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CORTE D’APPELLO DI ROMA SENTENZA N. 7181/2023 DELL’8 NOVEMBRE 2023

Criteri di ripartizione delle spese – Balconi – Stangoni – Art. 1123 c.c.

Come da orientamento pressoché prevalente della giurisprudenza, tra le altre Cassazione , sentenza n. 6624/2012 : ” In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” . Risultando pacifica la natura e la funzione di balconi aggettanti degli interni n.9 ed 11, la ripartizione delle spese dei lavori di tali parti ai sensi dell’art.1123 c.c. I comma risulta viziata con conseguente nullità del relativo piano di riparto.

Gli stangoni oggetto del capitolato sono stati ritenuti dalla Cassazione, sentenza n.21199 del 31.10.2005, come elementi strutturali interni, costituenti la base di calpestio dei balconi, e, dunque, parti integranti degli appartamenti corrispondenti, per cui non avrebbero potuto essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e, dunque, di relativa ripartizione) da parte dell’assemblea del condominio; questa avrebbe potuto, invece, legittimamente deliberare in tema di sistemazione dei prospetti e degli eventuali elementi decorativi esterni di tali parti aggettanti del fabbricato, in quanto assolventi all’estetica complessiva dell’edificio.


SENTENZA

nella causa civile di II grado

tra

YYYYY (c.f. Omissis), residente alla Omissis ed ivi elettivamente domiciliato al Foro Omissis, presso l’ Avv. Omissis, che lo rappresenta e difende per procura in calce all’atto di appello;

appellante

e

Condominio XXXXX, (c.f. Omissis), in persona dell’Amm.re in carica Omissis, elett.te dom.to in Omissis presso lo studio degli Avv.ti V Omissis che lo rappresentano e difendono per mandato in calce alla comparsa di costituzione, p.e.c. Omissis

appellato

CONCLUSIONI: per parte appellante quelle formulate nell’atto d’appello e per parte appellata quelle formulate in comparsa di costituzione, nonché per entrambe quelle rese telematicamente all’udienza del 27.09.2023.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 22496/2017 il Tribunale di Roma nel procedimento RG. 30863/2013 avente ad oggetto impugnativa delibera condominiale per lavori straordinari è stato emesso il seguente dispositivo: “… Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da YYYYY, con atto di citazione ritualmente notificato in data 4.5.2013. contro il Condominio nell’edificio in Omissis convenuto costituito, così decide: a) Rigetta le domande proposte dall’attore; b) Condanna l’attore a rimborsare al Condominio convenuto le spese del presente giudizio, che liquida, d’ufficio in complessivi Euro 4.000.00 per competenze professionali, oltre oneri fiscali e previdenziali di legge. Cosi deciso in Roma, il 29 novembre 2017”.

La vertenza di cui sopra è stata così narrata dal Tribunale giudicante: ” Con atto di citazione ritualmente notificato il giorno 4.5.2013, YYYYY, condomino dell’edificio in Omissis (in quanto proprietario esclusivo dell’unità abitativa all’interno 6), ha impugnato (per sentirne dichiarare “l’inesistenza, illegittimità, inefficacia, nullità e/o annullabilità” la deliberazione dell’assemblea condominiale, costituita, in seconda convocazione, in data 12.3.2013, con la quale (in assenza dell’esponente e con il voto favorevole di 795,63 millesimi su 894.15 presenti) è stata approvata l’esecuzione delle opere di manutenzione e ripristino del fabbricato in appalto all’impresa Società Omissis per un corrispettivo di complessivi Euro 36.837.00 (più IVA), ed è stato stabilito che il suddetto importo (oltre la parcella dell’arch. Omissis, già approvata dalla precedente assemblea del 29.11.2012) sarebbe stato suddiviso in una prima rata del 30%. da pagarsi con la scadenza del 1.4.2013. e (per il restante 70%) in successive cinque rate mensili eguali, con decorrenza dal 1.5.2013, lamentando che l’assemblea, anzitutto, non aveva approvato anche il piano di riparto (successivamente redatto dall’amministratore) e aveva disposto la riscossione delle quote per lavori, per la quasi totalità, attinenti a beni individuali. Il Condominio convenuto, ritualmente costituitosi con comparsa di risposta depositata il 2.10.2013 (udienza di prima comparizione fissata per il successivo 23.10.2013), ha resistito alle avverse impugnazioni, chiedendone l’integrale rigetto. La causa, istruita soltanto con le rispettive produzioni documentali, è stata rinviata, dopo lo scambio di memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.. per la precisazione delle conclusioni all’udienza in epigrafe indicata e viene, quindi, in decisione dopo la scadenza degli assegnati termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. ” Seguiva sentenza gravata.

