come nella fattispecie, alla scelta dell’assemblea di non dare corso a un contratto già concluso, in quanto non si tratta di scelte assunte dall’assemblea esorbitando dall’ambito dei suoi poteri; l’eventuale erronea valutazione giuridica che abbia indotto l’assemblea ad assumere anche la decisione di promuovere la lite non incide in sé sulla legittimità della delibera, come confermato dal fatto che l’art. 1132 cod. civ. tutela il condomino dissenziente dandogli la possibilità di separare la propria responsabilità da quella del condominio nella forma ivi prevista.


ORDINANZA

sul ricorso n. 12974/2018 R.G. proposto da:

YYYYY, c.f. Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliata in Omissis presso di lei, nel suo studio in Omissis

ricorrente

contro

Condominio XXXXX, c.f. Omissis, in persona dell’amministratore pro tempore Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliata in Omissis presso di lei, nel suo studio in Omissis

controricorrente

avverso la sentenza n. 1888/2017 della Corte d’appello di Roma pubblicata il 22-3-2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 8-9-2023 dal consigliere Omissis

OGGETTO:

condominio –

impugnazione di delibera assembleare

FATTI DI CAUSA

1.YYYYY, proprietaria di unità nel Condominio XXXXX, impugnò avanti il Tribunale di Roma la delibera assembleare di data 11-10-2007, deducendone l’illegittimità in quanto assunta in violazione dell’art. 1453 cod. civ.. Dichiarò che il Condominio, con precedente delibera del 31-5-2007, da lei impugnata in separato giudizio, aveva deliberato di risolvere il contratto di appalto stipulato il 18-5-2006 con la ditta Omissis, avente a oggetto l’esecuzione di lavori nello stabile condominiale, e con la delibera 11-10-2007 aveva deciso di dare nuovo incarico per l’esecuzione delle opere a Omissis per il prezzo di Euro 45.000,00; sostenne che tale delibera era invalida in quanto il Condominio non aveva il potere di risolvere il primo contratto di appalto e stipularne uno nuovo con diverso soggetto.

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 12540 depositata il I-6-2010 rigettò l’impugnazione alla delibera.

2.A seguito di appello di YYYYY, la Corte d’appello di Roma ha pronunciato la sentenza n. 1888 pubblicata il 22-3-2017.

La sentenza ha dichiarato fondata la prima doglianza dell’appellante, con la quale era stata dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per avere il primo giudice rigettato la domanda sulla base del presupposto che il Tribunale di Roma con la sentenza n. 8280/2010 avesse definitivamente rigettato l’impugnativa avverso la prima delibera. Ha rilevato che la sentenza n. 8280 era stata impugnata e non era passata in giudicato e quindi il primo giudice non avrebbe potuto ritenere che l’impugnativa avverso la prima delibera fosse stata definitivamente rigettata.

La sentenza ha altresì dichiarato fondato il secondo motivo di appello, con il quale l’appellante si lamentava del fatto che il primo giudice avesse ritenuto che il contratto con la ditta Omissis fosse stato risolto con la delibera del 31-7-2007, perché la sentenza n. 8280 aveva escluso che detta delibera avesse risolto il contratto di appalto. Ha osservato che la sentenza n. 8280 aveva rigettato l’impugnazione sul presupposto che l’assemblea in data 31-7-2007 non avesse assunto alcuna decisione sulla risoluzione del contratto di appalto con Omissis, ma si fosse semplicemente limitata a fare propria la linea esposta da un legale per la risoluzione del contratto; quindi ha dichiarato che il primo giudice aveva male interpretato la sentenza n. 8280 che aveva posto a fondamento della propria decisione, in quanto il Tribunale di Roma aveva rigettato la prima impugnazione proprio perché aveva ritenuto che la deliberazione del 31 maggio 2007 non aveva risolto il contratto di appalto con Omissis; ha rilevato che era erroneo il convincimento del primo giudice laddove, nel rigettare l’impugnazione alla delibera 11-10-2007, aveva affermato che la risoluzione del contratto di appalto con la ditta Omissis era stata già disposta con la delibera precedente e che perciò fosse legittima la scelta di affidare i lavori ad altra impresa.

Di seguito la sentenza, esaminando il terzo motivo di appello, ha dichiarato che la delibera 11-10-2007, con riguardo al primo punto all’ordine del giorno relativo ai lavori appaltati alla ditta Omissis, aveva riservato di intraprendere azione legale nei confronti della ditta Omissis, aveva proceduto all’analisi dei nuovi preventivi e aveva deliberato di dare incarico a Omissis. Ha rilevato che, non avendo l’appellante YYYYY lamentato alcunché in ordine alla scelta della ditta Omissis -se non il fatto che non si potesse dare un nuovo incarico ad altra ditta prima di risolvere in via giudiziaria il contenzioso con la Omissis- né in ordine alla regolarità formale dell’assemblea, né in ordine al quorum deliberativo, la delibera era valida ed efficace. Ha concluso perciò che l’impugnazione non poteva essere accolta e che l’appello doveva essere rigettato, per cui in dispositivo ha rigettato l’appello e condannato l’appellante alla rifusione a favore del Condominio appellato delle spese di lite del grado.

3.Con atto notificato il 23-4-2018 YYYYY ha proposto tempestivo ricorso per cassazione avverso la sentenza, non notificata, sulla base di due motivi.

Il Condominio XXXXX ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

All’esito della camera di consiglio del giorno 8-9-2023 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo rubricato “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.” la ricorrente rileva un contrasto insanabile tra la motivazione della sentenza e il dispositivo, che non consente di individuare l’effettiva statuizione. Evidenzia che la Corte d’appello ha dichiarato fondati i primi due motivi di appello e ha rigettato il terzo, ma in modo inspiegabile non ha tratto alcuna conseguenza processuale dall’accoglimento dei primi due motivi di gravame, mentre avrebbe dovuto accogliere parzialmente l’appello. Quindi sostiene che la sentenza sia non solo contraddittoria, ma anche inidonea a rendere conoscibile il contenuto della pronuncia giudiziale, stante l’insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.

