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Cosa cambia dopo il 30 giugno 2023 per i procedimenti di mediazione instaurati dopo tale data?

–    Avv. Giorgio Galetto –

Il D.Lgs 10 ottobre 2021 n. 149 (pubblicato in data 17 ottobre 2022 nella Gazzetta Ufficiale n. 243) ha introdotto alcune modifiche ed integrazioni al D.lgs 28/2010 che avranno certo rilevanza nel rapporto mediazione – condominio.

Vediamo quali sono.

Le norme codicistiche che subiranno modifiche.

Attualmente l’art. 71 quater disp. att. c.c. recita testualmente:
“Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.
Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”

Testo con effetto dal 30 giugno 2023 il testo della norma in parola sarà:

Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.
Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

Le modifiche del D.lgs 28/2010

Il nuovo art. 5 bis – Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo del D.lgs 28/2010 sarà:

Quando l’azione di cui all’articolo 5, comma 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. A tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese.

Viene chiarito – definitivamente – che graverà su chi ha richiesto il decreto ingiuntivo l’onere di ottemperare all’esperimento del procedimento di mediazione.

Il nuovo art. 5 ter Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio del D.lgs 28/2010 sarà:

L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa.

Il nuovo Art. 5-sexies Mediazione su clausola contrattuale o statutaria del D.lgs 28/2010 sarà:

  1.    Quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente pubblico o privato prevedono una clausola di mediazione, l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il tentativo di conciliazione non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte entro la prima udienza, provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 2. Si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6.
  2.    La domanda di mediazione è presentata all’organismo indicato dalla clausola se iscritto nel registro ovvero, in mancanza, all’organismo individuato ai sensi dell’articolo 4, comma 1.

Il nuovo Art. 8 Procedimento del D.lgs 28/2010 sarà:

  1.    All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l’orario dell’incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell’organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
  2.    Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può a tal fine comunicare all’altra parte la domanda di mediazione già presentata all’organismo di mediazione, fermo l’obbligo dell’organismo di procedere ai sensi del comma 1.
  3.    Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.
  4.    Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale.
  5.    Nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati.
  6.    Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. Del primo incontro è redatto, a cura del mediatore, verbale sottoscritto da tutti i partecipanti.
  7.    Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’articolo 116, comma primo, del codice di procedura civile.

Il nuovo Art. 11 Conclusione del procedimento del D.lgs 28/2010 sarà:

  1.    Se è raggiunto un accordo di conciliazione, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore ne dà atto nel verbale e può formulare una proposta di conciliazione da allegare al verbale. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.
  2.    La proposta di conciliazione è formulata e comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni dalla comunicazione o nel maggior termine indicato dal mediatore, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
  3.    L’accordo di conciliazione contiene l’indicazione del relativo valore.
  4.    Il verbale conclusivo della mediazione, contenente l’eventuale accordo, è sottoscritto dalle parti, dai loro avvocati e dagli altri partecipanti alla procedura nonché dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere e, senza indugio, ne cura il deposito presso la segreteria dell’organismo. Nel verbale il mediatore dà atto della presenza di coloro che hanno partecipato agli incontri e delle parti che, pur regolarmente invitate, sono rimaste assenti.
  5.    Il verbale contenente l’eventuale accordo di conciliazione è redatto in formato digitale o, se in formato analogico, in tanti originali quante sono le parti che partecipano alla mediazione, oltre ad un originale per il deposito presso l’organismo.
  6.    Del verbale contenente l’eventuale accordo depositato presso la segreteria dell’organismo è rilasciata copia alle parti che lo richiedono. E’ fatto obbligo all’organismo di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione.
  7.     Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione dell’accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.

Il nuovo Art. 12-bis Conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione del D.lgs 28/2010 sarà:

  1.     Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
  2.     Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.
  3.    Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione.
  4.     Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all’autorità di vigilanza competente.

Ovviamente le modifiche sopra indicate saranno applicabili ai procedimenti instaurati successivamente al 30 giugno 2023

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TRIBUNALE DI FIRENZE SENTENZA N. 3395/2023 DEL 20 NOVEMBRE 2023

Art. 1129 c.c. – Obbligo consegna documentazione – Documentazione condominiale – Polizza assicurativa  

La normativa di riferimento nel caso di specie è quella relativa agli obblighi gravanti in capo all’amministratore di condominio di cui agli artt. 1129, 1130 e 1130 bis c.c..

Dalle norme succitate emerge che sussiste un obbligo del Condominio di consegna dei documenti richiesti dai singoli condomini soltanto con riferimento all'”attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso” che, ai sensi dell’art. 1130 comma 1 n. 9 c.c., l’amministratore ha l’obbligo di fornire al condomino che gliene faccia richiesta ed il cui mancato adempimento costituisce ai sensi dell’art. 1129 comma 12 n. 7 c.c., causa di revoca giudiziale.

Nessun analogo obbligo prevede la legge in capo all’amministratore relativamente alla documentazione contabile, nè tantomeno con riferimento ad altro tipo di documentazione.

Se, infatti, per un verso, l’amministratore ha l’obbligo di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale (art. 1130 n. 6 c.c.), del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità ( art. 1130 n. 7 c.c.), nonché di conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio ( art. 1130 n. 8 c.c.), per altro verso, la legge non prevede in capo allo stesso alcun obbligo di fornire copia della predetta documentazione a richiesta del singolo condomino. Questo perché, evidentemente, un obbligo di tal genere appesantirebbe notevolmente l’attività di amministrazione condominiale.

La legge, quindi, delinea un equilibrato rapporto tra l’obbligo di trasparenza dell’amministratore ed il correlato diritto di informazione del singolo condomino, da un lato, e l’esigenza di non appesantire con richieste strumentali la complessa attività di gestione del Condominio.

A ben vedere, quindi, le disposizioni in commento non prevedono alcun obbligo per l’amministratore di fornire la documentazione indicata ai singoli condomini, quanto piuttosto quella di renderla “disponibile” informando il condomino che ne faccia richiesta del luogo e del tempo di accesso ai fini dell’estrazione delle copie a cura e spese del richiedente (art. 1120 co. 2 c.c.).

La risposta fornita dall’amministratore condominiale, a mezzo del proprio legale, alla richiesta della sig.ra KKKKK di consegna della polizza assicurativa relativa al fabbricato è, quindi, del tutto aderente alle previsioni di legge, richiamando l’attenzione della richiedente sulla normativa vigente in materia, la quale, come visto, non sancisce un obbligo di consegna dell’amministratore, bensì un obbligo di renderla disponibile.

Anziché interpretarla come un rifiuto, pertanto, la condomina richiedente avrebbe dovuto attenersi a quanto indicato nella risposta dell’amministratore condominiale quanto al suo diritto di visione e di estrarne copia, nei giorni e negli orari da concordare.


SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritto al n. Omissis R.G.

YYYYY, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Omissis, rappresentata e difesa dall’Avv. Omissis ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in F Omissis

APPELLANTE

contro

KKKKK, residente in Omissis, rappresentata e difesa dall’Avv. Omissis presso il cui studio è domiciliata in Omissis come in atti, con dichiarazione di voler ricevere comunicazioni all’indirizzo di p.e.c.: Omissis o al fax Omissis

APPELLATO

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

YYYYY ha proposto appello avverso la sentenza n.1160/2022, emessa dal Giudice di Pace di Firenze in data 16.5.2022, con la quale ha condannato la parte appellante a consegnare a KKKKK la polizza assicurativa del fabbricato sito in Omissis e ogni documento inerente l’assicurazione del Condominio, con condanna alle spese di lite.

A fondamento dell’appello ha allegato: che KKKKK è proprietaria di un appartamento posto nel Condominio di Via Omissis, di cui è amministratore la parte appellante; che, in data 14.12.2020, la medesima aveva incaricato il proprio legale di chiedere all’amministratore condominiale le condizioni generali della polizza assicurativa del fabbricato per la responsabilità civile verso terzi; che il Condominio aveva risposto ricordando alla richiedente la normativa vigente in materia di accesso alla documentazione condominiale; che la sig.ra KKKKK, interpretando tale risposta come un diniego, aveva introdotto il giudizio avanti al Giudice di Pace di Firenze, che si è concluso con la sentenza qui impugnata; che, in tale giudizio, si era costituita la società amministratrice del Condominio, la quale aveva eccepito, in via preliminare, l’incompetenza per territorio del Giudice adito in favore di quella del Giudice di Pace di Roma e, nel merito, l’insussistenza del diritto alla consegna ex artt. 1129 e 1130 bis c.c., l’insussistenza, comunque, di un diniego di accesso e l’inconfigurabilità di un fatto illecito, oltre che un abuso del diritto da parte della sig.ra KKKKK

Parte appellante ha fondato l’impugnazione sui seguenti motivi: 1) eccezione di incompetenza territoriale del Giudice di Pace di Firenze, ritenuta corretta dal Giudice di prime cure ai sensi dell’art. 20 c.p.c., essendo ubicati a Firenze la sede dell’attrice ed il luogo dove deve essere consegnata la polizza; secondo l’appellante, la norma applicabile non è l’art. 20 c.p.c., bensì l’art. 19 c.p.c., non sussistendo in capo all’amministrazione condominiale alcun obbligo di consegna della documentazione inerente il Condominio, né sussistendo alcun collegamento con la residenza dell’attrice in primo grado; 2) errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1129 e 1130 bis c.c..

Si è costituita in giudizio KKKKK, la quale ha contestato la fondatezza dell’appello, reiterando le eccezioni ed argomentazioni svolte in primo grado, e ne ha chiesto il rigetto.

Tanto premesso, in via preliminare, deve rigettarsi l’eccezione di incompetenza per territorio del Giudice adito, avendo parte attrice fondato petitum e causa petendi del giudizio su un rapporto obbligatorio.

Nel merito, l’appello è fondato e merita accoglimento.

La normativa di riferimento nel caso di specie è quella relativa agli obblighi gravanti in capo all’amministratore di condominio di cui agli artt. 1129, 1130 e 1130 bis c.c..

Dalle norme succitate emerge che sussiste un obbligo del Condominio di consegna dei documenti richiesti dai singoli condomini soltanto con riferimento all'”attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso” che, ai sensi dell’art. 1130 comma 1 n. 9 c.c., l’amministratore ha l’obbligo di fornire al condomino che gliene faccia richiesta ed il cui mancato adempimento costituisce ai sensi dell’art. 1129 comma 12 n. 7 c.c., causa di revoca giudiziale.

Nessun analogo obbligo prevede la legge in capo all’amministratore relativamente alla documentazione contabile, nè tantomeno con riferimento ad altro tipo di documentazione.

Se, infatti, per un verso, l’amministratore ha l’obbligo di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale (art. 1130 n. 6 c.c.), del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità ( art. 1130 n. 7 c.c.), nonché di conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio ( art. 1130 n. 8 c.c.), per altro verso, la legge non prevede in capo allo stesso alcun obbligo di fornire copia della predetta documentazione a richiesta del singolo condomino. Questo perché, evidentemente, un obbligo di tal genere appesantirebbe notevolmente l’attività di amministrazione condominiale.

La legge, quindi, delinea un equilibrato rapporto tra l’obbligo di trasparenza dell’amministratore ed il correlato diritto di informazione del singolo condomino, da un lato, e l’esigenza di non appesantire con richieste strumentali la complessa attività di gestione del Condominio.

A ben vedere, quindi, le disposizioni in commento non prevedono alcun obbligo per l’amministratore di fornire la documentazione indicata ai singoli condomini, quanto piuttosto quella di renderla “disponibile” informando il condomino che ne faccia richiesta del luogo e del tempo di accesso ai fini dell’estrazione delle copie a cura e spese del richiedente (art. 1120 co. 2 c.c.).

La risposta fornita dall’amministratore condominiale, a mezzo del proprio legale, alla richiesta della sig.ra KKKKK di consegna della polizza assicurativa relativa al fabbricato è, quindi, del tutto aderente alle previsioni di legge, richiamando l’ attenzione della richiedente sulla normativa vigente in materia, la quale, come visto, non sancisce un obbligo di consegna dell’amministratore, bensì un obbligo di renderla disponibile.

Anziché interpretarla come un rifiuto, pertanto, la condomina richiedente avrebbe dovuto attenersi a quanto indicato nella risposta dell’amministratore condominiale quanto al suo diritto di visione e di estrarne copia, nei giorni e negli orari da concordare.

In riforma della sentenza impugnata, deve, conseguentemente, rigettarsi la domanda proposta da KKKKK

Deve, invece, rigettarsi la domanda riconvenzionale di parte appellante perché non provata.

Le spese di lite anche del primo grado giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

In accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza n.1160/2022, emessa dal Giudice di Pace di Firenze in data 16.5.2022,

RIGETTA la domanda di KKKKK

RIGETTA la domanda riconvenzionale di parte appellante.

CONDANNA la parte appellata a rimborsare alla parte appellante le spese di lite del giudizio di primo grado, già liquidate, nonché le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in Euro 3.397,00 per compensi ed in Euro 174,00 per esborsi, oltre i.v.a., c.p.a. e 15,00 % per spese generali.

Così deciso in Firenze il 17 novembre 2023.

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TRIBUNALE DI BERGAMO SENTENZA N. 2319/2023 DEL 31 OTTOBRE 2023

Assemblea condominiale – Luogo – Annullabilità – Art. 69 disp. att. c.c.  – Approvazione tabelle millesimali – Tabelle millesimali – Unanimità – Art. 1117 ter c.c. – Modifica destinazione d’uso – Art. 1138 c.c. – Regolamento condominiale

Non si ritiene configurabile alcuna inidoneità morale in relazione alla coincidenza del luogo della riunione con lo studio legale dell’avvocato che aveva già assunto la difesa dei convenuti per l’impugnativa di una precedente delibera.
Per sostenere la validità dell’approvazione delle tabelle ex novo a maggioranza i convenuti hanno invocato l’orientamento giurisprudenziale che, partendo dai principi sanciti da Cass. S.U. 18477/2010, distingue l’atto di approvazione (e revisione) delle tabelle millesimali che abbia funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, per il quale è ritenuta sufficiente la maggioranza qualificata ex art. 1136 co. 2 cod. civ., e l’approvazione (e revisione) della tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese o approvare la diversa convenzione di cui all’art. 1123, primo comma, c.c. che, per la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini.
Il richiamato orientamento, però, deve ritenersi superato dalla nuova formulazione dell’art. 69 disp. att. come sostituito dall’art. 23, comma 1, della L. 220/2012 che, in linea di principio, per la rettifica o la modifica dei valori espressi nella tabella, richiede sempre l’unanimità, senza alcuna distinzione circa la natura delle tabelle in relazione al fatto che esse deroghino o meno ai criteri legali.
Anzi, l’ultimo comma della disposizione, nell’estendere l’applicabilità delle norme alle tabelle c.d. di gestione, fa espressamente riferimento anche a quelle redatte in applicazione dei criteri legali.
Come sostenuto da autorevole dottrina, anche se il primo comma del novellato art. 69 dip. att. c.c. si occupa espressamente soltanto della “rettifica” o della “modifica” delle tabelle millesimali richiedendo l’unanimità, è ragionevole ritenere che, a maggior ragione, sia necessaria l’unanimità per la loro formazione per la prima volta.
Difettando tale consenso unanime, per la formazione delle medesime tabelle occorre rivolgersi al giudice.
Ne segue l’invalidità della delibera in punto di prima approvazione delle tabelle millesimali in quanto assunta a maggioranza.
Con l’approvazione del punto 2 l’assemblea ha approvato “la destinazione d’uso della corte – cortile – condominiale, incluso il passo carrabile/pedonale e il portico davanti alle scale, tutte parti comuni, affinché sia destinato ad uso esclusivamente residenziale”.
La delibera è stata dichiaratamente assunta ai sensi dell’art. 1117 ter c.c. Tuttavia, la decisione non introduce alcuna modificazione delle destinazioni d’uso delle parti comuni che restano quelle già in atto.
Essa, invece, introduce una limitazione all’utilizzo di alcune parti comuni, escludendo da esso le unità ad uso commerciale.
Siffatta esclusione, in quanto incidente sui diritti sulle cose comuni derivanti dall’attrice dall’atto di acquisto dell’unità a destinazione commerciale, non poteva essere validamente assunta dall’assemblea, neanche riconducendo la delibera all’ approvazione del regolamento condominiale stante le limitazioni operanti anche per esso (art. 1138, quarto comma, c.c.).
Ne segue l’invalidità anche di tale delibera.


SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero Omissis del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2020 promossa
da
YYYYY (Omissis) con il patrocinio dell’avv. Omissis per procura allegata all’atto di citazione
– attrice –
contro
RRRRR Omissis, ed altri
– convenuti –
Avente ad OGGETTO: impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea del condominio.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

YYYYY, quale proprietaria di un’unità commerciale facente parte del condominio nell’edificio sito in Omissis ha impugnato, citando in giudizio tutti gli altri condomini, le deliberazioni prese in sua assenza dall’assemblea condominiale in data 29/1/2020.
I condomini convenuti si sono opposti all’impugnazione sostenendo la legittimità delle deliberazioni assunte.
1. Va esclusa la ricorrenza del vizio di convocazione dedotto dall’attrice.
Infatti, non si ritiene configurabile alcuna inidoneità morale in relazione alla coincidenza del luogo della riunione con lo studio legale dell’avvocato che aveva già assunto la difesa dei convenuti per l’impugnativa di una precedente delibera.
2. I motivi di impugnazione svolti con riferimento alle singole deliberazioni approvate, invece, sono fondati.
2.1 Con l’approvazione del punto 1) all’ordine del giorno l’assemblea ha approvato a maggioranza le tabelle millesimali di proprietà.
L’attrice contesta l’approvazione a maggioranza in quanto intervenuta a modifica delle precedenti tabelle approvate con la delibera del 17/7/2019 in assenza dei presupposti previsti dall’art. 69, n. 1) e 2) disp. att. c.c. per la deroga alla regola generale dell’unanimità.
I convenuti contestano l’inquadramento della delibera nella modifica di precedenti tabelle, prospettando una rinnovata approvazione ex novo di esse, in sostituzione dell’approvazione fatta, sempre per la priva volta, con la delibera del 17/7/2019 che la stessa attrice ha impugnato.
Tale impostazione è stata condivisa nelle pronunce già intervenute sulla precedente impugnazione delle tabelle, rispetto alla quale la materia del contendere è stata dichiarata cessata proprio in base alla ritenuta natura sostitutiva della rinnovata approvazione.
Tuttavia, l’inquadramento della delibera nella rinnovata approvazione ex novo delle tabelle millesimali di proprietà non esclude la necessità dell’approvazione all’unanimità.
Per sostenere la validità dell’approvazione delle tabelle ex novo a maggioranza i convenuti hanno invocato l’orientamento giurisprudenziale che, partendo dai principi sanciti da Cass. S.U. 18477/2010, distingue l’atto di approvazione (e revisione) delle tabelle millesimali che abbia funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, per il quale è ritenuta sufficiente la maggioranza qualificata ex art. 1136 co. 2 cod. civ., e l’approvazione (e revisione) della tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese o approvare la diversa convenzione di cui all’art. 1123, primo comma, c.c. che, per la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini.
Il richiamato orientamento, però, deve ritenersi superato dalla nuova formulazione dell’art. 69 disp. att. come sostituito dall’art. 23, comma 1, della L. 220/2012 che, in linea di principio, per la rettifica o la modifica dei valori espressi nella tabella, richiede sempre l’unanimità, senza alcuna distinzione circa la natura delle tabelle in relazione al fatto che esse deroghino o meno ai criteri legali.
Anzi, l’ultimo comma della disposizione, nell’estendere l’applicabilità delle norme alle tabelle c.d. di gestione, fa espressamente riferimento anche a quelle redatte in applicazione dei criteri legali.
Come sostenuto da autorevole dottrina, anche se il primo comma del novellato art. 69 dip. att. c.c. si occupa espressamente soltanto della “rettifica” o della “modifica” delle tabelle millesimali richiedendo l’unanimità, è ragionevole ritenere che, a maggior ragione, sia necessaria l’unanimità per la loro formazione per la prima volta.
Difettando tale consenso unanime, per la formazione delle medesime tabelle occorre rivolgersi al giudice.
Ne segue l’invalidità della delibera in punto di prima approvazione delle tabelle millesimali in quanto assunta a maggioranza.
2.2 Con l’approvazione del punto 2 l’assemblea ha approvato “la destinazione d’uso della corte – cortile – condominiale, incluso il passo carrabile/pedonale e il portico davanti alle scale, tutte parti comuni, affinché sia destinato ad uso esclusivamente residenziale”.
La delibera è stata dichiaratamente assunta ai sensi dell’art. 1117 ter c.c. Tuttavia, la decisione non introduce alcuna modificazione delle destinazioni d’uso delle parti comuni che restano quelle già in atto.
Essa, invece, introduce una limitazione all’utilizzo di alcune parti comuni, escludendo da esso le unità ad uso commerciale.
Siffatta esclusione, in quanto incidente sui diritti sulle cose comuni derivanti dall’attrice dall’atto di acquisto dell’unità a destinazione commerciale, non poteva essere validamente assunta dall’assemblea, neanche riconducendo la delibera all’ approvazione del regolamento condominiale stante le limitazioni operanti anche per esso (art. 1138, quarto comma, c.c.).
Ne segue l’invalidità anche di tale delibera.

3. Le spese seguono la soccombenza.
Per la determinazione del compenso, posto il valore indeterminabile della causa, appaiono adeguati, in rapporto all’oggetto e alla complessità della controversia, i parametri medi previsti dal D.M. 55/2014 per lo scaglione da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00.
Pertanto, va liquidato un compenso di Euro 7.616,00, risultante dalla somma di Euro 1.701,00 per la fase di studio, Euro 1.204,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 1.806,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 2.905, 00 per la fase decisionale.
Poiché i convenuti non hanno partecipato al procedimento di mediazione e non hanno addotto alcuna valida giustificazione al riguardo, ricorrono i presupposti per adottare, in applicazione della disciplina all’epoca vigente (dell’art. 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28/2010 introdotto dal D.L. 69/2013, convertito con modificazioni dall’art. 84, comma 1, della L. n. 98/2013), una pronuncia di condanna degli stessi (che si sono ritualmente costituiti) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio (Euro 518,00).

P.Q.M.

il Tribunale di Bergamo, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda o eccezione respinta o assorbita
– annulla le deliberazioni prese dall’ assemblea del condominio nell’edificio sito in Omissis nella riunione del 29/1/2020;
– condanna RRRRR ed altri, in solido, al rimborso in favore di YYYYY delle spese processuali che liquida in Euro 608,90 per spese e in Euro 7.616,00 per compenso professionale oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso e oltre IVA, se dovuta, e CPA;
– condanna RRRRR, ed altri, in solido, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di Euro 518,00.

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CORTE D’APPELLO DI ROMA SENTENZA N. 7181/2023 DELL’8 NOVEMBRE 2023

Criteri di ripartizione delle spese – Balconi – Stangoni – Art. 1123 c.c.

Come da orientamento pressoché prevalente della giurisprudenza, tra le altre Cassazione , sentenza n. 6624/2012 : ” In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” . Risultando pacifica la natura e la funzione di balconi aggettanti degli interni n.9 ed 11, la ripartizione delle spese dei lavori di tali parti ai sensi dell’art.1123 c.c. I comma risulta viziata con conseguente nullità del relativo piano di riparto.

Gli stangoni oggetto del capitolato sono stati ritenuti dalla Cassazione, sentenza n.21199 del 31.10.2005, come elementi strutturali interni, costituenti la base di calpestio dei balconi, e, dunque, parti integranti degli appartamenti corrispondenti, per cui non avrebbero potuto essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e, dunque, di relativa ripartizione) da parte dell’assemblea del condominio; questa avrebbe potuto, invece, legittimamente deliberare in tema di sistemazione dei prospetti e degli eventuali elementi decorativi esterni di tali parti aggettanti del fabbricato, in quanto assolventi all’estetica complessiva dell’edificio.


SENTENZA

nella causa civile di II grado

tra

YYYYY (c.f. Omissis), residente alla Omissis ed ivi elettivamente domiciliato al Foro Omissis, presso l’ Avv. Omissis, che lo rappresenta e difende per procura in calce all’atto di appello;

appellante

e

Condominio XXXXX, (c.f. Omissis), in persona dell’Amm.re in carica Omissis, elett.te dom.to in Omissis presso lo studio degli Avv.ti V Omissis che lo rappresentano e difendono per mandato in calce alla comparsa di costituzione, p.e.c. Omissis

appellato

CONCLUSIONI: per parte appellante quelle formulate nell’atto d’appello e per parte appellata quelle formulate in comparsa di costituzione, nonché per entrambe quelle rese telematicamente all’udienza del 27.09.2023.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 22496/2017 il Tribunale di Roma nel procedimento RG. 30863/2013 avente ad oggetto impugnativa delibera condominiale per lavori straordinari è stato emesso il seguente dispositivo: “… Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da YYYYY, con atto di citazione ritualmente notificato in data 4.5.2013. contro il Condominio nell’edificio in Omissis convenuto costituito, così decide: a) Rigetta le domande proposte dall’attore; b) Condanna l’attore a rimborsare al Condominio convenuto le spese del presente giudizio, che liquida, d’ufficio in complessivi Euro 4.000.00 per competenze professionali, oltre oneri fiscali e previdenziali di legge. Cosi deciso in Roma, il 29 novembre 2017”.

La vertenza di cui sopra è stata così narrata dal Tribunale giudicante: ” Con atto di citazione ritualmente notificato il giorno 4.5.2013, YYYYY, condomino dell’edificio in Omissis (in quanto proprietario esclusivo dell’unità abitativa all’interno 6), ha impugnato (per sentirne dichiarare “l’inesistenza, illegittimità, inefficacia, nullità e/o annullabilità” la deliberazione dell’assemblea condominiale, costituita, in seconda convocazione, in data 12.3.2013, con la quale (in assenza dell’esponente e con il voto favorevole di 795,63 millesimi su 894.15 presenti) è stata approvata l’esecuzione delle opere di manutenzione e ripristino del fabbricato in appalto all’impresa Società Omissis per un corrispettivo di complessivi Euro 36.837.00 (più IVA), ed è stato stabilito che il suddetto importo (oltre la parcella dell’arch. Omissis, già approvata dalla precedente assemblea del 29.11.2012) sarebbe stato suddiviso in una prima rata del 30%. da pagarsi con la scadenza del 1.4.2013. e (per il restante 70%) in successive cinque rate mensili eguali, con decorrenza dal 1.5.2013, lamentando che l’assemblea, anzitutto, non aveva approvato anche il piano di riparto (successivamente redatto dall’amministratore) e aveva disposto la riscossione delle quote per lavori, per la quasi totalità, attinenti a beni individuali. Il Condominio convenuto, ritualmente costituitosi con comparsa di risposta depositata il 2.10.2013 (udienza di prima comparizione fissata per il successivo 23.10.2013), ha resistito alle avverse impugnazioni, chiedendone l’integrale rigetto. La causa, istruita soltanto con le rispettive produzioni documentali, è stata rinviata, dopo lo scambio di memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.. per la precisazione delle conclusioni all’udienza in epigrafe indicata e viene, quindi, in decisione dopo la scadenza degli assegnati termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. ” Seguiva sentenza gravata.

Con atto di citazione, notificato l’11.01.2018, YYYYY ha proposto appello contestando la sentenza di I grado sotto vari profili. Si è costituito l’appellato condominio, come in atti, chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese.

Sulle conclusioni come innanzi precisate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ., con i termini abbreviati di gg. 20 per il deposito delle comparse conclusionali ed ulteriori 20 gg. per le memorie di replica.

L’appello è articolato nei seguenti motivi:

1- VIOLAZIONE degli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c. in ordine all’omessa Delibera dell’Assemblea Condominiale sul riparto del Preventivo Lavori di Manutenzione in Violazione degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c. non applicabile al caso di specie nei criteri di ripartizione delle spese condominiali.

2.- VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C. ED ART.2697 E SS. C.C. con conseguente erronea interpretazione delle risultanze istruttorie ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia che hanno indotto il Tribunale ad applicare un criterio di ripartizione illegittimo, errata pronuncia relativa alla natura dei lavori deliberati ed alla ripartizione delle spese poste a carico dei condomini , con violazione degli artt. 1123, 1124, 1125 E 1126 C.C., in quanto si trattava di spese relative a beni individuali, la cui quota doveva essere attribuita secondo criteri diversi da quello adottato.

I motivi esposti sono pressoché identici; infatti per entrambi l’appellante deduce che la sentenza deve essere riformata avendo il Tribunale trascurato di verificare la circostanza che il riparto dei lavori preventivati non era stato approvato esplicitamente e che, qualora fosse da ritenersi implicitamente approvato, sarebbe stato viziato per essere espressione di un erroneo criterio di ripartizione.

Infatti una ripartizione operata ai sensi dell’art. 1123 comma 1 c.c., concretizzandosi in una mera operazione matematica, potrebbe ritenersi legittima solo qualora fosse applicabile al caso concreto; nella fattispecie, poiché la maggior parte dei lavori eseguiti interessavano beni di proprietà esclusiva, la ripartizione andava effettuata secondo il disposto di cui all’art. 1123, comma II e comma III, c.c., nonché di cui all’art. 1126 c.c.. L’appellante precisa che la quasi totalità dei lavori come da capitolato versato in atti attiene a beni individuali terrazzi, balconi aggettanti; frontalini dei balconi, piantoni, stangoni, ferri del cemento armato, posa in opera guaina lungo il perimetro esterno del piano di calpestio del terrazzo, posa in opera di nuove piastrelle limitrofe allo stangone o, comunque, a beni che risultano destinati a servire i condomini in maniera diversa, con conseguente nullità della delibera del 12.3.2013 per avere, illegittimamente, statuito su spese relative a proprietà di pertinenza esclusiva.

Conclude per l’errata l’applicazione dell’art. 1123, I comma, c.c., con conseguente nullità del piano di riparto e della delibera del 12.3.2013.

La Corte così ragiona.

I motivi sono connessi e possono essere trattati congiuntamente.

Nella fattispecie in esame l’approvazione della spesa da parte dell’assemblea è avvenuta sul costo complessivo dei lavori sulla base del preventivo presentato dall’impresa (lavori di manutenzione straordinaria) senza approvazione di un piano di riparto; l’appellante ha impugnato la delibera deducendone l’annullabilità o la nullità , in mancanza della predisposizione e approvazione di un piano di riparto che indichi chiaramente la quota di partecipazione di ciascun condomino alla spesa deliberata; deduceva altresì la nullità del riparto effettuato autonomamente dall’amministratore ai sensi dell’art.1128 cc. I comma pur trattandosi di lavori su beni di proprietà esclusiva.

Il Tribunale accertava che non vi fosse nella specie alcuna deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali né nel regolamento contrattuale di condominio, né in una delibera assembleare approvata all’unanimità.

Il Collegio ritiene di riportarsi all’orientamento della Cassazione, Ordinanza del 24.09.2020 che ha così statuito: “… l’approvazione dello stato di riparto è condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione, ma la relativa delibera ha valore puramente dichiarativo, che serve ad esprimere in termini numerici un rapporto di valore già preesistente secondo i criteri stabiliti dalla legge o dalla diversa convenzione vigente nel condominio. L’obbligo del condomino di contribuire pro quota alla spesa nasce nel momento in cui l’assemblea delibera l’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria, delibera che ha valore costitutivo dell’obbligazione di contribuire alle spese”. Confermata la legittimità della delibera va quindi esaminato il criterio di riparto applicato rispetto ai lavori da effettuare come da capitolato d’appalto approvato nella precedente delibera del 12.02.2013 i cui preventivi sono stati portati all’esame dell’assemblea del 12.03.2013, oggetto del presente giudizio, verificando se i lavori da eseguirsi erano sulle parti comuni o riguardavano anche parti di proprietà esclusiva.

Dal contratto di appalto si legge al capo B “Restauro Parziale terrazzo”: i lavori appaltati comprendevano lavori di ripristino funzionale delle terrazze aggettanti interno 9 (facciata anteriore) ed interno 11 (facciata posteriore) quali frontalini dei balconi, piantoni, stangoni, ferri del cemento armato, posa in opera guaina lungo il perimetro esterno del piano di calpestio del terrazzo, posa in opera di nuove piastrelle limitrofe allo stangone o, comunque, a beni che risultano destinati a servire i condomini in maniera diversa.

Come da orientamento pressoché prevalente della giurisprudenza, tra le altre Cassazione , sentenza n. 6624/2012 : ” In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” . Risultando pacifica la natura e la funzione di balconi aggettanti degli interni n.9 ed 11, la ripartizione delle spese dei lavori di tali parti ai sensi dell’art.1123 c.c. I comma risulta viziata con conseguente nullità del relativo piano di riparto.

Gli stangoni oggetto del capitolato sono stati ritenuti dalla Cassazione, sentenza n.21199 del 31.10.2005, come elementi strutturali interni, costituenti la base di calpestio dei balconi, e, dunque, parti integranti degli appartamenti corrispondenti, per cui non avrebbero potuto essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e, dunque, di relativa ripartizione) da parte dell’assemblea del condominio; questa avrebbe potuto, invece, legittimamente deliberare in tema di sistemazione dei prospetti e degli eventuali elementi decorativi esterni di tali parti aggettanti del fabbricato, in quanto assolventi all’estetica complessiva dell’edificio.

L’appello è fondato e deve essere accolto con riforma della sentenza gravata e dichiarazione di nullità del Condominio XXXXX, come in atti, approvati con la delibera del 12.03.2013. I rimanenti motivi vanno assorbiti.

In ordine alle spese di lite osserva il Collegio che in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata occorre provvedere alla diversa attribuzione delle spese di lite in quanto il relativo onere delle spese processuali deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite e non in base al singolo grado; pertanto, atteso l’accoglimento dell’appello formulato dall’Ing. YYYYY con la conseguente riforma della sentenza di primo grado, condanna il Condominio, come in atti, soccombente, al pagamento a favore dell’appellante delle spese di I grado liquidate, visto il valore della lite in Euro 36.000,00, la non particolare complessità delle questioni giuridiche trattate, gli scritti difensivi, atteso il DM. 55/ 2014 vigente all’epoca, la non contestazione degli importi liquidati dal Tribunale, in Euro 4.000,00 oltre Euro 600,00 per spese (comprensive contributo unificato) nonché spese generali IVA, se dovuta, e CPA.

Le spese di secondo grado, secondo gli indicati parametri, atteso il DM. 8 marzo 2018, vanno determinate in Euro 4.300,00 per compensi, oltre Euro 247,00 per spese (comprensive c.u.), oltre spese generali, C.P.A ed IVA, se dovuta, con la condanna al pagamento del Condominio, come in atti, a favore della parte appellante come in atti.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da YYYYY nei confronti del Condominio XXXXX, come in atti, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 22496/2017 così provvede:

1) In accoglimento dell’appello ed in riforma della gravata sentenza dichiara la nullità del riparto, in violazione dell’art. 1123 c.c., I e II comma, per i lavori di manutenzione straordinaria del Condominio XXXXX, come in atti, approvati con la delibera del 12.03.2013,

2) condanna la parte appellata, Condominio XXXXX, come in atti, al pagamento, in favore della parte appellante, YYYYY, delle spese del doppio grado del presente grado del giudizio, che liquida per il primo grado in Euro 4.000,00, oltre Euro 600,00 per spese ed il 15% per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge; per il presente grado in Euro in Euro 4.300,00 per compensi, oltre Euro 247,00 per spese (comprensive c.u.), oltre spese generali, C.P.A. ed IVA, se dovuta.