Con atto di citazione, notificato l’11.01.2018, YYYYY ha proposto appello contestando la sentenza di I grado sotto vari profili. Si è costituito l’appellato condominio, come in atti, chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese.

Sulle conclusioni come innanzi precisate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ., con i termini abbreviati di gg. 20 per il deposito delle comparse conclusionali ed ulteriori 20 gg. per le memorie di replica.

L’appello è articolato nei seguenti motivi:

1- VIOLAZIONE degli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c. in ordine all’omessa Delibera dell’Assemblea Condominiale sul riparto del Preventivo Lavori di Manutenzione in Violazione degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c. non applicabile al caso di specie nei criteri di ripartizione delle spese condominiali.

2.- VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C. ED ART.2697 E SS. C.C. con conseguente erronea interpretazione delle risultanze istruttorie ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia che hanno indotto il Tribunale ad applicare un criterio di ripartizione illegittimo, errata pronuncia relativa alla natura dei lavori deliberati ed alla ripartizione delle spese poste a carico dei condomini , con violazione degli artt. 1123, 1124, 1125 E 1126 C.C., in quanto si trattava di spese relative a beni individuali, la cui quota doveva essere attribuita secondo criteri diversi da quello adottato.

I motivi esposti sono pressoché identici; infatti per entrambi l’appellante deduce che la sentenza deve essere riformata avendo il Tribunale trascurato di verificare la circostanza che il riparto dei lavori preventivati non era stato approvato esplicitamente e che, qualora fosse da ritenersi implicitamente approvato, sarebbe stato viziato per essere espressione di un erroneo criterio di ripartizione.

Infatti una ripartizione operata ai sensi dell’art. 1123 comma 1 c.c., concretizzandosi in una mera operazione matematica, potrebbe ritenersi legittima solo qualora fosse applicabile al caso concreto; nella fattispecie, poiché la maggior parte dei lavori eseguiti interessavano beni di proprietà esclusiva, la ripartizione andava effettuata secondo il disposto di cui all’art. 1123, comma II e comma III, c.c., nonché di cui all’art. 1126 c.c.. L’appellante precisa che la quasi totalità dei lavori come da capitolato versato in atti attiene a beni individuali terrazzi, balconi aggettanti; frontalini dei balconi, piantoni, stangoni, ferri del cemento armato, posa in opera guaina lungo il perimetro esterno del piano di calpestio del terrazzo, posa in opera di nuove piastrelle limitrofe allo stangone o, comunque, a beni che risultano destinati a servire i condomini in maniera diversa, con conseguente nullità della delibera del 12.3.2013 per avere, illegittimamente, statuito su spese relative a proprietà di pertinenza esclusiva.

Conclude per l’errata l’applicazione dell’art. 1123, I comma, c.c., con conseguente nullità del piano di riparto e della delibera del 12.3.2013.

La Corte così ragiona.

I motivi sono connessi e possono essere trattati congiuntamente.

