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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 20890/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Art. 1117 bis c.c. – Supercondominio – Costituzione – Art. 1130 c.c. – Art. 1130 c.c. – Legittimazione attiva

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass.  n. 1366 del 2023;  n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).

ORDINANZA

 sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende

 -ricorrente-                                            

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

                                                                      -controricorrente-

avverso la SENTENZA del TRIBUNALE ROMA n. 9379/2018 depositata il 10/05/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.           YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 9379/2018 del Tribunale di Roma, pubblicata il 10 maggio 2018.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.

2.           La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.

Il ricorrente ha depositato memoria.

3.           Il Tribunale di Roma ha accolto l’appello spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Giudice di pace di Roma il 2 dicembre 2015 ed ha perciò rigettato l’opposizione del condomino YYYYY al decreto ingiuntivo pronunciato il 13 ottobre 2014 dal Giudice di pace su domanda del 19 settembre 2013, avente ad oggetto la riscossione di contributi condominiali inerenti ai lavori di adeguamento dell’autorimessa A, di cui al riparto approvato con delibera assembleare del 13 settembre 2012.

Il Giudice di pace aveva dichiarato la propria incompetenza per valore e dichiarato la nullità del decreto ingiuntivo opposto, ed aveva altresì rilevato la irritualità della procura conferita dal Condominio, essendo solo dichiarata, ma non provata, la qualità del soggetto munito di potere rappresentativo.

L’appello è stato accolto dal Tribunale di Roma dopo aver superato plurime questioni pregiudiziali, in particolare, per quanto qui rilevi: a) affermando la legittimazione attiva del Condominio XXXXX, costituente un supercondominio (e non dunque del solo “fabbricato Omissis”, come sostenuto dal YYYYY); b) negando che si dovesse procedere alla riassunzione ex art. 50 c.p.c., piuttosto che all’appello, avendo deciso la sentenza del Giudice di pace non solo sulla competenza, ma anche sulla rappresentanza del Condominio; c) accertando che la domanda monitoria aveva il valore  di € 2.476,66 e perciò rientrava nella competenza dell’adito giudice di pace; d) evidenziando che il mandato per il ricorso monitorio depositato il 13 settembre 2013 era stato sottoscritto dall’amministratore pro tempore Omissis, non rilevando ai fini dell’instaurato rapporto processuale che il medesimo Ricciardi fosse poi stato revocato dall’assemblea il 23 giugno 2014 e sostituito dal nuovo amministratore Omissis.

4.           Il controricorrente antepone una eccezione di inammissibilità del ricorso “per violazione dei principi di autosufficienza e di specificità”. L’eccezione, per come formulata, non può essere accolta, in quanto  l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c. deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonché l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 16887 del 2013).

Non di meno, deve riconoscersi che i motivi di ricorso si risolvono in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili di fatto, ed invocano un generico rinnovato esame delle risultanze di causa. 

Il Collegio può dare risposta alle critiche contenute nei motivi di ricorso nei limiti in cui appaia quanto meno soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione delle relative ragioni e le censure consentano di individuare il vizio dedotto e la norma o il principio di diritto che si assume violato, in maniera da sussumere le stesse in una delle categorie logiche contemplate dall’art. 360 c.p.c.

5.           Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 75, 77, 81, 99, 100, 101, 112, 132, 157, 159, 643 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 e 24 Cost., 1129, 1130, 1131 e 2697 c.c., il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

La censura attiene alla perdita di efficacia della procura conferita il 13 settembre 2013 agli avvocati Omissis dall’amministratore Omissis, una volta che quest’ultimo era stato sostituito dal nuovo amministratore Omissis il 23 giugno 2014. 

5.1.        Il primo motivo di ricorso è carente sotto il profilo della specificità, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. Con esso il ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., indicando diciotto norme di legge di cui lamenta la violazione, senza tuttavia esaminarne il rispettivo contenuto precettivo e raffrontarlo mediante specifiche argomentazioni con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, evidenziandone il contrasto con l’interpretazione che di tali disposizioni fornisce la giurisprudenza o la dottrina (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 23745 del 2020).

5.2.        Non ricorre la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la stessa contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, come d’altro canto conferma la contestuale proposizione di molteplici denunce della violazione di norme di diritto sostanziale, le quali presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame le questioni oggetto di doglianza e le abbia risolte in modo giuridicamente non corretto.

5.3.        Il Tribunale di Roma ha comunque deciso la questione di diritto in oggetto in modo conforme all’orientamento di questa Corte e il motivo non offre elementi per mutare tale consolidata interpretazione giurisprudenziale. 

La procura al difensore rilasciata a margine o in calce al ricorso per decreto ingiuntivo abilita lo stesso al patrocinio non solo nella fase monitoria, ma anche all’eventuale giudizio di opposizione. Ove tale procura sia conferita da un condominio, il mutamento della persona dell’amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, operando quest’ultimo, nell’interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio (Cass. n. 27302 del 2020).

Inoltre, il provvedimento giudiziale o la deliberazione assembleare di revoca dell’amministratore del condominio non travolge gli atti compiuti anteriormente dall’amministratore rimosso dall’incarico, i quali non sono viziati da alcuna automatica invalidità, continuando piuttosto a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (arg. da Cass. n. 454 del 2017).

6.           Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., per la irritualità e la intempestività della riassunzione operata dal Condominio XXXXX dopo la declinatoria di competenza pronunciata dal Giudice di pace.

6.1.        Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denota una carenza di specifica riferibilità alla sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.

Nel caso in esame, a fronte della dichiarazione di incompetenza e del rilievo di carenza di prova del rappresentante del Condominio XXXXX compiuti dal Giudice di pace, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, lo stesso Condominio non ha proceduto a riassumere il giudizio dinanzi al giudice indicato come competente, prestando acquiescenza alla declaratoria di incompetenza, ma ha impugnato con appello la relativa decisione.

Il Tribunale, avendo reputato fondata la censura relativa alla declinatoria di competenza del giudice di pace, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, ha così dichiarato erronea la declinatoria di competenza e correttamente deciso sul merito quale giudice d’appello (Cass. n. 33456 del 2019; n. 13623 del 2015; n. 6520 del 2007).

7.           Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1136, 1137, 1138, 1120, 1421, 1423 c.c. La tesi è: era nulla la delibera del 12 gennaio 2012 e “ogni altra delibera ad essa connessa” (…); “si è costituito in giudizio … il complesso edilizio Omissis 14/16/28, ancorché privo di legittimazione attiva e di carenza ad agire, essendo completamente estraneo al condominio autonomo Azalea 14 e al locale autorimessa”. Si contesta la composizione dell’assemblea del 12 gennaio 2012 che ha approvato i lavori e le relative spese.

7.1.        Anche questo motivo è privo di specificità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. 

Il Tribunale di Roma ha evidenziato che le deliberazioni con cui erano stati approvati i lavori e ripartite le spese, e sulle quali è fondato il decreto ingiuntivo opposto nel presente giudizio, erano riferibili al Condominio XXXXX.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass.  n. 1366 del 2023;  n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).

Spetta, comunque all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di cassazione, se non nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., verificare l’appartenenza di un bene ad uno soltanto o a tutti gli edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale (Cass. n. 2623 del 2021).

È comunque tautologica, giacché priva di effettivo valore informativo, l’affermazione del ricorrente secondo cui il locale autorimessa è parte comune del “condominio autonomo Omissise non del superCondominio XXXXX.

Inoltre, l’allegazione che le delibere di approvazione e riparto delle spese inerenti all’autorimessa fossero state adottate con erroneo calcolo delle maggioranze serve a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, e, alla stregua dei principi enunciati dalla sentenza n. 9839 del 2021 delle Sezioni Unite, tale vizio non poteva essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente inammissibilità delle censure rivolte dal ricorrente.

8.           Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 88, 91, 94, 96 c.p.c., 1394, 1398, 2043 e 2049 c.c., nonché di “ogni altra norma applicabile”. Si lamenta la temerarietà dell’azione proposta da Marco Riccardi in nome e per conto del complesso Omissis e della difesa assunta dagli avvocati Omissis, “senza possedere la qualità di amministratore” il primo e senza valida procura alle liti i secondi e si fa rinvio alle “gravi e false informazioni” contenute nella comparsa di risposta del 28 dicembre 2014.

8.1. Anche questa censura è inammissibile.

Essa sembra fondarsi sull’art. 94 c.p.c., il quale configura una responsabilità processuale dei rappresentanti e prevede la loro condanna, eventualmente in solido con la parte rappresentata, nei confronti dell’avversario vincitore. L’esame delle precedenti censure ha tuttavia conclamato la integrale soccombenza di YYYYY.

9.           Nella memoria depositata in data 26 maggio 2023, il ricorrente lamenta altresì l’omessa pronuncia sulla eccezione relativa alla “violazione della legge 02/02/1974, n. 64 – provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”. 

Si tratta, però, di questione non compresa tra i motivi enunciati nel ricorso e la memoria di cui all’art. 380-bis.1, c.p.c., al pari di quella prevista dall’art. 378 c.p.c., ha la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici delle censure già esposte nel medesimo ricorso ritualmente proposto, col quale si “consuma” il diritto di  impugnazione, non potendosi perciò veicolare tramite la memoria “motivi aggiunti”, né integrare quelli originari.

10. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza in favore del controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA 20977/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Supercondominio – Contratto per la manutenzione di impianto termico di supercondominio — Terzo responsabile ex art. 31 legge n. 10 del 1991 ─ Risoluzione e risarcimento danni per inadempimento – Certificato Prevenzione Incendi

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da

Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis);

– ricorrente –

contro

YYYYY, rappresentata e difesa dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis  (Omissis p.e.c.: Omissis);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2023 dal Consigliere Omissis.

CONSIDERATO CHE:

Con sentenza n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019, la Corte d’appello di Genova ha confermato, con aggravio di spese, la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dal Condominio XXXXX nei confronti della YYYYY, diretta a ottenere la risoluzione del contratto di fornitura e somministrazione di calore e acqua calda, per inadempimento della convenuta, dedotto in ragione di ripetuti malfunzionamenti e disservizi, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni.

I passaggi salienti della complessa motivazione sono così schematizzabili.

I) Sintesi delle motivazioni della sentenza di primo grado:

i. la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale appellata avendo appellata avendo ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle infiltrazioni in esso presenti (tali da pregiudicare il funzionamento dell’impianto);

ii. tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per contratto solo alla manutenzione dell’impianto, e non a quella del locale; né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta esecuzione dell’impianto, riferibile solo al momento dell’installazione,

iii. l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza del locale era stata segnalata da parte convenuta all’amministratore di alata da parte convenuta all’amministratore di condominio, oralmente, anche prima della lettera dell’11 dicembre 2012 condominio, (come da dichiarazioni dei testi Omissis);

iv. il malfunzionamento dell’impianto era stato determinato anche da interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini, con particolare riferimento alla modifica del camino e della canna fumaria (teste Omissis), nonché alle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio (testi Omissis) avendo i testi Omissis confermato che alcuni episodi di malfunzionamento hanno interessato proprio solo i piani alti

v. è dimostrato che lo spegnimento della caldaia è stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (cfr. testi Omissis);

vi. è provato altresì che parte convenuta ha garantito tempestivi interventi a seguito di ogni segnalazione (testi Omissis)

II) Esame e valutazione dei motivi dell’appello:

i. a fronte di tale analitica motivazione, l’appellante si limita a riproporre apoditticamente le difese già svolte in primo grado; in particolare, in primo luogo, non svolge una specifica censura in ordine all’individuazione delle cause del malfunzionamento dell’impianto;

ii. cerca solamente di indurre in equivoco sull’effettivo contenuto delle pattuizioni contrattuali, ma l’assunzione della prestazione relativa al rifacimento della centrale termica, ivi comprese le opere edili all’uopo necessarie, non può certo implicare l’assunzione del diverso e ulteriore impegno di manutenzione ordinaria e straordinaria del locale caldaia di proprietà del condominio, in modo da prevenire le infiltrazioni di acqua e porre rimedio alle medesime

iii. anche in relazione all’asserita omessa segnalazione dell’originaria inidoneità dei locali, l’appellante non censura in modo specifico la sentenza appellata laddove viene chiaramente indicato che l’attestazione di idoneità del locale poteva riguardare solo il momento in cui venne rilasciata, e non aveva nulla a che fare con inconvenienti verificatisi successivamente, quali appunto le infiltrazioni derivanti da carente manutenzione, cui era tenuto il proprietario

iv. ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione delle cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis, tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta

v. un corretto esame delle deposizioni dei testi Omissis presenti infiltrazioni come quelle che in seguito hanno provocato il malfunzionamento dell’impianto, anche considerato che, in caso contrario, non avrebbe mai potuto essere richiesto, né tanto meno rilasciato il nulla osta dei Vigili del Fuoco

vi. quanto alla concorrente causa rappresentata, secondo il primo Giudice, dalle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio, l’appellante, anziché censura re in modo specifico la sentenza appellata, ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione

vii. il rilievo secondo cui non sarebbe stata consegnata da YYYYY tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, indispensabile per l’esercizio della caldaia in conformità alla legge, è smentito dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’ amministratore del condominio nella compilazione della relativa domanda, come risulta dalla dichiarazione del teste Omissis. In ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di sua competenza , tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA (v. ancora deposizione teste Omissis).