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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 14299/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Art. 67 disp. att. c.c. – Art. 66 disp. Att. c.c. – Ordine del giorno – Art. 72 disp. att. c.c. – Convocazione a mezzo mail – Delibera autorizzativa convocazione a mezzo mail – Nullità

L’art. 67 disp att. c.c. prevede che “ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”. In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ritiene che “i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato debbono ritenersi disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto” (Cass. n. 2218/2013). L’operato del delegato è solo inefficace nei confronti del condomino mandante fino alla sua ratifica. Tale inefficacia è rilevabile solo su eccezione del condomino delegante, atteso che il negozio perfezionato è inefficace nei confronti del delegante sino ad eventuale ratifica. Ne discende che gli attori non sono legittimati a far valere profili di invalidità della delibera assembleare de qua.

L’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba contenere specifica indicazione dell’ordine del giorno allo scopo di consentire una partecipazione informata e consapevole all’assemblea condominiale. Tuttavia, la norma non deve prestarsi ad una interpretazione eccessivamente rigorosa. Infatti, non è consentito all’assemblea di deliberare su questioni non inserite nell’ordine del giorno ovvero inserite su ‘argomento’ apparentemente collegato ma con differenti finalità rispetto a quelle raggiunte con la successiva delibera, tale da non consentire ai condomini, in violazione dell’art. 1136 c.c., di valutare se partecipare ed in quale guisa all’assemblea (Cass. n. 24456/2009).

In particolare, occorre che l’o.d.g. indichi specificamente, seppur in modo non analitico e minuzioso, gli argomenti da trattare, onde poter valutare l’atteggiamento da tenere sia in ordine all’opportunità o meno di partecipare e sia in ordine alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti. E l’indicazione chiara e specifica degli argomenti è altresì necessaria al fine di verificare se il successivo deliberato abbia esorbitato o meno dal tema sottoposto ai partecipanti, in modo tale da poter verificare se la volontà dei condomini si sia manifestata in maniera corretta e non diversa rispetto al tema proposto per la trattazione in sede di convocazione.

Merita, invece, accoglimento la doglianza relativa all’invalidità della delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto n. 2 o.d.g.) per contrarietà al regolamento condominiale, il cui art. 26 prevede che “l’assemblea condominiale è convocata a cura dell’amministratore mediante avviso individuale da inviarsi per lettera raccomandata, anche a mano”.

Orbene, l’art. 1138 c.c. disciplina il regolamento di condominio, ossia il complesso delle regole fissate dai condomini per la gestione delle parti comuni dell’edificio. Quanto alla natura, il regolamento può essere: contrattuale ovvero assembleare. Quest’ultimo ricorre quando è adottato dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. e non può incidere sui diritti dei singoli condomini, sulle parti comuni o sulle parti di proprietà esclusiva.

Il primo tipo ricorre, invece, quando è predisposto dall’originario costruttore, contenuto nei singoli atti di acquisto e ciascun condomino vi aderisce al momento dell’acquisto ovvero adottato da tutti i condomini in assemblea all’unanimità. Esso può contenere clausole (opponibili ai terzi mediante trascrizione nei pubblici registri immobiliari) limitative della proprietà, sia dei beni esclusivi che di quelli comuni, ovvero clausole che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori poteri rispetto ad altri, con il limite delle disposizioni codi cisti che inderogabili ed indicate dall’art. 1138 c.c. e dell’art. 72 disp. att. c.c.

Al riguardo, l’art. 72 disp. att. c.c. prevede l’inderogabilità, da parte del regolamento di condominio, dell’art. 66 disp. att. c.c., il quale, al terzo comma, indica in via tassativa le modalità di invio dell’avviso di convocazione (posta raccomandata, PEC, fax o consegna a mano), non ricomprendendo tra le stesse la convocazione via e-mail.


SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. Omissis del Ruolo Generale degli Affari Civili,

TRA

YYYYY elettivamente domiciliati in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis che li rappresenta e difende giusta procura in atti

ATTORI

contro

Condominio XXXXX, in persona dell’Amministratore p.t., elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio degli avv.ti Omissis che lo rappresentano e difendono giusta procura in atti.

CONVENUTO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori in epigrafe convenivano innanzi al Tribunale di Roma il Condominio XXXXX chiedendo di “a) accertare e dichiarare la nullità e/o annullare le deliberazioni dell’assemblea del Condominio XXXXX del 13.12.2020, previa sospensione (cautelare) della sua esecuzione ex art. 1137 cod. civ.; b) condannare il convenuto al pagamento, in favore degli attori, di spese e compensi del procedimento di mediazione obbligatoria, oltre alle spese e compensi del presente giudizio”.

Gli attori esponevano: di essere proprietari di unità immobiliari site nel Condominio XXXXX; l’irregolarità e/o l’inesistenza delle deleghe per omessa indicazione nominativa dei delegati e, quindi, la violazione dell’art. 67 disp. att. c.c. e degli artt. 27 e 28 del Regolamento di condominio; la carenza del quorum deliberativo a seguito dell’allontanamento delle condomine Omissis e Omissis durante l’assemblea; l’invalidità della delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria per contrarietà a norme imperative ed al Regolamento; l’incompletezza e genericità dell’o.d.g.; l’invalidità della delibera sull’affidamento al Comitato di Condominio della scelta di un tecnico per l’accertamento della conformità della portineria e sulla nomina dello stesso Comitato.

Si costituiva il Condominio eccependo l’improcedibilità della domanda per mancata partecipazione personale delle parti istanti alla mediazione obbligatoria; chiedeva, in via preliminare, il rigetto della richiesta di sospensione dell’efficacia della Delib. del 13 dicembre 2020 e, nel merito, il rigetto della domanda.

Con ordinanza del 17.1.2022, il Giudice riteneva assolta la condizione di procedibilità “in quanto è stato comprovato il rilascio della procura speciale da parte dell’attrice per la partecipazione alla Mediazione”; rigettava l’istanza di sospensione della delibera “in quanto non supportata da idonea allegazione di un pregiudizio imminente ed irreparabile derivante dalla loro efficacia esecutiva, non potendo tale pericolo ravvisarsi in pregiudizi patrimoniali, stante la naturale solvibilità dell’ente gesto rio” ed assegnava alle parti termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.

All’udienza del 15.6.2023, questo Giudice tratteneva la causa in decisione assegnando alle parti termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

La domanda merita accoglimento nei limiti indicati.

Con il primo motivo di impugnazione, gli attori lamentano l’irregolarità e/o inesistenza delle deleghe per mancata indicazione dei nominativi dei delegati.

La doglianza non coglie nel segno.

L’art. 67 disp att. c.c. prevede che “ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”. In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ritiene che “i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato debbono ritenersi disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto” (Cass. n. 2218/2013). L’operato del delegato è solo inefficace nei confronti del condomino mandante fino alla sua ratifica. Tale inefficacia è rilevabile solo su eccezione del condomino delegante, atteso che il negozio perfezionato è inefficace nei confronti del delegante sino ad eventuale ratifica. Ne discende che gli attori non sono legittimati a far valere profili di invalidità della delibera assembleare de qua.

Con il secondo motivo gli attori lamentano la carenza del quorum deliberativo a seguito dell’allontanamento delle condomine  Omissis e Omissis durante l’assemblea in violazione dell’art. 1136, terzo comma, c.c.

Dal verbale di assemblea versato in atti emerge che le condomine si sono effettivamente allontanate alle ore 11:30. Tuttavia, occorre evidenziare che ciò è avvenuto due ore dopo l’apertura del verbale (indicato alle ore 9:30), di tal che è “più probabile che non” che le stesse abbiano partecipato alla votazione dei punti nn. 1, 4, 2, 3 dell’o.d.g (cosi riportati in ordine cronologico), gli unici rispetto ai quali l’assemblea ha deliberato, mentre sarebbe stato comunque ininfluente l’allontanamento delle con domine rispetto alla votazione dei punti nn. 5, 6, 7, 8 dell’o.d.g., in relazione ai quali la compagine condominiale si è limitata a rinviare la decisione ad una assemblea successiva.

Incombeva poi sugli attori provare che al momento esatto dell’allontanamento fosse in corso una votazione dirimente ai fini della odierna richiesta di allontanamento.

In ogni caso, il terzo periodo del terzo comma dell’art. 1136 c.c. dispone che “la deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”.

Nel caso di specie, i punti dell’o.d.g. sono stati approvati dall’unanimità dei presenti (56 condomini su un totale di 163, per complessivi 3578 su 9954 decimillesimi). Orbene, anche escludendo i voti dei condomini allontanatisi alle ore 11:30 (ossia Omissis per 55,00 decimillesimi e Omissis per 48,00 diecimillesimi), l’assemblea ha votato i punti dell’O.d.G. con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti rappresentanti almeno un terzo del valore dell’edificio (ovvero con il voto favorevole di 3475 decimillesimi su un totale di 9954 diecimillesimi, che rappresentano più di 1/3 del valore complessivo dello stabile).

Pertanto, anche tale doglianza deve essere respinta.

Con il quarto motivo gli attori lamentano l’incompletezza e genericità dell’o.d.g. Neppure tale doglianza appare sostenibile.

L’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba contenere specifica indicazione dell’ordine del giorno allo scopo di consentire una partecipazione informata e consapevole all’assemblea condominiale. Tuttavia, la norma non deve prestarsi ad una interpretazione eccessivamente rigorosa. Infatti, non è consentito all’assemblea di deliberare su questioni non inserite nell’ordine del giorno ovvero inserite su ‘argomento’ apparentemente collegato ma con differenti finalità rispetto a quelle raggiunte con la successiva delibera, tale da non consentire ai condomini, in violazione dell’art. 1136 c.c., di valutare se partecipare ed in quale guisa all’assemblea (Cass. n. 24456/2009).

In particolare, occorre che l’o.d.g. indichi specificamente, seppur in modo non analitico e minuzioso, gli argomenti da trattare, onde poter valutare l’atteggiamento da tenere sia in ordine all’opportunità o meno di partecipare e sia in ordine alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti. E l’indicazione chiara e specifica degli argomenti è altresì necessaria al fine di verificare se il successivo deliberato abbia esorbitato o meno dal tema sottoposto ai partecipanti, in modo tale da poter verificare se la volontà dei condomini si sia manifestata in maniera corretta e non diversa rispetto al tema proposto per la trattazione in sede di convocazione.

Nel caso di specie, non si configura alcuna violazione della norma citata in quanto l’o.d.g. allegato alla convocazione versato in atti (doc. 1 citazione) corrisponde ai punti deliberati durante l’assemblea del 13.12.2020, sì da consentire a ciascun condomino di comprendere e valutare esattamente il tenore e l’importanza degli argomenti trattati.

Con il quinto motivo gli attori lamentano l’invalidità della delibera sull’affidamento al Comitato di Condominio della scelta di un tecnico per l’accertamento della conformità della portineria e sulla nomina dello stesso Comitato.

Il principio generale è che il giudice non possa entrare nel merito delle deliberazioni impugnate essendo il suo intervento limitato alle ipotesi di violazione di legge e del regolamento condominiale (v. art. 1137, comma 2, c.c.) si che non è ammesso alcun riesame del merito in particolare sull’opportunità della decisione e sui motivi che la hanno determinata. Nel corso del tempo si è però formato il principio giurisprudenziale, essenzialmente volto alla tutela della minoranza da eventuali abusi della maggioranza, secondo il quale l’esame del merito della delibera è consentito al fine di accertare se la delibera stessa sia viziata sotto il profilo dell’abuso del diritto o dell’eccesso di potere. In particolare, si è affermato che un tale vizio sia configurabile solo nel caso di decisione viziata da eccesso di potere, cioè per un grave pregiudizio per la cosa comune (art. 1109, comma 1, c.c.) ovvero se si accerti un abuso del diritto, ravvisabile quando la causa della deliberazione sia deviata dalla funzione tipica.

Orbene, nel caso in esame, dalle allegazioni di parte e dalla documentazione versata non emerge che il deliberato in esame sia stato il frutto di una volontà assembleare viziata. Infatti, l’assemblea ha affidato al Comitato di Condominio il compito di scegliere un tecnico per la verifica della conformità della portineria in via residuale, ossia solo quando il preventivo presentato dal tecnico risulti inferiore ad Euro 2.000,00, riservandosi il potere di nomina nella ben più gravosa ipotesi in cui tale compenso risulti di ammontare superiore. Non può, dunque, affermarsi che la delibera de qua si ponga in contrasto con le finalità consentite dalla legge (v. art. 1135 c.c. sulle attribuzioni dell’assemblea dei condomini) o dal regolamento condominiale (v. art. 32 dal quale si evince che i poteri del Comitato di Condominio coincidono con quelli ad esso attribuiti dall’assemblea.

Merita, invece, accoglimento la doglianza relativa all’invalidità della delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto n. 2 o.d.g.) per contrarietà al regolamento condominiale, il cui art. 26 prevede che “l’assemblea condominiale è convocata a cura dell’amministratore mediante avviso individuale da inviarsi per lettera raccomandata, anche a mano”.

Orbene, l’art. 1138 c.c. disciplina il regolamento di condominio, ossia il complesso delle regole fissate dai condomini per la gestione delle parti comuni dell’edificio. Quanto alla natura, il regolamento può essere: contrattuale ovvero assembleare. Quest’ultimo ricorre quando è adottato dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. e non può incidere sui diritti dei singoli condomini, sulle parti comuni o sulle parti di proprietà esclusiva.

Il primo tipo ricorre, invece, quando è predisposto dall’originario costruttore, contenuto nei singoli atti di acquisto e ciascun condomino vi aderisce al momento dell’acquisto ovvero adottato da tutti i condomini in assemblea all’unanimità. Esso può contenere clausole (opponibili ai terzi mediante trascrizione nei pubblici registri immobiliari) limitative della proprietà, sia dei beni esclusivi che di quelli comuni, ovvero clausole che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori poteri rispetto ad altri, con il limite delle disposizioni codi cisti che inderogabili ed indicate dall’art. 1138 c.c. e dell’art. 72 disp. att. c.c.

Al riguardo, l’art. 72 disp. att. c.c. prevede l’inderogabilità, da parte del regolamento di condominio, dell’art. 66 disp. att. c.c., il quale, al terzo comma, indica in via tassativa le modalità di invio dell’avviso di convocazione (posta raccomandata, PEC, fax o consegna a mano), non ricomprendendo tra le stesse la convocazione via e-mail.

Nel caso di specie, la delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto 2 o.d.g.) risulta non solo essere contraria a norma dichiarata espressamente in derogabile (ossia l’art. 66 disp. att. c.c.) ma anche allo stesso regolamento di condominio (la cui natura contrattuale è stata riconosciuta dallo stesso convenuto), il quale, per le ragioni sopra esposte, non potrebbe essere modificato dai condomini, neppure in via convenzionale, con il risultato di derogare a tale norma di legge.

Peraltro, anche volendo ammettere che un regolamento di condominio possa derogare ad una norma imperativa, tale modifica non potrebbe avvenire in assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 3, c.c. (come avvenuto nella specie) di guisa che tale delibera deve ritenersi viziata.

In conclusione, deve essere dichiarata la nullità relativa del punto n. 2 all’o.d.g. della Delib. del 13 dicembre 2020 nella parte in cui dispone “relativamente alla convocazione via e-mail l’assemblea delibera all’unanimità di renderla modalità ufficiale ed efficace”.

Stante la sostanziale validità della delibera opposta sussistono equi motivi per la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa:

– dichiara la nullità del punto n. 2 all’o.d.g. della Delib. del 13 dicembre 2020 adottata dal Condominio XXXXX nella parte in cui dispone “relativamente alla convocazione via e-mail l’assemblea delibera all’unanimità di renderla modalità ufficiale ed efficace”;

– rigetta per il resto la domanda;

– compensa le spese di lite.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 27836/2023 DEL 3 OTTOBRE 2023

Impugnazione delibera assembleare – Art. 1137 c.c. – sindacato dell’autorità giudiziaria

Si deve fare applicazione del principio secondo il quale il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., è limitato a un riscontro di legittimità delle decisione, avuto riguardo all’osservanza delle norme di legge o del regolamento ovvero all’eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l’assemblea medesima dispone, e non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui l’assemblea dispone, o alla valutazione della convenienza economica di quanto deliberato (Cass. Sez. 2 13-5-2022 n. 15320 Rv. 664798-01, Cass. Sez.6-2 25-2-2020 n. 5061 Rv. 657265-01, Cass. Sez. 2 20-6-2012 n. 10199 Rv. 622882-01). Inoltre, è acquisito il principio secondo il quale le delibere assembleari sono nulle, tra l’altro, nel caso in cui siano contrarie a norme imperative e siano assunte in materie che esulano dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 n. 2 e 3 cod. civ. e sono annullabili nel caso in cui, pur assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, abbiano a oggetto la ripartizione tra i condomini delle spese in violazione dei criteri previsti dalla legge o dal regolamento (Cass. Sez. U 14-4-2021 n. 9839 Rv. 661084-03, Cass. Sez. U 7-3-2005 n. 4806 Rv. 579439-01). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, come nella fattispecie, alla scelta dell’assemblea di non dare corso a un contratto già concluso, in quanto non si tratta di scelte assunte dall’assemblea esorbitando dall’ambito dei suoi poteri; l’eventuale erronea valutazione giuridica che abbia indotto l’assemblea ad assumere anche la decisione di promuovere la lite non incide in sé sulla legittimità della delibera, come confermato dal fatto che l’art. 1132 cod. civ. tutela il condomino dissenziente dandogli la possibilità di separare la propria responsabilità da quella del condominio nella forma ivi prevista.