Nella fattispecie in esame l’approvazione della spesa da parte dell’assemblea è avvenuta sul costo complessivo dei lavori sulla base del preventivo presentato dall’impresa (lavori di manutenzione straordinaria) senza approvazione di un piano di riparto; l’appellante ha impugnato la delibera deducendone l’annullabilità o la nullità , in mancanza della predisposizione e approvazione di un piano di riparto che indichi chiaramente la quota di partecipazione di ciascun condomino alla spesa deliberata; deduceva altresì la nullità del riparto effettuato autonomamente dall’amministratore ai sensi dell’art.1128 cc. I comma pur trattandosi di lavori su beni di proprietà esclusiva.

Il Tribunale accertava che non vi fosse nella specie alcuna deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali né nel regolamento contrattuale di condominio, né in una delibera assembleare approvata all’unanimità.

Il Collegio ritiene di riportarsi all’orientamento della Cassazione, Ordinanza del 24.09.2020 che ha così statuito: “… l’approvazione dello stato di riparto è condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione, ma la relativa delibera ha valore puramente dichiarativo, che serve ad esprimere in termini numerici un rapporto di valore già preesistente secondo i criteri stabiliti dalla legge o dalla diversa convenzione vigente nel condominio. L’obbligo del condomino di contribuire pro quota alla spesa nasce nel momento in cui l’assemblea delibera l’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria, delibera che ha valore costitutivo dell’obbligazione di contribuire alle spese”. Confermata la legittimità della delibera va quindi esaminato il criterio di riparto applicato rispetto ai lavori da effettuare come da capitolato d’appalto approvato nella precedente delibera del 12.02.2013 i cui preventivi sono stati portati all’esame dell’assemblea del 12.03.2013, oggetto del presente giudizio, verificando se i lavori da eseguirsi erano sulle parti comuni o riguardavano anche parti di proprietà esclusiva.

Dal contratto di appalto si legge al capo B “Restauro Parziale terrazzo”: i lavori appaltati comprendevano lavori di ripristino funzionale delle terrazze aggettanti interno 9 (facciata anteriore) ed interno 11 (facciata posteriore) quali frontalini dei balconi, piantoni, stangoni, ferri del cemento armato, posa in opera guaina lungo il perimetro esterno del piano di calpestio del terrazzo, posa in opera di nuove piastrelle limitrofe allo stangone o, comunque, a beni che risultano destinati a servire i condomini in maniera diversa.

Come da orientamento pressoché prevalente della giurisprudenza, tra le altre Cassazione , sentenza n. 6624/2012 : ” In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” . Risultando pacifica la natura e la funzione di balconi aggettanti degli interni n.9 ed 11, la ripartizione delle spese dei lavori di tali parti ai sensi dell’art.1123 c.c. I comma risulta viziata con conseguente nullità del relativo piano di riparto.

Gli stangoni oggetto del capitolato sono stati ritenuti dalla Cassazione, sentenza n.21199 del 31.10.2005, come elementi strutturali interni, costituenti la base di calpestio dei balconi, e, dunque, parti integranti degli appartamenti corrispondenti, per cui non avrebbero potuto essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e, dunque, di relativa ripartizione) da parte dell’assemblea del condominio; questa avrebbe potuto, invece, legittimamente deliberare in tema di sistemazione dei prospetti e degli eventuali elementi decorativi esterni di tali parti aggettanti del fabbricato, in quanto assolventi all’estetica complessiva dell’edificio.

L’appello è fondato e deve essere accolto con riforma della sentenza gravata e dichiarazione di nullità del Condominio XXXXX, come in atti, approvati con la delibera del 12.03.2013. I rimanenti motivi vanno assorbiti.

In ordine alle spese di lite osserva il Collegio che in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata occorre provvedere alla diversa attribuzione delle spese di lite in quanto il relativo onere delle spese processuali deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite e non in base al singolo grado; pertanto, atteso l’accoglimento dell’appello formulato dall’Ing. YYYYY con la conseguente riforma della sentenza di primo grado, condanna il Condominio, come in atti, soccombente, al pagamento a favore dell’appellante delle spese di I grado liquidate, visto il valore della lite in Euro 36.000,00, la non particolare complessità delle questioni giuridiche trattate, gli scritti difensivi, atteso il DM. 55/ 2014 vigente all’epoca, la non contestazione degli importi liquidati dal Tribunale, in Euro 4.000,00 oltre Euro 600,00 per spese (comprensive contributo unificato) nonché spese generali IVA, se dovuta, e CPA.