Avverso tale sentenza il Condominio XXXXX propone ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resiste la YYYYY depositando controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RILEVATO CHE:

1. I motivi di impugnazione sono così ivi sintetizzati alle pagg. 2 e 3 del ricorso:

«MOTIVO I (pag. 10): violazione dell’art. 360, comma primo, nn. 1 e 5, cod. proc. civ. per violazione di legge in relazione alla L. n. 10 del 1991, art. 31, comma 2 e del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 1, comma 1, lett. o) e per non aver deciso sulla responsabilità relativa alla qualifica di terzo responsabile assunta contrattualmente dalla YYYYY nel rispetto della normativa vigente.

«MOTIVO II (pag. 30): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c. per avere il giudice d’appello disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali ovvero la confessione della controparte contenuta nella lettera datata 11/12/2012.

«MOTIVO III (pag. 31): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per nullità del procedimento per la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 2697 e 2735 cod. civ., per avere la Corte d’appello trascurato di valutare una prova legale acquisita al giudizio e costituita dalla dichiarazione dell’11/12/2012, avente valenza di confessione stragiudiziale e tale, per effetto probatorio suo proprio, di dare piena dimostrazione dell’inadempimento contrattuale.

«MOTIVO IV (pag. 33): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti, consistente nella ritardata consegna da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e della mancata consegna dello stesso (mai prodotto in atti da controparte) e ciò in violazione dell’art. 1453 cod. civ. in ordine alla configurazione dell’inadempimento e all’art. 2967 c.c. circa l’onere della prova dello stesso.

«MOTIVO V (pag. 38): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per travisamento di fatti, per aver attribuito alle dichiarazioni dei testi un valore differente da quello che emerge dagli atti.

«MOTIVO VI (pag. 46): ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 comma 2 cod. proc. civ., avuto riguardo alla dichiarata sussistenza di un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza stessa in punto disciplina delle spese giudiziali;

«MOTIVO VII (pag. 49): con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per aver disposto la condanna al pagamento di spese per attività mai espletate e già ritenute in motivazione non dovute».

2. Il primo motivo è in parte infondato, in altra parte inammissibile.

2.1. Dalla prolissa illustrazione ─ nella quale, va detto, non trova spiegazione l’eccentrico riferimento in rubrica alle tipologie di vizio di cui all’art. 360, nn. 1 e 5, senza che tuttavia ciò impedisca, come si vedrà, di comprendere l’ubi consistam delle censure (v. Cass. 24/07/2013, n. 17931) ─ si traggono anzitutto le seguenti premesse, svolte attraverso la testuale citazione, osservante dei requisiti di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ., di interi lunghi brani di documenti ed atti dei giudizi di merito (pagg. 10-24 del ricorso):

─ il contratto intercorso tra le parti prevedeva alla lettera f), e indirettamente anche all’art. 2 lett. L, l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo Responsabile della centrale termica;

─ tale circostanza era stata richiamata: a) dalla stessa convenuta, odierna controricorrente, nella sua comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado; b) dal condominio nell’atto di appello, nel quale in particolare si evidenziava che per tal motivo la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione;

─ su di essa l’appellata aveva preso posizione anche nel giudizio di secondo grado, contestando che gli obblighi connessi all’assunzione di tale ruolo fossero stati disattesi, assumendo, da un lato, che dalle competenze del terzo responsabile esulano compiti di manutenzione del locale caldaia e che nessun obbligo di comunicazione scritta in merito alla necessità di lavori di manutenzione di tale locale era posto a carico del Terzo responsabile (tale obbligo sussistendo solo in merito ai lavori di straordinaria manutenzione dell’impianto), dall’altro, che essa aveva comunque provveduto tuttavia a segnalare tempestivamente e ripetutamente all’amministratore del Condominio XXXXX la presenza di infiltrazioni di acqua piovana all’interno del locale caldaia e la necessità di provvedere alla impermeabilizzazione del predetto locale.

2.2. Poste tali premesse, l’illustrazione del motivo prosegue (pagg. 24 – 30) con la prospettazione dei veri e propri argomenti di critica, che possono sintetizzarsi nelle seguenti proposizioni:

─ erroneamente la Corte d’appello ha avvalorato la ricostruzione offerta dalla parte appellata;

─ essa inoltre ha omesso di motivare, pur dandone atto, sui motivi di doglianza con i quali si era dedotto che era obbligo della YYYYY attendere a «controllo e attuazione di tutto quanto necessario per il raggiungimento dello scopo contrattuale sopra richiamato» e che era anche a carico della YYYYY la revisione dell’impianto elettrico, ciò implicando che «se vi fossero state delle anomalie sul muro parte appellata avrebbe dovuto rendersene conto nel corso dei lavori e degli interventi eseguiti»;

─ la Corte è incorsa in violazione di legge per non aver correttamente qualificato la figura del Terzo Responsabile in capo alla YYYYY, non motivando sull’omessa prova di informazione da parte della YYYYY al condominio;

─ la sentenza impugnata postula una ricostruzione degli obblighi del Terzo responsabile contrastante con quella operata dall’arresto di Cass. n. 13966 del 23/05/2019 e, in particolare, con il principio, ivi affermato, secondo cui «solo le dimissioni dall’incarico, previa formale diffida al proprietario delegante, potevano comportare l’esonero del terzo dalle responsabilità derivanti dall’assunzione di tale veste, non potendo invece bastare né la generica consapevolezza altrimenti acquisita dal proprietario delegante circa eventuali inadeguatezze dell’impianto, né comunicazioni da parte del terzo responsabile cui non abbiano fatto seguito iniziative formali dirette a incidere sul rapporto e sulle connesse responsabilità».

Sostiene in definitiva il ricorrente che, applicando tale principio di diritto, «il numero rilevante degli episodi di malfunzionamento e la loro reiterazione, …, prova … l’inadempimento in cui è incorsa YYYYY perché avendo assunto la … qualifica di Terzo Responsabile, ad ogni disservizio avrebbe dovuto … – cosa mai occorsa – informare il Condominio del problema che aveva determinato il blocco (vuoi allagamento vuoi l’infiltrazione o altro), e avrebbe altresì dovuto – cosa che non ha fatto – indicare la o le tipologie di interventi che riteneva necessari per risolvere il problema e ripristinare l’efficienza dell’impianto; di conseguenza, poi, se il Terzo Responsabile si fosse trovato davanti al mancato riscontro o alla non adesione del Condominio alle sue indicazioni o ordini, avrebbe dovuto diffidare il Condominio ad adempiere o ad intervenire per assicurare, appunto, quegli interventi ritenuti dallo stesso necessari, a spese e costi del delegante. Infine, ed ancora, in caso di inerzia del Condominio debitamente interessato e informato per iscritto e con il rispetto dei requisiti richiesti ex lege nelle comunicazioni del Terzo Responsabile, come da previsione normativa, avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni e avviare quelle procedure necessarie ad intervenire sul contratto, risolvendolo».

2.3. Si ricavano, dunque, da tale illustrazione del motivo, due censure: una prima di omessa motivazione su motivi di gravame (v. supra, par. 2.2., secondo alinea); una seconda di violazione di legge per avere erroneamente operato la ricognizione delle norme in tema di Terzo responsabile di impianto, in particolare con riferimento agli oneri di informazione su di esso gravante e sulle conseguenze della mancata ottemperanza agli ordini di intervento dallo stesso impartititi (v. supra, par. 2.2., terzo e quarto alinea)

2.4. La prima di dette censure è manifestamente infondata.

La Corte d’appello ha compiutamente esaminato il secondo motivo di gravame, riportando analiticamente tutti gli argomenti di critica al suo interno dedotti tra cui anche quelli cui è riferita la doglianza (v. sentenza pag. 3).

Il suo rigetto, motivato dal rilievo che competeva alla YYYYY solo la manutenzione dell’impianto, e non anche quella del locale, e dalla ulteriore considerazione che la detta società aveva segnalato l’inadeguatezza dell’impianto, ha con ciò evidentemente espresso, per implicito, anche un giudizio di infondatezza degli argomenti di critica in questione.

Deve al riguardo ribadirsi che il vizio d’omessa pronuncia – configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto, o il suo assorbimento in altre statuizioni. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass. n. 1360 del 26/01/2016; n. 9244 del 18/04/2007; n. 4079 del 25/02/2005; n. 3403 del 20/02/2004).

2.5. La seconda censura è inammissibile.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).

In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.

Nella sentenza impugnata non c’è alcun passaggio nel quale venga affrontata la questione dei compiti del Terzo responsabile d’impianto, ragione per cui, a fortiori, inutilmente si andrebbero a perseguirvi affermazioni che evidenzino una erronea ricognizione delle norme che tale figura definiscono, regolandone i compiti, o una falsa applicazione delle stesse alla fattispecie concreta. Né, come detto, il ricorrente le individua.

2.6. Il silenzio sul punto avrebbe, dunque, semmai essere potuto ascritto a vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), se e in quanto ne ricorressero i presupposti.

Un tale vizio non è, però, dedotto e non sembra ricavabile da una lettura sostanzialistica del motivo.

2.7. In tale prospettiva mette conto comunque osservare che:

─ dalla stessa analitica rassegna degli atti del processo e della relativa cronologia si ricava che, nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado, a fondamento della domanda di risoluzione e di risarcimento del danno non era stato posto il fatto che, all’interno del contratto de quo, vi fosse pure l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo responsabile di impianto;

─ la circostanza era stata piuttosto incidentalmente affermata dalla convenuta nella comparsa di costituzione;

─ non risulta essere stata poi dedotta, sia pure tardivamente, nel corso del giudizio di primo grado, né in sede di precisazione delle conclusioni;

— essa era stata poi ripresa dal condominio nell’atto di appello nel quale, come detto, per la prima volta si evidenziava che, in ragione dell’assunzione di tale qualità, la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione.

È però del tutto evidente che tale allegazione forniva alla pretesa un nuovo e diverso fondamento (rispetto a quello inizialmente indicato con riferimento alle altre previsioni del contratto) ed andava dunque a introdurre nel giudizio una domanda nuova.

Per tal motivo la mancata considerazione del fatto in questione verrebbe a rappresentare comunque una omissione priva di decisività, trattandosi di fatto estraneo al perimetro della controversia quale definito dalla domanda introduttiva.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

In relazione alla confessione contenuta sulla premessa che la lettera dell’11 dicembre 2012 (quella con la quale per la prima volta per iscritto era stata segnalata da YYYYY al condominio l’inadeguatezza dei locali) conteneva anche una dichiarazione confessoria, si sostiene che, in mancanza di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione, alla stessa doveva riconoscersi valore di prova legale in merito alla provenienza della dichiarazione e in quanto tale non è soggetta alla libera valutazione del giudice secondo il suo prudente apprezzamento.

Ciò posto si deduce che il giudice di merito è incorso nella violazione delle norme evocate in rubrica per aver posto a base della decisione prove valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, disattendendo così delle prove legali, e per converso per avere considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

La censura, come detto, è inammissibile, dal momento che, anche in tal caso, non è individuata dal ricorrente, né comunque è dato ricavare dalla lettura della sentenza, alcuna affermazione che evidenzi la violazione delle norme sostanziali e processuali evocate in rubrica, non vedendosi dove la Corte abbia escluso l’autenticità della lettera dell’11 dicembre 2012 e dove e in che senso essa abbia ad essa attribuito un valore probatorio diverso da quello ad essa spettante.

È appena il caso di rimarcare al riguardo che:

— come ricorda lo stesso ricorrente, il valore di prova legale della scrittura privata discendente ex art. 2702 cod. civ. dal suo espresso o tacito riconoscimento da parte di colui contro la quale essa è prodotta, riguarda solo la provenienza della stessa da colui che l’ha sottoscritto, non certo il suo contenuto intrinseco;

— è rimessa al giudice di merito la indagine sul contenuto e sul significato della dichiarazione di volontà di una parte del processo, al fine di accertare se essa concreti o meno una confessione e se sussistano gli elementi della stessa (Cass. n. 1427 del 17/05/1974; n. 62 del 10/01/1972; n. 25 del 05/01/1972; n. 459 del 22/02/1971; n. 1218 del 20/04/1968) e tale valutazione è sottratta al sindacato del giudice di legittimità salvo che per errori giuridici o nella ricognizione fattuale, nei limiti in cui questi sono oggi deducibili ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.: errori nella specie nemmeno dedotti.

4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

Ancora in relazione al contenuto della lettera di YYYYY dell’11 dicembre 2012 se ne deduce, in subordine, il valore di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. e si ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la stessa può essere liberamente apprezzata dal Giudice di merito a cui compete stabilire la portata della dichiarazione stessa rispetto al diritto fatto valere in giudizio e tale valutazione è sindacabile in cassazione solo se adeguatamente motivata.

Ciò premesso, si lamenta che nella specie sia mancata, nella sentenza impugnata, proprio tale adeguata motivazione.

Anche tale censura non supera, come detto, il preliminare vaglio di ammissibilità.