ORDINANZA

sul ricorso n. 12974/2018 R.G. proposto da:

YYYYY, c.f. Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliata in Omissis presso di lei, nel suo studio in Omissis

ricorrente

contro

Condominio XXXXX, c.f. Omissis, in persona dell’amministratore pro tempore Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliata in Omissis presso di lei, nel suo studio in Omissis

controricorrente

avverso la sentenza n. 1888/2017 della Corte d’appello di Roma pubblicata il 22-3-2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 8-9-2023 dal consigliere Omissis

OGGETTO:

condominio –

impugnazione di delibera assembleare

FATTI DI CAUSA

1.YYYYY, proprietaria di unità nel Condominio XXXXX, impugnò avanti il Tribunale di Roma la delibera assembleare di data 11-10-2007, deducendone l’illegittimità in quanto assunta in violazione dell’art. 1453 cod. civ.. Dichiarò che il Condominio, con precedente delibera del 31-5-2007, da lei impugnata in separato giudizio, aveva deliberato di risolvere il contratto di appalto stipulato il 18-5-2006 con la ditta Omissis, avente a oggetto l’esecuzione di lavori nello stabile condominiale, e con la delibera 11-10-2007 aveva deciso di dare nuovo incarico per l’esecuzione delle opere a Omissis per il prezzo di Euro 45.000,00; sostenne che tale delibera era invalida in quanto il Condominio non aveva il potere di risolvere il primo contratto di appalto e stipularne uno nuovo con diverso soggetto.

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 12540 depositata il I-6-2010 rigettò l’impugnazione alla delibera.

2.A seguito di appello di YYYYY, la Corte d’appello di Roma ha pronunciato la sentenza n. 1888 pubblicata il 22-3-2017.

La sentenza ha dichiarato fondata la prima doglianza dell’appellante, con la quale era stata dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per avere il primo giudice rigettato la domanda sulla base del presupposto che il Tribunale di Roma con la sentenza n. 8280/2010 avesse definitivamente rigettato l’impugnativa avverso la prima delibera. Ha rilevato che la sentenza n. 8280 era stata impugnata e non era passata in giudicato e quindi il primo giudice non avrebbe potuto ritenere che l’impugnativa avverso la prima delibera fosse stata definitivamente rigettata.

La sentenza ha altresì dichiarato fondato il secondo motivo di appello, con il quale l’appellante si lamentava del fatto che il primo giudice avesse ritenuto che il contratto con la ditta Omissis fosse stato risolto con la delibera del 31-7-2007, perché la sentenza n. 8280 aveva escluso che detta delibera avesse risolto il contratto di appalto. Ha osservato che la sentenza n. 8280 aveva rigettato l’impugnazione sul presupposto che l’assemblea in data 31-7-2007 non avesse assunto alcuna decisione sulla risoluzione del contratto di appalto con Omissis, ma si fosse semplicemente limitata a fare propria la linea esposta da un legale per la risoluzione del contratto; quindi ha dichiarato che il primo giudice aveva male interpretato la sentenza n. 8280 che aveva posto a fondamento della propria decisione, in quanto il Tribunale di Roma aveva rigettato la prima impugnazione proprio perché aveva ritenuto che la deliberazione del 31 maggio 2007 non aveva risolto il contratto di appalto con Omissis; ha rilevato che era erroneo il convincimento del primo giudice laddove, nel rigettare l’impugnazione alla delibera 11-10-2007, aveva affermato che la risoluzione del contratto di appalto con la ditta Omissis era stata già disposta con la delibera precedente e che perciò fosse legittima la scelta di affidare i lavori ad altra impresa.

Di seguito la sentenza, esaminando il terzo motivo di appello, ha dichiarato che la delibera 11-10-2007, con riguardo al primo punto all’ordine del giorno relativo ai lavori appaltati alla ditta Omissis, aveva riservato di intraprendere azione legale nei confronti della ditta Omissis, aveva proceduto all’analisi dei nuovi preventivi e aveva deliberato di dare incarico a Omissis. Ha rilevato che, non avendo l’appellante YYYYY lamentato alcunché in ordine alla scelta della ditta Omissis -se non il fatto che non si potesse dare un nuovo incarico ad altra ditta prima di risolvere in via giudiziaria il contenzioso con la Omissis- né in ordine alla regolarità formale dell’assemblea, né in ordine al quorum deliberativo, la delibera era valida ed efficace. Ha concluso perciò che l’impugnazione non poteva essere accolta e che l’appello doveva essere rigettato, per cui in dispositivo ha rigettato l’appello e condannato l’appellante alla rifusione a favore del Condominio appellato delle spese di lite del grado.

3.Con atto notificato il 23-4-2018 YYYYY ha proposto tempestivo ricorso per cassazione avverso la sentenza, non notificata, sulla base di due motivi.

Il Condominio XXXXX ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

All’esito della camera di consiglio del giorno 8-9-2023 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo rubricato “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.” la ricorrente rileva un contrasto insanabile tra la motivazione della sentenza e il dispositivo, che non consente di individuare l’effettiva statuizione. Evidenzia che la Corte d’appello ha dichiarato fondati i primi due motivi di appello e ha rigettato il terzo, ma in modo inspiegabile non ha tratto alcuna conseguenza processuale dall’accoglimento dei primi due motivi di gravame, mentre avrebbe dovuto accogliere parzialmente l’appello. Quindi sostiene che la sentenza sia non solo contraddittoria, ma anche inidonea a rendere conoscibile il contenuto della pronuncia giudiziale, stante l’insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.

1.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo, sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e quindi del diritto o bene riconosciuto, in quanto il contrasto sia tale da escludere una valutazione di prevalenza di una delle due contrastanti affermazioni contenute nella decisione (Cass. Sez. 2 19-4-2022 n. 12434, Cass. Sez. 6-1 27-6-2017 n. 16014 Rv. 644806-01, Cass. Sez. 5 30-12-2015 n. 26077 Rv. 638110-01). E’ altresì acquisito, già da prima della riformulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. disposta dall’art. 54 d.l. 22-6-2012 n. 83 conv. in legge 7-8-2012 n134, il principio secondo il quale il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze su quella che è stata la volontà del giudice (Cass. Sez. U. 22-12-2010 n. 25984 Rv. 615519-01, Cass. Sez. 1 18-2-2015 n. 3270 Rv. 634408-01). Il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, sicché il vizio non è ipotizzabile nel caso in cui la contraddizione riguardi le contrastanti valutazioni compiute dal giudice di primo grado e da quello di appello, dovendo altrimenti ritenersi contraddittorie tutte le sentenze di secondo grado che abbiano motivato in modo difforme dalla sentenza di primo grado (Cass. Sez. L 17-8-2020 n. 17196 Rv. 658536-01, Cass. Sez. 3 9-2-2004 n. 2427 Rv. 569997-01, per tutte). La sentenza di appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente a quella di primo grado, sicché il giudice del gravame ben può, in dispositivo, confermare la decisione impugnata e in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni e argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza d’appello (Cass. Sez. 6-5 14-2-2014 n. 3594 Rv. 629986-01, Cass. Sez. 5 25-1-2008 n. 1604 Rv. 601475-01).

Nella fattispecie, effettivamente la motivazione della sentenza impugnata è erronea, laddove ha dichiarato di accogliere i primi due motivi di appello: l’accoglimento delle argomentazioni svolte dall’appellante con i primi due motivi di appello per confutare le ragioni poste dal giudice di primo grado a fondamento del rigetto dell’impugnativa della delibera assembleare non erano tali da fare ritenere che la delibera fosse illegittima e quindi la Corte d’appello non avrebbe dovuto dichiarare in motivazione di accogliere i primi due motivi di appello. Il giudice di primo grado aveva dichiarato che la sentenza n. 8280/2010 del Tribunale di Roma aveva definitivamente rigettato l’impugnativa alla delibera 31-5-2007 e la sentenza impugnata ha rilevato che era corretta la deduzione svolta dall’appellante con il primo motivo, secondo la quale quella sentenza n. 8280 non era ancora definitiva in quanto era stata oggetto di appello. Inoltre, il giudice di primo grado aveva ritenuto che il contratto di appalto con la ditta Omissis fosse stato risolto dalla delibera 31-5-2007 e la sentenza impugnata ha dichiarato che era corretta la deduzione svolta dall’appellante con il secondo motivo di appello, perché il giudice di primo grado aveva erroneamente affermato che la risoluzione del contratto di appalto era già stata disposta dalla delibera 31-5-2007. Però di seguito la sentenza impugnata ha espressamente escluso che la delibera impugnata fosse affetta da un qualche vizio, riferito al suo contenuto o alle modalità di approvazione, e per questa ragione ha rigettato la domanda avente a oggetto l’impugnazione alla delibera e l’appello. In questo modo la sentenza impugnata ha confermato il rigetto della domanda già pronunciato dal giudice di primo grado, per ragioni diverse da quelle ritenute dal giudice di primo grado; seppure ha commesso l’errore di dichiarare fondati i primi due motivi di appello (senza considerare che la fondatezza degli argomenti svolti con quei due motivi non era idonea a ritenere l’illegittimità della delibera), tale errore non comporta alcuna incertezza sul procedimento logico-giuridico in forza del quale la sentenza è giunta alla conclusione di ritenere la delibera assembleare legittima.

In conclusione, non sussiste contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza, perché il dispositivo di rigetto dell’appello è conforme alla motivazione della sentenza che ha escluso l’illegittimità della delibera. L’accoglimento delle critiche proposte dall’appellante alla motivazione svolta dal giudice di primo grado non sono state esposte dalla Corte territoriale al fine di ritenere la legittimità della delibera, così da configurarsi un contrasto irrisolvibile tra ragioni tra loro contraddittorie. Quelle argomentazioni di accoglimento delle critiche dell’appellante alla sentenza di primo grado sono state eseguite soltanto per escludere che le ragioni svolte dal giudice di primo grado potessero essere integralmente condivise; però, non si trattava di argomentazioni che potessero risolversi nella dichiarazione di accoglimento dei primi due motivi di appello.

2.Con il secondo motivo rubricato “violazione dell’art. 1453 c.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.” la ricorrente sostiene che la sentenza abbia violato l’art. 1453 cod. civ. quando, nel rigettare il terzo motivo di appello, ha qualificato come legittima la scelta dell’assemblea di affidare l’appalto ad altra ditta. Rileva che la motivazione è in contraddizione con l’accoglimento del secondo motivo di gravame, laddove la Corte aveva affermato che la precedente delibera 31-5-2007 non aveva risolto l’appalto con Omissis Costruzioni ed evidenzia che la delibera ha violato il disposto dell’art. 1453 cod. civ., ritenendo di potere risolvere unilateralmente il primo contratto di appalto; sostiene perciò che la stipula del secondo contratto di appalto, in sovrapposizione con quello in essere, fosse illegittima e che la delibera impugnata avesse avuto l’efficacia di risolvere il primo contratto con Omissis, di affidare i lavori a Omissis e conclamare definitivamente l’inadempimento del Condominio alle obbligazioni assunte con Omissis.

2.1.Il motivo è inammissibile in quanto formulato ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. senza individuare il fatto decisivo di cui si lamenti l’omesso esame; il motivo, anche riqualificato ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 1453 cod. civ., è infondato.

Si deve fare applicazione del principio secondo il quale il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., è limitato a un riscontro di legittimità delle decisione, avuto riguardo all’osservanza delle norme di legge o del regolamento ovvero all’eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l’assemblea medesima dispone, e non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui l’assemblea dispone, o alla valutazione della convenienza economica di quanto deliberato (Cass. Sez. 2 13-5-2022 n. 15320 Rv. 664798-01, Cass. Sez.6-2 25-2-2020 n. 5061 Rv. 657265-01, Cass. Sez. 2 20-6-2012 n. 10199 Rv. 622882-01). Inoltre, è acquisito il principio secondo il quale le delibere assembleari sono nulle, tra l’altro, nel caso in cui siano contrarie a norme imperative e siano assunte in materie che esulano dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 n. 2 e 3 cod. civ. e sono annullabili nel caso in cui, pur assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, abbiano a oggetto la ripartizione tra i condomini delle spese in violazione dei criteri previsti dalla legge o dal regolamento (Cass. Sez. U 14-4-2021 n. 9839 Rv. 661084-03, Cass. Sez. U 7-3-2005 n. 4806 Rv. 579439-01). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, come nella fattispecie, alla scelta dell’assemblea di non dare corso a un contratto già concluso, in quanto non si tratta di scelte assunte dall’assemblea esorbitando dall’ambito dei suoi poteri; l’eventuale erronea valutazione giuridica che abbia indotto l’assemblea ad assumere anche la decisione di promuovere la lite non incide in sé sulla legittimità della delibera, come confermato dal fatto che l’art. 1132 cod. civ. tutela il condomino dissenziente dandogli la possibilità di separare la propria responsabilità da quella del condominio nella forma ivi prevista.

Ciò posto, non sussiste nella sentenza impugnata neppure la contraddizione lamentata dalla ricorrente. Nell’esaminare il secondo motivo di appello la Corte territoriale ha escluso che la precedente delibera 31-5-2007 avesse risolto il primo contratto di appalto e che in tal senso fosse stata la pronuncia della sentenza n. 8280/2008 del Tribunale di Roma. Di seguito, nell’esaminare il terzo motivo di appello, la Corte ha escluso che la delibera 11-10-2017 avesse risolto il primo contratto di appalto, dichiarando che l’assemblea aveva dato per scontato che lo stesso fosse già stato risolto a seguito della linea esposta dal legale nella precedente adunanza, tanto che l’amministratore era stato convocato unitamente al direttore dei lavori dai Carabinieri per una denuncia querela proposta dalla ditta Omissis. Questo non significa che la Corte territoriale abbia dichiarato, in contraddizione con la precedente affermazione, che la risoluzione del contratto fosse stata disposta dalla delibera 31-5-2007: la risoluzione o comunque la mancata esecuzione del contratto, a prescindere dal contenuto delle delibere assembleari, poteva essere la conseguenza del comportamento posto in essere dai due contraenti, dal Condominio che aveva deciso di non dare corso ai lavori e dall’appaltatore Omissis che aveva proposto denuncia querela contro il Condominio. Quindi, la sentenza impugnata ha soltanto evidenziato che la delibera 11-10-2007 è stata assunta sulla base del presupposto che il primo contratto di appalto fosse stato risolto o comunque non sarebbe stato eseguito, e non per il fatto che la risoluzione fosse stata disposta dalla delibera 31-5-2007. Inoltre, la sentenza impugnata, nell’escludere che l’illegittimità della delibera derivasse dal fatto di avere deliberato di dare incarico per i lavori ad altra ditta prima di risolvere in via giudiziaria il contenzioso con la ditta Omissis, ha rispettato i limiti del sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari che sono stati sopra esposti; ciò in quanto la scelta di concludere un secondo contratto spettava alla valutazione discrezionale dell’assemblea e nessuno degli argomenti del ricorrente è volto a prospettare che la deliberazione relativa alla stipulazione di tale secondo contratto fosse espressione di un eccesso di potere.

3.Ne consegue che il ricorso deve essere integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.

In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa ex lege.

Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il giorno 8-9-2023

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TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA SENTENZA N. 279/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Art. 1118 c.c. – Distacco riscaldamento centralizzato – Riscaldamento centralizzato – Delibera assembleare – Nullità delibera – Delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento

Si ritiene che il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall’uso dell’impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, operi sempre qualora l’interessato provi che dal distacco non deriverà né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione dei servizi. I condomini legittimamente distaccati dall’impianto di riscaldamento centralizzato sono esonerati dal pagamento delle spese di esercizio dell’impianto medesimo; rimangono, invece, obbligati a contribuire alle spese straordinarie e di conservazione qualora l’impianto conservi, dopo il distacco, la natura di bene di proprietà comune, con la possibilità per gli stessi condomini, in caso di ripensamento, di allacciare nuovamente la propria unità immobiliare all’impianto centralizzato. Ciò presuppone che il condomino distaccandosi non determini notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condòmini. L’insussistenza di tali pregiudizi deve essere provata dal condomino, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (C. Cass, sent. n. 25559/2023).

Si ritiene, come da giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che la delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento, non solo sia nulla, ma neppure il regolamento condominiale potrà impedire il distacco al condomino, anche qualora abbia natura contrattuale, trattandosi di diritto indisponibile del condomino ai sensi dell’art. 1118 c. 4 c.c. (Cassazione civile sez. II, 02/11/2018, n. 28051). Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’articolo 1138, comma 4, del Cc e non può menomare i diritti che ai condomini derivino dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Deriva da quanto precede, pertanto, che la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, se il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento.

Le condizioni per il distacco dall’impianto centralizzato, vanno – in particolare – ravvisate nell’assenza di pregiudizio al funzionamento dell’impianto e comportano il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell’articolo 1123, comma 2, del codice civile, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato. In tal caso il condomino che opera il distacco è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell’impianto stesso (C.Cass. sez. II, 21/05/2020, n.9387).


Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Omissis ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. Omissis promossa da:

YYYYY  (C.F. Omissis), nato a Omissis il Omissis, e ZZZZZ (C.F. Omissis), nata a Omissis il Omissis, entrambi residenti a Omissis, rappresentati e difesi dall’Avv. Omissis (Omissis), del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio professionale sito in Omissis in forza di procura allegata all’atto di citazione

ATTORI

contro

Condominio XXXXX [C.F.: Omissis], corrente in Omissis, in persona del suo amministratore pro tempore, Omissis in persona del suo l.r.p.t. Sig. Omissis, corrente in Omissis elettivamente domiciliato in Omissis presso lo Studio dell’Avv. Omissis [C.F.: Omissis) giusta delega allegata alla comparsa costitutiva

CONVENUTO

CONCLUSIONI

Conclusioni di parte attrice:

Voglia l’Ill.mo Tribunale di Aosta, contrariis reiectis, così giudicare:

Nel merito: A) Per tutte le ragioni esposte in fatto e in diritto, accertare la legittimità del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato da parte degli attori e, per l’effetto, dichiarare l’invalidità e/o nullità della delibera impugnata del 16 Agosto 2019 al Punto 5 dell’OdG;

B) Condannare il condominio convenuto a rimborsare agli attori tutte le spese condominiali sostenute afferenti i consumi di riscaldamento volontario, dalla data di formalizzazione dell’avvenuto distacco, ossia dall’1 Aprile 2018, nella misura di € 1.967,09# o nella diversa misura ritenuta di giustizia, e di tutte le successive spese attribuite agli attori e corrisposte a titolo di consumo volontario di riscaldamento, nonché delle spese sostenute per la mediazione obbligatoria pari ad € 1.963,40# o nella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia;

C) Nel merito, in subordine : Accertato l’intervenuto distacco da parte degli attori l’1 Aprile 2018, per tutte le ragioni esposte in fatto e diritto, condannare il convenuto a rimborsare gli attori delle spese condominiali di riscaldamento, nella misura del consumo volontario corrisposte dalla data del distacco, ossia dall’1 Aprile 2018 per € 1.967,09# o nella diversa misura ritenuta di giustizia, oltre alle successive, a titolo di arricchimento senza causa;

D) Con vittoria di spese di causa, compresi tutti i costi di trasferta sostenuti, e compensi professionali di causa. In via istruttoria: ammettersi ampio e libero interrogatorio formale delle parti, nonché prova testimoniale sulle circostanze dedotte in premessa, da ritenersi quali capitoli di prova preceduti dalla locuzione “vero che”, nei confronti dei testi che ci si riserva di indicare nei termini di legge, oltre a prova testimoniale contraria a quella eventualmente formulata da parte avversa.

Conclusioni di parte convenuta:

Voglia l’Ecc.mo Tribunale di Aosta:

IN VIA PRINCIPALE – rigettare in toto le domande attoree.

Con i provvedimenti di legge.

Con riserva di ogni diritto ed interesse.

Con il favore di spese ed onorari.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione 26.4.2021 gli attori convenivano in giudizio il Condominio XXXXX al fine di chiedere la dichiarazione di invalidità e/o nullità della delibera 16.8.2019, punto 5 all’o.d.g., ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di consumo volontario dopo la data del distacco e il rimborso delle spese legali.

Il condominio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree.

La causa veniva istruita tramite CTU, venivano rigettate le ulteriori istanze istruttorie, la causa veniva trattenuta a decisione all’udienza del 28.4.2023.

Motivi della decisione

Il contenzioso tra origine dal distacco operato dagli attori dal riscaldamento centralizzato condominiale.

Gli attori, comproprietari di un’unità immobiliare facente parte del condominio convenuto, procedevano infatti al distacco della propria unità dal riscaldamento condominiale; a tal fine inviavano comunicazione del 1 aprile 2018 con allegata perizia termotecnica attestante l’assenza di squilibri per l’impianto e di aggravi di costi per il condominio.

Gli attori riferiscono che il condominio, con assemblea del 29 dicembre 2018, al Punto 2 dell’ODG, approvava il preventivo 2018-2019 che addebitava le spese di consumo volontario per gli attori e che, di fatto, negava quindi la legittimità dell’intervenuto distacco dall’impianto centralizzato; che con successiva assemblea del 4 gennaio 2020, al punto 6 dell’ODG, veniva approvato il consuntivo 2017 – 2018 e relativo riparto.

Il condominio con assemblea 16.8.2019, al punto 5 all’o.d.g., deliberava di incaricare l’amministratore di ripristinare lo stato di fatto ante distacco degli attori, precisamente l’assemblea deliberava: “La Signora Omissis sottolinea che presumibilmente a causa del distacco operato dall’ YYYYY all’interno del suo alloggio, in occasione del soggiorno avvenuto nel mese di novembre, la stessa non è riuscita a superare la temperatura di gradi 12 all’interno del suo appartamento. Pertanto si presume che il distacco dell’YYYYY abbia creato uno sbilanciamento della distribuzione del riscaldamento. L’assemblea unitamente a quanto sopra e soprattutto in carenza di documentazione come previsto dalla vigente legislazione dà incarico all’amministratore di attivarsi affinché venga ripristinato nell’immediato lo stato di fatto ante distacco dell’YYYYY, con oneri a carico di quest’ultimo; delibera questa approvata con 820,13 millesimi favorevoli”.

Gli attori producevano integrazione alla perizia del termotecnico a sostegno della legittimità del proprio distacco.

Gli attori impugnano la delibera del 16 agosto 2019 al punto 5 all’o.d.g. e chiedono riconoscersi la legittimità del distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento condominiale.

Gli attori versavano la somma di euro 1.967,00 per consumi di riscaldamento volontario dal 1 aprile 2018 di cui chiedono il rimborso.

Il condominio eccepisce che la delibera del 16.8.2019 non è nulla, ma semmai annullabile, e che l’attore ha agito in giudizio oltre il termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c.; osserva che l’art. 36 del Regolamento di Condominio prevede l’obbligo di utilizzo del riscaldamento centralizzato anche nel periodo in cui l’alloggio non è abitato trattandosi di norma statutaria inderogabile.

***

Veniva esperita CTU da cui risultava che il distacco dell’unità attoree non influiva sul funzionamento dell’impianto e che non costituiva aggravio di spesa, anche alla luce del riparto millesimale che il CTU riteneva non conforme alla normativa vigente. L’unità attorea risultava effettivamente distaccata e munita di stufe elettriche per il riscaldamento.

Si ritiene che il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall’uso dell’impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, operi sempre qualora l’interessato provi che dal distacco non deriverà né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione dei servizi. I condomini legittimamente distaccati dall’impianto di riscaldamento centralizzato sono esonerati dal pagamento delle spese di esercizio dell’impianto medesimo; rimangono, invece, obbligati a contribuire alle spese straordinarie e di conservazione qualora l’impianto conservi, dopo il distacco, la natura di bene di proprietà comune, con la possibilità per gli stessi condomini, in caso di ripensamento, di allacciare nuovamente la propria unità immobiliare all’impianto centralizzato. Ciò presuppone che il condomino distaccandosi non determini notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condòmini. L’insussistenza di tali pregiudizi deve essere provata dal condomino, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (C. Cass, sent. n. 25559/2023).

Parte attrice ha fornito la prova di aver comunicato l’intenzione di procedere al distacco e di aver fornito la prova, tramite perizia termotecnica, allegata alla comunicazione di distacco inviata via PEC all’amministratore, che tale distacco non determini notevoli squilibri di funzionamento all’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini. La relazione fornita dal perito Omissis precisava che “dal punto di vista tecnico non comporta inconvenienti di funzionamento per l’impianto stesso e non pregiudica in alcun modo la fruibilità di calore degli alloggi che restano collegati” e che “dal punto di vista energetico l’energia dispersa dall’impianto di distribuzione (tubazioni) e dallo scambiatore di calore resterà uguale, ma il costo sarà suddiviso tra un minor numero di utenti, in quanto l’impianto deve restare in funzione per il restante condominio”.

Anche la CTU effettuata in corso di causa ha confermato che il distacco non determina alcuno squilibrio, essendo l’alloggio distaccato equiparabile ad un alloggio con riscaldamento spento, e che ciò non determini un aggravio di spesa. Il CTU precisa che il riparto della spesa per consumo involontario, da ripartirsi tra le restanti 135 unità facenti parte del condominio, peraltro utilizzate saltuariamente trattandosi di case per le vacanze, sulla base del corretto sistema di contabilizzazione previsto per legge, non reca aggravio di spesa per i condomini non distaccati.

Molto si discute sulla seconda delle condizioni poste dal legislatore come presupposto indefettibile per la legittimità del distacco di un condomino dall’impianto centralizzato, ossia sull’insussistenza dell’aggravio di spesa. Di regola, il distacco di una unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento o di condizionamento centralizzato dovrebbe comportare un minor consumo globale di energia e quindi, in termini assoluti, un risparmio di spesa. Ma tale assunto non è scontato, perché il minor consumo, conseguente al distacco, non determinerà un aggravio di spesa per i condòmini che continuano ad utilizzare l’impianto solo quando la minore spesa per consumi sarà pari o superiore alla quota di spesa di riscaldamento che faceva carico in precedenza all’unità distaccata. La tecnica ha ampiamente dimostrato che la conseguenza immediata e diretta del distacco anche di una sola unità immobiliare da un impianto di riscaldamento o condizionamento centralizzato è l’aumento – seppur minimo – dei costi pro-capite per i condomini che ne continuano ad usufruire. Quindi, la norma per avere un senso applicativo deve essere interpretata nel senso di consentire il distacco anche in presenza di aggravi di spesa per gli altri condomini, purché anch’essi, come per gli squilibri di funzionamento, non siano “notevoli”. Una simile interpretazione non impedirebbe, infatti, in maniera assoluta il distacco, a differenza di quanto accadrebbe se l’aggettivo “notevole” non fosse stato previsto anche rispetto agli aggravi di spesa. In realtà dalla vaga formulazione dell’ultimo comma della norma citata non è chiaro  se il distacco non sia consentito per il solo fatto che comporta un aggravio di spesa per gli altri condomini o se è necessario che tale aggravio sia “notevole”. La prima soluzione sembra preferibile, in considerazione del principio che l’esercizio di un diritto non può risolversi in un danno per gli altri condomini. Il legislatore tra le parole «notevoli squilibri di funzionamento» e «aggravi di spesa» ha utilizzato la disgiunzione “o”. Questo vuol dire che l’aggettivo “notevoli” è accostato unicamente agli squilibri di funzionamento, ma non agli aggravi di spesa. Ne deriva che, secondo il dato letterale della norma, è sufficiente un aumento pure di pochi centesimi di spesa a carico degli altri condomini perché si concretizzi «l’aggravio di spesa» e quindi il distacco sia illegittimo. Sul tema, non si ravvisano precedenti giurisprudenziali che abbiano fatto un’analisi precisa del problema interpretativo e, per quanto molti interpreti abbiano ritenuto che, nella nota sentenza Cass. civ., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22235, la Cassazione abbia optato per una interpretazione restrittiva, dalla sua attenta lettura non si evince una chiara e netta posizione della Suprema Corte sull’argomento. Per gli ermellini, il condomino che intende distaccarsi deve fornire la prova che «dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini», e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dimostrare l’assenza di «notevoli squilibri» e di «aggravi» per i condomini che continuano a servirsi dell’impianto. Il condomino è esonerato dall’onere della prova soltanto nel caso in cui l’assemblea abbia autorizzato il distacco dall’impianto centralizzato sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei suddetti presupposti. Ne deriva che in presenza di squilibri nell’impianto condominiale o di aggravi di spesa per gli altri condòmini, il distacco è certamente illegittimo e l’autore potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante. In effetti, la giurisprudenza di legittimità non ha mai affrontato il problema dell’interpretazione letterale del comma 4 dell’art. 1118 c.c., né sembra possibile considerare a priori illegittimo il distacco che abbia comportato un aggravio di spesa, se compensato da una contribuzione del condomino per il c.d. prelievo involontario (energia corrispondente alle dispersioni della rete di distribuzione). Questo tipo di consumo di energia viene ripartito in base ai “millesimi di riscaldamento” e, quindi, di regola anche a carico dei condomini che si sono distaccati dall’impianto centralizzato (v. art. 9, comma 5, lett. d, del d.lgs. 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che richiama espressamente la normativa tecnica UNI 10200 e indica i criteri di ripartizione dei prelievi involontari di energia termica). La stessa sentenza in commento individua uno dei punti a sfavore del Condominio nel non aver effettuato la diagnosi energetica del fabbricato, che stabilisce in modo inequivocabile le percentuali delle due quote da ripartire: la quota fissa (a carico di tutti i condomini) e la quota variabile (solo a carico di quelli che sono ancora collegati all’impianto centralizzato) (Trib. Torino, sent. n. 6078/2017).

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Si ritiene, come da giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che la delibera che vieta al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento, non solo sia nulla, ma neppure il regolamento condominiale potrà impedire il distacco al condomino, anche qualora abbia natura contrattuale, trattandosi di diritto indisponibile del condomino ai sensi dell’art. 1118 c. 4 c.c. (Cassazione civile sez. II, 02/11/2018, n. 28051). Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’articolo 1138, comma 4, del Cc e non può menomare i diritti che ai condomini derivino dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Deriva da quanto precede, pertanto, che la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, se il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento.

Le condizioni per il distacco dall’impianto centralizzato, vanno – in particolare – ravvisate nell’assenza di pregiudizio al funzionamento dell’impianto e comportano il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell’articolo 1123, comma 2, del codice civile, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato. In tal caso il condomino che opera il distacco è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell’impianto stesso (C.Cass. sez. II, 21/05/2020, n.9387).

Si ritiene pertanto che la delibera del 16.8.2019, punto 5 all’o.d.g., che dispone il riallaccio degli attori all’impianto centralizzato sia nulla per violazione del diritto indisponibile del condomino di cui all’art. 1118 c. 4 c.c..

***

In merito alla richiesta di rimborso delle somme versate a titolo di spese di riscaldamento in data successiva al distacco, si ritiene che tale domanda non possa essere accolta in quanto gli attori non hanno impugnato le delibere di approvazione dei rendiconti e dei riparti sulla base dei quali tali somme sono state richieste (Tribunale Roma, 23/01/2017).

Non si ritiene neppure accoglibile la domanda subordinata di arricchimento senza causa trattandosi di azione residuale; si ribadisce che gli attori avrebbero dovuto impugnare le delibere di approvazione dei rendiconti e relativi riparti ai sensi dell’art. 1137 c.c. (C.Cass. n. 20528/2017).

***

Stante la reciproca soccombenza si compensano le spese di lite, ad accezione delle spese di CTU che, avendo ad oggetto la prova della legittimità del distacco dall’impianto centralizzato ed essendo il condominio soccombente su tale punto, andranno poste a carico del condominio. Le spese di CTU sono già state liquidate con decreto 13.6.2023 in euro 4.754,52 ex art. 11 DM 182/2002, euro 300,00 ex art. 12 DM 182/2002, oltre € 108,00 per spese imponibili ed oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

dichiara la nullità della delibera del 16.8.2019 al punto 5 all’o.d.g.

compensa tra le parti le spese di lite ad eccezione delle spese di CTU che pone a carico di parte convenuta nella misura di euro 5.054,52, oltre euro 108,00 per spese imponibili, oltre accessori di legge.

Aosta, 9 ottobre 2023

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 28262/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Principio di diritto – Art. 1136 c.c. – Quorum costitutivi – Quorum deliberativi

Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35930/2018 R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentata e difesa dall’avvocata Omissis

-ricorrente- contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

SSSSS, elettivamente domiciliata in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dall’avvocato Omissis

VVVVV, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis

-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2894/2018 depositata il 12/06/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – YYYYY ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2894/2018 della Corte d’appello di Milano, depositata il 12 giugno 2018.

Resistono con distinti controricorsi il Condominio XXXXX, SSSSS e VVVVV.

2– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4–quater, e 380 bis.1, c.p.c.

La ricorrente ha depositato memoria.

3 — La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame avanzato da YYYYY avverso la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 15 gennaio 2016, avente ad oggetto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. spiegata dalla stessa condomina YYYYY contro la deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. Tale delibera concerneva la scelta dell’impresa cui affidare lavori straordinari e la richiesta formulata da alcuni condomini per la installazione di un ascensore finalizzato alle esigenze di un disabile residente nell’edificio. Erano stati convenuti, oltre che il Condominio, l’amministratrice SSSSS e il presidente dell’assemblea VVVVV. Per quanto qui rilevi, l’attrice aveva contestato l’illegittima costituzione dell’assemblea con riguardo all’indicazione dei millesimi spettanti ai partecipanti.

Sul punto, i giudici di secondo grado hanno affermato che “nell’assemblea del 13.02.13 è stata fatta corretta applicazione dei millesimi di proprietà. Infatti, dalla elaborazione dei millesimi demandata dal condominio all’lng. Omissis emerge una distinzione tra i millesimi di gestione ed i millesimi di proprietà. Il documento redatto dall’Ing. Omissis ed approvato dall’assemblea condominiale del 13.7.2009, porta invero la dicitura, nell’intestazione ‘Millesimi di gestione’ e ‘Millesimi di scala’, laddove questi ultimi riguardano parti comuni condominiali”. La Corte d’appello ha poi dato atto della costante utilizzazione di tali prospetti millesimali nelle assemblee svoltesi negli anni a seguire ed ha esposto che “[t]ra tutti i condomini del palazzo, la sola YYYYY ha sollevato dei dubbi relativi alla qualifica e tipologia dei millesimi oggetto del prospetto dell’lng. Omissis”, essendo stata per gli altri “pacifica la differenza e la diversa utilizzazione tra i millesimi di gestione e i millesimi di proprietà”. Si è infine sottolineato che “anche laddove si fosse accolta la tesi sostenuta dalla dott.ssa YYYYY1 ai fini della regolare costituzione dell’assemblea condominiale, si sarebbero comunque raggiunte le maggioranze richieste dalla legge per l’approvazione delle delibere”.