Le spese di secondo grado, secondo gli indicati parametri, atteso il DM. 8 marzo 2018, vanno determinate in Euro 4.300,00 per compensi, oltre Euro 247,00 per spese (comprensive c.u.), oltre spese generali, C.P.A ed IVA, se dovuta, con la condanna al pagamento del Condominio, come in atti, a favore della parte appellante come in atti.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da YYYYY nei confronti del Condominio XXXXX, come in atti, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 22496/2017 così provvede:

1) In accoglimento dell’appello ed in riforma della gravata sentenza dichiara la nullità del riparto, in violazione dell’art. 1123 c.c., I e II comma, per i lavori di manutenzione straordinaria del Condominio XXXXX, come in atti, approvati con la delibera del 12.03.2013,

2) condanna la parte appellata, Condominio XXXXX, come in atti, al pagamento, in favore della parte appellante, YYYYY, delle spese del doppio grado del presente grado del giudizio, che liquida per il primo grado in Euro 4.000,00, oltre Euro 600,00 per spese ed il 15% per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge; per il presente grado in Euro in Euro 4.300,00 per compensi, oltre Euro 247,00 per spese (comprensive c.u.), oltre spese generali, C.P.A. ed IVA, se dovuta.

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CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 20282/2023 DEL 14 LUGLIO 2023

Art. 1123 c.c. – Ricorso per cassazione – Legittimazione attiva

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -ricorrente- contro

SSSSS, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO n. 589/2016 depositata il 28/12/2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 05/07/2023 dal Consigliere Omissis.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

udito l’Avvocato Omissis.

FATTI DI CAUSA

1. YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di via Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso, avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 559/2016 del 28 dicembre 2016.

SSSSS resiste con controricorso.

2. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Taranto in data 28 marzo 2013, che aveva condannato il Condominio XXXXX, Taranto, al pagamento della somma di € 11.459,31, oltre interessi, in favore dell’ex amministratore SSSSS, a titolo di compensi non percepiti e spese anticipate.

Il controricorrente SSSSS ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005.

3. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., come vigenti ratione temporis, il presidente fissò inizialmente l’adunanza della camera di consiglio in data 4 dicembre 2018.

Il ricorrente presentò memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

4. Con ordinanza interlocutoria del 18 dicembre 2018, la Corte decise di rimettere alla pubblica udienza la decisione sulla ravvisata ipotesi di inammissibilità del ricorso, ex art. 375, comma 1, numero 1, c.p.c., attinente alla legittimazione ad impugnare del singolo condomino con riguardo a sentenza che abbia visto soccombente il condominio in giudizio avente ad oggetto il credito vantato nei confronti di quest’ultimo dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.)

Il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso:

1A: nullità del procedimento in relazione agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c.;

1B: omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c.;

2A: nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.;

2B: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.;

2C: violazione degli artt. 1720, 1130 e 1135 c.c.

2. Deve dapprima risolversi la questione pregiudiziale della legittimazione all’impugnazione.

2.1. YYYYY non era costituito nel giudizio di appello, del quale era parte, invece, il Condominio di Omissis. Egli ha poi proposto il ricorso per cassazione nella dichiarata qualità di condomino, qualità, e conseguente legittimazione processuale, specificamente contestate dal controricorrente SSSSS, il quale ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005. YYYYY ha replicato deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

È noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

2.2. Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad YYYYY, quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di via Omissis per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c.

2.3. Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da YYYYY, singolo condomino del Condominio di Omissis, mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio XXXXX.

