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CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 12795/2023 DEL 11 MAGGIO 2023

Art. 1127 c.c. – Sopraelevazione – Nuove costruzioni – Regolamento condominiale contrattuale – Decoro architettonico 

La realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio Va disciplinata alla stregua dell’art. 1127 c.c.
Ai fini dell’art. 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale è, infatti, costituita dalla realizzazione di nuove costruzioni nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche (Cass. 24 gennaio 1983 n. 680; Cass. 10 giugno 1997 n. 5164; Cass. 24 ottobre 1998 n. 10568; Cass. 7 settembre 2009 n. 19281; Cass. 15 giugno 2020 n. 11490). Nella definizione enunciata dal massimo consesso di questa Corte (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2007 n. 16794), la nozione di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. comprende, peraltro, non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato.
Non vi è sopraelevazione, viceversa, agli effetti dell’applicabilità della richiamata disposizione, in ipotesi di modificazione solo interna ad un sottotetto, contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura.
La pronuncia si pone in evidente contrasto con l’orientamento costante di questa Corte e con il chiaro disposto dell’art. 1127, comma secondo e terzo c.c., secondo cui la sopraelevazione non è ammessa, non solo se le condizioni statiche dell’edificio non la permettono, ma anche se risulti lesiva dell’aspetto architettonico dell’edificio ovvero risulti necessaria l’autorizzazione dei condomini.
Il Giudice distrettuale non poteva considerare legittima la costruzione senza – di fatto – valutarne oltre all’impatto sull’aspetto architettonico dell’edificio in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile (Cass. n. 17350 del 2016; Cass. n. 10048 del 2013; Cass. n. 2865 del 2008), anche alla luce delle previsioni del regolamento condominiale di natura contrattuale, eventualmente più restrittive (Cass. n. 7398 del 1986; più di recente: Cass. n. 14898 del 2013; Cass. n. 1748 del 2013; Cass. 10848 del 2019).
E’ costante l’orientamento di questa Corte (in termini, Cass., Sez. Un., n. 10934 del 2019) secondo cui un regolamento di condominio cosiddetto “contrattuale”, ove abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria “facies” architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero “decoro architettonico” dagli artt. 1120 comma 2 (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), e 1138, comma 1 c.c., con la conseguenza che la realizzazione di opere esterne integra di per sé una modificazione non consentita dell’originario assetto architettonico, che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione.