Come ricorda lo stesso ricorrente la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. n. 11898 del 18/06/2020; n. 25468 del 16/12/2010; n. 29316 del 15/12/2008).

Trattasi di valutazione prettamente di merito, al pari di quella operata con riferimento ad ogni altro elemento istruttorio.

Come tale è sottratta al sindacato di questa Corte se non per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..

Nella specie la censura si muove su di un piano certamente diverso, ossia proprio quello della valutazione del mezzo istruttorio e del significato e contenuto intrinseco della dichiarazione, nella vigente disciplina non più consentito a questa Corte.

5. Il quarto motivo è inammissibile.

5.1. Esso investe la sentenza nella parte in cui ha rigettato il settimo motivo di gravame relativo alla mancata consegna, da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi oltre che del certificato medesimo, sul rilievo che tale circostanza è smentita «dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’Amministratore del Condominio nella compilazione della relativa domanda».

Lamenta il ricorrente che, così motivando, la Corte d’appello «ha posto a fondamento del suo ragionamento non solo un documento che non esiste agli atti perché mai consegnato (il certificato di prevenzione incendi inerente il Condominio XXXXX e la nuova caldaia installata nel 2011), bensì un documento che è estraneo alle parti in causa e in quanto tale del tutto irrilevante».

Rileva, infatti, che il certificato di prevenzione incendi prodotto in atti da controparte è inerente al diverso condominio corrente in Omissis e si riferisce ad un diverso impianto e ad un’epoca diversa.

5.2. Il motivo, il quale deve più correttamente intendersi come volto a denunciare un vizio di «travisamento di prova», è ─ come si diceva ─ inammissibile.

Rimane, infatti, non censurata l’alternativa ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, espressiva di un giudizio di sostanziale irrilevanza dell’inadempimento di tale specifico obbligo, secondo cui «in ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di suo competenza, tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA».

È appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Cass. n. 2174 del 24/01/2023; n. 13880 del 06/07/2020; n. 14740 del 13/07/2005).

6. Il quinto motivo prospetta tre diverse censure.

6.1. La prima investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha osservato (pag. 4, penultimo capoverso), ad ulteriore giustificazione del rigetto del secondo motivo d’appello, che «ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione della cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta».

Si sostiene, in sintesi, sulla scorta di una trascrizione testuale delle deposizioni dei testi suindicati, che da queste sono tratte informazioni errate, dal momento che nessuno dei testi indicati ha fatto riferimento a date o ad anni.

6.2. Il motivo investe poi la parte della sentenza dove non sarebbe stato specificamente censurato l’accertamento, contenuto nella sentenza di primo grado, del fatto che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (teste Omissis).

Si rileva, al riguardo, che, in realtà, uno specifico motivo di gravame era contenuto alle pagg. 17-18 dell’atto di appello, con il quale si era dedotto che, in realtà, il teste Omissis, aveva escluso categoricamente che l’interruttore fosse stato posizionato in posizione di “OFF” dall’azione umana ed aveva piuttosto dichiarato che ciò fosse dipeso dallo scattare del differenziale per ragioni di sicurezza, e quindi da un’azione meccanica.

6.3. Il motivo, infine, considera un’ulteriore parte della sentenza (pagg. 6 -7) nella quale ─ a giustificazione del rigetto del quarto motivo di gravame (che iterava la tesi dell’inadempimento per non esservi prova delle infiltrazioni, né dell’incidenza causale della sopraelevazione) e poi del quinto motivo (che ancora insisteva nel rilievo della mancata corretta informazione sulle infiltrazioni e sui rimedi da adottare) ─ si osserva che:

─ non è censurata in modo specifico la motivazione della sentenza appellata (che ha ritenuto l’esistenza delle infiltrazioni di acqua quale causa dei malfunzionamenti), ma l’appellante si limita ad affermare apoditticamente che non vi sarebbe prova delle infiltrazioni;

─ non è censurato in modo specifico l’accertamento dell’incidenza causale sui malfunzionamenti di interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini (modifica del camino e della canna fumaria, con riferimento alla fioriera posta sulla canna fumaria; modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio); al riguardo, infatti, l’appellante ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione; e però, da un lato, la deposizione del teste Omissis (amministratore del Condominio) non dice nulla in ordine al momento in cui è stata eseguita la sopraelevazione rispetto all’installazione del nuovo impianto, dall’altro, per quanto esposto nella sentenza appellata, il malfunzionamento è ricollegato non tanto al fatto della sopraelevazione in se stesso, quanto alle modifiche del camino e della canna fumaria, nonché dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda;

─ le deposizioni dei testi Omissis dimostravano che il Condominio era consapevole del problema delle infiltrazioni e che tuttavia non vi ha posto rimedio.

Tale parte della motivazione è censurata attribuendo una non corretta lettura delle deposizioni testimoniali richiamate.

7. Nello scrutinio del motivo occorre dunque separatamente considerare le tre distinte censure.

7.1. La prima di esse è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. poiché non coglie l’effettiva ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, che rimane quindi non censurata: ratio rappresentata dal rilievo della aspecificità della censura e, quindi, della sua inammissibilità ex art. 342 cod. proc. civ..

7.2. Analoghe considerazioni valgono per la seconda censura.

Anche in tal caso il ricorrente non coglie l’effettiva ratio decidendi addotta in sentenza.

Questa, invero, come si ricava dalla necessaria lettura contestuale dell’intero primo paragrafo di pag. 4, ha posto ad oggetto della propria disamina, da un lato, una considerazione unitaria e complessiva dei vari e articolati rilievi svolti dal primo giudice e, dall’altro, una considerazione altrettanto unitaria degli argomenti ad essi contrapposti dall’appellante.

In tale contesto, con il rilievo della aspecificità delle censure proposte in ordine alla individuazione delle cause del malfunzionamento il giudice d’appello non intende affatto dire che sullo specifico assunto (nella sentenza del Tribunale) che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica non vi fosse un contrapposto specifico rilievo critico, quanto piuttosto che si trattava di questione del tutto priva di rilievo dal momento che restava non specificamente censurata l’altra assorbente ratio decidendi data dal collegamento causale del malfunzionamento alle infiltrazioni presenti nel locale caldaia e agli altri detti interventi del condominio o di singoli condomini.

7.3. Anche la terza censura, infine, si appalesa inammissibile.

Lo è anzitutto con riferimento alle motivazioni poste a fondamento del rigetto del quarto motivo di appello, rappresentate dal rilievo della aspecificità delle censure, delle quali il ricorrente sostanzialmente si disinteressa, non facendole segno di pertinenti critiche.

Ma lo è anche con riferimento alla motivazione addotta a fondamento del rigetto del quinto motivo di appello.

In tale parte il motivo evoca una ipotesi censoria (quella di «travisamento della prova»), in astratto, bensì presente nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la identifica tuttavia nell’errore di «percezione» della «informazione probatoria» (ricadente sul contenuto oggettivo della prova demonstratum denunciabile quale error in procedendo , per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.: v., ex aliis , Cass. 12/04/2017, n. 9356 e, da ultimo, Cass. 26/04/2022, n. 12971; 03/05/2022, n. 13918; 06/09/2022, n. 26209; 21/12/2022, n. 37382), tenendo ben fermo che «travisamento delle prove» è nozione distinta da quella di «valutazione delle prove».

Per la sua definizione può farsi riferimento alla giurisprudenza sull’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., la quale ha chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio.

È errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova.

Il travisamento concerne il livello percettivo che precede la valutazione. Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico o dei segni grafici nella loro materialità, si aprono le diverse opzioni valutative.

Proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento di prove ( error in procedendo per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.) solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice.

Il criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore è quello stesso dettato dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per la definizione di errore di fatto percettivo (deve cioè trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come è stato detto, del travisamento di un «dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi» ed inoltre «decisivo»), distinguendosi da questo solo perché inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio.

Orbene, nella specie un siffatto vizio è, come detto, inammissibilmente evocato in ricorso.

È evidente, infatti, che quel che in questa sede viene denunciato non è un errore percettivo ma, ben diversamente, un supposto errore di interpretazione delle dichiarazioni testimoniali ovvero, in sostanza, di valutazione della prova

Deve dunque anche escludersi che, sullo scrutinio della censura, possa interferire la questione da ultimo rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con ordinanze interlocutorie della Sezione Lavoro n. 8895 del 29/03/2023 e di questa Sezione n. 11111 del 27/04/2023, in quanto oggetto di contrasto all’interno della giurisprudenza di questa Corte, circa l’ammissibilità, nel vigente ordinamento processuale civile, del c.d. vizio di travisamento di prova nei termini sopra indicati.

8. Il sesto motivo è fondato.

Come invero rilevato dal ricorrente, vi è nella sentenza impugnata, in punto di spese processuali, una insanabile contraddizione tra la motivazione (nella quale così testualmente si afferma: «Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. devono pertanto essere poste a carico della parte appellante le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo in favore della parte appellata, ritenendo, quanto alla misura della liquidazione, che, avuto riguardo ai parametri generali di cui all’art. 4 DM 55/2014, sì possano applicare i valori medi dello scaglione di pertinenza della lite, di cui alle tabelle allegate al decreto medesimo, soprattutto in considerazione del livello di difficoltà della controversia e del grado di complessità delle questioni giuridiche affrontate, nonché del valore dell’affare; nulla è dovuto con riguardo alla fase istruttoria e/o di trattazione, considerando che la fase istruttoria non ha avuto svolgimento e che la fase di trattazione si è immediatamente esaurita con la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni») e il dispositivo (ove invece si statuisce: «Condanna parte appellante a rifondere le spese del presente grado di giudizio liquidate in € 9.515,00 per il compenso relativo alle fasi di studio, introduzione, trattazione e/o istruzione e decisione della causa ex DM 55/14, oltre accessori di legge (IVA, CPA, rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso) in favore della parte appellata»).

Tale contraddizione è irriducibile e non è possibile nemmeno ascriverla a mero errore materiale, in particolare ostando la mancata indicazione del valore della causa. L’importo liquidato di € 9.515,00 corrisponde, infatti, a quello medio liquidabile, sia considerando la fase di trattazione e istruzione per cause di valore compreso tra € 26.001 ed € 52.000, sia non considerando la detta fase ma per cause di valore compreso nello scaglione superiore (da € 52.001 ad € 260.000).

Se la Corte avesse indicato il valore considerato come compreso in detto ultimo scaglione, non avrebbe potuto dubitarsi che la liquidazione, in quanto dichiaratamente parametrata a valori medi, corrispondeva di fatto al criterio indicato in motivazione ed avrebbe pertanto ascriversi il contraddittorio inciso contenuto nel dispositivo a mero ininfluente errore materiale.

In mancanza di quella indicazione tale lettura non è però consentita e il contrasto tra motivazione e dispositivo rimane insanabile, determinando la nullità della sentenza, in parte qua, ai sensi dell’art. 156, comma secondo, cod. proc. civ.

Va in proposito ribadito che il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza non può essere eliminato con il rimedio della correzione dell’errore materiale poiché, non consentendo di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, determina la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 37079 del 19/12/2022; n. 5939 del 12/03/2018; n. 29490 del 17/12/2008).

9. Il settimo motivo resta conseguentemente assorbito.

10. In accoglimento, dunque, del solo sesto motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa rinviata al giudice a quo, in diversa sezione e diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

accoglie il sesto motivo di ricorso; rigetta il primo;

dichiara assorbito

il settimo motivo e inammissibili i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, anche per le spese.

Così deciso in Roma,

a seguito di riconvocazione, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2023

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TRIBUNALE DI PRATO SENTENZA N. 440/2023 29 GIUGNO 2023

Videosorveglianza – diritto alla sicurezza ed alla incolumità – Installazione da parte di condomino

Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.

Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.

Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.

Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.

il giudice dr.ssa Omissis ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. Omissis tra le parti:

ATTORE

PPPPP, cf Omissis

– difesa: avv. Omissis, cf Omissis

– domicilio: presso il difensore

CONVENUTI

GGGGG, cf Omissis

– difesa: avv. Omissis, cf Omissis

– domicilio: presso il difensore

OGGETTO: Altre ipotesi di responsabilità Extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie

Conclusioni delle parti

Per parte attrice: “come da atto di citazione – in tesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG per i titoli e le causali di cui in atti; e, per l’effetto, condannarli alla rimozione della stessa ed alla distruzione delle videoregistrazioni illegittime, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; nonché condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in subordinata ipotesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG e, per l’effetto, condannarli alla ricollocazione della stessa nel rispetto della privacy rimuovendo quella attuale, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; ed ordinare la distruzione delle videoregistrazioni illegittime; nonché condannare i convenuti in solido tra loro al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi, se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in ogni caso con vittoria di spese e onorari di causa – e in via istruttoria come da memoria depositata ai sensi dell’art. 183/2-3 c.p.c.”.

Per parte convenuta: “conclude in via istruttoria previa revoca dell’ordinanza del 5.7.2022 per l’amissione di tutti i mezzi istruttori richiesti con la seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. per le ragioni ivi indicate nonché nella denegata ipotesi di ammissione delle prove ex adverso richieste per l’ammissione alla controprova sulle stesse così come richiesto con la terza memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.. Nel merito conclude come da comparsa di costituzione e risposta – rigettare le domande tutte proposte dalla attrice nei confronti dei signori GGGGG perché infondate in fatto e in diritto. Il tutto con vittoria di spese e competenze per il presente giudizio.”.