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

2.4. Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994).

2.5. Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in data 23 giugno 2023, il ricorrente assume che il proprio interesse diretto ed immediato all’impugnazione discende dalla natura di titolo esecutivo pro quota nei confronti del singolo condomino della condanna conseguita dal terzo creditore nei confronti del condominio.

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

3. Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2023.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA  N. 17452/2023 DEL 19 GIUGNO 2023

Art. 1123 c.c. – Modifica criteri di ripartizione spese – Facta concludentia

Esso non coglie la ratio decidendi, che è fondamentalmente la seguente: l’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie non solo alla conservazione, ma anche al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio (art. 1123 co. 1 c.c.). Ne segue che la semplice circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio, poiché il condomino non è titolare di una pretesa a una prestazione sinallagmatica nei confronti del condominio e quindi non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (cfr. per tutte Cass. SU 10492/1996, richiamata espressamente dalla sentenza, p. 14), essendo ben altri gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per reagire all’inerzia manutentiva del condominio (in questo senso, cfr. anche le osservazioni del P.M.).

La Corte di appello ben richiede l’unanimità dei consensi per l’accordo derogatorio delle regole legislative di ripartizione delle spese e ben invoca a tale proposito Cass. 7884/1991. Secondo tale pronuncia, la disciplina della ripartizione delle spese condominiali può essere modificata da una nuova convenzione, la quale richiede il consenso di tutti i condomini, che può essere espresso anche per facta concludentia, consistenti in un comportamento dal quale possa inequivocabilmente desumersi, alla stregua del senso comune, una volontà determinata, indirizzata ad uno specifico contenuto. Assume in questo contesto un carattere persuasivo anche il caso di specie sotteso a Cass. 7884/1991.

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis proposto da:

YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Omissis;

-ricorrente

contro

Supercondominio XXXXX , rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Omissis;

-controricorrente

nonché

TTTTT;

-intimata

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BARI n. 917/2017 depositata il 13/07/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/05/2023 dal consigliere Omissis.

Lette le osservazioni del P.M., nella persona del sostituto procuratore generale, Omissis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Nel 2000 YYYYY e TTTTT, separatamente, adivano il Tribunale di Trani (Sezione distaccata di Molfetta), per l’annullamento della delibera condominiale del 2000 con cui il Supercondominio XXXXX aveva «revocato» un’esenzione dalle spese di esercizio e di consumo accordata di fatto a taluni condomini distaccatisi dall’impianto centralizzato di riscaldamento.

Antefatti: nel 1989, due dei condomìni avevano proposto la cessazione del servizio centralizzato di riscaldamento entro il 1992, senza prospettare le modalità di trasformazione in impianti unifamiliari. Nel 1991 uno dei due condomìni deliberava di compiere il distacco entro qualche mese. Viceversa, nel 1992 il Supercondominio decideva di proseguire nell’utilizzazione dell’impianto esistente. Nel 1993 i tre amministratori dei condomìni concordavano di negare distacchi unilaterali intimando a chi si era già distaccato di riprendere a pagare interamente le quote per le spese del riscaldamento centralizzato. Seguono circa sette anni in cui tale intimazione non riceve seguito (nei confronti degli attori), finché nel 2000, con la delibera impugnata, l’assemblea del Supercondominio decideva di non agire per il saldo delle spese pregresse, ma si determinava a non tollerare più in futuro esenzioni da parte dei condomini nel frattempo distaccatisi.

In primo e in secondo grado le domande attoree venivano rigettate.

Su ricorso in cassazione di YYYYY, Cass. 8727/2014 annullava la sentenza di appello sotto il profilo dell’omesso rilievo del litisconsorzio necessario processuale in relazione ad TTTTT che non aveva partecipato al giudizio di appello, mentre dichiarava assorbito il secondo motivo di ricorso con il quale YYYYY denunciava la violazione dell’art. 1123 co. 2 e 3 c.c. Riassunto il processo in sede di rinvio, la Corte di appello rigettava l’appello e confermava di nuovo la pronuncia di primo grado di rigetto dell’impugnazione della delibera condominiale.

