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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 28262/2023 DEL 9 OTTOBRE 2023

Principio di diritto – Art. 1136 c.c. – Quorum costitutivi – Quorum deliberativi

Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35930/2018 R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentata e difesa dall’avvocata Omissis

-ricorrente- contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

SSSSS, elettivamente domiciliata in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dall’avvocato Omissis

VVVVV, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis

-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2894/2018 depositata il 12/06/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – YYYYY ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2894/2018 della Corte d’appello di Milano, depositata il 12 giugno 2018.

Resistono con distinti controricorsi il Condominio XXXXX, SSSSS e VVVVV.

2– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4–quater, e 380 bis.1, c.p.c.

La ricorrente ha depositato memoria.

3 — La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame avanzato da YYYYY avverso la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 15 gennaio 2016, avente ad oggetto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. spiegata dalla stessa condomina YYYYY contro la deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. Tale delibera concerneva la scelta dell’impresa cui affidare lavori straordinari e la richiesta formulata da alcuni condomini per la installazione di un ascensore finalizzato alle esigenze di un disabile residente nell’edificio. Erano stati convenuti, oltre che il Condominio, l’amministratrice SSSSS e il presidente dell’assemblea VVVVV. Per quanto qui rilevi, l’attrice aveva contestato l’illegittima costituzione dell’assemblea con riguardo all’indicazione dei millesimi spettanti ai partecipanti.

Sul punto, i giudici di secondo grado hanno affermato che “nell’assemblea del 13.02.13 è stata fatta corretta applicazione dei millesimi di proprietà. Infatti, dalla elaborazione dei millesimi demandata dal condominio all’lng. Omissis emerge una distinzione tra i millesimi di gestione ed i millesimi di proprietà. Il documento redatto dall’Ing. Omissis ed approvato dall’assemblea condominiale del 13.7.2009, porta invero la dicitura, nell’intestazione ‘Millesimi di gestione’ e ‘Millesimi di scala’, laddove questi ultimi riguardano parti comuni condominiali”. La Corte d’appello ha poi dato atto della costante utilizzazione di tali prospetti millesimali nelle assemblee svoltesi negli anni a seguire ed ha esposto che “[t]ra tutti i condomini del palazzo, la sola YYYYY ha sollevato dei dubbi relativi alla qualifica e tipologia dei millesimi oggetto del prospetto dell’lng. Omissis”, essendo stata per gli altri “pacifica la differenza e la diversa utilizzazione tra i millesimi di gestione e i millesimi di proprietà”. Si è infine sottolineato che “anche laddove si fosse accolta la tesi sostenuta dalla dott.ssa YYYYY1 ai fini della regolare costituzione dell’assemblea condominiale, si sarebbero comunque raggiunte le maggioranze richieste dalla legge per l’approvazione delle delibere”.

4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, comma 1, c.c., 68, comma 1, e 69, comma 1, n. 2, disp. att. c.c., 116 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado violato le norme riguardanti il valore proporzionale, espresso in millesimi, delle unità immobiliari all’interno del condominio”. L’assunto della ricorrente è che i giudici di appello, perseverando nell’errore in cui era incorso il Tribunale, hanno insistito nel “ritenere come millesimi di natura differente (millesimi di proprietà e millesimi di gestione) ciò che invece nella realtà coincide, e che corrisponde a millesimi ‘di proprietà’, ovvero al ‘’valore’ di proprietà di ciascuna unità immobiliare all’interno di un condominio, espresso in millesimi, che trova la sua ragion d’essere proprio nella suddivisione delle spese di gestione di cui necessitano le parti comuni dell’edificio stesso”. Ed ancora, avverte la ricorrente: “non esistono due tabelle distinte ‘millesimi di proprietà’ e ‘millesimi di gestione’”. La censura sottolinea altresì che “nessuna rilevanza, sul punto, riveste la circostanza (non provata) secondo la quale, nel caso di specie, le maggioranze costitutive e deliberative sarebbero state ugualmente raggiunte: è previsto dalla legge che — ad ogni condomino — corrisponda un determinato valore millesimale di proprietà, che deve essere “una volta per tutte” determinato e applicato sia per la valida costituzione dell’assemblea (e la votazione delle delibere) sia per la suddivisione delle spese comuni”.

Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. Vi si assume che sul profilo riguardante la pretesa esistenza di una doppia tabella. “di proprietà” e “di gestione”, “si è formato, in senso negativo, il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo, all’esito del giudizio R.G. 3878/2014”.