Fatto e diritto

Con atto di citazione ritualmente notificato PPPPP ha citato in giudizio GGGGG per ottenere la condanna dei medesimi alla rimozione della telecamera installata dai medesimi nonché il risarcimento del danno subito.

A sostegno delle proprie domande l’attrice ha dedotto (1) che con comunicazione del 22.3.2017 l’amministratore del Condominio Fontanelle 4 via Soffici 24/58, ove risiede la stessa e gli odierni convenuti, ha reso noto che la famiglia GGGGG avrebbe installato un impianto di videosorveglianza presso la propria abitazione per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale; (2) che tale telecamera è stata posizionata in modo tale da inquadrare non tanto l’area prospiciente l’abitazione di loro proprietà bensì l’intero pianerottolo, il vano scale e l’ascensore, nonché l’ingresso dell’abitazione dell’odierna attrice; (3) che in tal modo i convenuti sono in grado di registrare ogni ingresso nell’abitazione della stessa, sia dall’uscita dell’ascensore che dalla cima delle scale, controllando le abitudini della famiglia dell’attrice, spiandone i movimenti, realizzando così una indebita ed illegittima intrusione nell’altrui vita privata e domestica; (4) che l’amministratore del condominio, alla luce delle lamentele dell’attrice, ha invitato i convenuti a posizionare l’apparecchio in modo tale da riprendere solamente la loro proprietà, tuttavia i convenuti non hanno rimosso detta telecamera; (5) che tali comportamenti hanno realizzato una palese e grave violazione della privacy posto che la telecamera si estende fino ad inquadrare il vano ascensore e la porta di ingresso dell’abitazione dell’attrice, riprendendo e registrando quindi ogni movimento della stessa nonché delle persone che vi accedono, compresi i minori; (6) che, inoltre, non risulta minimamente inquadrata la zona antistante l’abitazione di proprietà dei convenuti, rendendo, pertanto, del tutto pretestuoso e disatteso il fine di ‘sicurezza personale’ che era stato paventato dai convenuti per giustificare l’installazione della videocamera; (7) che, inoltre, l’impianto di videoregistrazione viola anche le disposizioni dettate dal codice civile in tema di condominio, posto che la videocamera inquadra zone pacificamente condominiali.

Con comparsa di costituzione e risposta si sono costituiti i convenuti i quali, dopo aver eccepito in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per mancanza dell’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c., hanno contestato la fondatezza delle domande avversarie, chiedendone il rigetto.

In particolare, i convenuti hanno dedotto (1) che la telecamera è stata installata per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale dei medesimi, dopo averne dato comunicazione all’amministratore di condominio; (2) che tale decisione si è resa necessaria dopo taluni comportamenti molesti e persecutori posti in essere dall’attrice e dalla famiglia della stessa; (3) che il procedimento penale a carico dei convenuti per il reato di cui all’art. 615 bis c.p. è stato archiviato posto che, come rilevato dal Pubblico Ministero “le riprese non integrano modalità per procurarsi indebitamente informazioni attinenti la vita privata altrui, in particolare della denunciante”; (4) che trattandosi di una videocamera privata installata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, non necessita di alcuna autorizzazione condominiale per poter essere installata; (5) che, inoltre, come precisato dal Garante della Privacy al punto 6.1. del provvedimento in materia di videosorveglianza dell’8.4.2010 citato da controparte, qualora siano installati sistemi di videosorveglianza da persone fisiche per fini esclusivamente personali di sicurezza, nel caso in cui i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi non trova applicazione la disciplina del Codice a Tutela della privacy; (6) che in considerazione delle modeste dimensioni dei luoghi la telecamera è stata posizionata nell’unico punto in cui avrebbe potuto essere collocata per poter videosorvegliare utilmente l’area antistante l’appartamento degli esponenti, riprendendo inevitabilmente anche le scale e la porta dell’ascensore, aree, queste ultime, che in ogni caso non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparto da sguardi indiscreti.

La causa, istruita documentalmente, respinte le istanze istruttorie formulate dalle parti, è stata trattenuta in decisione, mutato nel frattempo il giudice istruttore, all’udienza del 25.1.2023 sulle conclusioni delle parti così come riportate in epigrafe previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.

Preliminarmente questo giudice conferma la propria ordinanza emessa in data 5.7.2022 ribadendo la superfluità delle istanze istruttorie formulate dalle parti e l’inammissibilità della richiesta consulenza.

In particolare, si osserva che tutte le prove orali volte a confermare gli accadimenti intercorsi tra le parti nel 2017 non hanno rilevanza nel presente giudizio, mentre le prove orali relative alle immagini prodotte in atti sono risultate superflue alla luce della documentazione offerta da parte attrice. La consulenza tecnica, come richiesta da parte attrice, avrebbe dovuto effettuare un accertamento di natura giuridica, al contrario si ritiene che debba essere rimessa al giudice la valutazione circa la violazione della tutela della privacy o meno sulla base della documentazione in atti.

Detto ciò, nel merito la domanda di parte attrice è infondata e non merita accoglimento.

Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.

Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.

Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.

Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.

Con riguardo, poi, alla domanda risarcitoria avanzata da parte attrice se ne evidenzia l’assoluta genericità, in assenza di qualsiasi supporto probatorio documentale sul punto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione del D.M. 55/2014 e successive modifiche, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva concretamente svolta (valore indeterminabile complessità bassa, valori medi per fase di studio, introduttiva, valori minimi per fase istruttoria e fase decisionale).

P.Q.M.

Il Tribunale di Prato, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede:

– Respinge le domande attoree;

– Condanna l’attrice al pagamento delle spese processuali sostenute dai convenuti che si liquidano in euro 5.260,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA  N. 20888/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Art. 1123 c.c. – Principio di diritto – Art. 1124 c.c. – Spese ascensore – Immobile uso ufficio – Incremento forfetizzato della quota di contribuzione

E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.

Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, elettivamente domiciliata in Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dagli avvocati Omissis -ricorrente

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

-controricorrente e ricorrente incidentale

nonché contro

GGGGG

-intimate

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4409/2017 depositata il 19/10/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4409/2017 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2017.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX

Non hanno svolto attività difensive le altre intimate GGGGG

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.

La ricorrente ha depositato memoria.

3.La Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 27 aprile 2015 e perciò rigettato l’opposizione proposta da YYYYY, GGGGG avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis intimato dal Condominio per la riscossione di contributi condominiali, pari ad € 21.827,00, risultanti dal piano di riparto approvato con delibera assembleare del 7 novembre 2012. In particolari, la Corte d’appello ha evidenziato che l’ingiunzione di pagamento opposta riguardava “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore, il tutto approvato all’assemblea ordinaria del 7 novembre 2012” e che “le delibere assunte in tale assemblea non hanno formato oggetto di alcuna impugnativa e neppure è stata svolta, nel presente giudizio, alcuna conclusione in merito ad esse”, di tal che “una volta dichiarata la nullità del punto 3) della delibera 2008, permane comunque l’effetto obbligatorio, nei confronti dei condomini, della delibera del 2012, posta a fondamento dell’azione monitoria”. Le opponenti avevano invero dedotto “la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008”, il quale aveva previsto che a partire dall’esercizio 2008/2009 si ponesse a carico delle unità immobiliari in comproprietà tra

YYYYY, GGGGG, adibite ad uso ufficio, una maggiorazione della contribuzione alle spese di portierato e per l’ascensore. A tal proposito, la Corte d’appello di Milano ha affermato che la delibera del 5 novembre 2008 “venne assunta all’assemblea all’unanimità dei presenti che rappresentavano soltanto 412.67 millesimi dei partecipanti al condominio”, e dunque non “dalla maggioranza degli intervenuti rappresentante almeno la metà del valore dell’edificio, come richiesto dal vigente art. 1136, comma 2, c.c. Sennonché, secondo i giudici di appello, era da “precisare che detta delibera non può considerarsi, oggi, invalida”, in quanto “annullabile e non impugnata”.

4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., recando in rubrica l’illustrazione “violazione del diritto delle attrici alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del relativo principio giuridico per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 69 disp. att. c.c. il semplice aggravio di spesa imposto ad un condomino”. Il motivo si conclude affermando: “[n]el caso di specie ci troviamo sicuramente di fronte a un’ipotesi di modifica, assunta non all’unanimità dei condomini, dei criteri di ripartizione delle spese, con la conseguente applicazione della sanzione della radicale nullità, deducibile senza limiti di tempo, della delibera del 5 novembre 2008 (…), con la quale, appunto, sono stati illegittimamente stabiliti per la proprietà delle esponenti dei criteri di ripartizione delle spese di portierato e ascensore maggiorati rispetto a quanto risultante dalle tabelle millesimali”. Su tale domanda la Corte d’appello non avrebbe pronunciato.

Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 167 c.p.c. e 1137 c.c., avendo la Corte d’appello “ritenuto di poter esaminare la validità della delibera del 5 novembre 2008 sotto la specie dell’annullabilità in difetto di efficiente eccezione di parte”.

Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia, al pari del primo, la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie disciplinata dall’art. 69 disp. att. c.c. “il semplice aggravio di spesa imposto dalla maggioranza a danno di un condomino”. Si riproduce fotograficamente nel corso del motivo il testo del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, con cui l’assemblea prendeva “atto dei disagi provocati dall’ufficio proprietà  YYYYY e dalla elevata quantità dei dipendenti e/o clienti” e così deliberava di seguire quanto già deciso dall’assemblea nell’ottobre 1989, applicando alle unità immobiliari YYYYY “maggiorazioni di spesa” di due quote per le spese portierato e di quattro quote per le spese ascensore.

Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la nullità della delibera “posta alla base del nuovo ed illecito criterio di addebito delle spese non si riverberi sulle successive e consequenziali”. La tesi della ricorrente è che la sentenza impugnata non abbia considerato né “il principio per il quale la nullità radicale della delibera condominiale illegittimamente approvata dalla assemblea si riverbera sulle delibere successive e consequenziali”, né che “le opponenti a decreto ingiuntivo aveva(no) contestato la validità delle decisioni fatte valere dal condominio in sede monitoria, tanto da ritenere che bene avevano fatto a non adeguarvisi”.

5. È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, contenendo l’atto gli essenziali profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche.

6. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacché del tutto connessi, rivelandosi fondato il terzo motivo e non fondati i restanti motivi.

7. In virtù dell’art. 113 c.p.c., nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, sicché ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché alle azioni o eccezioni formulate in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame. L’art. 112 c.p.c., invocato dalla ricorrente, vieta, piuttosto, al giudice di porre a base della decisione fatti che non siano stati oggetto di puntuale allegazione negli scritti difensivi delle parti, ovvero di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Ad un tempo, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda, costituendo vizio di omessa pronuncia la mancanza di decisione su ogni istanza di parte attinente al merito della lite che abbia un contenuto concreto ed una specifica formulazione.

A fronte della espressa domanda di YYYYY, GGGGG volta a dichiarare la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, la Corte d’appello di Milano, nella motivazione (sia pure non nel dispositivo) della sentenza impugnata (pagina 9), ha dunque proceduto ad una diversa qualificazione giuridica della stessa in termini di annullabilità ed ha respinto perciò l’istanza di declaratoria di nullità della stessa.

8. La Corte d’appello di Milano ha tuttavia errato in diritto nel ritenere che la deliberazione del 5 novembre 2008 avesse approvato una tabella millesimale delle spese per l’ascensore, ancorché in difetto della necessaria maggioranza, essendo perciò annullabile.

Si è dinanzi ad un atto di approvazione delle tabelle millesimali, per il quale è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., quando l’approvazione stessa avvenga con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge;

viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini (Cass. n. 6735 del 2020).

9. Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni dell’assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.

10. Avendosi riguardo alla validità di delibere approvate prima dell’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, occorre premettere che già nella vigenza del precedente testo dell’art. 1124 c.c. la giurisprudenza affermava costantemente che la regola posta da tale norma in relazione alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo), in mancanza di criteri convenzionali, trovasse applicazione per analogia alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (ex multis, Cass. n. 3264 del 2005; n. 5975 del 2004; n. 2833 del 1999; n. 5479 del 1991).

11. E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perché il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, né in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.

Il secondo comma dell’art. 1123, allorché disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).

12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.

13. Il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione nel presente giudizio concerneva “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore”, credito comprovato dalla deliberazione approvata dall’assemblea del 7 novembre 2012, la quale non è stata oggetto di domanda riconvenzionale ex art. 1137 c.c. da parte delle opponenti YYYYY, GGGGG, come afferma la Corte d’appello a pagina 7 della sentenza e come conferma la stessa ricorrente riportando integralmente in ricorso il testo dell’atto introduttivo del procedimento di primo grado.