1.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo, sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e quindi del diritto o bene riconosciuto, in quanto il contrasto sia tale da escludere una valutazione di prevalenza di una delle due contrastanti affermazioni contenute nella decisione (Cass. Sez. 2 19-4-2022 n. 12434, Cass. Sez. 6-1 27-6-2017 n. 16014 Rv. 644806-01, Cass. Sez. 5 30-12-2015 n. 26077 Rv. 638110-01). E’ altresì acquisito, già da prima della riformulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. disposta dall’art. 54 d.l. 22-6-2012 n. 83 conv. in legge 7-8-2012 n134, il principio secondo il quale il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze su quella che è stata la volontà del giudice (Cass. Sez. U. 22-12-2010 n. 25984 Rv. 615519-01, Cass. Sez. 1 18-2-2015 n. 3270 Rv. 634408-01). Il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, sicché il vizio non è ipotizzabile nel caso in cui la contraddizione riguardi le contrastanti valutazioni compiute dal giudice di primo grado e da quello di appello, dovendo altrimenti ritenersi contraddittorie tutte le sentenze di secondo grado che abbiano motivato in modo difforme dalla sentenza di primo grado (Cass. Sez. L 17-8-2020 n. 17196 Rv. 658536-01, Cass. Sez. 3 9-2-2004 n. 2427 Rv. 569997-01, per tutte). La sentenza di appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente a quella di primo grado, sicché il giudice del gravame ben può, in dispositivo, confermare la decisione impugnata e in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni e argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza d’appello (Cass. Sez. 6-5 14-2-2014 n. 3594 Rv. 629986-01, Cass. Sez. 5 25-1-2008 n. 1604 Rv. 601475-01).

Nella fattispecie, effettivamente la motivazione della sentenza impugnata è erronea, laddove ha dichiarato di accogliere i primi due motivi di appello: l’accoglimento delle argomentazioni svolte dall’appellante con i primi due motivi di appello per confutare le ragioni poste dal giudice di primo grado a fondamento del rigetto dell’impugnativa della delibera assembleare non erano tali da fare ritenere che la delibera fosse illegittima e quindi la Corte d’appello non avrebbe dovuto dichiarare in motivazione di accogliere i primi due motivi di appello. Il giudice di primo grado aveva dichiarato che la sentenza n. 8280/2010 del Tribunale di Roma aveva definitivamente rigettato l’impugnativa alla delibera 31-5-2007 e la sentenza impugnata ha rilevato che era corretta la deduzione svolta dall’appellante con il primo motivo, secondo la quale quella sentenza n. 8280 non era ancora definitiva in quanto era stata oggetto di appello. Inoltre, il giudice di primo grado aveva ritenuto che il contratto di appalto con la ditta Omissis fosse stato risolto dalla delibera 31-5-2007 e la sentenza impugnata ha dichiarato che era corretta la deduzione svolta dall’appellante con il secondo motivo di appello, perché il giudice di primo grado aveva erroneamente affermato che la risoluzione del contratto di appalto era già stata disposta dalla delibera 31-5-2007. Però di seguito la sentenza impugnata ha espressamente escluso che la delibera impugnata fosse affetta da un qualche vizio, riferito al suo contenuto o alle modalità di approvazione, e per questa ragione ha rigettato la domanda avente a oggetto l’impugnazione alla delibera e l’appello. In questo modo la sentenza impugnata ha confermato il rigetto della domanda già pronunciato dal giudice di primo grado, per ragioni diverse da quelle ritenute dal giudice di primo grado; seppure ha commesso l’errore di dichiarare fondati i primi due motivi di appello (senza considerare che la fondatezza degli argomenti svolti con quei due motivi non era idonea a ritenere l’illegittimità della delibera), tale errore non comporta alcuna incertezza sul procedimento logico-giuridico in forza del quale la sentenza è giunta alla conclusione di ritenere la delibera assembleare legittima.

In conclusione, non sussiste contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza, perché il dispositivo di rigetto dell’appello è conforme alla motivazione della sentenza che ha escluso l’illegittimità della delibera. L’accoglimento delle critiche proposte dall’appellante alla motivazione svolta dal giudice di primo grado non sono state esposte dalla Corte territoriale al fine di ritenere la legittimità della delibera, così da configurarsi un contrasto irrisolvibile tra ragioni tra loro contraddittorie. Quelle argomentazioni di accoglimento delle critiche dell’appellante alla sentenza di primo grado sono state eseguite soltanto per escludere che le ragioni svolte dal giudice di primo grado potessero essere integralmente condivise; però, non si trattava di argomentazioni che potessero risolversi nella dichiarazione di accoglimento dei primi due motivi di appello.

2.Con il secondo motivo rubricato “violazione dell’art. 1453 c.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.” la ricorrente sostiene che la sentenza abbia violato l’art. 1453 cod. civ. quando, nel rigettare il terzo motivo di appello, ha qualificato come legittima la scelta dell’assemblea di affidare l’appalto ad altra ditta. Rileva che la motivazione è in contraddizione con l’accoglimento del secondo motivo di gravame, laddove la Corte aveva affermato che la precedente delibera 31-5-2007 non aveva risolto l’appalto con Omissis Costruzioni ed evidenzia che la delibera ha violato il disposto dell’art. 1453 cod. civ., ritenendo di potere risolvere unilateralmente il primo contratto di appalto; sostiene perciò che la stipula del secondo contratto di appalto, in sovrapposizione con quello in essere, fosse illegittima e che la delibera impugnata avesse avuto l’efficacia di risolvere il primo contratto con Omissis, di affidare i lavori a Omissis e conclamare definitivamente l’inadempimento del Condominio alle obbligazioni assunte con Omissis.

2.1.Il motivo è inammissibile in quanto formulato ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. senza individuare il fatto decisivo di cui si lamenti l’omesso esame; il motivo, anche riqualificato ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 1453 cod. civ., è infondato.

Si deve fare applicazione del principio secondo il quale il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., è limitato a un riscontro di legittimità delle decisione, avuto riguardo all’osservanza delle norme di legge o del regolamento ovvero all’eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l’assemblea medesima dispone, e non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui l’assemblea dispone, o alla valutazione della convenienza economica di quanto deliberato (Cass. Sez. 2 13-5-2022 n. 15320 Rv. 664798-01, Cass. Sez.6-2 25-2-2020 n. 5061 Rv. 657265-01, Cass. Sez. 2 20-6-2012 n. 10199 Rv. 622882-01). Inoltre, è acquisito il principio secondo il quale le delibere assembleari sono nulle, tra l’altro, nel caso in cui siano contrarie a norme imperative e siano assunte in materie che esulano dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 n. 2 e 3 cod. civ. e sono annullabili nel caso in cui, pur assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, abbiano a oggetto la ripartizione tra i condomini delle spese in violazione dei criteri previsti dalla legge o dal regolamento (Cass. Sez. U 14-4-2021 n. 9839 Rv. 661084-03, Cass. Sez. U 7-3-2005 n. 4806 Rv. 579439-01). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, come nella fattispecie, alla scelta dell’assemblea di non dare corso a un contratto già concluso, in quanto non si tratta di scelte assunte dall’assemblea esorbitando dall’ambito dei suoi poteri; l’eventuale erronea valutazione giuridica che abbia indotto l’assemblea ad assumere anche la decisione di promuovere la lite non incide in sé sulla legittimità della delibera, come confermato dal fatto che l’art. 1132 cod. civ. tutela il condomino dissenziente dandogli la possibilità di separare la propria responsabilità da quella del condominio nella forma ivi prevista.