4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, comma 1, c.c., 68, comma 1, e 69, comma 1, n. 2, disp. att. c.c., 116 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado violato le norme riguardanti il valore proporzionale, espresso in millesimi, delle unità immobiliari all’interno del condominio”. L’assunto della ricorrente è che i giudici di appello, perseverando nell’errore in cui era incorso il Tribunale, hanno insistito nel “ritenere come millesimi di natura differente (millesimi di proprietà e millesimi di gestione) ciò che invece nella realtà coincide, e che corrisponde a millesimi ‘di proprietà’, ovvero al ‘’valore’ di proprietà di ciascuna unità immobiliare all’interno di un condominio, espresso in millesimi, che trova la sua ragion d’essere proprio nella suddivisione delle spese di gestione di cui necessitano le parti comuni dell’edificio stesso”. Ed ancora, avverte la ricorrente: “non esistono due tabelle distinte ‘millesimi di proprietà’ e ‘millesimi di gestione’”. La censura sottolinea altresì che “nessuna rilevanza, sul punto, riveste la circostanza (non provata) secondo la quale, nel caso di specie, le maggioranze costitutive e deliberative sarebbero state ugualmente raggiunte: è previsto dalla legge che — ad ogni condomino — corrisponda un determinato valore millesimale di proprietà, che deve essere “una volta per tutte” determinato e applicato sia per la valida costituzione dell’assemblea (e la votazione delle delibere) sia per la suddivisione delle spese comuni”.

Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. Vi si assume che sul profilo riguardante la pretesa esistenza di una doppia tabella. “di proprietà” e “di gestione”, “si è formato, in senso negativo, il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo, all’esito del giudizio R.G. 3878/2014”.

Tale sentenza, precisa la ricorrente, è stata oggetto di ricorso per cassazione (RG Omissis) ma non su questo “specifico capo”.

4.1. — I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, giacché connessi, e sono da respingere. Le censure denotano carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) e non possono pertanto comportarne la cassazione.

4.2. — Si ha qui riguardo ad una azione di impugnazione, ai sensi dell’art. 1137 c.c., della deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. YYYYY ne ha domandato l’annullamento perché i rispettivi quorum costitutivi e deliberativi sarebbero stati calcolati sulla base dell’erronea distinzione tra “millesimi di proprietà” e “millesimi di gestione”, distinzione che secondo la ricorrente sarebbe “inesistente” anche alla luce della tabella millesimale vigente approvata nel 2009.

4.3. — La regola in tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale è che l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (Cass. n. 3295 del 2023). Spettava perciò a YYYYY provare che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio.

4.4. — Quando l’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale sia fondata, come nel caso in esame, sulla deduzione di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea o alla adozione con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge, la tabella millesimale assume un rilievo dirimente soltanto quando i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita sul punto ad una convenzione di valore negoziale, la quale si risolve in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo; l’esistenza di tabelle convenzionali, nel caso in esame, non risulta, tuttavia, né allegata né dimostrata.

Ove invece la tabella millesimale approvata dall’assemblea abbia inteso unicamente determinare quantitativamente la portata dei rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sulla base dei criteri legali, l’invalidità di una delibera per difetto dei quorum prescinde dalla necessaria verifica del rispetto delle indicazioni tabellari.

Ciò appunto perché, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, ma rivela un valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. Unite, n. 18477 del 2010). Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste, dunque, prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi, la cui esistenza ed il cui rispetto non costituiscono, perciò, requisito di validità delle delibere assembleari, essendo consentito sempre di valutare anche “a posteriori” in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio (così da ultimo Cass. n. 3295 del 2023).

Se poi il condomino voglia lamentare che le tabelle millesimali in uso sono erronee, deve agire per la revisione delle stesse a norma dell’art. 69 disp. att c.c., fermo restando che, secondo l’orientamento di questa Corte, la portata non retroattiva della pronuncia di revisione giudiziale non comporta l’invalidità di tutte le delibere approvate sulla base delle tabelle precedentemente in vigore (Cass. n. n. 2635 del 2021; n. 6735 del 2020; n. 4844 del 2017; Sez. Unite n. 16794 del 2007).

4.5. — Le doglianze della ricorrente non sostengono che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua dei valori proporzionali delle unità immobiliari cui alludono l’art. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. Il senso delle censure contesta piuttosto l’argomentazione in diritto adoperata dai giudici del merito, distinguendosi tra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”. Tale distinzione è in effetti corrente nella pratica condominiale, ma non assume nessun rilievo giuridico ai fini della decisione oggetto di lite. Solitamente, le organizzazioni condominiali, per agevolare lo svolgimento delle rispettive assemblee (ovvero l’individuazione della composizione del collegio e delle maggioranze) e la ripartizione delle spese, si dotano, oltre che di una “tabella generale”, o “di proprietà”, che accerta in misura proporzionale il valore della proprietà di ciascun condomino (ad esempio, ai fini delle spese da suddividere ai sensi del primo comma dell’art. 1123 c.c.), anche di varie tabelle cosiddette “di gestione”, le quali attengono, ad esempio, alle scale e agli ascensori (art. 1124 c.c.), all’impianto di riscaldamento, al portierato, ovvero a cose destinate a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, con riguardo alle quali, sempre per legge, vengono in rilievo altresì l’uso o l’utilità delle cose o degli impianti considerati.

4.6. — La totale irrilevanza ai fini della decisione di tale distinguo fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione” priva evidentemente di decisività anche il motivo sul “giudicato esterno”, con riguardo al quale, prima ancora, dovrebbero evidenziarsi profili di inammissibilità.

La sentenza qui impugnata è stata pubblicata il 12 giugno 2018 ed è passata in decisione all’udienza del 7 novembre 2017. Si fa qui valere “il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo”. Se tuttavia una sentenza d’appello non abbia tenuto conto del giudicato formale intervenuto in separato giudizio prima del suo deposito (a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di giudicato sopravvenuto rispetto a tale momento), deve essere proposta revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e non ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 21493 del 2010). Il secondo motivo, peraltro, riferiva che quella sentenza era stato oggetto di ricorso per cassazione, seppure non sullo “specifico capo”. Così allora si trascura che il giudicato cosiddetto esterno ha connotazioni che lo differenziano nettamente da quello cosiddetto interno, ossia formatosi nell’ambito di un determinato procedimento ancora pendente, ai sensi dell’art. 329, secondo comma, c.p.c., in relazione alle parti non impugnate della sentenza, poiché, mentre il giudicato esterno è rilevabile anche di ufficio e la stessa Corte di cassazione ha il potere di verificarne se ne sussistono i presupposti di fatto, per il giudicato interno ogni accertamento compete esclusivamente al giudice di quel processo (Cass. n. 3040 del 1987; n. 4676 del 1996; n. 3895 del 2022).

Risulta, peraltro, che il ricorso per cassazione contro della sentenza Corte d’appello di Milano n. 3903/2017 è stato rigettato da questa Corte con ordinanza n. 3925/2019. Non vi è comunque alcuna affermazione contenuta nella sentenza di cui qui si chiede la cassazione che si ponga in contrasto con la portata della pregressa res iudicata, per la chiarita irrilevanza, ai fini in esame, della distinzione fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”.

5. –– Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.

6. — Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., quanto al valore “indeterminato basso” della causa stimato dai giudici di appello ai fini della liquidazione delle spese e seguito anche nella sentenza di primo grado. La censura sostiene che la domanda proposta in primo grado richiedeva la nullità della delibera condominiale del 13 febbraio 2013 per il “danno” subito dalla ricorrente pari ad € 950,00, cifra che esprime la differenza tra quanto versato in esecuzione di detta delibera e quanto la condomina YYYYY avrebbe invece dovuto legittimamente corrispondere.

Nella memoria depositata in data 22 settembre 2023, la ricorrente integra tale motivo, adducendo che la liquidazione delle spese di lite è stata operata dai giudici di appello senza riferirsi al valore della domanda, quanto facendo uso di un criterio “punitivo”, per la “molteplicità” e “cavillosità” delle argomentazioni difensive svolte.

6.1. –– Anche questo motivo è del tutto infondato.

6.1.1. Al fine della liquidazione degli onorari di avvocato a carico del soccombente, nell’azione di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio, che sia volta ad ottenere una sentenza di annullamento avente effetto nei confronti di tutti i condomini, il valore della causa deve essere determinato sulla base dell’atto impugnato, e non sulla base dell’importo del contributo alle spese dovuto dall’attore, non operando la pronuncia solo nei confronti dell’istante e nei limiti della sua ragione di debito (cfr. Cass. n. 9068 del 2022; n. 19250 del 2021).

Peraltro, la domanda rivolta alla declaratoria di invalidità di una delibera assembleare sotto il profilo della esatta individuazione dei millesimi spettanti ai partecipanti rivela effettivamente valore indeterminabile, in quanto la pronuncia invocata si proietta verso il futuro e chiede la fissazione di un criterio di attribuzione dei valori proporzionali di proprietà (cfr. Cass. n. 1513 del 1976).

6.1.2. Peraltro, in tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al giudice di merito e non è soggetta al sindacato di legittimità (tra le tante, Cass. n. 6110 del 2021; n. 12537 del 2019).

Alla stregua dell’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, recante i parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale e per la liquidazione a carico del soccombente costituito, ben può tenersi conto anche delle caratteristiche dell’attività prestata e delle difese risultate manifestamente infondate, nella specie costituendo elemento di valutazione negativa l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli (comma 7).

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna della ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione negli importi rispettivamente liquidati in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore del Condominio XXXXX in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, in favore di SSSSS in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, ed in favore di VVVVV in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2023.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 28257/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Principio di diritto – Art- 1130 bis c.c. – Rendiconto – Registro di contabilità

Va pertanto enunciato il seguente principio:

il rendiconto condominiale, a norma dell’art. 1130–bis c.c., deve specificare nel registro di contabilità le «voci di entrata e di uscita», documentando gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché, nel riepilogo finanziario e nella nota sintetica esplicativa della gestione, «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo riguardo al risultato economico delle operazioni riferibili all’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati. Perché la deliberazione di approvazione del rendiconto, ovvero dei distinti documenti che lo compongono, possa dirsi contraria alla legge, agli effetti dell’art. 1137, comma 2, c.c., occorre accertare, alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito, che dalla violazione dei diversi criteri di redazione dettati dall’art. 1130–bis c.c. discenda una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione della situazione patrimoniale del condominio, e quelli di cui il bilancio invece dà conto, ovvero che comunque dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e dalla nota esplicativa della gestione non sia possibile realizzare l’interesse di ciascun condomino alla conoscenza concreta dei reali elementi contabili, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci non siano state effettuate tenendo conto della sostanza dell’operazione.


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5517/2019 R.G. proposto da:

YYYYY rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis

-ricorrente-

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1288/2018 depositata il 06/07/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1- YYYYY ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1288/2018 depositata il 6 luglio 2018.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.

2– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4–quater, e 380–bis.1, c.p.c.

3. La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’impugnazione ex art. 1137 c.c. proposta dal condomino YYYYY per l’annullamento della deliberazione approvata il 17 luglio 2014 dall’assemblea del Condominio XXXXX, relativa al rendiconto consuntivo 2013-2014. La Corte d’appello ha ritenuto che il rendiconto approvato fosse rispettoso dei criteri ex art. 1130–bis c.c. giacché: redatto secondo il principio di competenza e comprendente tutte le prestazioni effettuate dal 1° maggio 2013 al 30 aprile 2014, anche se fatturate e pagate dopo, fino al giorno dell’assemblea; tutte le spese rendicontate trovavano riscontro nei documenti prodotti e in particolare nelle fatture quietanzate; erano ricostruibili e giustificate le operazioni del 9 maggio 2013 (versamento a Omissis) e del 14 novembre 2013 (bonifico al Condominio di via Omissis), il credito di € 1.800,00, la voce “spese generali–amministrazione, i pagamenti in favore della Omissis e della Omissis; erano indicate le voci “saldo precedente”, “acconti versati”, ”totali riepilogativi”.

4- L’unico motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1130-bis comma 1 c.c., ovvero del “criterio contabile della cassa”, sostenendosi che nel rendiconto vanno indicate solo le spese sostenute e le somme riscosse, giacché altrimenti il rendiconto ed i saldi individuali non corrisponderebbero alla situazione reale. Il criterio contabile della cassa, secondo il ricorrente, serve ad agevolare il controllo da parte dei condomini.

5 – Il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.

5.1. – L’art. 1130–bis c.c., stabilisce che: il rendiconto condominiale deve contenere le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, il tutto espresso in modo da consentire l’immediata verifica; deve comporsi di un registro di contabilità, un riepilogo finanziario, nonché una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti; l’assemblea può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio; i condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese; le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci dalla data della relativa registrazione.

Quanto al contenuto ed ai criteri di redazione, il rendiconto deve dunque specificare le voci di entrata e di uscita, la situazione patrimoniale del condominio, i fondi disponibili e le eventuali riserve, «in modo da consentire l’immediata verifica». Il riferimento alle «voci di entrata e di uscita», significa, dunque, che il rendiconto deve documentare gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo qui riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati, e non, dunque, dal solo conto cassa (cfr. Cass. n. 33038 del 2018).

5.2. — Per la validità della deliberazione di approvazione del rendiconto condominiale non è comunque necessaria la presentazione all’assemblea di una contabilità redatta con rigorose forme, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società. È piuttosto sufficiente che essa sia idonea a rendere intelligibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione (Cass. n. 1370 del 2023). Non occorre nemmeno che entrate e spese siano trascritte nel verbale assembleare, o che siano oggetto di analitico dibattito ed esame, potendo l’assemblea procedere sinteticamente all’approvazione alla stregua della documentazione giustificativa fornita dall’amministratore. La documentazione allegata deve, però, dare prova delle somme incassate, nonché dell’entità e della causale degli esborsi fatti, e di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico di amministrazione è stato eseguito.

5.3. — Il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, che compongono il rendiconto, sono pertanto ispirati dallo scopo di realizzare l’interesse del condomino a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili ivi recati dal bilancio, e sono, quindi, orientati dall’esigenza di in–formazione dei partecipanti, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e consentire in assemblea l’espressione di un voto cosciente e meditato. Si prestano a tale scopo pure i chiarimenti forniti dall’amministratore in assemblea, se adeguati a far venire meno l’interesse del condomino, che li abbia chiesti e ottenuti, a eventuali impugnative della deliberazione di approvazione del rendiconto in relazione ai punti oggetto dei chiarimenti. Opera, dunque, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che costituisce una specificazione del principio della correttezza e veridicità dell’informazione contabile e del principio di chiarezza, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci va effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione.

5.4. — Il ricorrente prospetta, invece, ragioni di invalidità della deliberazione assembleare impugnata per violazione di norma di diritto, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del rendiconto condominiale ex art. 1130–bis c.c. per violazione del “criterio di cassa”.

La sentenza impugnata ha comunque accertato che il rendiconto consuntivo 2013-2014 approvato il 17 luglio 2014 dall’assemblea del Condominio XXXXX era idoneo a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi che consentivano di individuare e vagliare le modalità con cui l’amministratore ha eseguito il suo incarico e di concludere cha la resa del conto fosse adeguata a criteri di buona amministrazione, e ciò alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è sindacabile in cassazione, se non ove sia omesso l’esame di un fatto storico decisivo, alla stregua dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., o per difetto assoluto di motivazione.

6. — Va pertanto enunciato il seguente principio:

il rendiconto condominiale, a norma dell’art. 1130–bis c.c., deve specificare nel registro di contabilità le «voci di entrata e di uscita», documentando gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché, nel riepilogo finanziario e nella nota sintetica esplicativa della gestione, «ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio», con indicazione «anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti», avendo riguardo al risultato economico delle operazioni riferibili all’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati. Perché la deliberazione di approvazione del rendiconto, ovvero dei distinti documenti che lo compongono, possa dirsi contraria alla legge, agli effetti dell’art. 1137, comma 2, c.c., occorre accertare, alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito, che dalla violazione dei diversi criteri di redazione dettati dall’art. 1130–bis c.c. discenda una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione della situazione patrimoniale del condominio, e quelli di cui il bilancio invece dà conto, ovvero che comunque dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e dalla nota esplicativa della gestione non sia possibile realizzare l’interesse di ciascun condomino alla conoscenza concreta dei reali elementi contabili, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci non siano state effettuate tenendo conto della sostanza dell’operazione.

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Va respinta la domanda del controricorrente di condanna per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., non rilevandosi che il ricorrente abbia agito con mala fede o colpa grave, né che abbia abusato dello strumento processuale.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2023.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 20890/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Art. 1117 bis c.c. – Supercondominio – Costituzione – Art. 1130 c.c. – Art. 1130 c.c. – Legittimazione attiva

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass.  n. 1366 del 2023;  n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).

ORDINANZA

 sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende

 -ricorrente-                                            

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

                                                                      -controricorrente-

avverso la SENTENZA del TRIBUNALE ROMA n. 9379/2018 depositata il 10/05/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.           YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 9379/2018 del Tribunale di Roma, pubblicata il 10 maggio 2018.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.

2.           La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.

Il ricorrente ha depositato memoria.

3.           Il Tribunale di Roma ha accolto l’appello spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Giudice di pace di Roma il 2 dicembre 2015 ed ha perciò rigettato l’opposizione del condomino YYYYY al decreto ingiuntivo pronunciato il 13 ottobre 2014 dal Giudice di pace su domanda del 19 settembre 2013, avente ad oggetto la riscossione di contributi condominiali inerenti ai lavori di adeguamento dell’autorimessa A, di cui al riparto approvato con delibera assembleare del 13 settembre 2012.

Il Giudice di pace aveva dichiarato la propria incompetenza per valore e dichiarato la nullità del decreto ingiuntivo opposto, ed aveva altresì rilevato la irritualità della procura conferita dal Condominio, essendo solo dichiarata, ma non provata, la qualità del soggetto munito di potere rappresentativo.

L’appello è stato accolto dal Tribunale di Roma dopo aver superato plurime questioni pregiudiziali, in particolare, per quanto qui rilevi: a) affermando la legittimazione attiva del Condominio XXXXX, costituente un supercondominio (e non dunque del solo “fabbricato Omissis”, come sostenuto dal YYYYY); b) negando che si dovesse procedere alla riassunzione ex art. 50 c.p.c., piuttosto che all’appello, avendo deciso la sentenza del Giudice di pace non solo sulla competenza, ma anche sulla rappresentanza del Condominio; c) accertando che la domanda monitoria aveva il valore  di € 2.476,66 e perciò rientrava nella competenza dell’adito giudice di pace; d) evidenziando che il mandato per il ricorso monitorio depositato il 13 settembre 2013 era stato sottoscritto dall’amministratore pro tempore Omissis, non rilevando ai fini dell’instaurato rapporto processuale che il medesimo Ricciardi fosse poi stato revocato dall’assemblea il 23 giugno 2014 e sostituito dal nuovo amministratore Omissis.