In tal senso, il quarto motivo del ricorso di YYYYY, ove si assume la necessità di accertare la “nullità derivata” (sul modello di quanto sostenuto da Cass. n. 10196 del 2013) della delibera del 7 novembre 2012, per aver dato attuazione all’illegittimo criterio di riparto stabilito dal punto 3 della delibera del 5 novembre 2008, si connota come istanza “nuova”, inammissibile in sede di legittimità, in quanto pone una questione di diritto, appunto, “nuova”, la quale implica altresì lo svolgimento di accertamenti di fatto incompatibili con il procedimento di cassazione.

In ogni modo, l’allegazione che la delibera di approvazione e riparto delle spese del 7 novembre 2012, su cui fondava il credito del Condominio XXXXX azionato in sede monitoria col decreto ingiuntivo n. 34264/2013, sarebbe invalida, per aver fatto applicazione del criterio di riparto delle spese di gestione dell’impianto di ascensore approvato a maggioranza dalla precedente delibera del 5 novembre 2008, serve comunque a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza n. 9839 del 2021, in quanto non viene dedotta una modificazione dei criteri legali di suddivisione dei contributi da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri. Tale vizio non poteva, pertanto, essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente infondatezza delle censure rivolte dal ricorrente.

La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).

14. Possono pertanto enunciarsi i seguenti principi di diritto.

E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.

Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

15. Il terzo motivo di ricorso va perciò accolto, mentre vengono respinti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 20282/2023 DEL 14 LUGLIO 2023

Art. 1123 c.c. – Ricorso per cassazione – Legittimazione attiva

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -ricorrente- contro

SSSSS, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO n. 589/2016 depositata il 28/12/2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 05/07/2023 dal Consigliere Omissis.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

udito l’Avvocato Omissis.

FATTI DI CAUSA

1. YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di via Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso, avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 559/2016 del 28 dicembre 2016.

SSSSS resiste con controricorso.

2. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Taranto in data 28 marzo 2013, che aveva condannato il Condominio XXXXX, Taranto, al pagamento della somma di € 11.459,31, oltre interessi, in favore dell’ex amministratore SSSSS, a titolo di compensi non percepiti e spese anticipate.

Il controricorrente SSSSS ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005.

3. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., come vigenti ratione temporis, il presidente fissò inizialmente l’adunanza della camera di consiglio in data 4 dicembre 2018.

Il ricorrente presentò memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

4. Con ordinanza interlocutoria del 18 dicembre 2018, la Corte decise di rimettere alla pubblica udienza la decisione sulla ravvisata ipotesi di inammissibilità del ricorso, ex art. 375, comma 1, numero 1, c.p.c., attinente alla legittimazione ad impugnare del singolo condomino con riguardo a sentenza che abbia visto soccombente il condominio in giudizio avente ad oggetto il credito vantato nei confronti di quest’ultimo dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.)

Il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso:

1A: nullità del procedimento in relazione agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c.;

1B: omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c.;

2A: nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.;

2B: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.;

2C: violazione degli artt. 1720, 1130 e 1135 c.c.

2. Deve dapprima risolversi la questione pregiudiziale della legittimazione all’impugnazione.

2.1. YYYYY non era costituito nel giudizio di appello, del quale era parte, invece, il Condominio di Omissis. Egli ha poi proposto il ricorso per cassazione nella dichiarata qualità di condomino, qualità, e conseguente legittimazione processuale, specificamente contestate dal controricorrente SSSSS, il quale ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005. YYYYY ha replicato deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

È noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

2.2. Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad YYYYY, quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di via Omissis per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c.

2.3. Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da YYYYY, singolo condomino del Condominio di Omissis, mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio XXXXX.

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

2.4. Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994).

2.5. Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in data 23 giugno 2023, il ricorrente assume che il proprio interesse diretto ed immediato all’impugnazione discende dalla natura di titolo esecutivo pro quota nei confronti del singolo condomino della condanna conseguita dal terzo creditore nei confronti del condominio.

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

3. Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2023.

CategoriesSentenze Civili

CORTE D’APPELLO DI MILANO SENTENZA N. 1841/2023 DEL 6 GIUGNO 2023

Art. 1129 c.c.  – Art. 1130 bis c.c. – Consegna documenti – Diffida all’avvocato del condominio

Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.

Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;

vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad  avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. Omissis, promossa in grado d’appello con atto di citazione notificato il 26/4/2022, avverso la sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia nel processo di cui al n. R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022, notificata il 25/03/2022

DA

YYYYY (C.F. Omissis) rappresentata e difesa, come da delega allegata all’atto di citazione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis) con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato

– appellante –

CONTRO

Condominio XXXXX (C.F. Omissis), rappresentato e difeso, come da delega allegata alla comparsa di costituzione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis), con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato

– appellate –

OGGETTO: Comunione e condominio, impugnazione di delibera assembleare – spese condominiali

Conclusioni:

per YYYYY:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis, in accoglimento del proposto appello per i motivi dedotti in narrativa, nonché delle istanze e conclusioni avanzate in prime cure, che qui si intendono richiamate integralmente, e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza n. 402/2022, resa dal Tribunale di Pavia, Sez. III Civile, in persona del Giudice Dott. G Omissis, nel giudizio avente R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022 e notificata il 25/03/2022, disattese tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellato dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto:

– respingere le domande proposte dal, in persona dell’amministratore pro tempore, nei confronti del Sig. YYYYY, in quanto infondate in fatto e in diritto, per tutti i motivi esposti in narrativa, nonché per ogni ulteriore motivo rilevabile d’ufficio;

– condannare il Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, a restituire le somme corrisposte e/o quelle che saranno versate dal Sig. YYYYY nel corso del giudizio, in virtù dell’esecutorietà della sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia, pubblicata il 23/03/2022, oltre interessi dal giorno del versamento al saldo.

Con vittoria di spese di lite, compensi, spese generali ed oneri contributivi e fiscali per entrambi i gradi di giudizio”.

Per CONDOMINIO XXXXX:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis reiectis,

NEL MERITO:

– respingere la domanda dell’appellante e conseguentemente confermare la sentenza impugnata.

IN OGNI CASO:

– con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio, oltre IVA, CPA e 15% spese

forfettarie”.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. YYYYY chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Pavia il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. Omissis con il quale veniva ingiunto al Condominio XXXXX la consegna al YYYYY della documentazione afferente a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”, con condanna al pagamento delle spese di fase liquidate in € 1.300,00 per compensi, € 286 per esborsi, oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA e successive occorrende.

A seguito della notifica del titolo esecutivo e del precetto avvenuta in data 17.02.2021, il Condominio consegnava la documentazione richiesta ed instaurava il giudizio di opposizione chiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e, nel merito, la revoca del provvedimento perché emesso in assenza dei presupposti di legge ovvero, in subordine, voler dichiarare la cessazione della materia del contendere. L’opponente, in particolare, rilevava che il sig. YYYYY non aveva mai chiesto all’amministratore copia della documentazione di cui al decreto ingiuntivo con la conseguenza che non vi era stata alcuna violazione del diritto di prendere visione ed estrarre copia riconosciuta ex lege a ciascun condomino. L’opponente, infatti, sottolineava che la richiesta di documentazione avanzata dal YYYYY nel corso della corrispondenza intercorsa tra legali – relativa ad altra controversia pendente tra le parti – non era idonea a mettere in mora l’amministratore del Condominio, il quale non aveva mai ricevuto una formale istanza dall’interessato. Peraltro, l’opponente osservava che i condomini erano stati messi a conoscenza dei giorni e degli orari di ricevimento dell’Amministratore dal quale ciascuno di essi avrebbe potuto recarsi per prendere visione della documentazione inerente la gestione condominiale ed estrarre eventuali copie. Ad ogni modo, osservava ulteriormente l’opponente, la documentazione richiesta a mezzo pec dal legale del sig. YYYYY era diversa da quella per la quale il Tribunale aveva ingiunto l’immediata consegna.

Si costituiva in giudizio il sig. YYYYY eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione e, nel merito, deduceva la legittimità dell’ingiunzione, comprovata dall’immediata consegna della documentazione richiesta – valevole, secondo la tesi difensiva, quale ricognizione del debito – nonché dalla corrispondenza intercorsa tra i legali delle parti, dalla quale si ricaverebbe l’espresso rifiuto dell’amministratore alla consegna; chiedeva quindi la condanna di parte opponente per la temerarietà dell’opposizione ex art. 96 c.p.c.

Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 402/2022, dichiarava la cessazione della materia del contendere stante la pacifica consegna a mezzo PEC del 17.02.2021 della documentazione richiesta dal YYYYY e, in applicazione del principio di soccombenza virtuale, condannava il sig. YYYYY alla refusione delle spese di lite in favore del Condominio pari a € 2.768,00 per compensi, oltre € 286,00 per esborsi, 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.

Il Tribunale, in particolare, rilevava che la dichiarazione della cessazione della materia del contendere obbliga il giudice a provvedere sulle spese di lite secondo il criterio della soccombenza virtuale da individuarsi in base ad una ricognizione della normale probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su un’indagine sommaria di delibazione del merito, valutata con riferimento alla data di emissione del decreto ingiuntivo. Ad avviso del Giudice di primo grado, la richiesta formulata al legale del Condominio non costituiva idonea messa in mora ai sensi degli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. per l’esercizio del diritto di accesso e di esibizione dei registri e documenti contabili condominiali e, pertanto, non poteva ricavarsi dalla stessa la prova – il cui onere gravava sul condòmino – del rifiuto dell’amministratore. Sul punto il Tribunale sottolineava che l’istanza di accesso doveva essere rivolta direttamente all’amministratore e non già al legale del Condominio che era sprovvisto del potere di rappresentanza sostanziale, sottolineando altresì che non sussisteva corrispondenza tra la documentazione richiesta dal legale del condòmino e quanto richiesto in sede monitoria.

Infine, il Tribunale osservava l’inconferenza dell’istituto della ricognizione del debito richiamato dalla difesa dell’opposto in quanto “perché possa valere come riconoscimento del debito, l’adempimento dell’obbligazione dev’essere spontaneo ed implicare, anche per facta concludentia, una volontà del debitore diretta consapevolmente all’intento pratico di riconoscere l’esistenza di un diritto, senza tuttavia formule sacramentali”; di contro, nel caso di specie, l’adempimento era stato necessitato dalla notifica del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e si configurava, quindi, come atto doveroso dell’ingiunto e non libero.

Avverso tale sentenza ha proposto appello il sig. YYYYY deducendo tre motivi di impugnazione che verranno di seguito puntualmente esaminati.

Si è costituito il Condominio XXXXX, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e chiedendo, nel merito, il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata,

La Corte, disposta la trattazione scritta, sulle conclusioni precisate per via telematica ex art. 83 comma 7 lett. H del D.L. 18/2020 (conv. In L. 27/2020 e succ. mod.), all’udienza del 28/02/2023, ha riservato la causa in decisione alla scadenza dei termini fissati ai sensi dell’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

*****

Preliminarmente si osserva che, con riferimento all’art.348 bis c.p.c., l’eccezione può ritenersi superata in quanto implicitamente disattesa dalla Corte con l’ordinanza con la quale ha fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni, momento processuale incompatibile con un provvedimento, la cosiddetta “ordinanza filtro”, previsto dal legislatore con funzione deflattiva delle impugnazioni. Tale ordinanza può essere invero pronunciata solo in limine litis, quando l’impugnazione appaia “a prima vista” infondata, con eventualità di accoglimento ritenute ab origine pressoché impossibili, in base ad un giudizio prognostico altamente probabilistico e in assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento secondo una valutazione sommaria che porta a ravvedere un evidente insuccesso dell’appello. Cosa nella specie non immediatamente percepibile e percepita dalla Corte, alla luce dell’oggetto della causa sottoposta al suo vaglio, giustificativa di un approfondito esame di merito.

Passando ai motivi d’appello, con il primo motivo, rubricato “Sulla cessazione della materia del contendere a fronte dello spontaneo e pieno adempimento da parte del debitore opponente / riconoscimento del debito”, l’appellante ha rilevato che l’adempimento spontaneo e senza riserve da parte del Condominio equivarrebbe a un pacifico riconoscimento del debito per facta concludentia,.

Ad avviso del sig. YYYYY, la condotta posta in essere dal Condominio avrebbe dovuto indurre il Giudice di primo grado a dichiarare la carenza di interesse ad agire in opposizione con la conseguente condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite.

Con il secondo motivo, rubricato “Sull’errata applicazione del principio della soccombenza virtuale e sulla fondatezza della pretesa monitoria”, l’appellante ha impugnato la condanna pronunciata a suo carico alla refusione delle spese del giudizio a favore del condominio. Nello specifico l’appellante ha rilevato che il principio generale della soccombenza virtuale, nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere, costituisce una declinazione di quello di causalità da valutarsi esclusivamente in considerazione della domanda svolta e non a fatti esterni. Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto quindi stabilire se la pretesa fosse fondata al momento della proposizione della emissione del decreto ingiuntivo e concludere per la fondatezza della domanda proposta in via monitoria alla luce del pieno adempimento senza riserve eseguito dal debitore, sufficiente a confermare la fondatezza e legittimità della pretesa del YYYYY nel merito.