Ciò posto, non sussiste nella sentenza impugnata neppure la contraddizione lamentata dalla ricorrente. Nell’esaminare il secondo motivo di appello la Corte territoriale ha escluso che la precedente delibera 31-5-2007 avesse risolto il primo contratto di appalto e che in tal senso fosse stata la pronuncia della sentenza n. 8280/2008 del Tribunale di Roma. Di seguito, nell’esaminare il terzo motivo di appello, la Corte ha escluso che la delibera 11-10-2017 avesse risolto il primo contratto di appalto, dichiarando che l’assemblea aveva dato per scontato che lo stesso fosse già stato risolto a seguito della linea esposta dal legale nella precedente adunanza, tanto che l’amministratore era stato convocato unitamente al direttore dei lavori dai Carabinieri per una denuncia querela proposta dalla ditta Omissis. Questo non significa che la Corte territoriale abbia dichiarato, in contraddizione con la precedente affermazione, che la risoluzione del contratto fosse stata disposta dalla delibera 31-5-2007: la risoluzione o comunque la mancata esecuzione del contratto, a prescindere dal contenuto delle delibere assembleari, poteva essere la conseguenza del comportamento posto in essere dai due contraenti, dal Condominio che aveva deciso di non dare corso ai lavori e dall’appaltatore Omissis che aveva proposto denuncia querela contro il Condominio. Quindi, la sentenza impugnata ha soltanto evidenziato che la delibera 11-10-2007 è stata assunta sulla base del presupposto che il primo contratto di appalto fosse stato risolto o comunque non sarebbe stato eseguito, e non per il fatto che la risoluzione fosse stata disposta dalla delibera 31-5-2007. Inoltre, la sentenza impugnata, nell’escludere che l’illegittimità della delibera derivasse dal fatto di avere deliberato di dare incarico per i lavori ad altra ditta prima di risolvere in via giudiziaria il contenzioso con la ditta Omissis, ha rispettato i limiti del sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari che sono stati sopra esposti; ciò in quanto la scelta di concludere un secondo contratto spettava alla valutazione discrezionale dell’assemblea e nessuno degli argomenti del ricorrente è volto a prospettare che la deliberazione relativa alla stipulazione di tale secondo contratto fosse espressione di un eccesso di potere.

3.Ne consegue che il ricorso deve essere integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.

In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa ex lege.

Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il giorno 8-9-2023

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TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA SENTENZA N. 279/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Art. 1118 c.c. – Distacco riscaldamento centralizzato – Riscaldamento centralizzato – Delibera assembleare – Nullità delibera – Delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento

Si ritiene che il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall’uso dell’impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, operi sempre qualora l’interessato provi che dal distacco non deriverà né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione dei servizi. I condomini legittimamente distaccati dall’impianto di riscaldamento centralizzato sono esonerati dal pagamento delle spese di esercizio dell’impianto medesimo; rimangono, invece, obbligati a contribuire alle spese straordinarie e di conservazione qualora l’impianto conservi, dopo il distacco, la natura di bene di proprietà comune, con la possibilità per gli stessi condomini, in caso di ripensamento, di allacciare nuovamente la propria unità immobiliare all’impianto centralizzato. Ciò presuppone che il condomino distaccandosi non determini notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condòmini. L’insussistenza di tali pregiudizi deve essere provata dal condomino, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (C. Cass, sent. n. 25559/2023).

Si ritiene, come da giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che la delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento, non solo sia nulla, ma neppure il regolamento condominiale potrà impedire il distacco al condomino, anche qualora abbia natura contrattuale, trattandosi di diritto indisponibile del condomino ai sensi dell’art. 1118 c. 4 c.c. (Cassazione civile sez. II, 02/11/2018, n. 28051). Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’articolo 1138, comma 4, del Cc e non può menomare i diritti che ai condomini derivino dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Deriva da quanto precede, pertanto, che la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, se il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento.

Le condizioni per il distacco dall’impianto centralizzato, vanno – in particolare – ravvisate nell’assenza di pregiudizio al funzionamento dell’impianto e comportano il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell’articolo 1123, comma 2, del codice civile, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato. In tal caso il condomino che opera il distacco è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell’impianto stesso (C.Cass. sez. II, 21/05/2020, n.9387).


Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Omissis ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. Omissis promossa da:

YYYYY  (C.F. Omissis), nato a Omissis il Omissis, e ZZZZZ (C.F. Omissis), nata a Omissis il Omissis, entrambi residenti a Omissis, rappresentati e difesi dall’Avv. Omissis (Omissis), del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio professionale sito in Omissis in forza di procura allegata all’atto di citazione

ATTORI

contro

Condominio XXXXX [C.F.: Omissis], corrente in Omissis, in persona del suo amministratore pro tempore, Omissis in persona del suo l.r.p.t. Sig. Omissis, corrente in Omissis elettivamente domiciliato in Omissis presso lo Studio dell’Avv. Omissis [C.F.: Omissis) giusta delega allegata alla comparsa costitutiva

CONVENUTO

CONCLUSIONI

Conclusioni di parte attrice:

Voglia l’Ill.mo Tribunale di Aosta, contrariis reiectis, così giudicare:

Nel merito: A) Per tutte le ragioni esposte in fatto e in diritto, accertare la legittimità del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato da parte degli attori e, per l’effetto, dichiarare l’invalidità e/o nullità della delibera impugnata del 16 Agosto 2019 al Punto 5 dell’OdG;

B) Condannare il condominio convenuto a rimborsare agli attori tutte le spese condominiali sostenute afferenti i consumi di riscaldamento volontario, dalla data di formalizzazione dell’avvenuto distacco, ossia dall’1 Aprile 2018, nella misura di € 1.967,09# o nella diversa misura ritenuta di giustizia, e di tutte le successive spese attribuite agli attori e corrisposte a titolo di consumo volontario di riscaldamento, nonché delle spese sostenute per la mediazione obbligatoria pari ad € 1.963,40# o nella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia;

C) Nel merito, in subordine : Accertato l’intervenuto distacco da parte degli attori l’1 Aprile 2018, per tutte le ragioni esposte in fatto e diritto, condannare il convenuto a rimborsare gli attori delle spese condominiali di riscaldamento, nella misura del consumo volontario corrisposte dalla data del distacco, ossia dall’1 Aprile 2018 per € 1.967,09# o nella diversa misura ritenuta di giustizia, oltre alle successive, a titolo di arricchimento senza causa;

D) Con vittoria di spese di causa, compresi tutti i costi di trasferta sostenuti, e compensi professionali di causa. In via istruttoria: ammettersi ampio e libero interrogatorio formale delle parti, nonché prova testimoniale sulle circostanze dedotte in premessa, da ritenersi quali capitoli di prova preceduti dalla locuzione “vero che”, nei confronti dei testi che ci si riserva di indicare nei termini di legge, oltre a prova testimoniale contraria a quella eventualmente formulata da parte avversa.