S E N T E N Z A

sul ricorso Omissis proposto da:
Condominio XXXXX, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avvocato Omissis del foro di Foggia ed elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
YYYYY, rappresentati e difesi dall’avvocato Omissis del foro di Omissis, come da procura speciale in calce al controricorrente, ed elettivamente domiciliati agli indirizzi PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 477/2018 della Corte di appello di Bari, pubblicata il 15 marzo 2018 e notificata in pari data;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7 dicembre 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Omissis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Omissis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito l’avvocato Omissis, per parte ricorrente e l’avvocato Omissis, per parte resistente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22 ottobre 2007 il Condominio XXXXX, sito in Omissis evocava – dinanzi
al Tribunale di Foggia – YYYYY nella qualità di comproprietarie, per parti ben definite, di appartamento posto al piano attico dello stabile, chiedendone la condanna alla rimozione di una veranda realizzata nella loro abitazione in violazione degli artt. 1127 e 1120, comma 2 c.c., nonché del regolamento condominiale e dello stesso atto di acquisto del bene. Esponeva il Condominio che la YYYYY aveva chiesto ed ottenuto, con delibera del 20.09.2000, dall’assemblea condominiale autorizzazione alla installazione di una pensilina a parziale copertura del proprio terrazzo a livello;
che successivamente la medesima condomina aveva provveduto al frazionamento dell’appartamento ricavandone due unità immobiliari, una delle quali era stata ceduta alla figlia, Omissis, e che in seguito le convenute avevano tamponato la pensilina in questione realizzando una veranda, con struttura in vetro e muratura, e con copertura non più in lamiera grecata (come autorizzata dall’assemblea condominiale) ma in polistrato, in tal modo aumentando il volume abitabile.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della YYYYY, le quali in via subordinata chiedevano condannarsi il Condominio al risarcimento dei danni subiti a causa dell’ingiustificata pretesa attorea, il giudice adito, con sentenza n. 610 del 2013, svolta dal Condominio ulteriore domanda in via subordinata di condanna delle convenute al pagamento di un indennizzo per la sopraelevazione realizzata, istruita la causa con c.t.u., rigettava la domanda attorea principale e dichiarava inammissibile quella subordinata, regolava le spese di lite in conseguenza.
In virtù di rituale impugnazione interposta dal Condominio, la Corte di appello di Bari, nella resistenza delle appellate, rigettava l’appello e per l’effetto confermava la decisione gravata.
A sostegno della decisione adottata il giudice dell’impugnazione rilevava che il manufatto oggetto di causa sebbene fosse stato realizzato dalle appellate in difformità di quello assentito dall’assemblea condominiale, non alterava in alcun modo l’aspetto architettonico ed il decoro dell’edificio, come emergeva chiaramente dall’accertamento tecnico e dalle foto allegate.
Infatti, pur vero che il manufatto era visibile dalla parte posteriore rispetto al prospetto del Condominio, tuttavia era evidente che sarebbe stato altrettanto visibile e con analogo ingombro qualora fosse stato realizzato con una diversa copertura o non fosse stata chiusa a vetri.
Condivideva, pertanto, la decisione del giudice di prime cure che aveva ritenuto che il manufatto non pregiudicasse l’aspetto esteriore dell’edificio condominiale, inserendosi i materiali utilizzati perfettamente nell’architettura dell’edificio. Né sussisteva la paventata situazione di pericolo per avere il c.t.u. accertato, attraverso l’espletamento di prove di carico, che “la verifica di tipo statico dei carichi ammissibili sul solaio” rientrava nei parametri di ammissibilità, non condivisibili le contestazioni della parte appellante al riguardo, circa la normativa sulla sicurezza sismica, che oltre ad essere inammissibili perché non formulate in sede di note critiche alla c.t.u., erano state correttamente superate dall’ausiliario del giudice proprio alla luce delle verifiche tecniche effettuate.
Infine il manufatto non incideva in alcun modo, per come realizzato, sull’aria e la luce dei piani sottostanti.
Condivideva, da ultimo, anche la pronuncia di inammissibilità della ulteriore domanda del Condominio (definita “riconvenzionale”) per tardività.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso l’originario attore, sulla base di cinque motivi, cui hanno resistito con controricorso le YYYYY.