Con il terzo motivo, rubricato “Sull’espresso rifiuto del Condominio a consegnare la documentazione richiesta e sulla corrispondenza fra richiesta stragiudiziale e ricorso monitorio” l’appellante ha denunciato la ritenuta erroneità della pronuncia di primo grado laddove il giudice ha ritenuto la richiesta rivolta al legale del Condominio non idonea a integrare la richiesta di cui agli artt. 1129, comma secondo e 1130 bis c.c. Inoltre, il sig. YYYYY ha contestato l’affermazione svolta in sentenza secondo cui non sussisteva alcuna corrispondenza tra quanto richiesto in via stragiudiziale al procuratore dell’opponente e quanto richiesto con il ricorso monitorio. Secondo l’assunto di parte appellante, “in mancanza di formule specifiche prescritte ex lege e potendo manifestarsi l’interesse anche per facta concludentia, si dovrà dedurre, a maggior ragione, che la richiesta espressamente formulata tra i “rispettivi legali nominati”… ed il conseguente rifiuto comunicato e recepito per il tramite degli stessi, integri pienamente la fattispecie di cui agli artt. 1129, co. 2 e 1130 bis c.c.” (v.pag. 12-13 appello).

Infine, ha evidenziato la difesa appellante, il diniego a consegnare la documentazione formulato dall’Avv. Omissis con pec del 29/01/2021, in quanto “non autorizzata dal cliente” (id est l’amministratore del Condominio) a procedere in tal senso, dimostrerebbe non solo l’espresso rifiuto da parte dell’amministratore condominiale a consentire al condòmino l’accesso documentale di cui aveva diritto, ma anche che lo stesso amministratore fosse venuto effettivamente a conoscenza della richiesta formulata dal sig. YYYYY, dovendosi, pertanto, ritenere, in ogni caso, raggiunti lo scopo e gli effetti della richiesta in questione.

I motivi d’appello sono infondati e, in ragione della stretta connessione, meritano una trattazione congiunta.

Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.

Premesso ciò, nel caso di specie, è pacifico che il sig. YYYYY non abbia mai formulato una specifica richiesta di accesso ai documenti direttamente e personalmente all’amministratore condominiale ma, con pec del 28.1.2021 inviata dal proprio legale all’avv. Omissis (legale del Condominio) ha chiesto “suo tramite” all’amministratore del condominio “di fornire i verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”; la richiesta effettuata per mezzo del proprio avvocato e rivolta al legale del Condominio, secondo l’assunto di parte appellante, è idonea a configurare la “richiesta all’amministratore” prevista dall’art. 1129 comma 2 c.c. quale presupposto del diritto di accesso agli atti riconosciuto ai singoli condomini.

La tesi non è condivisibile. Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;

vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad  avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.

Ciononostante, YYYYY aveva adito il Tribunale di Pavia ottenendo il decreto ingiuntivo oggetto dell’odierno giudizio. Sulla base della ricostruzione fattuale risultante dagli atti, pertanto, al momento dell’instaurazione del giudizio monitorio la domanda avanzata dal sig. YYYYY non era meritevole di accoglimento in quanto, non sussisteva un precedente rifiuto dell’amministratore e non si era perpetrata alcuna violazione del suo diritto di accesso. In aggiunta, va sottolineato che l’art. 1129 comma 2 c.c. stabilisce il diritto del condòmino di prendere visione degli atti di gestione condominiale tenuti dall’amministratore, previa richiesta, recandosi nell’ufficio dell’amministratore stesso nei giorni ed orari da questi preventivamente indicati, e di poterne estrarre anche copia, previo rimborso della spesa, ma non riconosce un diritto indiscriminato del condomino ad ottenere la copia degli atti a cura e spese dell’amministratore.

Quanto poi alla consegna della documentazione effettuata dall’amministratore del Condominio a seguito della notifica del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e del relativo precetto, la condotta dell’amministratore non può essere qualificata come “riconoscimento del debito” per fatti concludenti, trattandosi, all’evidenza, di doverosa esecuzione di un provvedimento giudiziale. Come correttamente osservato dal Tribunale in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento del debito presuppone che l’adempimento dell’obbligazione sia spontaneo e sia espressione della volontà del debitore consapevolmente diretta a riconoscere l’esistenza del debito (Cass. n. 9097/2018; Cass. n. 15353/2002). Nel caso di specie difettano entrambi i presupposti necessari a individuare un effettivo riconoscimento del debito posto che il Condominio agiva sotto la “minaccia” dell’inizio dell’esecuzione.

Ulteriore elemento che impedisce l’accoglimento delle ragioni dell’appellante risiede nella mancata corrispondenza tra i documenti richiesti in sede stragiudiziale e quelli oggetto del ricorso monitorio.

Anche sul punto questa Corte non ritiene di discostarsi dalla ricostruzione fornita dal Giudice di primo grado in quanto tale incongruenza è documentalmente provata. In particolare, la pec del 28.1.2021, inviata dal legale del sig. YYYYY all’avvocato del Condominio, aveva ad oggetto la consegna dei “verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”, mentre la domanda formulata in sede monitoria afferiva a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”. Tale discordanza rappresenta, dunque, ulteriore prova dell’assenza di una precedente richiesta di accesso alla documentazione condominiale, poi richiesta in via monitoria, e dell’assenza del conseguente addotto rifiuto dell’amministratore, con la conseguenza che l’azione monitoria, in base ad un esame necessariamente sommario nel merito, si rivela verosimilmente illegittima ed infondata, con conseguente soccombenza virtuale del sig. YYYYY che deve, pertanto, sopportare la condanna alle spese di lite dovute sostenere dalla parte opponente per contrastare la domanda giudiziale illegittimamente introdotta.

Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, l’appello proposto va rigettato con la condanna dell’appellante YYYYY, in applicazione del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., alla rifusione delle spese anche del presente grado di giudizio, che vengono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo ai criteri indicati dal vigente D.M. 147/2022 con riferimento al valore della controversia (pari alle spese liquidate dal primo giudice ed oggetto di contestazione) applicando il valore minimo per le tre fasi processuali, attese la non complessità delle questioni trattate e l’impegno professionale effettivamente richiesto alle difese, esclusa la fase istruttoria, di fatto non svoltasi.

Sussistono i presupposti di cui al comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al DPR 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da YYYYY avverso la sentenza del Tribunale di Pavia n. 402/2022, pubblicata il 23/03/2022, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1. Rigetta l’appello;

2. Condanna l’appellante al pagamento in favore di parte appellata Condominio XXXXX le spese del presente grado di giudizio liquidate in complessivi € 962,00, di cui € 268,00 per la fase di studio, € 268,00 per la fase introduttiva ed € 426,00 per la fase decisoria, oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA come per legge;

3. dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo corrispondente al contributo unificato ex D.P.R. n.115/2002, art.13 c. 1 quater, comma inserito dall’art.1 c.17 L. n.228/20.

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TRIBUNALE DI GORIZIA SENTENZA N. 158/2023 DEL 30 GIUGNO 2023

Decreto ingiuntivo – Art. 1130 c.c. – Art. 63 disp. att. c.c. – recupero oneri condominiali

  • Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014).
  • Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio. In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.

Il Giudice, dott.ssa Omissis, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. Omissis R.Gen.Aff.Cont., assegnata in decisione all’udienza del 2/02/2023, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

TRA

YYYYY, elett.te dom.ti in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, che li rappresenta e difende in virtù di procura in atti;

– OPPONENTI

E

Condominio XXXXX, sito in Omissis, in persona dell’amministratore p.t., elett.te dom.to in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, dal quale è rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti.

– OPPOSTO

Oggetto: Opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis.

Conclusioni: all’udienza del 2/02/2023, sostituita dal deposito di note scritte, il difensore degli opponenti ha così concluso: “L’Avv. Omissis, nell’interesse degli opponenti, conclude riportandosi all’atto introduttivo e a tutti i propri scritti difensivi. Impugna tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto ed eccepito e ne chiede il rigetto poiché infondato in fatto e diritto”.

Il difensore del condominio opposto ha così concluso: “In via preliminare: Dichiarare l’inammissibilità della memoria istruttoria e dei documenti ad essa allegati, depositata dagli attori-opponenti il 17/2/2022, in quanto depositata oltre i termini di cui all’art. 183, VI° comma, c.p.c. Nel merito, in via principale:

Contrariis reiectis, accertata e dichiarata l’assoluta infondatezza, in fatto e in diritto, dell’avversa opposizione, per i motivi esposti in atti, accertato l’avvenuto pagamento in corso di causa di quanto ingiunto con il decreto ingiuntivo opposto (competenze e spese liquidate comprese), rigettare integralmente la stessa opposizione e dichiarare la cessazione della materia del contendere, con la conseguente contemporanea dichiarazione di soccombenza virtuale dei signori YYYYY-

Nel merito, in via subordinata:

Contrariis reiectis, accertare e dichiarare che i signori YYYYY, Omissis sono debitori, nei confronti del Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore condominiale pro tempore, Omissis in persona del legale rappresentante pro tempore, dell’importo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio e, per l’effetto, condannare i signori YYYYY, a pagare al Condominio XXXXX, la somma di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio. In ogni caso:

Spese, diritti ed onorari interamente rifusi, comprese quelle attinenti la fase monitoria e la fase di mediazione.

Con la condanna dei signori YYYYY ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato il 10.11.2020, il Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore p.t., ha adito il Tribunale di Gorizia, chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di YYYYY, per l’importo complessivo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, per spese condominiali straordinarie non pagate alla scadenza del 15/10/2020. Avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis, emesso dal Tribunale di Gorizia il 19.11.2020, hanno proposto opposizione YYYYY, eccependo, da un lato, il difetto di legittimazione attiva del condominio, per aver uno dei condomini provveduto a versare l’intera quota delle spese straordinarie di loro spettanza, e, dall’altro, l’omessa approvazione del bilancio (esercizio dal 1/10/2019 al 31/12/2020), del relativo piano di riparto e del prospetto delle rate, posti a fondamento della domanda monitoria. Si è costituito nel presente giudizio il Condominio XXXXX, il quale ha chiesto, in via principale, il rigetto dell’opposizione, con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, e in subordine la condanna degli opponenti, in solido, al pagamento dell’importo di Euro 9.831,36 o la diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali dalla scadenza al saldo, nonché la condanna di YYYYY ex art. 96 c.p.c. Ciò posto, si rileva che nel corso del presente giudizio di opposizione gli opponenti hanno provveduto all’integrale pagamento della somma di Euro 11.430,13, comprensivo della sorte capitale, interessi e spese legali, ivi comprese quelle relative all’atto di precetto (v. l’estratto conto depositato il 29.11.2021), sicché va dichiarata la cessazione della materia del contendere e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis va revocato, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014). Residua, dunque, la sola decisione sulla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal condominio opposto e sul governo delle spese processuali, da compiersi alla stregua della cosiddetta soccombenza virtuale. Orbene, l’opposizione non risulta fondata.

Il condominio ha, infatti, fornito adeguata dimostrazione del proprio credito, depositando il verbale dell’assemblea del 29.7.2019, del 10.10.2019 e del 30.9.2020 (doc. 3, 4 e 7 di parte opposta), da cui emerge l’approvazione, all’unanimità, sia dei lavori di straordinaria manutenzione del lastrico solare e della ripartizione delle spese, in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, che l’incremento del fondo costituito. Si rileva, peraltro, che gli opponenti hanno riconosciuto di essere debitori dell’importo di Euro 4.548,18, dovuto per spese straordinarie approvate dall’assemblea il 10.10.2019 (v. doc. 6 e 8 di parte opposta).

Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio.

In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.

In ordine alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., vale rammentare che la responsabilità aggravata discende da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta e, precisamente, per quanto riguarda il primo comma dell’articolo 96 c.p.c., dall’avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il terzo comma dello stesso articolo, dall’aver abusato dello strumento processuale. Nel caso di specie, si ritiene che non sussistano i presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c. 1 c.p.c., in mancanza di prova sia dell’ai che del quantum del danno, considerato che, in applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., è stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, confermata nel corso del giudizio di opposizione, a seguito del rigetto dell’istanza ex art. 649 c.p.c.

Tantomeno può essere accolta la domanda di condanna ai sensi del successivo comma 3, tenuto conto del comportamento processuale degli opponenti, i quali hanno dato prova di aver provveduto al pagamento delle somme ingiunte nel corso della prima udienza, valutato, unitamente al comportamento processuale del Condominio opposto, che ha ritenuto di non accettare la proposta formulata dal mediatore (v. verbale di mediazione negativo depositato il 29.11.2021 dagli opponenti).

In considerazione dell’esito complessivo del giudizio e del comportamento processuale delle parti, tanto in sede di mediazione quanto nel corso del presente giudizio di opposizione, le spese di lite vanno compensate per la metà, ponendo la restante metà, a carico degli opponenti in solido, che sono liquidate, complessivamente, ivi compresa la mediazione, come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014, come modificati dal D.M. 147/2022.

P.Q.M.

Il Tribunale di Gorizia, Sezione Unica civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando così provvede:

1) dichiara la cessazione della materia del contendere;

2) revoca il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis;

3) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c.;

4) compensa tra le parti le spese di lite al 50% e condanna YYYYY, in solido, al pagamento della restante metà, in favore del Condominio opposto, in persona dell’amministratore p.t., che sono liquidate in Euro 122,00 per esborsi ed Euro 4.060,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%.