Ricorre in cassazione YYYYY con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste il Supercondominio con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In seguito alla l. n. 220/2012, il tema al centro del presente ricorso (il distacco di singoli condomini dall’impianto centralizzato di riscaldamento) riceve una distinta disciplina nell’art. 1118 co. 4 c.c., che però non si applica ratione temporis alla presente controversia, in quanto instaurata anteriormente.

2. – Con il primo motivo si denuncia che il Supercondominio abbia errato nel ripartire le spese del riscaldamento centralizzato, che serve i singoli condomini in maniera diversa, cosicché le spese sono da ripartire in proporzione dell’uso che ciascun condomino può farne (si denuncia violazione dell’art. 1123 co. 2 e 3 c.c.). Inoltre, si censura che, al fine di rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e di usufruire di un corrispondente sgravio di spese, il ricorrente sia stato gravato dell’onere di provare – attraverso informazione preventiva corredata da documentazione tecnica – che dal suo distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato non derivino notevoli squilibri o aggravi di spesa per gli altri condomini. Infatti, il criterio legale di ripartizione delle spese si fonda sul beneficio che dalle cose comuni può derivare ad ogni condomino, quando esse sono destinate a servire in maniera diversa, ossia è basato sulla proporzione dell’uso che ciascuno è posto in grado di fare. Ciò al fine di evitare l’indebito arricchimento dei condomini che beneficiano della cosa comune e vedano poi le spese ripartite anche a carico dei condomini che non ne possano usufruire.

Nel caso di specie, è da tenere conto che il ricorrente, abitante all’ultimo piano dell’edificio, non poteva più usare il servizio di riscaldamento centralizzato a causa della corrosione delle diramazioni terminali. Infine, si censura che la Corte di appello, pur accertando che è possibile un’opera di risanamento, non abbia rilevato la mancata previsione nella delibera impugnata di un intervento di riparazione del servizio di riscaldamento, affinché tutti i condomini potessero trarne identicamente beneficio.

Il primo motivo è inammissibile.

Esso non coglie la ratio decidendi, che è fondamentalmente la seguente: l’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie non solo alla conservazione, ma anche al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio (art. 1123 co. 1 c.c.). Ne segue che la semplice circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio, poiché il condomino non è titolare di una pretesa a una prestazione sinallagmatica nei confronti del condominio e quindi non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (cfr. per tutte Cass. SU 10492/1996, richiamata espressamente dalla sentenza, p. 14), essendo ben altri gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per reagire all’inerzia manutentiva del condominio (in questo senso, cfr. anche le osservazioni del P.M.).

A ciò si aggiunge che nel caso di specie «la prova orale […] non ha […] confermato la situazione d’irreversibile degrado che a dire del YYYYY l’aveva indotto a distaccarsi dall’impianto centralizzato. Invero nella comunicazione del 22/06/1991 egli ha denunciato solo la difettosità degli sfiatatoi dell’impianto. Le testimonianze […] hanno fatto riferimento esclusivamente a fenomeni di corrosione e ruggine, ma […] non emerge affatto che fosse impossibile un’agevole opera di risanamento» (p. 14). Inoltre, prosegue la Corte, non vi è prova di insufficienza del potere di riscaldamento. Viceversa, i passi della sentenza aggrediti dal

ricorrente costituiscono mere argomentazioni di rincalzo (che indubbiamente avrebbero trovato una collocazione migliore alla fine della motivazione).

In conclusione, il primo motivo è inammissibile.