Conclusioni di parte convenuta:

Voglia l’Ecc.mo Tribunale di Aosta:

IN VIA PRINCIPALE – rigettare in toto le domande attoree.

Con i provvedimenti di legge.

Con riserva di ogni diritto ed interesse.

Con il favore di spese ed onorari.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione 26.4.2021 gli attori convenivano in giudizio il Condominio XXXXX al fine di chiedere la dichiarazione di invalidità e/o nullità della delibera 16.8.2019, punto 5 all’o.d.g., ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di consumo volontario dopo la data del distacco e il rimborso delle spese legali.

Il condominio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree.

La causa veniva istruita tramite CTU, venivano rigettate le ulteriori istanze istruttorie, la causa veniva trattenuta a decisione all’udienza del 28.4.2023.

Motivi della decisione

Il contenzioso tra origine dal distacco operato dagli attori dal riscaldamento centralizzato condominiale.

Gli attori, comproprietari di un’unità immobiliare facente parte del condominio convenuto, procedevano infatti al distacco della propria unità dal riscaldamento condominiale; a tal fine inviavano comunicazione del 1 aprile 2018 con allegata perizia termotecnica attestante l’assenza di squilibri per l’impianto e di aggravi di costi per il condominio.

Gli attori riferiscono che il condominio, con assemblea del 29 dicembre 2018, al Punto 2 dell’ODG, approvava il preventivo 2018-2019 che addebitava le spese di consumo volontario per gli attori e che, di fatto, negava quindi la legittimità dell’intervenuto distacco dall’impianto centralizzato; che con successiva assemblea del 4 gennaio 2020, al punto 6 dell’ODG, veniva approvato il consuntivo 2017 – 2018 e relativo riparto.

Il condominio con assemblea 16.8.2019, al punto 5 all’o.d.g., deliberava di incaricare l’amministratore di ripristinare lo stato di fatto ante distacco degli attori, precisamente l’assemblea deliberava: “La Signora Omissis sottolinea che presumibilmente a causa del distacco operato dall’ YYYYY all’interno del suo alloggio, in occasione del soggiorno avvenuto nel mese di novembre, la stessa non è riuscita a superare la temperatura di gradi 12 all’interno del suo appartamento. Pertanto si presume che il distacco dell’YYYYY abbia creato uno sbilanciamento della distribuzione del riscaldamento. L’assemblea unitamente a quanto sopra e soprattutto in carenza di documentazione come previsto dalla vigente legislazione dà incarico all’amministratore di attivarsi affinché venga ripristinato nell’immediato lo stato di fatto ante distacco dell’YYYYY, con oneri a carico di quest’ultimo; delibera questa approvata con 820,13 millesimi favorevoli”.

Gli attori producevano integrazione alla perizia del termotecnico a sostegno della legittimità del proprio distacco.

Gli attori impugnano la delibera del 16 agosto 2019 al punto 5 all’o.d.g. e chiedono riconoscersi la legittimità del distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento condominiale.

Gli attori versavano la somma di euro 1.967,00 per consumi di riscaldamento volontario dal 1 aprile 2018 di cui chiedono il rimborso.

Il condominio eccepisce che la delibera del 16.8.2019 non è nulla, ma semmai annullabile, e che l’attore ha agito in giudizio oltre il termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c.; osserva che l’art. 36 del Regolamento di Condominio prevede l’obbligo di utilizzo del riscaldamento centralizzato anche nel periodo in cui l’alloggio non è abitato trattandosi di norma statutaria inderogabile.

***

Veniva esperita CTU da cui risultava che il distacco dell’unità attoree non influiva sul funzionamento dell’impianto e che non costituiva aggravio di spesa, anche alla luce del riparto millesimale che il CTU riteneva non conforme alla normativa vigente. L’unità attorea risultava effettivamente distaccata e munita di stufe elettriche per il riscaldamento.

Si ritiene che il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall’uso dell’impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, operi sempre qualora l’interessato provi che dal distacco non deriverà né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione dei servizi. I condomini legittimamente distaccati dall’impianto di riscaldamento centralizzato sono esonerati dal pagamento delle spese di esercizio dell’impianto medesimo; rimangono, invece, obbligati a contribuire alle spese straordinarie e di conservazione qualora l’impianto conservi, dopo il distacco, la natura di bene di proprietà comune, con la possibilità per gli stessi condomini, in caso di ripensamento, di allacciare nuovamente la propria unità immobiliare all’impianto centralizzato. Ciò presuppone che il condomino distaccandosi non determini notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condòmini. L’insussistenza di tali pregiudizi deve essere provata dal condomino, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (C. Cass, sent. n. 25559/2023).

Parte attrice ha fornito la prova di aver comunicato l’intenzione di procedere al distacco e di aver fornito la prova, tramite perizia termotecnica, allegata alla comunicazione di distacco inviata via PEC all’amministratore, che tale distacco non determini notevoli squilibri di funzionamento all’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini. La relazione fornita dal perito Omissis precisava che “dal punto di vista tecnico non comporta inconvenienti di funzionamento per l’impianto stesso e non pregiudica in alcun modo la fruibilità di calore degli alloggi che restano collegati” e che “dal punto di vista energetico l’energia dispersa dall’impianto di distribuzione (tubazioni) e dallo scambiatore di calore resterà uguale, ma il costo sarà suddiviso tra un minor numero di utenti, in quanto l’impianto deve restare in funzione per il restante condominio”.

Anche la CTU effettuata in corso di causa ha confermato che il distacco non determina alcuno squilibrio, essendo l’alloggio distaccato equiparabile ad un alloggio con riscaldamento spento, e che ciò non determini un aggravio di spesa. Il CTU precisa che il riparto della spesa per consumo involontario, da ripartirsi tra le restanti 135 unità facenti parte del condominio, peraltro utilizzate saltuariamente trattandosi di case per le vacanze, sulla base del corretto sistema di contabilizzazione previsto per legge, non reca aggravio di spesa per i condomini non distaccati.