Tale sentenza, precisa la ricorrente, è stata oggetto di ricorso per cassazione (RG Omissis) ma non su questo “specifico capo”.

4.1. — I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, giacché connessi, e sono da respingere. Le censure denotano carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) e non possono pertanto comportarne la cassazione.

4.2. — Si ha qui riguardo ad una azione di impugnazione, ai sensi dell’art. 1137 c.c., della deliberazione approvata in data 13 febbraio 2013 dall’assemblea del Condominio XXXXX. YYYYY ne ha domandato l’annullamento perché i rispettivi quorum costitutivi e deliberativi sarebbero stati calcolati sulla base dell’erronea distinzione tra “millesimi di proprietà” e “millesimi di gestione”, distinzione che secondo la ricorrente sarebbe “inesistente” anche alla luce della tabella millesimale vigente approvata nel 2009.

4.3. — La regola in tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale è che l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (Cass. n. 3295 del 2023). Spettava perciò a YYYYY provare che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio.

4.4. — Quando l’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale sia fondata, come nel caso in esame, sulla deduzione di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea o alla adozione con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge, la tabella millesimale assume un rilievo dirimente soltanto quando i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita sul punto ad una convenzione di valore negoziale, la quale si risolve in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo; l’esistenza di tabelle convenzionali, nel caso in esame, non risulta, tuttavia, né allegata né dimostrata.

Ove invece la tabella millesimale approvata dall’assemblea abbia inteso unicamente determinare quantitativamente la portata dei rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sulla base dei criteri legali, l’invalidità di una delibera per difetto dei quorum prescinde dalla necessaria verifica del rispetto delle indicazioni tabellari.

Ciò appunto perché, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, ma rivela un valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. Unite, n. 18477 del 2010). Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste, dunque, prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi, la cui esistenza ed il cui rispetto non costituiscono, perciò, requisito di validità delle delibere assembleari, essendo consentito sempre di valutare anche “a posteriori” in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio (così da ultimo Cass. n. 3295 del 2023).

Se poi il condomino voglia lamentare che le tabelle millesimali in uso sono erronee, deve agire per la revisione delle stesse a norma dell’art. 69 disp. att c.c., fermo restando che, secondo l’orientamento di questa Corte, la portata non retroattiva della pronuncia di revisione giudiziale non comporta l’invalidità di tutte le delibere approvate sulla base delle tabelle precedentemente in vigore (Cass. n. n. 2635 del 2021; n. 6735 del 2020; n. 4844 del 2017; Sez. Unite n. 16794 del 2007).

4.5. — Le doglianze della ricorrente non sostengono che la deliberazione approvata dall’assemblea 13 febbraio 2013 fosse viziata con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua dei valori proporzionali delle unità immobiliari cui alludono l’art. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. Il senso delle censure contesta piuttosto l’argomentazione in diritto adoperata dai giudici del merito, distinguendosi tra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”. Tale distinzione è in effetti corrente nella pratica condominiale, ma non assume nessun rilievo giuridico ai fini della decisione oggetto di lite. Solitamente, le organizzazioni condominiali, per agevolare lo svolgimento delle rispettive assemblee (ovvero l’individuazione della composizione del collegio e delle maggioranze) e la ripartizione delle spese, si dotano, oltre che di una “tabella generale”, o “di proprietà”, che accerta in misura proporzionale il valore della proprietà di ciascun condomino (ad esempio, ai fini delle spese da suddividere ai sensi del primo comma dell’art. 1123 c.c.), anche di varie tabelle cosiddette “di gestione”, le quali attengono, ad esempio, alle scale e agli ascensori (art. 1124 c.c.), all’impianto di riscaldamento, al portierato, ovvero a cose destinate a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, con riguardo alle quali, sempre per legge, vengono in rilievo altresì l’uso o l’utilità delle cose o degli impianti considerati.

4.6. — La totale irrilevanza ai fini della decisione di tale distinguo fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione” priva evidentemente di decisività anche il motivo sul “giudicato esterno”, con riguardo al quale, prima ancora, dovrebbero evidenziarsi profili di inammissibilità.