Posto in discussione il ricorso per la decisione allo stato degli atti all’udienza pubblica del 7 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 23, comma 8 d.l. n. 137 del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020, in prossimità della quale è stata depositata dal sostituto procuratore generale, dott. Omissis, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso, parte ricorrente ha formulato istanza di discussione orale della controversia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per un’ordinata trattazione occorre esaminare preliminarmente le eccezioni di inammissibilità dedotte nel controricorso per violazione dei principi di autosufficienza e di specificità del ricorso, nonché dell’art. 366, comma 1 nn. 3 e 6 c.p.c.
Le eccezioni sono infondate. Come statuito da questa Corte, “il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.” (Cass., Sez. Un., n. 37552 del 2021). Si è anche precisato che non è causa di inammissibilità l’inserimento nel corpo del ricorso di copie fotostatiche o scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito, qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta (v. Cass., Sez. Un., n. 4324 del 2014).
Il ricorso in esame contiene una adeguata esposizione dei fatti di causa e delle questioni giuridiche sollevate nonché la trascrizione dei motivi di appello formulati avverso la decisione del giudice di prime cure; comprende, inoltre, ampie argomentazioni sui dedotti vizi di violazione delle norme specificamente invocate. Si sottrae pertanto alle censure mosse ai sensi del citato art. 366 c.p.c.
D’altra parte, anche il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., n. 8950 del 2022; v. anche Cass. n. 12481 del 2022); requisiti nella specie rispettati.
Venendo al merito, con il primo motivo il Condominio lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., degli artt. 112 e 324 c.p.c. ovvero per nullità della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di appello circa la violazione dell’art. 1127 c.c. in relazione al divieto posto dal titolo e all’accertamento con effetto di giudicato della sopraelevazione, oltre a vizio di motivazione (art. 111 Cost. e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.). Ad avviso del Condominio, in realtà la delibera condominiale del 20.09.2000 presa in esame era stata assunta, con tutte le riserve e con esclusione di qualche condomino, al solo fine di ovviare alle lamentate infiltrazioni di acqua piovana nelle giornate ventose, come evidenziato nella relazione tecnica allegata alla medesima quale parte integrante, tanto che consentì di realizzare “una pensilina amovibile, a parziale copertura del terrazzo a livello della YYYYY, in lamiera grecata zincata poggiante su una struttura in canne di ferro leggera”, in quanto essendo aperta e poggiante su modeste canne di ferro, senza opere strutturali di base e di tamponamento, non avrebbe inciso sull’architettura od estetica del fabbricato, o comunque avrebbe avuto un impatto lievissimo. Insiste il Condominio che il divieto di modificare in qualunque modo l’architettura dell’edificio o di effettuare opere aggiuntiva, previsto dall’art. 7 del regolamento condominiale, integrava di per sé un divieto di modificare l’originario assetto architettonico dell’edificio. Sicchè essendo vietata la sopraelevazione, il manufatto realizzato è da ritenersi illegittimo oltre i limiti autorizzati, in deroga a tale divieto (semplice tettoia), per cui anche la sola violazione della delibera giustifica la richiesta di riduzione in pristino.
Il motivo è fondato.
La realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio Va disciplinata alla stregua dell’art. 1127 c.c.
Ai fini dell’art. 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale è, infatti, costituita dalla realizzazione di nuove costruzioni nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche (Cass. 24 gennaio 1983 n. 680; Cass. 10 giugno 1997 n. 5164; Cass. 24 ottobre 1998 n. 10568; Cass. 7 settembre 2009 n. 19281; Cass. 15 giugno 2020 n. 11490). Nella definizione enunciata dal massimo consesso di questa Corte (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2007 n. 16794), la nozione di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. comprende, peraltro, non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato.
Non vi è sopraelevazione, viceversa, agli effetti dell’applicabilità della richiamata disposizione, in ipotesi di modificazione solo interna ad un sottotetto, contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura.