Molto si discute sulla seconda delle condizioni poste dal legislatore come presupposto indefettibile per la legittimità del distacco di un condomino dall’impianto centralizzato, ossia sull’insussistenza dell’aggravio di spesa. Di regola, il distacco di una unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento o di condizionamento centralizzato dovrebbe comportare un minor consumo globale di energia e quindi, in termini assoluti, un risparmio di spesa. Ma tale assunto non è scontato, perché il minor consumo, conseguente al distacco, non determinerà un aggravio di spesa per i condòmini che continuano ad utilizzare l’impianto solo quando la minore spesa per consumi sarà pari o superiore alla quota di spesa di riscaldamento che faceva carico in precedenza all’unità distaccata. La tecnica ha ampiamente dimostrato che la conseguenza immediata e diretta del distacco anche di una sola unità immobiliare da un impianto di riscaldamento o condizionamento centralizzato è l’aumento – seppur minimo – dei costi pro-capite per i condomini che ne continuano ad usufruire. Quindi, la norma per avere un senso applicativo deve essere interpretata nel senso di consentire il distacco anche in presenza di aggravi di spesa per gli altri condomini, purché anch’essi, come per gli squilibri di funzionamento, non siano “notevoli”. Una simile interpretazione non impedirebbe, infatti, in maniera assoluta il distacco, a differenza di quanto accadrebbe se l’aggettivo “notevole” non fosse stato previsto anche rispetto agli aggravi di spesa. In realtà dalla vaga formulazione dell’ultimo comma della norma citata non è chiaro  se il distacco non sia consentito per il solo fatto che comporta un aggravio di spesa per gli altri condomini o se è necessario che tale aggravio sia “notevole”. La prima soluzione sembra preferibile, in considerazione del principio che l’esercizio di un diritto non può risolversi in un danno per gli altri condomini. Il legislatore tra le parole «notevoli squilibri di funzionamento» e «aggravi di spesa» ha utilizzato la disgiunzione “o”. Questo vuol dire che l’aggettivo “notevoli” è accostato unicamente agli squilibri di funzionamento, ma non agli aggravi di spesa. Ne deriva che, secondo il dato letterale della norma, è sufficiente un aumento pure di pochi centesimi di spesa a carico degli altri condomini perché si concretizzi «l’aggravio di spesa» e quindi il distacco sia illegittimo. Sul tema, non si ravvisano precedenti giurisprudenziali che abbiano fatto un’analisi precisa del problema interpretativo e, per quanto molti interpreti abbiano ritenuto che, nella nota sentenza Cass. civ., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22235, la Cassazione abbia optato per una interpretazione restrittiva, dalla sua attenta lettura non si evince una chiara e netta posizione della Suprema Corte sull’argomento. Per gli ermellini, il condomino che intende distaccarsi deve fornire la prova che «dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini», e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dimostrare l’assenza di «notevoli squilibri» e di «aggravi» per i condomini che continuano a servirsi dell’impianto. Il condomino è esonerato dall’onere della prova soltanto nel caso in cui l’assemblea abbia autorizzato il distacco dall’impianto centralizzato sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei suddetti presupposti. Ne deriva che in presenza di squilibri nell’impianto condominiale o di aggravi di spesa per gli altri condòmini, il distacco è certamente illegittimo e l’autore potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante. In effetti, la giurisprudenza di legittimità non ha mai affrontato il problema dell’interpretazione letterale del comma 4 dell’art. 1118 c.c., né sembra possibile considerare a priori illegittimo il distacco che abbia comportato un aggravio di spesa, se compensato da una contribuzione del condomino per il c.d. prelievo involontario (energia corrispondente alle dispersioni della rete di distribuzione). Questo tipo di consumo di energia viene ripartito in base ai “millesimi di riscaldamento” e, quindi, di regola anche a carico dei condomini che si sono distaccati dall’impianto centralizzato (v. art. 9, comma 5, lett. d, del d.lgs. 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che richiama espressamente la normativa tecnica UNI 10200 e indica i criteri di ripartizione dei prelievi involontari di energia termica). La stessa sentenza in commento individua uno dei punti a sfavore del Condominio nel non aver effettuato la diagnosi energetica del fabbricato, che stabilisce in modo inequivocabile le percentuali delle due quote da ripartire: la quota fissa (a carico di tutti i condomini) e la quota variabile (solo a carico di quelli che sono ancora collegati all’impianto centralizzato) (Trib. Torino, sent. n. 6078/2017).

***

Si ritiene, come da giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che la delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento, non solo sia nulla, ma neppure il regolamento condominiale potrà impedire il distacco al condomino, anche qualora abbia natura contrattuale, trattandosi di diritto indisponibile del condomino ai sensi dell’art. 1118 c. 4 c.c. (Cassazione civile sez. II, 02/11/2018, n. 28051). Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’articolo 1138, comma 4, del Cc e non può menomare i diritti che ai condomini derivino dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Deriva da quanto precede, pertanto, che la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, se il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento.

Le condizioni per il distacco dall’impianto centralizzato, vanno – in particolare – ravvisate nell’assenza di pregiudizio al funzionamento dell’impianto e comportano il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell’articolo 1123, comma 2, del codice civile, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato. In tal caso il condomino che opera il distacco è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell’impianto stesso (C.Cass. sez. II, 21/05/2020, n.9387).

Si ritiene pertanto che la delibera del 16.8.2019, punto 5 all’o.d.g., che dispone il riallaccio degli attori all’impianto centralizzato sia nulla per violazione del diritto indisponibile del condomino di cui all’art. 1118 c. 4 c.c..

***

In merito alla richiesta di rimborso delle somme versate a titolo di spese di riscaldamento in data successiva al distacco, si ritiene che tale domanda non possa essere accolta in quanto gli attori non hanno impugnato le delibere di approvazione dei rendiconti e dei riparti sulla base dei quali tali somme sono state richieste (Tribunale Roma, 23/01/2017).

Non si ritiene neppure accoglibile la domanda subordinata di arricchimento senza causa trattandosi di azione residuale; si ribadisce che gli attori avrebbero dovuto impugnare le delibere di approvazione dei rendiconti e relativi riparti ai sensi dell’art. 1137 c.c. (C.Cass. n. 20528/2017).

***

Stante la reciproca soccombenza si compensano le spese di lite, ad accezione delle spese di CTU che, avendo ad oggetto la prova della legittimità del distacco dall’impianto centralizzato ed essendo il condominio soccombente su tale punto, andranno poste a carico del condominio. Le spese di CTU sono già state liquidate con decreto 13.6.2023 in euro 4.754,52 ex art. 11 DM 182/2002, euro 300,00 ex art. 12 DM 182/2002, oltre € 108,00 per spese imponibili ed oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

dichiara la nullità della delibera del 16.8.2019 al punto 5 all’o.d.g.

compensa tra le parti le spese di lite ad eccezione delle spese di CTU che pone a carico di parte convenuta nella misura di euro 5.054,52, oltre euro 108,00 per spese imponibili, oltre accessori di legge.