4.           Il controricorrente antepone una eccezione di inammissibilità del ricorso “per violazione dei principi di autosufficienza e di specificità”. L’eccezione, per come formulata, non può essere accolta, in quanto  l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c. deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonché l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 16887 del 2013).

Non di meno, deve riconoscersi che i motivi di ricorso si risolvono in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili di fatto, ed invocano un generico rinnovato esame delle risultanze di causa. 

Il Collegio può dare risposta alle critiche contenute nei motivi di ricorso nei limiti in cui appaia quanto meno soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione delle relative ragioni e le censure consentano di individuare il vizio dedotto e la norma o il principio di diritto che si assume violato, in maniera da sussumere le stesse in una delle categorie logiche contemplate dall’art. 360 c.p.c.

5.           Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 75, 77, 81, 99, 100, 101, 112, 132, 157, 159, 643 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 e 24 Cost., 1129, 1130, 1131 e 2697 c.c., il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

La censura attiene alla perdita di efficacia della procura conferita il 13 settembre 2013 agli avvocati Omissis dall’amministratore Omissis, una volta che quest’ultimo era stato sostituito dal nuovo amministratore Omissis il 23 giugno 2014. 

5.1.        Il primo motivo di ricorso è carente sotto il profilo della specificità, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. Con esso il ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., indicando diciotto norme di legge di cui lamenta la violazione, senza tuttavia esaminarne il rispettivo contenuto precettivo e raffrontarlo mediante specifiche argomentazioni con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, evidenziandone il contrasto con l’interpretazione che di tali disposizioni fornisce la giurisprudenza o la dottrina (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 23745 del 2020).

5.2.        Non ricorre la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la stessa contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, come d’altro canto conferma la contestuale proposizione di molteplici denunce della violazione di norme di diritto sostanziale, le quali presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame le questioni oggetto di doglianza e le abbia risolte in modo giuridicamente non corretto.

5.3.        Il Tribunale di Roma ha comunque deciso la questione di diritto in oggetto in modo conforme all’orientamento di questa Corte e il motivo non offre elementi per mutare tale consolidata interpretazione giurisprudenziale. 

La procura al difensore rilasciata a margine o in calce al ricorso per decreto ingiuntivo abilita lo stesso al patrocinio non solo nella fase monitoria, ma anche all’eventuale giudizio di opposizione. Ove tale procura sia conferita da un condominio, il mutamento della persona dell’amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, operando quest’ultimo, nell’interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio (Cass. n. 27302 del 2020).

Inoltre, il provvedimento giudiziale o la deliberazione assembleare di revoca dell’amministratore del condominio non travolge gli atti compiuti anteriormente dall’amministratore rimosso dall’incarico, i quali non sono viziati da alcuna automatica invalidità, continuando piuttosto a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (arg. da Cass. n. 454 del 2017).

6.           Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., per la irritualità e la intempestività della riassunzione operata dal Condominio XXXXX dopo la declinatoria di competenza pronunciata dal Giudice di pace.

6.1.        Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denota una carenza di specifica riferibilità alla sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.

Nel caso in esame, a fronte della dichiarazione di incompetenza e del rilievo di carenza di prova del rappresentante del Condominio XXXXX compiuti dal Giudice di pace, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, lo stesso Condominio non ha proceduto a riassumere il giudizio dinanzi al giudice indicato come competente, prestando acquiescenza alla declaratoria di incompetenza, ma ha impugnato con appello la relativa decisione.

Il Tribunale, avendo reputato fondata la censura relativa alla declinatoria di competenza del giudice di pace, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, ha così dichiarato erronea la declinatoria di competenza e correttamente deciso sul merito quale giudice d’appello (Cass. n. 33456 del 2019; n. 13623 del 2015; n. 6520 del 2007).

7.           Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1136, 1137, 1138, 1120, 1421, 1423 c.c. La tesi è: era nulla la delibera del 12 gennaio 2012 e “ogni altra delibera ad essa connessa” (…); “si è costituito in giudizio … il complesso edilizio Omissis 14/16/28, ancorché privo di legittimazione attiva e di carenza ad agire, essendo completamente estraneo al condominio autonomo Azalea 14 e al locale autorimessa”. Si contesta la composizione dell’assemblea del 12 gennaio 2012 che ha approvato i lavori e le relative spese.

7.1.        Anche questo motivo è privo di specificità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. 

Il Tribunale di Roma ha evidenziato che le deliberazioni con cui erano stati approvati i lavori e ripartite le spese, e sulle quali è fondato il decreto ingiuntivo opposto nel presente giudizio, erano riferibili al Condominio XXXXX.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass.  n. 1366 del 2023;  n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).

Spetta, comunque all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di cassazione, se non nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., verificare l’appartenenza di un bene ad uno soltanto o a tutti gli edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale (Cass. n. 2623 del 2021).

È comunque tautologica, giacché priva di effettivo valore informativo, l’affermazione del ricorrente secondo cui il locale autorimessa è parte comune del “condominio autonomo Omissise non del superCondominio XXXXX.

Inoltre, l’allegazione che le delibere di approvazione e riparto delle spese inerenti all’autorimessa fossero state adottate con erroneo calcolo delle maggioranze serve a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, e, alla stregua dei principi enunciati dalla sentenza n. 9839 del 2021 delle Sezioni Unite, tale vizio non poteva essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente inammissibilità delle censure rivolte dal ricorrente.

8.           Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 88, 91, 94, 96 c.p.c., 1394, 1398, 2043 e 2049 c.c., nonché di “ogni altra norma applicabile”. Si lamenta la temerarietà dell’azione proposta da Marco Riccardi in nome e per conto del complesso Omissis e della difesa assunta dagli avvocati Omissis, “senza possedere la qualità di amministratore” il primo e senza valida procura alle liti i secondi e si fa rinvio alle “gravi e false informazioni” contenute nella comparsa di risposta del 28 dicembre 2014.

8.1. Anche questa censura è inammissibile.

Essa sembra fondarsi sull’art. 94 c.p.c., il quale configura una responsabilità processuale dei rappresentanti e prevede la loro condanna, eventualmente in solido con la parte rappresentata, nei confronti dell’avversario vincitore. L’esame delle precedenti censure ha tuttavia conclamato la integrale soccombenza di YYYYY.

9.           Nella memoria depositata in data 26 maggio 2023, il ricorrente lamenta altresì l’omessa pronuncia sulla eccezione relativa alla “violazione della legge 02/02/1974, n. 64 – provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”. 

Si tratta, però, di questione non compresa tra i motivi enunciati nel ricorso e la memoria di cui all’art. 380-bis.1, c.p.c., al pari di quella prevista dall’art. 378 c.p.c., ha la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici delle censure già esposte nel medesimo ricorso ritualmente proposto, col quale si “consuma” il diritto di  impugnazione, non potendosi perciò veicolare tramite la memoria “motivi aggiunti”, né integrare quelli originari.

10. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza in favore del controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA 20977/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Supercondominio – Contratto per la manutenzione di impianto termico di supercondominio — Terzo responsabile ex art. 31 legge n. 10 del 1991 ─ Risoluzione e risarcimento danni per inadempimento – Certificato Prevenzione Incendi

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da

Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis);

– ricorrente –

contro

YYYYY, rappresentata e difesa dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis  (Omissis p.e.c.: Omissis);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2023 dal Consigliere Omissis.

CONSIDERATO CHE:

Con sentenza n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019, la Corte d’appello di Genova ha confermato, con aggravio di spese, la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dal Condominio XXXXX nei confronti della YYYYY, diretta a ottenere la risoluzione del contratto di fornitura e somministrazione di calore e acqua calda, per inadempimento della convenuta, dedotto in ragione di ripetuti malfunzionamenti e disservizi, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni.

I passaggi salienti della complessa motivazione sono così schematizzabili.

I) Sintesi delle motivazioni della sentenza di primo grado:

i. la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale appellata avendo appellata avendo ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle infiltrazioni in esso presenti (tali da pregiudicare il funzionamento dell’impianto);

ii. tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per contratto solo alla manutenzione dell’impianto, e non a quella del locale; né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta esecuzione dell’impianto, riferibile solo al momento dell’installazione,

iii. l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza del locale era stata segnalata da parte convenuta all’amministratore di alata da parte convenuta all’amministratore di condominio, oralmente, anche prima della lettera dell’11 dicembre 2012 condominio, (come da dichiarazioni dei testi Omissis);

iv. il malfunzionamento dell’impianto era stato determinato anche da interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini, con particolare riferimento alla modifica del camino e della canna fumaria (teste Omissis), nonché alle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio (testi Omissis) avendo i testi Omissis confermato che alcuni episodi di malfunzionamento hanno interessato proprio solo i piani alti

v. è dimostrato che lo spegnimento della caldaia è stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (cfr. testi Omissis);

vi. è provato altresì che parte convenuta ha garantito tempestivi interventi a seguito di ogni segnalazione (testi Omissis)

II) Esame e valutazione dei motivi dell’appello:

i. a fronte di tale analitica motivazione, l’appellante si limita a riproporre apoditticamente le difese già svolte in primo grado; in particolare, in primo luogo, non svolge una specifica censura in ordine all’individuazione delle cause del malfunzionamento dell’impianto;

ii. cerca solamente di indurre in equivoco sull’effettivo contenuto delle pattuizioni contrattuali, ma l’assunzione della prestazione relativa al rifacimento della centrale termica, ivi comprese le opere edili all’uopo necessarie, non può certo implicare l’assunzione del diverso e ulteriore impegno di manutenzione ordinaria e straordinaria del locale caldaia di proprietà del condominio, in modo da prevenire le infiltrazioni di acqua e porre rimedio alle medesime

iii. anche in relazione all’asserita omessa segnalazione dell’originaria inidoneità dei locali, l’appellante non censura in modo specifico la sentenza appellata laddove viene chiaramente indicato che l’attestazione di idoneità del locale poteva riguardare solo il momento in cui venne rilasciata, e non aveva nulla a che fare con inconvenienti verificatisi successivamente, quali appunto le infiltrazioni derivanti da carente manutenzione, cui era tenuto il proprietario

iv. ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione delle cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis, tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta

v. un corretto esame delle deposizioni dei testi Omissis presenti infiltrazioni come quelle che in seguito hanno provocato il malfunzionamento dell’impianto, anche considerato che, in caso contrario, non avrebbe mai potuto essere richiesto, né tanto meno rilasciato il nulla osta dei Vigili del Fuoco

vi. quanto alla concorrente causa rappresentata, secondo il primo Giudice, dalle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio, l’appellante, anziché censura re in modo specifico la sentenza appellata, ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione

vii. il rilievo secondo cui non sarebbe stata consegnata da YYYYY tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, indispensabile per l’esercizio della caldaia in conformità alla legge, è smentito dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’ amministratore del condominio nella compilazione della relativa domanda, come risulta dalla dichiarazione del teste Omissis. In ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di sua competenza , tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA (v. ancora deposizione teste Omissis).

Avverso tale sentenza il Condominio XXXXX propone ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resiste la YYYYY depositando controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RILEVATO CHE:

1. I motivi di impugnazione sono così ivi sintetizzati alle pagg. 2 e 3 del ricorso:

«MOTIVO I (pag. 10): violazione dell’art. 360, comma primo, nn. 1 e 5, cod. proc. civ. per violazione di legge in relazione alla L. n. 10 del 1991, art. 31, comma 2 e del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 1, comma 1, lett. o) e per non aver deciso sulla responsabilità relativa alla qualifica di terzo responsabile assunta contrattualmente dalla YYYYY nel rispetto della normativa vigente.

«MOTIVO II (pag. 30): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c. per avere il giudice d’appello disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali ovvero la confessione della controparte contenuta nella lettera datata 11/12/2012.

«MOTIVO III (pag. 31): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per nullità del procedimento per la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 2697 e 2735 cod. civ., per avere la Corte d’appello trascurato di valutare una prova legale acquisita al giudizio e costituita dalla dichiarazione dell’11/12/2012, avente valenza di confessione stragiudiziale e tale, per effetto probatorio suo proprio, di dare piena dimostrazione dell’inadempimento contrattuale.

«MOTIVO IV (pag. 33): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti, consistente nella ritardata consegna da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e della mancata consegna dello stesso (mai prodotto in atti da controparte) e ciò in violazione dell’art. 1453 cod. civ. in ordine alla configurazione dell’inadempimento e all’art. 2967 c.c. circa l’onere della prova dello stesso.

«MOTIVO V (pag. 38): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per travisamento di fatti, per aver attribuito alle dichiarazioni dei testi un valore differente da quello che emerge dagli atti.

«MOTIVO VI (pag. 46): ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 comma 2 cod. proc. civ., avuto riguardo alla dichiarata sussistenza di un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza stessa in punto disciplina delle spese giudiziali;

«MOTIVO VII (pag. 49): con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per aver disposto la condanna al pagamento di spese per attività mai espletate e già ritenute in motivazione non dovute».

2. Il primo motivo è in parte infondato, in altra parte inammissibile.

2.1. Dalla prolissa illustrazione ─ nella quale, va detto, non trova spiegazione l’eccentrico riferimento in rubrica alle tipologie di vizio di cui all’art. 360, nn. 1 e 5, senza che tuttavia ciò impedisca, come si vedrà, di comprendere l’ubi consistam delle censure (v. Cass. 24/07/2013, n. 17931) ─ si traggono anzitutto le seguenti premesse, svolte attraverso la testuale citazione, osservante dei requisiti di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ., di interi lunghi brani di documenti ed atti dei giudizi di merito (pagg. 10-24 del ricorso):

─ il contratto intercorso tra le parti prevedeva alla lettera f), e indirettamente anche all’art. 2 lett. L, l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo Responsabile della centrale termica;

─ tale circostanza era stata richiamata: a) dalla stessa convenuta, odierna controricorrente, nella sua comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado; b) dal condominio nell’atto di appello, nel quale in particolare si evidenziava che per tal motivo la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione;

─ su di essa l’appellata aveva preso posizione anche nel giudizio di secondo grado, contestando che gli obblighi connessi all’assunzione di tale ruolo fossero stati disattesi, assumendo, da un lato, che dalle competenze del terzo responsabile esulano compiti di manutenzione del locale caldaia e che nessun obbligo di comunicazione scritta in merito alla necessità di lavori di manutenzione di tale locale era posto a carico del Terzo responsabile (tale obbligo sussistendo solo in merito ai lavori di straordinaria manutenzione dell’impianto), dall’altro, che essa aveva comunque provveduto tuttavia a segnalare tempestivamente e ripetutamente all’amministratore del Condominio XXXXX la presenza di infiltrazioni di acqua piovana all’interno del locale caldaia e la necessità di provvedere alla impermeabilizzazione del predetto locale.

2.2. Poste tali premesse, l’illustrazione del motivo prosegue (pagg. 24 – 30) con la prospettazione dei veri e propri argomenti di critica, che possono sintetizzarsi nelle seguenti proposizioni:

─ erroneamente la Corte d’appello ha avvalorato la ricostruzione offerta dalla parte appellata;

─ essa inoltre ha omesso di motivare, pur dandone atto, sui motivi di doglianza con i quali si era dedotto che era obbligo della YYYYY attendere a «controllo e attuazione di tutto quanto necessario per il raggiungimento dello scopo contrattuale sopra richiamato» e che era anche a carico della YYYYY la revisione dell’impianto elettrico, ciò implicando che «se vi fossero state delle anomalie sul muro parte appellata avrebbe dovuto rendersene conto nel corso dei lavori e degli interventi eseguiti»;

─ la Corte è incorsa in violazione di legge per non aver correttamente qualificato la figura del Terzo Responsabile in capo alla YYYYY, non motivando sull’omessa prova di informazione da parte della YYYYY al condominio;

─ la sentenza impugnata postula una ricostruzione degli obblighi del Terzo responsabile contrastante con quella operata dall’arresto di Cass. n. 13966 del 23/05/2019 e, in particolare, con il principio, ivi affermato, secondo cui «solo le dimissioni dall’incarico, previa formale diffida al proprietario delegante, potevano comportare l’esonero del terzo dalle responsabilità derivanti dall’assunzione di tale veste, non potendo invece bastare né la generica consapevolezza altrimenti acquisita dal proprietario delegante circa eventuali inadeguatezze dell’impianto, né comunicazioni da parte del terzo responsabile cui non abbiano fatto seguito iniziative formali dirette a incidere sul rapporto e sulle connesse responsabilità».

Sostiene in definitiva il ricorrente che, applicando tale principio di diritto, «il numero rilevante degli episodi di malfunzionamento e la loro reiterazione, …, prova … l’inadempimento in cui è incorsa YYYYY perché avendo assunto la … qualifica di Terzo Responsabile, ad ogni disservizio avrebbe dovuto … – cosa mai occorsa – informare il Condominio del problema che aveva determinato il blocco (vuoi allagamento vuoi l’infiltrazione o altro), e avrebbe altresì dovuto – cosa che non ha fatto – indicare la o le tipologie di interventi che riteneva necessari per risolvere il problema e ripristinare l’efficienza dell’impianto; di conseguenza, poi, se il Terzo Responsabile si fosse trovato davanti al mancato riscontro o alla non adesione del Condominio alle sue indicazioni o ordini, avrebbe dovuto diffidare il Condominio ad adempiere o ad intervenire per assicurare, appunto, quegli interventi ritenuti dallo stesso necessari, a spese e costi del delegante. Infine, ed ancora, in caso di inerzia del Condominio debitamente interessato e informato per iscritto e con il rispetto dei requisiti richiesti ex lege nelle comunicazioni del Terzo Responsabile, come da previsione normativa, avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni e avviare quelle procedure necessarie ad intervenire sul contratto, risolvendolo».