3. – Con il secondo motivo si denuncia che la Corte di appello abbia errato nell’interpretare l’accordo intervenuto di fatto tra le parti sul distacco dal riscaldamento centralizzato dopo le deliberazioni dei singoli condomìni e la mancata realizzazione degli interventi di manutenzione sulle diramazioni terminali (si deduce violazione degli artt. 1322, 1362, 1366 c.c.). Si censura che la controversia sia stata inquadrata invece nell’ambito della disciplina ex l. 10/1991 (sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili) concernente le maggioranze assembleari necessarie per l’installazione degli impianti unifamiliari, omettendo di rilevare che i condomìni avevano tollerato per sette anni il mancato pagamento da parte degli attori delle spese relative all’uso del riscaldamento centralizzato per poi asserire contraddittoriamente che non avevano avuto consapevolezza dell’intervenuta adozione di criteri diversi. Si era così perfezionato per fatti concludenti un accordo di scambio tra il mancato intervento di manutenzione e il mancato risarcimento dei danni all’appartamento, da un lato, e, dall’altro lato, la concessione del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato (ne sarebbe un indizio anche il termine «revoca» impiegato nella delibera impugnata).

Il secondo motivo è infondato.

La Corte di appello ben richiede l’unanimità dei consensi per l’accordo derogatorio delle regole legislative di ripartizione delle spese e ben invoca a tale proposito Cass. 7884/1991. Secondo tale pronuncia, la disciplina della ripartizione delle spese condominiali può essere modificata da una nuova convenzione, la quale richiede il consenso di tutti i condomini, che può essere espresso anche per facta concludentia, consistenti in un comportamento dal quale possa inequivocabilmente desumersi, alla stregua del senso comune, una volontà determinata, indirizzata ad uno specifico contenuto. Assume in questo contesto un carattere persuasivo anche il caso di specie sotteso a Cass. 7884/1991.

Si trattava di un’applicazione di mutati criteri di ripartizione delle spese condominiali, distesasi lungo un arco di tempo pluriennale, in cui non si è ravvisata la consapevolezza del mutamento dei criteri e delle relative tabelle millesimali, cosicché si è esclusa la formazione di un nuovo accordo per fatti concludenti.

A completamento dell’argomentazione, la Corte di appello di Bari osserva che le delibere programmatiche relative alla cessazione del riscaldamento centralizzato non costituiscono prova della consapevolezza da parte dei condomini del distacco dal riscaldamento centralizzato operato da YYYYY né indice inequivoco della loro volontà di mutare

la ripartizione delle spese di gestione.

In conclusione, essendo la statuizione della Corte territoriale conforme a diritto, il secondo motivo è rigettato.

4. – Con il terzo motivo si denuncia che la Corte di appello abbia violato l’art. 1136 c.c., sul quorum per la validità delle deliberazioni, con riferimento alla decisione adottata nel 1993 dagli amministratori responsabili dei tre plessi condominiali di negare distacchi unilaterali e di riservarsi di agire nei confronti di chi si era già distaccato.

Anche questo motivo è infondato.

Il ricorrente mostra di fraintendere un passo di Cass. 8727/2014, poiché attribuisce alla predetta pronuncia di cassazione con rinvio già intervenuta nel presente giudizio una statuizione di erroneità del mancato rilievo dell’accordo per fatti concludenti tra YYYYY e il Condominio, laddove invece la Corte aveva semplicemente riferito un’affermazione del ricorrente nell’esporre il secondo motivo di ricorso (poi assorbito).

Dal chiarimento dell’equivoco segue che le indicazioni di Cass. 8727/2014 non sono state affatto disattese dalla Corte di appello. Inoltre e infine, la decisione adottata nel 1993 dai responsabili dei plessi condominiali è semplicemente esecutiva della delibera del 1992 con cui il Supercondominio si era determinato a continuare a usare l’impianto di riscaldamento centralizzato. Fuori luogo è l’invocazione della necessità di una delibera condominiale.

In conclusione, il terzo motivo è rigettato e, con esso, è rigettato il ricorso nel suo complesso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Inoltre, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater d.p.r. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in € 4.000, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente, di un’ulteriore somma pari al contributo unificato previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/05/2023