Aosta, 9 ottobre 2023

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 28262/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Principio di diritto – Art. 1136 c.c. – Quorum costitutivi – Quorum deliberativi

Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35930/2018 R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentata e difesa dall’avvocata Omissis

-ricorrente- contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

SSSSS, elettivamente domiciliata in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dall’avvocato Omissis

VVVVV, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis

-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2894/2018 depositata il 12/06/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – YYYYY ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2894/2018 della Corte d’appello di Milano, depositata il 12 giugno 2018.

Resistono con distinti controricorsi il Condominio XXXXX, SSSSS e VVVVV.

2– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4–quater, e 380 bis.1, c.p.c.

La ricorrente ha depositato memoria.

3 — La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame avanzato da YYYYY avverso la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 15 gennaio 2016, avente ad oggetto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. spiegata dalla stessa condomina YYYYY contro la deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. Tale delibera concerneva la scelta dell’impresa cui affidare lavori straordinari e la richiesta formulata da alcuni condomini per la installazione di un ascensore finalizzato alle esigenze di un disabile residente nell’edificio. Erano stati convenuti, oltre che il Condominio, l’amministratrice SSSSS e il presidente dell’assemblea VVVVV. Per quanto qui rilevi, l’attrice aveva contestato l’illegittima costituzione dell’assemblea con riguardo all’indicazione dei millesimi spettanti ai partecipanti.

Sul punto, i giudici di secondo grado hanno affermato che “nell’assemblea del 13.02.13 è stata fatta corretta applicazione dei millesimi di proprietà. Infatti, dalla elaborazione dei millesimi demandata dal condominio all’lng. Omissis emerge una distinzione tra i millesimi di gestione ed i millesimi di proprietà. Il documento redatto dall’Ing. Omissis ed approvato dall’assemblea condominiale del 13.7.2009, porta invero la dicitura, nell’intestazione ‘Millesimi di gestione’ e ‘Millesimi di scala’, laddove questi ultimi riguardano parti comuni condominiali”. La Corte d’appello ha poi dato atto della costante utilizzazione di tali prospetti millesimali nelle assemblee svoltesi negli anni a seguire ed ha esposto che “[t]ra tutti i condomini del palazzo, la sola YYYYY ha sollevato dei dubbi relativi alla qualifica e tipologia dei millesimi oggetto del prospetto dell’lng. Omissis”, essendo stata per gli altri “pacifica la differenza e la diversa utilizzazione tra i millesimi di gestione e i millesimi di proprietà”. Si è infine sottolineato che “anche laddove si fosse accolta la tesi sostenuta dalla dott.ssa YYYYY1 ai fini della regolare costituzione dell’assemblea condominiale, si sarebbero comunque raggiunte le maggioranze richieste dalla legge per l’approvazione delle delibere”.

4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, comma 1, c.c., 68, comma 1, e 69, comma 1, n. 2, disp. att. c.c., 116 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado violato le norme riguardanti il valore proporzionale, espresso in millesimi, delle unità immobiliari all’interno del condominio”. L’assunto della ricorrente è che i giudici di appello, perseverando nell’errore in cui era incorso il Tribunale, hanno insistito nel “ritenere come millesimi di natura differente (millesimi di proprietà e millesimi di gestione) ciò che invece nella realtà coincide, e che corrisponde a millesimi ‘di proprietà’, ovvero al ‘’valore’ di proprietà di ciascuna unità immobiliare all’interno di un condominio, espresso in millesimi, che trova la sua ragion d’essere proprio nella suddivisione delle spese di gestione di cui necessitano le parti comuni dell’edificio stesso”. Ed ancora, avverte la ricorrente: “non esistono due tabelle distinte ‘millesimi di proprietà’ e ‘millesimi di gestione’”. La censura sottolinea altresì che “nessuna rilevanza, sul punto, riveste la circostanza (non provata) secondo la quale, nel caso di specie, le maggioranze costitutive e deliberative sarebbero state ugualmente raggiunte: è previsto dalla legge che — ad ogni condomino — corrisponda un determinato valore millesimale di proprietà, che deve essere “una volta per tutte” determinato e applicato sia per la valida costituzione dell’assemblea (e la votazione delle delibere) sia per la suddivisione delle spese comuni”.

Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. Vi si assume che sul profilo riguardante la pretesa esistenza di una doppia tabella. “di proprietà” e “di gestione”, “si è formato, in senso negativo, il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo, all’esito del giudizio R.G. 3878/2014”.

Tale sentenza, precisa la ricorrente, è stata oggetto di ricorso per cassazione (RG Omissis) ma non su questo “specifico capo”.

4.1. — I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, giacché connessi, e sono da respingere. Le censure denotano carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) e non possono pertanto comportarne la cassazione.

4.2. — Si ha qui riguardo ad una azione di impugnazione, ai sensi dell’art. 1137 c.c., della deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. YYYYY ne ha domandato l’annullamento perché i rispettivi quorum costitutivi e deliberativi sarebbero stati calcolati sulla base dell’erronea distinzione tra “millesimi di proprietà” e “millesimi di gestione”, distinzione che secondo la ricorrente sarebbe “inesistente” anche alla luce della tabella millesimale vigente approvata nel 2009.

4.3. — La regola in tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale è che l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (Cass. n. 3295 del 2023). Spettava perciò a YYYYY provare che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio.

4.4. — Quando l’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale sia fondata, come nel caso in esame, sulla deduzione di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea o alla adozione con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge, la tabella millesimale assume un rilievo dirimente soltanto quando i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita sul punto ad una convenzione di valore negoziale, la quale si risolve in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo; l’esistenza di tabelle convenzionali, nel caso in esame, non risulta, tuttavia, né allegata né dimostrata.

Ove invece la tabella millesimale approvata dall’assemblea abbia inteso unicamente determinare quantitativamente la portata dei rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sulla base dei criteri legali, l’invalidità di una delibera per difetto dei quorum prescinde dalla necessaria verifica del rispetto delle indicazioni tabellari.

Ciò appunto perché, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, ma rivela un valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. Unite, n. 18477 del 2010). Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste, dunque, prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi, la cui esistenza ed il cui rispetto non costituiscono, perciò, requisito di validità delle delibere assembleari, essendo consentito sempre di valutare anche “a posteriori” in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio (così da ultimo Cass. n. 3295 del 2023).