Tanto chiarito, la lettura della sentenza mostra che la Corte di merito ha escluso l’illegittimità della sopraelevazione, rilevando che la nuova costruzione era stata eretta sul lastrico di proprietà esclusiva delle resistenti, sostenendo inoltre che, in tale ipotesi, sebbene l’opera realizzata dalle condomine, costituita da una struttura chiusa, sostenuta da montanti in ferro e coperta con ‘lamiera zincata coibentata’ e chiusa ‘con una vetrata realizzata con dei profilati in alluminio con vetro camera del tipo con apertura scorrevole e rimovilibi’, non fosse conforme a quella autorizzata dal condominio con la deliberazione assembleare del 20.09.2000 (realizzazione di una tettoia in ‘materiale removibile, poggiante su una ‘struttura in canne di ferro leggere’ “al solo fine di ovviare alle lamentate infiltrazioni di acqua piovana nelle giornate ventose”), tuttavia non ha ritenuto di disporre la rimozione richiesta in quanto l’opera non altera l’aspetto architettonico ed il decoro dell’edificio, come si evinceva dalle fotografie allegate.
La pronuncia si pone in evidente contrasto con l’orientamento costante di questa Corte e con il chiaro disposto dell’art. 1127, comma secondo e terzo c.c., secondo cui la sopraelevazione non è ammessa, non solo se le condizioni statiche dell’edificio non la permettono, ma anche se risulti lesiva dell’aspetto architettonico dell’edificio ovvero risulti necessaria l’autorizzazione dei condomini.
Il Giudice distrettuale non poteva considerare legittima la costruzione senza – di fatto – valutarne oltre all’impatto sull’aspetto architettonico dell’edificio in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile (Cass. n. 17350 del 2016; Cass. n. 10048 del 2013; Cass. n. 2865 del 2008), anche alla luce delle previsioni del regolamento condominiale di natura contrattuale, eventualmente più restrittive (Cass. n. 7398 del 1986; più di recente: Cass. n. 14898 del 2013; Cass. n. 1748 del 2013; Cass. 10848 del 2019).
E’ costante l’orientamento di questa Corte (in termini, Cass., Sez. Un., n. 10934 del 2019) secondo cui un regolamento di condominio cosiddetto “contrattuale”, ove abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria “facies” architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero “decoro architettonico” dagli artt. 1120 comma 2 (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), e 1138, comma 1 c.c., con la conseguenza che la realizzazione di opere esterne integra di per sé una modificazione non consentita dell’originario assetto architettonico, che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione.