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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 10879/2023 DEL 10 LUGLIO 2023

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Il Giudice, in persona della dott.ssa Omissis, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. Omissis del Ruolo Generale degli Affari Civili

TRA

YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLANTE

contro

Condominio XXXXX, in persona del legale rappresentante p.t., Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLATO

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY conveniva davanti al Tribunale di Roma il Condominio XXXXX chiedendo “in via preliminare, sospendere l’efficacia della delibera assembleare impugnata del 19 giugno 2018 in relazione al punto 1 dell’o.d.g.; in via principale e nel merito, accertare e dichiarare nulla e/o annullabile, comunque invalida, la delibera assembleare del 19 giugno 2018 adottata dal Condominio XXXXX, relativamente al punto 1 dell’o.d.g. nella parte in cui si procede ad approvazione dei riparti consumi idrici con applicazione del criterio a quota fissa – minimo impegnato, anziché proporzionale ai consumi come in precedenza deliberato; conseguentemente ordinare al Condominio di procedere a rettifica/correzione/ricalcolo degli importi di cui ai consumi idrici relativi alle gestioni sopra riferite”.

L’attore deduceva, in particolare:

– di essere comproprietario dell’immobile sito al primo piano (int. 4) del condominio convenuto;

– che l’assemblea condominiale del 19 giugno 2018 approvava, al punto 1 dell’o.d.g., i consuntivi di gestione per gli anni 2014-2017;

– di aver espresso voto contrario all’approvazione dei consuntivi, con particolare riferimento al criterio di ripartizione del consumo idrico pro-capite;

– di aver esperito negativamente il tentativo di mediazione.

Si costituiva il Condominio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del giudice adito per ragioni di valore e, nel merito, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda in quanto ritenuta infondata.

Con ordinanza del 18 aprile 2019 il Giudice adito dichiarava la propria incompetenza per valore, assegnando alle parti termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento per riassumere il giudizio davanti al Giudice di Pace di Roma.

Con atto di citazione in riassunzione, YYYYY, nel ribadire la domanda precedentemente formulata, esponeva che il criterio di proporzionalità, svincolato dalla considerazione di un “minimo impegnato – quota fissa”, oltre ad essere previsto nel Regolamento Condominiale, era stato ribadito e riconfermato dallo stesso Condominio nelle delibere assembleari del 22 marzo 2007 e 20 settembre 2017.

Si costituiva in giudizio il Condominio appellato, contestando la domanda attorea e chiedendo, oltreché la vittoria delle spese di lite, accertarsi che i criteri adottati dallo stesso per la ripartizione dei consumi idrici erano corretti e conformi a quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del Regolamento di Condominio.

Con sentenza n. 3401/2020, il Giudice di Pace di Roma rigettava la domanda attorea, con conseguente condanna alle spese processuali, sull’assunto che l’azione intrapresa dall’odierno appellante contrasterebbe con l’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale.

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proponeva appello avverso la sentenza di primo grado n. 3401/2020 chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione della relativa efficacia e, nel merito, l’integrale riforma con accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado.

L’appellante deduceva, in particolare:

– la omessa e insufficiente motivazione della decisione impugnata;

– l’erronea interpretazione dell’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale;

– l’omessa valutazione delle risultanze documentali prodotte e degli atti di causa;

– la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Si costituiva il Condominio appellato chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c. e, in subordine, il rigetto dell’appello.

All’udienza del 20 maggio 2022 il Giudice tratteneva la causa in decisione con termini alle parti ex art. 190 c.p.c.

***

Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inappellabilità della sentenza di primo grado sollevata dal Condominio ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c.

Orbene, il secondo comma dell’art. 113 c.p.c. prevede espressamente che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile”, mentre, in base all’art. 339, comma 3 c.p.c., “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito l’ambito entro il quale viene in rilievo l’applicazione, da parte del Giudice di Pace, dei “principi regolatori della materia”, la cui violazione – unitamente a quella di norme costituzionali o comunitarie e di norme del procedimento – esaurisce l’elenco tassativo dei vizi denunciabili con l’appello proposto avverso le sentenze pronunciato secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha statuito che “i principi regolatori della materia non corrispondono a singole norme regolatrici della specifica materia in questione, né alle regole accessorie e contingenti che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva complessiva della materia stessa. L’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113, 1° comma, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della sua decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, fermo restando, però, il divieto per il giudice di immutare gli elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa, pronunciandosi su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio” (Cass. n. 34632/2022).

E’, peraltro, evidente che l’appellante non può limitarsi ad assumere l’esistenza del vizio, ma è necessario che indichi, sia pure in maniera generica, ma in modo tale da rendere intellegibile la censura, quali sono i principi regolatori che si ritengono violati e/o falsamente applicati.

Al riguardo va osservato che, nel caso di specie, taluni dei motivi di appello proposti dall’odierno appellante integrano violazioni delle norme sul procedimento (quale la violazione dell’art. 112 c.p.c. enunciante il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) ovvero dei principi regolatori della materia (condominiale, in particolare la violazione del regolamento condominiale e delle disposizioni codicistiche sui criteri di ripartizione delle spese), in conformità al disposto di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c.

Pertanto, l’eccezione di inappellabilità deve essere rigettata.

Nel merito, l’appellante contesta il criterio di ripartizione dei consumi idrici, ossia l’addebito di una “quota fissa – minimo impegnato” (pari a complessivi metri cubi 184) nei consuntivi 2014-2017 approvati dalla delibera impugnata.

La doglianza coglie nel segno.

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

In conclusione, in accoglimento dell’appello va riformata integralmente la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellato a sostenere le spese del doppio grado di giudizio

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza 3401/2020 emessa dal Giudice di Pace di Roma, così dispone:

– “accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara la nullità della delibera assunta sul punto n. 1 dell’ordine del giorno dell’assemblea del Condominio XXXXX, del 19.06.2018;

– condanna parte convenuta alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’attore, che si liquidano in euro 350,00 per compensi, oltre rimborso forfeattrio spese generali al 15% ed IVA e CPA come per legge”.

– condanna l’appellato a rimborsare all’appellante le spese di lite, che si liquidano in euro 660,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge da versarsi a favore dello Stato, essendo l’appellante ammesso al gratuito patrocinio.

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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 8516/2023 DEL 30 MAGGIO 2023

Responsabilità professionale amministratore – Responsabilità amministratore – Art. 1227 c.c.

Deve rammentarsi che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).

La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).

Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).

in persona del dott. Omissis, in funzione di giudice unico,

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado iscritta al n. Omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, trattenuta in decisione all’udienza del 16.5.2023 e vertente tra

Condominio XXXXX ATTORE rappresentato e difeso dall’avv. Omissis

E

YYYYY CONVENUTO rappresentato e difeso dall’avv. Omissis

E

ASASAS rappresentata e difesa dall’avv. Omissis

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il condominio attore ha convenuto in giudizio YYYYY – già amministratore di tale condominio sino al 6.7.2017 – deducendo il suo inadempimento nell’esecuzione del relativo mandato con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto – sottoscritto in data 16.4.2012 con la Omissis. – afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.

L’attore – in primo luogo – ha dedotto quanto segue:

– i lavori di sistemazione della “cortina” venivano difettosamente eseguiti dalla ditta appaltatrice e pertanto l’assemblea – nella riunione del 2.12.2013 – stabiliva di “proporre alla ditta il rifacimento a regola d’arte dei lavori relativi alla cortina o in alternativa una riduzione del 60% dell’importo”;

– la società appaltatrice – riconoscendo i vizi – comunicava all’amministratore in data 10.12.2013 di accettare tale riduzione (non avendo intenzione di effettuare un nuovo intervento correttivo);

– solo in data 15.5.2014 l’amministratore comunicava ai condomini tale accettazione, comportante una riduzione del prezzo pari ad euro 18.852,38;

– il YYYYY – anche successivamente – continuava però a corrispondere all’impresa appaltatrice le somme pattuite in origine, senza operare alcuna riduzione;

– l’assemblea – nella riunione del 14.12.2016 – dava pertanto incarico all’amministratore di recuperare le somme versate in eccedenza;

– quest’ultimo disattendeva ancora una volta la volontà assembleare ed ometteva ogni conseguente iniziativa;

– l’assemblea – nella successiva riunione del 6.7.2017 – decideva così di revocarlo dalla carica e nominava una commissione per esaminare la complessiva gestione dell’appalto;

– la relazione finale – redatta all’esito – accertava una somma complessiva di euro 22.136,47 indebitamente corrisposta alla ditta appaltatrice.

L’attore ha inoltre dedotto – in secondo luogo – che in occasione del passaggio di consegne emergeva la mancata contabilizzazione da parte dell’ex amministratore di pagamenti ricevuti per complessivi euro 2.107,00 (euro 552,00 per versamenti da parte di condomini ed euro 1.555,00 a titolo d’indennizzo da parte della compagnia Omissis), somma che il YYYYY affermava però di non dover restituire stante un suo preteso maggior credito di euro 2.493,83 – in realtà insussistente – per compensi straordinari afferenti proprio alla gestione dei lavori in oggetto.

Ha pertanto concluso per la condanna del convenuto al risarcimento di euro 22.136,47 ed alla restituzione di euro 2.107,00.

Il YYYYY – nel costituirsi – ha chiesto in via preliminare l’autorizzazione alla chiamata in causa della ASASAS per essere tenuto indenne da un’eventuale condanna in forza della polizza per la copertura assicurativa della sua responsabilità professionale e – nel merito – ha comunque contestato la fondatezza delle avverse pretese chiedendone l’integrale rigetto.

E’ stata autorizzata la chiamata in causa e la compagnia – nel costituirsi – ha per un verso contestato la domanda di manleva – per inoperatività della garanzia con riguardo agli addebiti contestati all’assicurato – e per altro verso ha ugualmente contestato la stessa fondatezza delle pretese di parte attrice.

Sono state depositate le memorie autorizzate ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e – all’esito – è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

All’udienza dell’8.3.2022 – senza l’espletamento di ulteriori attività istruttorie – la causa è stata trattenuta una prima volta in decisione e poi rimessa sul ruolo per l’incombente ex art. 182 c.p.c. richiesto con ordinanza del 28.6.2022.

All’ultima udienza del 16.5.2023 – prodotta da parte attrice la delibera di ratifica per l’esercizio dell’azione risarcitoria in oggetto – la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione (con espressa rinunzia di tutte le parti ad ulteriori termini ex art. 190 c.p.c.).

Il Tribunale – sulla base di tali premesse – rileva quanto segue.

La prima e più rilevante pretesa dell’attore ha natura risarcitoria e si fonda sul dedotto inadempimento del YYYYY nell’esecuzione del mandato – in qualità di amministratore del condominio – con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.

L’attore afferma che – stante la concordata riduzione del prezzo con l’impresa appaltatrice in conseguenza della difettosa sistemazione della cortina (come da proposta assembleare del 2.12.2013) – il successivo e non dovuto pagamento integrale effettuato dall’amministratore a tale impresa comporterebbe una responsabilità risarcitoria del primo in misura corrispondente a tale mancata riduzione (pari ad euro 18.852,38, cui dovrebbe aggiungersi l’ulteriore importo versato comunque in eccedenza rispetto al costo complessivo dei lavori accertato dalla richiamata commissione, così da giungere ad un maggior indebito totale pari ad euro 22.136,47).

Tale conclusione – a prescindere da ogni superflua analisi della relazione peritale – non può essere condivisa.

Deve rammentarsi – in proposito – che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).

La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).

Deve allora ritenersi – nella fattispecie – che l’omissione da parte del nuovo amministratore del condominio (dopo la revoca del YYYYY risalente al 6.7.2017) di ogni iniziativa diretta per la ripetizione dell’indebito nei confronti dell’impresa appaltatrice – anche sul piano giudiziario – abbia costituito una condotta colposa tale da far escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose che pur sono derivate al condominio per il denunziato pagamento dei maggiori importi in oggetto.

La questione – del resto – era stata già segnalata nel corso del giudizio (cfr. ordinanza riservata del 30.4.2020, ove si evidenziava appunto il fatto che “la restituzione di somme indebitamente corrisposte avrebbe potuto essere richiesta dal Condominio direttamente all’accipiens”) e parte attrice – tuttavia – ha omesso alcuna specifica allegazione su eventuali circostanze che – nel caso concreto – avrebbero reso eventualmente superflua, perché infruttuosa, una simile iniziativa da parte del nuovo amministratore (in ragione, ad esempio, di una conclamata insolvenza o irreperibilità dell’impresa appaltatrice).

Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).

Ne consegue – pertanto – il rigetto della suddetta domanda risarcitoria.

La seconda e meno rilevante pretesa dell’attore attiene – invece – alla restituzione della somma – pari a complessivi euro 2.107,00 – indebitamente trattenuta dal YYYYY alla scadenza del suo mandato.

Tale pretesa deve essere – invece – accolta.