2.3. Si ricavano, dunque, da tale illustrazione del motivo, due censure: una prima di omessa motivazione su motivi di gravame (v. supra, par. 2.2., secondo alinea); una seconda di violazione di legge per avere erroneamente operato la ricognizione delle norme in tema di Terzo responsabile di impianto, in particolare con riferimento agli oneri di informazione su di esso gravante e sulle conseguenze della mancata ottemperanza agli ordini di intervento dallo stesso impartititi (v. supra, par. 2.2., terzo e quarto alinea)

2.4. La prima di dette censure è manifestamente infondata.

La Corte d’appello ha compiutamente esaminato il secondo motivo di gravame, riportando analiticamente tutti gli argomenti di critica al suo interno dedotti tra cui anche quelli cui è riferita la doglianza (v. sentenza pag. 3).

Il suo rigetto, motivato dal rilievo che competeva alla YYYYY solo la manutenzione dell’impianto, e non anche quella del locale, e dalla ulteriore considerazione che la detta società aveva segnalato l’inadeguatezza dell’impianto, ha con ciò evidentemente espresso, per implicito, anche un giudizio di infondatezza degli argomenti di critica in questione.

Deve al riguardo ribadirsi che il vizio d’omessa pronuncia – configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto, o il suo assorbimento in altre statuizioni. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass. n. 1360 del 26/01/2016; n. 9244 del 18/04/2007; n. 4079 del 25/02/2005; n. 3403 del 20/02/2004).

2.5. La seconda censura è inammissibile.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).

In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.

Nella sentenza impugnata non c’è alcun passaggio nel quale venga affrontata la questione dei compiti del Terzo responsabile d’impianto, ragione per cui, a fortiori, inutilmente si andrebbero a perseguirvi affermazioni che evidenzino una erronea ricognizione delle norme che tale figura definiscono, regolandone i compiti, o una falsa applicazione delle stesse alla fattispecie concreta. Né, come detto, il ricorrente le individua.

2.6. Il silenzio sul punto avrebbe, dunque, semmai essere potuto ascritto a vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), se e in quanto ne ricorressero i presupposti.

Un tale vizio non è, però, dedotto e non sembra ricavabile da una lettura sostanzialistica del motivo.

2.7. In tale prospettiva mette conto comunque osservare che:

─ dalla stessa analitica rassegna degli atti del processo e della relativa cronologia si ricava che, nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado, a fondamento della domanda di risoluzione e di risarcimento del danno non era stato posto il fatto che, all’interno del contratto de quo, vi fosse pure l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo responsabile di impianto;

─ la circostanza era stata piuttosto incidentalmente affermata dalla convenuta nella comparsa di costituzione;

─ non risulta essere stata poi dedotta, sia pure tardivamente, nel corso del giudizio di primo grado, né in sede di precisazione delle conclusioni;

— essa era stata poi ripresa dal condominio nell’atto di appello nel quale, come detto, per la prima volta si evidenziava che, in ragione dell’assunzione di tale qualità, la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione.

È però del tutto evidente che tale allegazione forniva alla pretesa un nuovo e diverso fondamento (rispetto a quello inizialmente indicato con riferimento alle altre previsioni del contratto) ed andava dunque a introdurre nel giudizio una domanda nuova.

Per tal motivo la mancata considerazione del fatto in questione verrebbe a rappresentare comunque una omissione priva di decisività, trattandosi di fatto estraneo al perimetro della controversia quale definito dalla domanda introduttiva.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

In relazione alla confessione contenuta sulla premessa che la lettera dell’11 dicembre 2012 (quella con la quale per la prima volta per iscritto era stata segnalata da YYYYY al condominio l’inadeguatezza dei locali) conteneva anche una dichiarazione confessoria, si sostiene che, in mancanza di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione, alla stessa doveva riconoscersi valore di prova legale in merito alla provenienza della dichiarazione e in quanto tale non è soggetta alla libera valutazione del giudice secondo il suo prudente apprezzamento.

Ciò posto si deduce che il giudice di merito è incorso nella violazione delle norme evocate in rubrica per aver posto a base della decisione prove valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, disattendendo così delle prove legali, e per converso per avere considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

La censura, come detto, è inammissibile, dal momento che, anche in tal caso, non è individuata dal ricorrente, né comunque è dato ricavare dalla lettura della sentenza, alcuna affermazione che evidenzi la violazione delle norme sostanziali e processuali evocate in rubrica, non vedendosi dove la Corte abbia escluso l’autenticità della lettera dell’11 dicembre 2012 e dove e in che senso essa abbia ad essa attribuito un valore probatorio diverso da quello ad essa spettante.

È appena il caso di rimarcare al riguardo che:

— come ricorda lo stesso ricorrente, il valore di prova legale della scrittura privata discendente ex art. 2702 cod. civ. dal suo espresso o tacito riconoscimento da parte di colui contro la quale essa è prodotta, riguarda solo la provenienza della stessa da colui che l’ha sottoscritto, non certo il suo contenuto intrinseco;

— è rimessa al giudice di merito la indagine sul contenuto e sul significato della dichiarazione di volontà di una parte del processo, al fine di accertare se essa concreti o meno una confessione e se sussistano gli elementi della stessa (Cass. n. 1427 del 17/05/1974; n. 62 del 10/01/1972; n. 25 del 05/01/1972; n. 459 del 22/02/1971; n. 1218 del 20/04/1968) e tale valutazione è sottratta al sindacato del giudice di legittimità salvo che per errori giuridici o nella ricognizione fattuale, nei limiti in cui questi sono oggi deducibili ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.: errori nella specie nemmeno dedotti.

4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

Ancora in relazione al contenuto della lettera di YYYYY dell’11 dicembre 2012 se ne deduce, in subordine, il valore di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. e si ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la stessa può essere liberamente apprezzata dal Giudice di merito a cui compete stabilire la portata della dichiarazione stessa rispetto al diritto fatto valere in giudizio e tale valutazione è sindacabile in cassazione solo se adeguatamente motivata.

Ciò premesso, si lamenta che nella specie sia mancata, nella sentenza impugnata, proprio tale adeguata motivazione.

Anche tale censura non supera, come detto, il preliminare vaglio di ammissibilità.

Come ricorda lo stesso ricorrente la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. n. 11898 del 18/06/2020; n. 25468 del 16/12/2010; n. 29316 del 15/12/2008).

Trattasi di valutazione prettamente di merito, al pari di quella operata con riferimento ad ogni altro elemento istruttorio.

Come tale è sottratta al sindacato di questa Corte se non per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..

Nella specie la censura si muove su di un piano certamente diverso, ossia proprio quello della valutazione del mezzo istruttorio e del significato e contenuto intrinseco della dichiarazione, nella vigente disciplina non più consentito a questa Corte.

5. Il quarto motivo è inammissibile.

5.1. Esso investe la sentenza nella parte in cui ha rigettato il settimo motivo di gravame relativo alla mancata consegna, da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi oltre che del certificato medesimo, sul rilievo che tale circostanza è smentita «dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’Amministratore del Condominio nella compilazione della relativa domanda».

Lamenta il ricorrente che, così motivando, la Corte d’appello «ha posto a fondamento del suo ragionamento non solo un documento che non esiste agli atti perché mai consegnato (il certificato di prevenzione incendi inerente il Condominio XXXXX e la nuova caldaia installata nel 2011), bensì un documento che è estraneo alle parti in causa e in quanto tale del tutto irrilevante».

Rileva, infatti, che il certificato di prevenzione incendi prodotto in atti da controparte è inerente al diverso condominio corrente in Omissis e si riferisce ad un diverso impianto e ad un’epoca diversa.

5.2. Il motivo, il quale deve più correttamente intendersi come volto a denunciare un vizio di «travisamento di prova», è ─ come si diceva ─ inammissibile.

Rimane, infatti, non censurata l’alternativa ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, espressiva di un giudizio di sostanziale irrilevanza dell’inadempimento di tale specifico obbligo, secondo cui «in ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di suo competenza, tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA».

È appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Cass. n. 2174 del 24/01/2023; n. 13880 del 06/07/2020; n. 14740 del 13/07/2005).

6. Il quinto motivo prospetta tre diverse censure.

6.1. La prima investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha osservato (pag. 4, penultimo capoverso), ad ulteriore giustificazione del rigetto del secondo motivo d’appello, che «ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione della cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta».

Si sostiene, in sintesi, sulla scorta di una trascrizione testuale delle deposizioni dei testi suindicati, che da queste sono tratte informazioni errate, dal momento che nessuno dei testi indicati ha fatto riferimento a date o ad anni.

6.2. Il motivo investe poi la parte della sentenza dove non sarebbe stato specificamente censurato l’accertamento, contenuto nella sentenza di primo grado, del fatto che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (teste Omissis).

Si rileva, al riguardo, che, in realtà, uno specifico motivo di gravame era contenuto alle pagg. 17-18 dell’atto di appello, con il quale si era dedotto che, in realtà, il teste Omissis, aveva escluso categoricamente che l’interruttore fosse stato posizionato in posizione di “OFF” dall’azione umana ed aveva piuttosto dichiarato che ciò fosse dipeso dallo scattare del differenziale per ragioni di sicurezza, e quindi da un’azione meccanica.

6.3. Il motivo, infine, considera un’ulteriore parte della sentenza (pagg. 6 -7) nella quale ─ a giustificazione del rigetto del quarto motivo di gravame (che iterava la tesi dell’inadempimento per non esservi prova delle infiltrazioni, né dell’incidenza causale della sopraelevazione) e poi del quinto motivo (che ancora insisteva nel rilievo della mancata corretta informazione sulle infiltrazioni e sui rimedi da adottare) ─ si osserva che:

─ non è censurata in modo specifico la motivazione della sentenza appellata (che ha ritenuto l’esistenza delle infiltrazioni di acqua quale causa dei malfunzionamenti), ma l’appellante si limita ad affermare apoditticamente che non vi sarebbe prova delle infiltrazioni;

─ non è censurato in modo specifico l’accertamento dell’incidenza causale sui malfunzionamenti di interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini (modifica del camino e della canna fumaria, con riferimento alla fioriera posta sulla canna fumaria; modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio); al riguardo, infatti, l’appellante ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione; e però, da un lato, la deposizione del teste Omissis (amministratore del Condominio) non dice nulla in ordine al momento in cui è stata eseguita la sopraelevazione rispetto all’installazione del nuovo impianto, dall’altro, per quanto esposto nella sentenza appellata, il malfunzionamento è ricollegato non tanto al fatto della sopraelevazione in se stesso, quanto alle modifiche del camino e della canna fumaria, nonché dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda;

─ le deposizioni dei testi Omissis dimostravano che il Condominio era consapevole del problema delle infiltrazioni e che tuttavia non vi ha posto rimedio.

Tale parte della motivazione è censurata attribuendo una non corretta lettura delle deposizioni testimoniali richiamate.

7. Nello scrutinio del motivo occorre dunque separatamente considerare le tre distinte censure.

7.1. La prima di esse è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. poiché non coglie l’effettiva ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, che rimane quindi non censurata: ratio rappresentata dal rilievo della aspecificità della censura e, quindi, della sua inammissibilità ex art. 342 cod. proc. civ..

7.2. Analoghe considerazioni valgono per la seconda censura.

Anche in tal caso il ricorrente non coglie l’effettiva ratio decidendi addotta in sentenza.

Questa, invero, come si ricava dalla necessaria lettura contestuale dell’intero primo paragrafo di pag. 4, ha posto ad oggetto della propria disamina, da un lato, una considerazione unitaria e complessiva dei vari e articolati rilievi svolti dal primo giudice e, dall’altro, una considerazione altrettanto unitaria degli argomenti ad essi contrapposti dall’appellante.

In tale contesto, con il rilievo della aspecificità delle censure proposte in ordine alla individuazione delle cause del malfunzionamento il giudice d’appello non intende affatto dire che sullo specifico assunto (nella sentenza del Tribunale) che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica non vi fosse un contrapposto specifico rilievo critico, quanto piuttosto che si trattava di questione del tutto priva di rilievo dal momento che restava non specificamente censurata l’altra assorbente ratio decidendi data dal collegamento causale del malfunzionamento alle infiltrazioni presenti nel locale caldaia e agli altri detti interventi del condominio o di singoli condomini.

7.3. Anche la terza censura, infine, si appalesa inammissibile.

Lo è anzitutto con riferimento alle motivazioni poste a fondamento del rigetto del quarto motivo di appello, rappresentate dal rilievo della aspecificità delle censure, delle quali il ricorrente sostanzialmente si disinteressa, non facendole segno di pertinenti critiche.

Ma lo è anche con riferimento alla motivazione addotta a fondamento del rigetto del quinto motivo di appello.

In tale parte il motivo evoca una ipotesi censoria (quella di «travisamento della prova»), in astratto, bensì presente nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la identifica tuttavia nell’errore di «percezione» della «informazione probatoria» (ricadente sul contenuto oggettivo della prova demonstratum denunciabile quale error in procedendo , per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.: v., ex aliis , Cass. 12/04/2017, n. 9356 e, da ultimo, Cass. 26/04/2022, n. 12971; 03/05/2022, n. 13918; 06/09/2022, n. 26209; 21/12/2022, n. 37382), tenendo ben fermo che «travisamento delle prove» è nozione distinta da quella di «valutazione delle prove».

Per la sua definizione può farsi riferimento alla giurisprudenza sull’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., la quale ha chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio.

È errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova.

Il travisamento concerne il livello percettivo che precede la valutazione. Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico o dei segni grafici nella loro materialità, si aprono le diverse opzioni valutative.

Proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento di prove ( error in procedendo per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.) solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice.

Il criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore è quello stesso dettato dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per la definizione di errore di fatto percettivo (deve cioè trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come è stato detto, del travisamento di un «dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi» ed inoltre «decisivo»), distinguendosi da questo solo perché inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio.

Orbene, nella specie un siffatto vizio è, come detto, inammissibilmente evocato in ricorso.

È evidente, infatti, che quel che in questa sede viene denunciato non è un errore percettivo ma, ben diversamente, un supposto errore di interpretazione delle dichiarazioni testimoniali ovvero, in sostanza, di valutazione della prova

Deve dunque anche escludersi che, sullo scrutinio della censura, possa interferire la questione da ultimo rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con ordinanze interlocutorie della Sezione Lavoro n. 8895 del 29/03/2023 e di questa Sezione n. 11111 del 27/04/2023, in quanto oggetto di contrasto all’interno della giurisprudenza di questa Corte, circa l’ammissibilità, nel vigente ordinamento processuale civile, del c.d. vizio di travisamento di prova nei termini sopra indicati.

8. Il sesto motivo è fondato.

Come invero rilevato dal ricorrente, vi è nella sentenza impugnata, in punto di spese processuali, una insanabile contraddizione tra la motivazione (nella quale così testualmente si afferma: «Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. devono pertanto essere poste a carico della parte appellante le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo in favore della parte appellata, ritenendo, quanto alla misura della liquidazione, che, avuto riguardo ai parametri generali di cui all’art. 4 DM 55/2014, sì possano applicare i valori medi dello scaglione di pertinenza della lite, di cui alle tabelle allegate al decreto medesimo, soprattutto in considerazione del livello di difficoltà della controversia e del grado di complessità delle questioni giuridiche affrontate, nonché del valore dell’affare; nulla è dovuto con riguardo alla fase istruttoria e/o di trattazione, considerando che la fase istruttoria non ha avuto svolgimento e che la fase di trattazione si è immediatamente esaurita con la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni») e il dispositivo (ove invece si statuisce: «Condanna parte appellante a rifondere le spese del presente grado di giudizio liquidate in € 9.515,00 per il compenso relativo alle fasi di studio, introduzione, trattazione e/o istruzione e decisione della causa ex DM 55/14, oltre accessori di legge (IVA, CPA, rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso) in favore della parte appellata»).

Tale contraddizione è irriducibile e non è possibile nemmeno ascriverla a mero errore materiale, in particolare ostando la mancata indicazione del valore della causa. L’importo liquidato di € 9.515,00 corrisponde, infatti, a quello medio liquidabile, sia considerando la fase di trattazione e istruzione per cause di valore compreso tra € 26.001 ed € 52.000, sia non considerando la detta fase ma per cause di valore compreso nello scaglione superiore (da € 52.001 ad € 260.000).

Se la Corte avesse indicato il valore considerato come compreso in detto ultimo scaglione, non avrebbe potuto dubitarsi che la liquidazione, in quanto dichiaratamente parametrata a valori medi, corrispondeva di fatto al criterio indicato in motivazione ed avrebbe pertanto ascriversi il contraddittorio inciso contenuto nel dispositivo a mero ininfluente errore materiale.

In mancanza di quella indicazione tale lettura non è però consentita e il contrasto tra motivazione e dispositivo rimane insanabile, determinando la nullità della sentenza, in parte qua, ai sensi dell’art. 156, comma secondo, cod. proc. civ.

Va in proposito ribadito che il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza non può essere eliminato con il rimedio della correzione dell’errore materiale poiché, non consentendo di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, determina la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 37079 del 19/12/2022; n. 5939 del 12/03/2018; n. 29490 del 17/12/2008).

9. Il settimo motivo resta conseguentemente assorbito.

10. In accoglimento, dunque, del solo sesto motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa rinviata al giudice a quo, in diversa sezione e diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

accoglie il sesto motivo di ricorso; rigetta il primo;

dichiara assorbito

il settimo motivo e inammissibili i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, anche per le spese.

Così deciso in Roma,

a seguito di riconvocazione, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2023