La Corte di appello non ha tuttavia compiuto alcun accertamento sul punto, omettendo di valutare se l’intervento delle condomine poteva ritenersi vietato alla luce della clausola contenuta nell’art. 9 del regolamento condominiale, di cui alla previsione dell’atto di acquisto del 19.09.1979. L’accertamento della Corte di appello non risulta quindi completo, avendo ignorato un profilo di fatto rilevante ai fini della decisione da prendere, puntualmente rappresentato dalla parte attrice, considerata peraltro la diversità sostanziale dell’opera realizzata (vano chiuso) rispetto a quella autorizzata con la delibera assembleare del 20.09.2000 costituita da una pensilina amovibile del tutto aperta.
Il motivo merita pertanto di essere accolto.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione – ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. – degli artt. 1127, comma 1 e 3 e 1120, comma 2 c.c. in relazione al divieto di alterazione dell’aspetto architettonico, di quello estetico e del decoro, imposto anche dal titolo di acquisto e dal regolamento contrattuale, oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., e vizio di motivazione in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per motivazione illogica o perplessa.
Con il terzo motivo il Condominio deduce la violazione degli artt. 1127, comma 2, 1120, 2727 – 2729 c.c., legge n. 64 del 1974 e D.M. 16.01.1996 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione degli artt. 111, comma 6 Cost. e 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4 per motivazione perplessa od illogica; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1127, comma 4 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché degli artt. 99 e 183 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; motivazione omessa od apparente in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. con riferimento al rigetto della domanda subordinata di indennità di sopraelevazione sul presupposto che fosse tardiva in quanto proposta alla prima udienza di trattazione, senza tenere conto che era conseguenza della riconvenzionale e delle eccezioni avversarie.
Con il quinto motivo il Condominio si duole della violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio ovvero motivazione perplessa od illogica in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
I restanti quattro motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, essendo rimesso al giudice di rinvio il compito di riesaminare le questioni sollevate, previo accertamento della legittimità della sopraelevazione.
Conclusivamente, il ricorso va accolto e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla stessa Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà al riesame della vicenda alla luce dei principi sopra illustrati.
In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 7 dicembre 2022.

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CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 12919/2023 DEL 11 MAGGIO 2023

Art. 1117 c.c. – Parti comuni 

Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, essendo la decisione impugnata conforme al principio che l’individuazione delle parti comuni, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. n. 24189/2021).


SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, nella qualità di procuratrice generale di YYYYY , elettivamente domiciliate in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che le rappresenta e difende unitamente all’avv. Omissis –
Ricorrente
BBBBB, elettivamente domiciliati in Omissis, presso lo studio legale associato Omissis, rappresentati e difesi dall’avv. Omissis
-controricorrenti – ricorrenti incidentali
CCCCC, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che la rappresenta e difende
-controricorrente
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende
-controricorrente
GGGGG 
-intimati 
avverso Sentenza della Corte d’appello di Roma n. 112/2016 depositata l’11/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2023 dal Consigliere Omissis;
viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale, il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale e l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale; 
uditi gli avv.ti. Omissis per i ricorrenti, Omissis per i ricorrenti incidentali, Omissis per il Condominio XXXXX e Omissis per CCCCC.


FATTI DI CAUSA


Con atto del 25 gennaio 1922, è stato venduto un casamento di nuova costruzione composto da tre distinti corpi di fabbrica in Omissis. La Banca Omissis ha acquistato i locali terreni aventi accesso da via Omissis unitamente ai locali interrati. L’appartamento identificato con il numero di interno Omissis nell’edificio di via Omissis fu acquistato da Omissis; l’appartamento interno 6 fu acquistato da Omissis. La Omissis acquistò le ulteriori porzioni immobiliari oggetto della vendita.
Fece seguito il disciplinare per l’uso e la conservazione degli spazi comuni dell’edificio di via Omissis, attribuiti ai soli proprietari di appartamenti; gli spazi comuni furono così identificati: a) locali al piano terreno destinati al portiere; b) il portico o andito di ingresso; c) i corridoi delle cantine, i locali ad uso bucatoio e il terrazzo di copertura, per la parte riservata a uso comune (la residua parte del terrazzo era assegnata ai tre condomini dell’edificio, quale accessorio dei rispettivi appartamenti).
Si può dare per acquisito che il posto della Omissis fu poi preso dai componenti della famiglia GGGGG (d’ora in poi identificati come “Omissis”), ai quali può essere attribuito la proprietà originaria delle rimanenti unità immobiliari ubicate nell’edificio di via Omissis, ad eccezione degli interni n. 5 e n. 6, e dell’intero edificio di via Omissis.
In forza di vicende traslative intervenute nel corso del tempo, gli attuali proprietari delle unità immobiliari comprese nell’edificio di via Omissis sono le parti dell’odierno giudizio.
È adiacente al condominio di via Omissis l’edificio con ingresso da via Omissis, di proprietà attualmente di CCCCC, GGGGG al cui interno si svolge l’attività alberghiera sotto l’insegna Omissis, gestito dalla Omissis.
La causa, nella quale è intervenuto il condominio di via Omissis, è stata iniziata da alcuni dei condomini di tale edificio al fine di far riconoscere la natura condominiale di alcune porzioni del medesimo. Gli attori hanno denunciato che tali porzioni erano state oggetto di modifiche realizzate dai GGGGG, con il fine di collegarle e asservirle al confinante edificio di via Omissis, che ospita l’ Omissis. Costituivano oggetto della pretesa, per quanto interessa in questa sede, il corridoio per l’accesso alle cantine, i locali ad uso bucatoio siti nel piano interrato, l’ex alloggio del portiere ubicato al piano terra, la porzione di terrazza. 
I GGGGG. (nei cui confronti fu proposta la domanda) hanno invece sostenuto che la situazione, derivante dall’atto del 1922 e dal conseguente disciplinare, era stata modificata a seguito di atti di disposizioni successivi, culminati con l’adozione di un nuovo regolamento condominiale nel 1957.
Il giudice di primo grado, disposta l’integrazione del contraddittorio, ha accolto la domanda, accertando la natura condominiale di tutte le porzioni oggetto della stessa e ordinando i consequenziali ripristini e rilasci.
La Corte d’appello ha riformato in parte la sentenza, escludendo la natura condominiale del corridoio di accesso alle cantine site al piano interrato nel lato del fabbricato confinante con l’edificio di via Ludovisi. In quanto al resto ha condiviso la valutazione del tribunale, anche per quanto riguarda il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione, riproposta in appello dalla CCCCC e dai GGGGG. In via preliminare, la Corte d’appello ha riconosciuto che l’edificio di via Omissis e l’edificio di via Omissis sono condominii distinti.
Per la cassazione della decisione YYYYY, nella qualità di procuratrice di Omissis, e la Omissis hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi.
BBBBB hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi, a sua volta resistito con controricorso dai ricorrenti principali.
Ha depositato controricorso anche il Condominio XXXXX, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale. 
CCCCC ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
GGGGG restano intimati.
La causa, originariamente fissata per l’udienza camerale del 16 febbraio 2022, in vista della quale hanno depositato memorie CCCCC, il Condominio XXXXX  e i ricorrenti incidentali, è stata poi chiamata all’udienza del 14 giugno 2022 e in relazione a tale udienza hanno depositato memoria i ricorrenti incidentali e la ricorrente principale YYYYY. Con ordinanza di pari data la causa è stata rimessa per la discussione in pubblica udienza. In vista di tale udienza il Condominio e i ricorrenti incidentali hanno depositato ulteriori memorie.


RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. I ricorrenti principali hanno fatto presente che è pendente dinanzi alla Corte d’appello di Roma giudizio di revocazione promosso contro la sentenza impugnata. Sulla base di tale circostanza è stata chiesta la sospensione del presente giudizio.
    L’istanza deve essere disattesa. La pendenza del ricorso per revocazione non costituisce motivo di improcedibilità del ricorso per cassazione, né, ove già iniziato, sospende il relativo giudizio, salvo che la sospensione venga disposta, su istanza del ricorrente, dal giudice a quo, ai sensi dell’art. 398, 4° comma, c.p.c. (Cass. n. 31920/2018; n. 11413/2010).
  2. Si può anticipare che, in questa sede di legittimità, si ripropone la medesima contrapposizione che ha caratterizzato il giudizio di merito. Da una parte, i proprietari attuali delle unità immobiliari distinte con i numeri 3, 4, 5, 7 e 8 nel condominio di via Omissis, che rivendicano la natura condominiale di alcune delle porzioni dell’edificio; dall’altra, i proprietari delle altre unità immobiliari, CCCCC, GGGGG e la Omissis, che gestisce l’ Omissis nell’adiacente edificio di via Omissis, le quali hanno sostenuto che le porzioni oggetto di causa sono di proprietà esclusiva dei GGGGG. Tale posizione è stata assunta in appello anche da Omissis, rimasta intimata nel presente giudizio.
    In questa sede, del complesso contenuto della sentenza d’appello, è in discussione la sola questione dell’appartenenza al condominio delle porzioni di cui sopra (il corridoio per l’accesso alle cantine, i locali ad uso bucatoio siti nel piano interrato, l’ex alloggio del portiere ubicato al piano terra, la porzione di terrazza).
    È stato anticipato che la sentenza d’appello ha riformato in parte la decisione di primo grado, che aveva riconosciuto la natura condominiale di tutte le porzioni in contestazione. Il giudice d’appello ha riformata la decisione solo relativamente a una delle porzioni già ritenute comuni dal Tribunale.
    La decisione d’appello, nella parte in cui ha riformato quella del Tribunale, è oggetto del ricorso incidentale, mentre nel suo contenuto di conferma della decisione di primo grado è oggetto del ricorso principale.
  3. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c.
    Le ricorrenti richiamano l’atto del 1922 e il coevo regolamento condominiale che indicava gli spazi comuni ai soli proprietari degli appartamenti. Quindi deducono che la situazione proprietaria, relativa agli spazi comuni, era stata modificata da atti successivi, che sono analiticamente riportati nel ricorso. A consuntivo delle modificazioni realizzate da tali atti, l’assemblea straordinaria condominiale approvava il nuovo regolamento di condominio, che individuava le parti comuni in conformità al nuovo assetto. Si precisa ancora con il motivo che l’alloggio del portiere è stato trasferito nei locali al primo piano, interno n. 2 di proprietà GGGGG.
    Secondo le ricorrenti gli atti di cui sopra, considerati nel loro insieme, costituivano titolo contrario idoneo a vincere la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. relativamente a tutte le porzioni oggetto della pretesa di controparte e non solo nei limiti riconosciuti dalla sentenza impugnata; e seppure in ipotesi i medesimi atti non fossero stati idonei a trasferire la proprietà, essi rendevano palese la volontà dei condomini di sottrarre quelle porzioni al vincolo condominiale. Del resto, continuano sempre le ricorrenti, tutta l’area della terrazza, l’appartamento del portiere e l’ex bucatoio entrarono da subito nel possesso esclusivo della famiglia GGGGG e furono sottratti materialmente, tramite mura, recinzione e cancelli, a qualsiasi destinazione condominiale. La perdita dell’attitudine all’uso condominiale comporta il venir meno della presunzione di cui all’art. 1117 c.c.
    Le ricorrenti hanno cura di censurare l’ulteriore affermazione della Corte d’appello, laddove si afferma che l’originaria proprietaria dell’appartamento interno n. 6 aveva ceduto la cantina e non anche i diritti condominiali sul locale bucatoio e sul relativo corridoio di accesso, né i diritti sull’alloggio del portiere sito al piano terra e nemmeno avrebbe ceduto i diritti attinenti alla corte comune. Al riguardo si rappresenta che è stato poi scoperto, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, un atto del 1949, con il quale Omissis aveva venduto ai GGGGG la propria parte di proprietà esclusiva del lastrico solare con i diritti condominiali correlati. I ricorrenti precisano che sulla base di tale ritrovamento hanno notificato atto di citazione per la revocazione della sentenza. 
    Il secondo motivo del ricorso principale è così rubricato “violazione e falsa applicazione degli artt. 1142, 1143, 1159 e 1159 c.c. (con riferimento alla sentenza di primo grado), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c. (con riferimento alla sentenza di primo grado), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, (motivazione omessa o apparente) ex art. 360, n. 5, c.p.c.”
    Con il motivo le ricorrenti sostengono che avevano censurato in modo analitico la decisione del giudice di primo grado, che aveva negato l’esistenza del possesso ventennale, rimproverando al Tribunale di non avere considerato i documenti e di avere malamente valutato le prove per testi, aprioristicamente svalutando le deposizioni favorevoli alla loro tesi. Nonostante la molteplicità e analiticità delle contestazioni, la Corte d’appello ha esaurito la propria analisi tramite il richiamo di principi di giurisprudenza sui requisiti richiesti per l’usucapione del comproprietario.
    Il terzo motivo del ricorso principale denuncia “violazione dell’art. 116 c.p.c. sotto il profilo del prudente apprezzamento della prova – Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.”
    Le incongruenze nella ricostruzione dei fatti sarebbero tali e tante da rendere evidente la violazione del principio secondo cui il giudice di merito deve valutare le prove “secondo il suo prudente apprezzamento”.