La sentenza qui impugnata è stata pubblicata il 12 giugno 2018 ed è passata in decisione all’udienza del 7 novembre 2017. Si fa qui valere “il giudicato esterno, per effetto della sentenza Corte d’Appello di Milano n. 3903/2017, emessa in data 12 giugno 2017, pubblicata l’11 settembre successivo”. Se tuttavia una sentenza d’appello non abbia tenuto conto del giudicato formale intervenuto in separato giudizio prima del suo deposito (a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di giudicato sopravvenuto rispetto a tale momento), deve essere proposta revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e non ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 21493 del 2010). Il secondo motivo, peraltro, riferiva che quella sentenza era stato oggetto di ricorso per cassazione, seppure non sullo “specifico capo”. Così allora si trascura che il giudicato cosiddetto esterno ha connotazioni che lo differenziano nettamente da quello cosiddetto interno, ossia formatosi nell’ambito di un determinato procedimento ancora pendente, ai sensi dell’art. 329, secondo comma, c.p.c., in relazione alle parti non impugnate della sentenza, poiché, mentre il giudicato esterno è rilevabile anche di ufficio e la stessa Corte di cassazione ha il potere di verificarne se ne sussistono i presupposti di fatto, per il giudicato interno ogni accertamento compete esclusivamente al giudice di quel processo (Cass. n. 3040 del 1987; n. 4676 del 1996; n. 3895 del 2022).

Risulta, peraltro, che il ricorso per cassazione contro della sentenza Corte d’appello di Milano n. 3903/2017 è stato rigettato da questa Corte con ordinanza n. 3925/2019. Non vi è comunque alcuna affermazione contenuta nella sentenza di cui qui si chiede la cassazione che si ponga in contrasto con la portata della pregressa res iudicata, per la chiarita irrilevanza, ai fini in esame, della distinzione fra “millesimi (o tabella) di proprietà” e “millesimi (o tabella) di gestione”.

5. –– Può pertanto enunciarsi il seguente principio:

il condomino che impugna una deliberazione dell’assemblea, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o alla approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l’onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall’art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell’intero edificio, senza che abbia rilievo in proposito l’esistenza di una “tabella di proprietà” e di eventuali “tabelle di gestione”, le quali hanno, di regola, valore puramente dichiarativo dei criteri di calcolo stabiliti dalla legge per determinati beni o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa o soltanto una parte dell’intero fabbricato, e servono soltanto ad agevolare lo svolgimento delle assemblee e la ripartizione delle spese ad essi relativi.

6. — Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., quanto al valore “indeterminato basso” della causa stimato dai giudici di appello ai fini della liquidazione delle spese e seguito anche nella sentenza di primo grado. La censura sostiene che la domanda proposta in primo grado richiedeva la nullità della delibera condominiale del 13 febbraio 2013 per il “danno” subito dalla ricorrente pari ad € 950,00, cifra che esprime la differenza tra quanto versato in esecuzione di detta delibera e quanto la condomina YYYYY avrebbe invece dovuto legittimamente corrispondere.

Nella memoria depositata in data 22 settembre 2023, la ricorrente integra tale motivo, adducendo che la liquidazione delle spese di lite è stata operata dai giudici di appello senza riferirsi al valore della domanda, quanto facendo uso di un criterio “punitivo”, per la “molteplicità” e “cavillosità” delle argomentazioni difensive svolte.

6.1. –– Anche questo motivo è del tutto infondato.

6.1.1. Al fine della liquidazione degli onorari di avvocato a carico del soccombente, nell’azione di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio, che sia volta ad ottenere una sentenza di annullamento avente effetto nei confronti di tutti i condomini, il valore della causa deve essere determinato sulla base dell’atto impugnato, e non sulla base dell’importo del contributo alle spese dovuto dall’attore, non operando la pronuncia solo nei confronti dell’istante e nei limiti della sua ragione di debito (cfr. Cass. n. 9068 del 2022; n. 19250 del 2021).

Peraltro, la domanda rivolta alla declaratoria di invalidità di una delibera assembleare sotto il profilo della esatta individuazione dei millesimi spettanti ai partecipanti rivela effettivamente valore indeterminabile, in quanto la pronuncia invocata si proietta verso il futuro e chiede la fissazione di un criterio di attribuzione dei valori proporzionali di proprietà (cfr. Cass. n. 1513 del 1976).

6.1.2. Peraltro, in tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al giudice di merito e non è soggetta al sindacato di legittimità (tra le tante, Cass. n. 6110 del 2021; n. 12537 del 2019).

Alla stregua dell’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, recante i parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale e per la liquidazione a carico del soccombente costituito, ben può tenersi conto anche delle caratteristiche dell’attività prestata e delle difese risultate manifestamente infondate, nella specie costituendo elemento di valutazione negativa l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli (comma 7).

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna della ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione negli importi rispettivamente liquidati in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore del Condominio XXXXX in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, in favore di SSSSS in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, ed in favore di VVVVV in complessivi € 4.300,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2023.