Se poi il condomino voglia lamentare che le tabelle millesimali in uso sono erronee, deve agire per la revisione delle stesse a norma dell’art. 69 disp. att c.c., fermo restando che, secondo l’orientamento di questa Corte, la portata non retroattiva della pronuncia di revisione giudiziale non comporta l’invalidità di tutte le delibere approvate sulla base delle tabelle precedentemente in vigore (Cass. n. n. 2635 del 2021; n. 6735 del 2020; n. 4844 del 2017; Sez. Unite n. 16794 del 2007).

4.5. — Le doglianze della ricorrente non sostengono che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua dei valori proporzionali delle unità immobiliari cui alludono l’art. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. Il senso delle censure contesta piuttosto l’argomentazione in diritto adoperata dai giudici del merito, distinguendosi tra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”. Tale distinzione è in effetti corrente nella pratica condominiale, ma non assume nessun rilievo giuridico ai fini della decisione oggetto di lite. Solitamente, le organizzazioni condominiali, per agevolare lo svolgimento delle rispettive assemblee (ovvero l’individuazione della composizione del collegio e delle maggioranze) e la ripartizione delle spese, si dotano, oltre che di una “tabella generale”, o “di proprietà”, che accerta in misura proporzionale il valore della proprietà di ciascun condomino (ad esempio, ai fini delle spese da suddividere ai sensi del primo comma dell’art. 1123 c.c.), anche di varie tabelle cosiddette “di gestione”, le quali attengono, ad esempio, alle scale e agli ascensori (art. 1124 c.c.), all’impianto di riscaldamento, al portierato, ovvero a cose destinate a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, con riguardo alle quali, sempre per legge, vengono in rilievo altresì l’uso o l’utilità delle cose o degli impianti considerati.

4.6. — La totale irrilevanza ai fini della decisione di tale distinguo fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione” priva evidentemente di decisività anche il motivo sul “giudicato esterno”, con riguardo al quale, prima ancora, dovrebbero evidenziarsi profili di inammissibilità.

La sentenza qui impugnata è stata pubblicata il 12 giugno 2018 ed è passata in decisione all’udienza del 7 novembre 2017. Si fa qui valere “il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo”. Se tuttavia una sentenza d’appello non abbia tenuto conto del giudicato formale intervenuto in separato giudizio prima del suo deposito (a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di giudicato sopravvenuto rispetto a tale momento), deve essere proposta revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e non ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 21493 del 2010). Il secondo motivo, peraltro, riferiva che quella sentenza era stato oggetto di ricorso per cassazione, seppure non sullo “specifico capo”. Così allora si trascura che il giudicato cosiddetto esterno ha connotazioni che lo differenziano nettamente da quello cosiddetto interno, ossia formatosi nell’ambito di un determinato procedimento ancora pendente, ai sensi dell’art. 329, secondo comma, c.p.c., in relazione alle parti non impugnate della sentenza, poiché, mentre il giudicato esterno è rilevabile anche di ufficio e la stessa Corte di cassazione ha il potere di verificarne se ne sussistono i presupposti di fatto, per il giudicato interno ogni accertamento compete esclusivamente al giudice di quel processo (Cass. n. 3040 del 1987; n. 4676 del 1996; n. 3895 del 2022).

Risulta, peraltro, che il ricorso per cassazione contro della sentenza Corte d’appello di Milano n. 3903/2017 è stato rigettato da questa Corte con ordinanza n. 3925/2019. Non vi è comunque alcuna affermazione contenuta nella sentenza di cui qui si chiede la cassazione che si ponga in contrasto con la portata della pregressa res iudicata, per la chiarita irrilevanza, ai fini in esame, della distinzione fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”.

5. –– Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.

6. — Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., quanto al valore “indeterminato basso” della causa stimato dai giudici di appello ai fini della liquidazione delle spese e seguito anche nella sentenza di primo grado. La censura sostiene che la domanda proposta in primo grado richiedeva la nullità della delibera condominiale del 13 febbraio 2013 per il “danno” subito dalla ricorrente pari ad € 950,00, cifra che esprime la differenza tra quanto versato in esecuzione di detta delibera e quanto la condomina YYYYY avrebbe invece dovuto legittimamente corrispondere.

Nella memoria depositata in data 22 settembre 2023, la ricorrente integra tale motivo, adducendo che la liquidazione delle spese di lite è stata operata dai giudici di appello senza riferirsi al valore della domanda, quanto facendo uso di un criterio “punitivo”, per la “molteplicità” e “cavillosità” delle argomentazioni difensive svolte.

6.1. –– Anche questo motivo è del tutto infondato.

6.1.1. Al fine della liquidazione degli onorari di avvocato a carico del soccombente, nell’azione di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio, che sia volta ad ottenere una sentenza di annullamento avente effetto nei confronti di tutti i condomini, il valore della causa deve essere determinato sulla base dell’atto impugnato, e non sulla base dell’importo del contributo alle spese dovuto dall’attore, non operando la pronuncia solo nei confronti dell’istante e nei limiti della sua ragione di debito (cfr. Cass. n. 9068 del 2022; n. 19250 del 2021).

Peraltro, la domanda rivolta alla declaratoria di invalidità di una delibera assembleare sotto il profilo della esatta individuazione dei millesimi spettanti ai partecipanti rivela effettivamente valore indeterminabile, in quanto la pronuncia invocata si proietta verso il futuro e chiede la fissazione di un criterio di attribuzione dei valori proporzionali di proprietà (cfr. Cass. n. 1513 del 1976).

6.1.2. Peraltro, in tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al giudice di merito e non è soggetta al sindacato di legittimità (tra le tante, Cass. n. 6110 del 2021; n. 12537 del 2019).

Alla stregua dell’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, recante i parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale e per la liquidazione a carico del soccombente costituito, ben può tenersi conto anche delle caratteristiche dell’attività prestata e delle difese risultate manifestamente infondate, nella specie costituendo elemento di valutazione negativa l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli (comma 7).

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna della ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione negli importi rispettivamente liquidati in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore del Condominio XXXXX in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, in favore di SSSSS in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, ed in favore di VVVVV in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2023.