    Il quarto motivo del ricorso principale denuncia la nullità della sentenza per mancanza del dispositivo, non essendo riportata la disposizione finale sulla domanda dei ricorrenti in ordine alla proprietà del lastrico solare.
  4. Il primo motivo è infondato. La decisione impugnata, in relazione ai locali in contesa, ha riconosciuto, in esito all’esame degli atti invocati dalle ricorrenti, che i GGGGG non avevano acquistato la totalità dei millesimi di proprietà delle parti comuni oggetto di causa dell’edificio di via Omissis, essendo irrilevante, in mancanza di un idoneo atto di trasferimento, la riduzione della superfice di terrazza destinata a bene comune, avvenuta fra il primo e il secondo regolamento condominiale.
    Identico ragionamento la Corte d’appello ha proposto per l’alloggio del portiere. In proposito la Corte ha aggiunto che il trasferimento dell’alloggio in altra unità, di proprietà dei GGGGG, non ha inciso sulla originaria contitolarità della porzione, se è vero che in uno degli atti di trasferimento si prevedeva un atto di permuta, che non è stato poi stipulato. 
    In rapporto a tali considerazioni le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello non avrebbe considerato la pluralità dei trasferimenti, per effetto dei quali i diritti condominiali sulle originarie parti comuni sarebbero stati acquistati solo da alcuni dei condomini, che ne sarebbero divenuti pertanto proprietari esclusivi; e seppure quegli stessi atti non fossero stati idonei a concentrare la proprietà in capo solo ai cessionari dei diritti condominiali, essi dimostravano la volontà dei condomini di sottrarre quelle porzioni all’uso comune, come poi di fatto avvenuto.
  5. Così identificato il significato della complessa censura, la prima osservazione da fare riguarda l’improprio riferimento alla norma dell’art. 1117 c.c., posto che questa norma risolve il diverso problema della comune appartenenza con riferimento al momento di insorgenza del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. Nel caso in esame, come si evince chiaramente dalla esposizione della censura, non è in discussione l’originaria appartenenza comune delle porzioni in contesa, ma l’assunto delle ricorrenti che la comune appartenenza era venuta meno a seguito di più atti di disposizione dei diritti condominiali da parte dei singoli titolari.
    Tale assunto è stato esaminato dalla Corte d’appello, la quale, pur non negando la validità e l’efficacia dei trasferimenti in linea di principio, ha riconosciuto che le alienazioni non furono integrali, nel senso che persisteva il diritto condominiale di condomini diversi dai GGGGG. Tale conclusione, la quale suppone la ricostruzione e l’interpretazione dei titoli, costituisce un apprezzamento di merito incensurabile in questa sede. Si innesta qui la seconda delle censure proposte con il motivo ora in esame: seppure i titoli avessero lasciato persistere la proprietà condominiale, ugualmente la sequenza degli atti, recepiti dal nuovo regolamento condominiale, evidenziava una comune volontà di sottrarre le porzioni oggetto del trasferimento all’uso condominiale. È importante sottolineare che anche tale ulteriore censura non nega l’ originaria proprietà comune delle porzioni, ma solleva un problema diverso, che anzi suppone quella comune appartenenza. Si tratta invero di stabilire attraverso quali strumenti sia attuabile la sottrazione di una porzione originariamente comune al pari diritto dei condomini. In questo caso, la pretesa delle ricorrenti deve fare i conti con principio per il quale, ai fini dell’esclusiva appropriazione e definitiva sottrazione di una parte comune alle possibilità di godimento collettivo, occorre il consenso negoziale (espresso in forma scritta ad substantiam) di tutti i condomini (Cass. n. 26737/2008; n. 5125/1993; n. 8012/2012). In base alla ricostruzione dei titoli operata dalla Corte di merito, tale consenso non è stato espresso, non potendo supplire a questi effetti, il regolamento di condominio, “in mancanza di un idoneo atto di trasferimento” (pag. 14 della sentenza impugnata).
    Su tutti questo aspetti, pertanto, la sentenza impugnata è in linea con consolidati principi di giurisprudenza essendo pertanto esente dalle censure mosse dalle ricorrenti. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’alloggio del portiere, essendo la soluzione proposta dalla Corte d’appello conforme al principio secondo cui, qualora l’alloggio non sia più destinato all’uso condominiale, si determinano conseguenze diverse, che lasciano tuttavia ferma la comune titolarità di tutti i condomini (Cass. n. 35957/2021).
    Tutte le censure formulate con il primo motivo sono, dunque, infondate.
    In quanto all’ulteriore contratto, scoperto in un secondo tempo, che avrebbe comprovato l’acquisto da parte dei GGGGG della totalità dei diritti condominiali sul terrazzo condominiale, la deduzione dei ricorrenti è nuova, con conseguente inammissibilità, per questa parte, del motivo; ciò, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, di modo che è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (Cass. n. 6989/2004). Quanto alla pendenza del giudizio di revocazione, intrapreso a seguito della scoperta di tale atto, la deduzione è stata già sopra esaminata e non occorre aggiungere altro.
  6. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile, sotto tutti i possibili profili enunciati nella rubrica. Invero, sotto l’egida della violazione di norme e principi di diritto, è oggetto di censura il giudizio di fatto espresso dalla Corte di merito, che non è censurabile in cassazione se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Da questo punto di vista le ricorrenti, seppure richiamino nella rubrica anche il n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non deducono alcun omesso esame nel significato chiarito da questa Corte (Cass., sez. un., n. 8053/2014), ma propongono una critica globale della decisione, che palesa il loro intento di ripetere un giudizio sul merito, qui non ripetibile. Nemmeno sussiste il vizio motivazionale adombrato con la rubrica del motivo. La Corte d’appello ha condiviso la valutazione del primo giudice, evidenziando come la stessa fosse fondata sugli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in materia di usucapione di beni comuni; essa ha aggiunto che, in rapporto a questi insegnamenti, non è stata fornita alcuna prova idonea a dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti per fondare il possesso del condomino utile per l’usucapione. Tale valutazione, esente da errori logici e giuridici, è incensurabile in questa sede.
  7. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile, già nella sua formulazione. È stato precisato al riguardo (cfr. Cass. 19 gennaio 2021, n. 825; Cass. 3 novembre 2020, n. 24395; ed altre) che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali: il che è esattamente ciò che pretendono le ricorrenti, per le quali la ragione di nullità della sentenza è fatta coincidere con l’esito del giudizio diverso da quello da esse auspicato.
  8. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato. La Corte d’appello ha esaminato la questione in motivazione, in guisa da rendere la mancata menzione del lastrico solare nel dispositivo una mera omissione, priva di conseguenze sulla validità della sentenza, non sussistendo alcuna incertezza sul reale significato della decisione, essendo pertanto il contrasto e l’omissione solo apparenti (Cass. n. 15088/2015).
  9. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1117 e 1118, comma 2, c.c..
    La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui, relativamente ai corridoi di accesso alle cantine, ha riconosciuto l’efficacia delle cessioni dei diritti condominiali, operati con gli atti di cui sopra, senza la contestuale cessione delle unità immobiliari a cui le cantine afferiscono.
    Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
    La Corte d’appello, nel riconoscere la proprietà dei GGGGG del corridoio di accesso alle cantine site al piano interrato nel lato del fabbricato confinante con l’edificio di via Ludovisi, in via riflessa rispetto alla proprietà di tutte le cantine che si affacciano su di esso, non ha considerato che le cantine appartenevano ai GGGGG in qualità di condomini dell’edificio di via Omissis, non quali proprietari dell’edificio di via Ludovisi.
    Quindi la Corte d’appello non avrebbe potuto legittimare l’apertura del varco creato a livello del pian terreno.
  10. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, essendo la decisione impugnata conforme al principio che l’individuazione delle parti comuni, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. n. 24189/2021).
    Come si evince dalla ricostruzione in fatto operata con la sentenza impugnata, il corridoio in questione serviva solo a consentire l’accesso alle cantine poste in quella parte dell’edificio, essendo le cantine rimaste di proprietà della Omissis ubicate allo stesso piano, ma posizionate in un’altra porzione dell’edificio, prospiciente la scala principale, del tutto distinta e non comunicante con quella dove è ubicato il corridoio. Consegue che la decisione impugnata, laddove ha negato che i condomini proprietari di porzioni ubicate in altro settore dell’edificio avessero diritti condominiali sul corridoio, va esente dalle censure mosse dai controricorrenti.
  11. È infondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale.
    Si deve rilevare al riguardo che il fatto, consistente nelle modifiche apportato al livello del piano dove sono ubicate le cantine è stato considerato dalla Corte d’appello, per cui l’omissione, in linea di principio, non sussiste (Cass., S.U., n. 8053/2014). A ciò si deve aggiungere che i ricorrenti incidentali non chiariscono, con la dovuta specificità, il “come e il quando “ il fatto fu discusso e dibattuto nei termini indicati nel motivo (Cass., S.U., n. 8053/2014; n. 19987/2017; n. 29954/2022): e cioè che il riconoscimento della proprietà esclusiva delle cantine e del corridoio di accesso alle stesse lasciava persistere la natura condominiale del muro perimetrale dell’edificio anche a quel livello di piano. Invero, nella logica seguita con il ricorso incidentale, l’esistenza del “fatto” dovrebbe risultare indirettamente dalle considerazioni della sentenza impugnata, con le quali la corte territoriale riconosce, risolvendo il contrasto fra le parti sul punto, che l’edificio di via Veneto 84 costituisce un complesso autonomo e distinto rispetto all’attiguo Omissis, essendo quindi contraddittoria la motivazione della stessa sentenza. Con tali rilievi, però, sembra abbandonato il vizio di omesso esame e si fa subentrare quello di motivazione contraddittoria. Si dimentica però che la contraddittorietà motivazionale censurabile in cassazione, dopo la modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata con la riforma del 2012, è solo quella che si traduce nella violazione dell’art. 132, n.4 c.p.c., che non consiste semplicemente nella decisione incoerente o contenente un percorso logico non condiviso, ma nella ineliminabile contraddittorietà tra affermazioni inconciliabili, tale da condurre ad una completa incomprensibilità della decisione. Che non è affatto il vizio nella specie riscontrabile.
  12. In conclusione, debbono essere rigettati sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale. L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese fra tutte le parti. Nulla va disposto in ordine al governo delle spese nei confronti degli intimati.
    Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”.

  13. P.Q.M.

  14. rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate fra tutte le parti le spese di lite; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 gennaio 2023.