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 28257/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Principio di diritto – Art- 1130 bis c.c. – Rendiconto – Registro di contabilità

Va pertanto enunciato il seguente principio:

il rendiconto condominiale, a norma dell’art. 1130–bis c.c., deve specificare nel registro di contabilità le «voci di entrata e di uscita», documentando gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché, nel riepilogo finanziario e nella nota sintetica esplicativa della gestione, «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo riguardo al risultato economico delle operazioni riferibili all’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati. Perché la deliberazione di approvazione del rendiconto, ovvero dei distinti documenti che lo compongono, possa dirsi contraria alla legge, agli effetti dell’art. 1137, comma 2, c.c., occorre accertare, alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito, che dalla violazione dei diversi criteri di redazione dettati dall’art. 1130–bis c.c. discenda una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione della situazione patrimoniale del condominio, e quelli di cui il bilancio invece dà conto, ovvero che comunque dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e dalla nota esplicativa della gestione non sia possibile realizzare l’interesse di ciascun condomino alla conoscenza concreta dei reali elementi contabili, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci non siano state effettuate tenendo conto della sostanza dell’operazione.


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5517/2019 R.G. proposto da:

YYYYY rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis

-ricorrente-

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1288/2018 depositata il 06/07/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1- YYYYY ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1288/2018 depositata il 6 luglio 2018.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.

2– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4–quater, e 380–bis.1, c.p.c.

3. La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’impugnazione ex art. 1137 c.c. proposta dal condomino YYYYY per l’annullamento della deliberazione approvata il 17 luglio 2014 dall’assemblea del Condominio XXXXX, relativa al rendiconto consuntivo 2013-2014. La Corte d’appello ha ritenuto che il rendiconto approvato fosse rispettoso dei criteri ex art. 1130–bis c.c. giacché: redatto secondo il principio di competenza e comprendente tutte le prestazioni effettuate dal 1° maggio 2013 al 30 aprile 2014, anche se fatturate e pagate dopo, fino al giorno dell’assemblea; tutte le spese rendicontate trovavano riscontro nei documenti prodotti e in particolare nelle fatture quietanzate; erano ricostruibili e giustificate le operazioni del 9 maggio 2013 (versamento a Omissis) e del 14 novembre 2013 (bonifico al Condominio di via Omissis), il credito di € 1.800,00, la voce “spese generali–amministrazione, i pagamenti in favore della Omissis e della Omissis; erano indicate le voci “saldo precedente”, “acconti versati”, ”totali riepilogativi”.

4- L’unico motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1130-bis comma 1 c.c., ovvero del “criterio contabile della cassa”, sostenendosi che nel rendiconto vanno indicate solo le spese sostenute e le somme riscosse, giacché altrimenti il rendiconto ed i saldi individuali non corrisponderebbero alla situazione reale. Il criterio contabile della cassa, secondo il ricorrente, serve ad agevolare il controllo da parte dei condomini.

5 – Il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.

5.1. – L’art. 1130–bis c.c., stabilisce che: il rendiconto condominiale deve contenere le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, il tutto espresso in modo da consentire l’immediata verifica; deve comporsi di un registro di contabilità, un riepilogo finanziario, nonché una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti; l’assemblea può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio; i condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese; le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci dalla data della relativa registrazione.

Quanto al contenuto ed ai criteri di redazione, il rendiconto deve dunque specificare le voci di entrata e di uscita, la situazione patrimoniale del condominio, i fondi disponibili e le eventuali riserve, «in modo da consentire l’immediata verifica». Il riferimento alle «voci di entrata e di uscita», significa, dunque, che il rendiconto deve documentare gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo qui riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati, e non, dunque, dal solo conto cassa (cfr. Cass. n. 33038 del 2018).

5.2. — Per la validità della deliberazione di approvazione del rendiconto condominiale non è comunque necessaria la presentazione all’assemblea di una contabilità redatta con rigorose forme, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società. È piuttosto sufficiente che essa sia idonea a rendere intelligibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione (Cass. n. 1370 del 2023). Non occorre nemmeno che entrate e spese siano trascritte nel verbale assembleare, o che siano oggetto di analitico dibattito ed esame, potendo l’assemblea procedere sinteticamente all’approvazione alla stregua della documentazione giustificativa fornita dall’amministratore. La documentazione allegata deve, però, dare prova delle somme incassate, nonché dell’entità e della causale degli esborsi fatti, e di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico di amministrazione è stato eseguito.

5.3. — Il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, che compongono il rendiconto, sono pertanto ispirati dallo scopo di realizzare l’interesse del condomino a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili ivi recati dal bilancio, e sono, quindi, orientati dall’esigenza di in–formazione dei partecipanti, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e consentire in assemblea l’espressione di un voto cosciente e meditato. Si prestano a tale scopo pure i chiarimenti forniti dall’amministratore in assemblea, se adeguati a far venire meno l’interesse del condomino, che li abbia chiesti e ottenuti, a eventuali impugnative della deliberazione di approvazione del rendiconto in relazione ai punti oggetto dei chiarimenti. Opera, dunque, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che costituisce una specificazione del principio della correttezza e veridicità dell’informazione contabile e del principio di chiarezza, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci va effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione.

5.4. — Il ricorrente prospetta, invece, ragioni di invalidità della deliberazione assembleare impugnata per violazione di norma di diritto, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del rendiconto condominiale ex art. 1130–bis c.c. per violazione del “criterio di cassa”.

La sentenza impugnata ha comunque accertato che il rendiconto consuntivo 2013-2014 approvato il 17 luglio 2014 dall’assemblea del Condominio XXXXX era idoneo a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi che consentivano di individuare e vagliare le modalità con cui l’amministratore ha eseguito il suo incarico e di concludere cha la resa del conto fosse adeguata a criteri di buona amministrazione, e ciò alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è sindacabile in cassazione, se non ove sia omesso l’esame di un fatto storico decisivo, alla stregua dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., o per difetto assoluto di motivazione.

6. — Va pertanto enunciato il seguente principio:

il rendiconto condominiale, a norma dell’art. 1130–bis c.c., deve specificare nel registro di contabilità le «voci di entrata e di uscita», documentando gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché, nel riepilogo finanziario e nella nota sintetica esplicativa della gestione, «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo riguardo al risultato economico delle operazioni riferibili all’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati. Perché la deliberazione di approvazione del rendiconto, ovvero dei distinti documenti che lo compongono, possa dirsi contraria alla legge, agli effetti dell’art. 1137, comma 2, c.c., occorre accertare, alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito, che dalla violazione dei diversi criteri di redazione dettati dall’art. 1130–bis c.c. discenda una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione della situazione patrimoniale del condominio, e quelli di cui il bilancio invece dà conto, ovvero che comunque dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e dalla nota esplicativa della gestione non sia possibile realizzare l’interesse di ciascun condomino alla conoscenza concreta dei reali elementi contabili, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci non siano state effettuate tenendo conto della sostanza dell’operazione.

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Va respinta la domanda del controricorrente di condanna per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., non rilevandosi che il ricorrente abbia agito con mala fede o colpa grave, né che abbia abusato dello strumento processuale.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2023.