Le suesposte considerazioni – se valgono ad escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose denunziate – non portano infatti ad escludere che il YYYYY sia stato comunque inadempiente al mandato assembleare con riguardo alla specifica gestione dell’appalto in oggetto e non possa dunque opporre legittimamente in compensazione – rispetto al suo incontestato debito restitutorio di euro 2.107,00 – il maggior credito che assume maturato proprio a titolo di compensi straordinari (seppur inizialmente concordati in sede assembleare) per tale specifica gestione.

La reciproca soccombenza giustifica – fra attore e convenuto – la compensazione delle spese processuali (mentre le spese di c.t.u. – stante il rigetto della pretesa risarcitoria – devono essere poste definitivamente a carico dell’attore).

L’attore è invece tenuto a rifondere le spese processuali alla compagnia chiamata in causa (la cui evocazione in giudizio – seppure effettuata dal convenuto – è stata comunque conseguenza dell’infondata pretesa risarcitoria del condominio).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, così decide:

rigetta la domanda risarcitoria del condominio attore;

condanna il convenuto YYYYY a restituire al condominio attore l’importo di euro 2.107,00;

pone le spese di c.t.u. – nella misura già liquidata – a carico definitivo del condominio attore;

compensa – fra attore e convenuto – le altre spese processuali;

condanna il condominio attore a rimborsare alla chiamata in causa ASASAS le spese processuali, liquidate d’ufficio in euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge.

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CORTE D’APPELLO DI MESSINA SENTENZA N. 606/2023 DEL 4 LUGLIO 2023

Regolamento condominiale – Tabelle Millesimali – Art. 1123 c.c. – Quorum deliberativi – Art.69 disp. att. c.c.

“Le clausole dei  regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526

Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712.

S E N T E N Z A

Nel procedimento n. Omissis R.G., vertente

TRA

Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, C.F. Omissis, rapp.to e difeso dall’avv. Omissis appellante

CONTRO

YYYYY tutti rappresentati e difesi dall’avv. Omissis

appellato

Ogg: appello a sentenza n. 355/2020 del 13/02/2020, emessa dal Tribunale di Messina

Conclusioni per le parti: come da atti e verbali di causa

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con citazione notificata il 16.11.2020, il Condominio XXXXX proponeva appello avverso la sentenza di cui all’intestazione, con la quale il Tribunale di Messina, definendo il giudizio proposto dai coniugi YYYYY  nei confronti del medesimo Condominio, annullava la delibera dell’Assemblea del Condominiale del 22.03.2012.

Si costituivano YYYYY , in primi quali eredi, e l’ultima in proprio e quale erede di Omissis, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 14.07.2022, previa precisazione delle conclusioni, la causa veniva posta in decisione con i termini di rito per conclusionali e repliche.

* * *

I coniugi YYYYY  adivano il Tribunale di Messina per chiedere l’annullamento della delibera assembleare del 22.03.2012, con la quale il Condominio aveva approvato, a maggioranza e non con voto unanime, una nuova caratura millesimale in sostituzione delle originarie tabelle.

Premettevano gli attori: a) che con atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967, avevano acquistato un’autorimessa comprendente tutto il piano cantinato dell’Omissis del PRG di Messina; b) che tale immobile non era stato inserito nelle tabelle millesimali del condominio dell’ Omissis B, tanto che nell’atto pubblico, non erano stati allegati né richiamati il regolamento di condominio e le tabelle, in quanto l’originario proprietario dello stabile, Omissis, “aveva ritenuto di escludere il locale cantinato dal resto del complesso condominiale, in considerazione del fatto che l’immobile è del tutto indipendente dal resto dell’edificio, essendo dotato di autonomi ingressi, autonomi impianti per l’approvvigionamento idrico ed elettrico e non ha alcun diritto d’uso sulle parti comuni, né usufruisce dei servizi condominiali”; c) che, conseguentemente alla scelta operata dal costruttore, gli attori nel corso degli anni non avevano mai esercitato i diritti spettanti ai condomini, non erano stati mai convocati per le assemblee e, pertanto, non avevano mai preso parte ad alcuna decisione riguardante la gestione del condominio; d) che, in seguito alla decisione, maturata tra i condomini dell’ Omissis, di far redigere nuove carature millesimali, nelle quali veniva inserito anche l’immobile di loro proprietà, i coniugi YYYYY  erano stati convocati per le assemblee condominiali del 7.07.95 e del 18.10.1995; e) che, nel corso di quest’ultima assemblea, avevano espresso voto contrario sia all’approvazione delle nuove tabelle millesimali redatte dal dott. Omissis-che venivano approvate, con una maggioranza totale di 549 millesimi- sia alla deliberazione di ripartire, secondo queste tabelle, le spese per lavori di straordinaria manutenzione, deliberate in epoca remota (nel 1988); f) che con citazione notificata il 14.11.1995, essi attori YYYYY avevano impugnato la suddetta delibera condominiale del 18.10.1995 innanzi al Tribunale di Messina, chiedendone la declaratoria di nullità per avere approvato a maggioranza le nuove carature e per avere modificato, senza il consenso unanime dei condomini, il criterio di ripartizione delle spese condominiali; g) che nel corso di tale giudizio di impugnazione della delibera (n. Omissis R.G.), in seguito alla domanda proposta in via riconvenzionale dal Condominio dell’ Omissis, il Tribunale di Messina aveva nominato CTU l’arch. Omissis per la redazione giudiziale di un’ulteriore tabella millesimale; h) che, con sentenza n.765 del 6.03.2004, il Tribunale di Messina aveva accolto integralmente l’impugnazione proposta dagli attori, dichiarando la nullità di entrambe le delibere adottate nell’assemblea condominiale il 18.10.1995 ed invece aveva definito in rito la domanda riconvenzionale del condominio, affermando la necessità che la decisione venisse assunta con la partecipazione di tutti i condomini, mentre nella specie il contradditorio non era integro;

i) che, successivamente, il Condominio XXXXX, nell’assemblea straordinaria del 22.03.2012, aveva provveduto ancora alla sostituzione delle originarie tabelle, approvando a maggioranza quella tabella millesimale redatta dal CTU arch. Omissis nel corso del citato giudizio n. Omissis R.G., nonché l’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione per un importo di € 45.000,00 oltre Iva ed oneri del 6% per la Direzione Lavori, da ripartire in base a tale nuova tabella.

Con sentenza n. 355/2020, oggetto del presente gravame, il Tribunale di Messina accoglieva integralmente l’impugnazione proposta dai coniugi Omissis, dichiarando la nullità della delibera assembleare del 22.03.2012 e, conseguentemente, l’insussistenza dell’obbligo del pagamento della somma di € 2.842,80 per i lavori di straordinaria manutenzione deliberati nel corso della stessa assemblea, nonché degli oneri inerenti l’ordinaria amministrazione del Condominio XXXXX che veniva, quindi, condannato alla rifusione delle spese giudiziali.

Tale decisione è stata formulata sull’assunto che la delibera di approvazione delle nuove tabelle millesimali deve essere approvata all’unanimità.

Il Condominio con la citazione introduttiva del II grado ha articolato diverse censure, rubricandole con i numeri da 1) a 5).

1) Con il primo motivo il condominio rileva che ha errato il Tribunale a ritenere che fosse stata sollevata un’eccezione di difetto di legittimazione degli attori, in quanto non condomini.

2) Con il secondo motivo lamenta l’errore del Tribunale, commesso in materia di ripartizione dell’onere probatorio, col ritenere che la produzione in giudizio dell’atto di compravendita -privo di alcun richiamo al regolamento di condominio- fosse sufficiente a dimostrare l’esclusione degli attori dalla ripartizione delle spese condominiali, e che -di contro- fosse onere del Condominio dimostrare l’esistenza dell’obbligo degli odierni attori di partecipare alle spese di gestione del condominio. Così facendo, il Tribunale avrebbe violato il principio di diritto secondo il quale, una volta affermata la qualità di condomini degli appellati, l’obbligo degli stessi di partecipare alle spese condominiali sorge per legge, motivo per cui, ai fini dell’esonero, incombeva su di loro l’onere di dimostrare che la volontà del costruttore, accettata da tutti i condomini, fosse quella di escludere l’immobile in questione dalla partecipazione alle spese in deroga al principio legale. Tale volontà non si può desumere dall’omesso richiamo nel contratto di compravendita del regolamento di condominio e delle tabelle millesimali, essendo principio assolutamente pacifico che l’esonero parziale o totale dal pagamento delle spese condominiali, comportando una deroga ad un regime legale, non può essere tacita, ma deve risultare espressamente.

3) Con i motivi sub 3) e 4) il Condominio lamenta che il Tribunale abbia ritenuto la natura contrattuale del regolamento di condominio, da ciò pervenendo a richiedere l’unanimità per l’approvazione delle nuove tabelle millesimali. Infatti, la vecchia distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale è stata superata, per ritenere che in esso possono coesistere clausole di diversa natura. E nel caso di specie le clausole del regolamento era tutte di natura regolamentare, tanto che in nessuna di esse venivano previsti quei limiti alla proprietà individuale o quelle deroghe ai principi del codice civile -quale può essere, per l’appunto, l’esonero totale o parziale dal pagamento delle spese condominiali che connotano le clausole contrattuali.

Di conseguenza, il Tribunale ha errato nel ritenere che, per la modifica delle tabelle millesimali, fosse necessaria l’unanimità e “la circostanza che il regolamento di condominio sia stato predisposto dall’originario proprietario, in assenza di una espressa clausola di esonero dalla partecipazione alle spese, non vale ad attribuire efficacia vincolante né allo stesso né alle tabelle millesimali, che possono, quindi, essere modificate con la maggioranza di legge”.

4) Con l’ultimo motivo di gravame, il Condominio sostiene che “le spese del giudizio di primo grado, attesa la legittimità della delibera assembleare, andavano poste a carico degli appellati”.

Ciò premesso, valgono le seguenti considerazioni.

L’adozione di un regolamento condominiale e delle tabelle millesimali può avvenire o con la relativa predisposizione da parte dell’originario costruttore e il relativo richiamo nei singoli atti di acquisto, o con deliberazione dell’assemblea condominiale.

Nello specifico, come risulta dagli atti di causa, ciò è avvenuto secondo la prima delle citate modalità.

Risultano prodotti in causa, infatti, il regolamento di condominio e un atto di compravendita tra l’originario costruttore e un condominio, nel quale “l’acquirente dichiara di conoscere ed accettare il Regolamento di condominio predisposto dal venditore di cui all’atto del 5.10.1964”.

Inoltre, a fronte dell’allegazione degli attori, secondo cui tutti gli acquirenti successivi dell’originario costruttore hanno approvato -nei loro atti di acquisto- il regolamento e le allegate tabelle, il Condominio non ha formulato alcuna contestazione.

La questione, comunque, non è particolarmente rilevante, perché, in realtà deve aversi riguardo al contenuto delle singole clausole del regolamento per stabilire se abbiano natura contrattuale o regolamentare e, quindi, se per modificarle occorra l’unanimità o la maggioranza.

Sul punto la Suprema Corte ha affermato: “Le clausole dei  regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526

Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712

Orbene, nel caso de quo, gli attori hanno prodotto le tabelle millesimali oggetto di modifica e da esse risulta chiaramente che l’autorimessa di proprietà degli attori è esclusa dalla caratura millesimale, che riguarda esclusivamente gli appartamenti a partire dal piano rialzato e fino all’ultimo.

Ciò è perfettamente in linea con le risultanze dell’atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967 -in forza del quale l’autorimessa è pervenuta agli attori- che non contiene alcun richiamo alle tabelle millesimali o al regolamento condominiale.

Va da sé, quindi, che gli attori, la cui qualità di condomini è indiscutibile, hanno goduto di un vantaggio, derivante dall’accordo degli acquirenti degli appartamenti sulle tabelle millesimali predisposte dal costruttore, che escludeva l’autorimessa dalla caratura.

Più specificamente, il mancato richiamo alle tabelle millesimali – nell’atto di acquisto dell’immobile da parte dei coniugi Omissis ad integrare la fattispecie di una convenzione derogatrice dei criteri legali di ripartizione delle spese, infatti “l’accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che, anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell’edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall’art. 69 disp. Att. C.c. (Cass Civ. sez. II 28 gennaio 1995 n. 1028).

Dunque, volendosi eliminare tale deroga con l’inserimento dell’autorimessa nella caratura millesimale, e comportando questo l’assunzione di spese da parte dei proprietario dell’autorimessa, che ne sono esonerati, si va ad incidere sul regime di ripartizione, e -per quanto- su un contenuto contrattuale del regolamento; ciò non può che passare per una approvazione delle nuove tabelle assunta all’unanimità.

Per le esposte argomentazioni, ogni altra questione resta assorbita.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Messina, II Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Condominio XXXXX, in persona dell’Amministratore pro tempore avverso la sentenza n. 355/2020, emessa dal Tribunale di Messina il 13.02.2020, tra l’appellante e i coniugi YYYYY, così provvede:

– rigetta l’appello perché infondato.

– condanna il Condominio appellante al pagamento in favore degli appellati delle spese processuali del presente grado di giudizio, spese che liquida in complessivi € 1.923,00 per compensi professionali (di cui € 536,00 per la fase di studio, € 536,00 per la fase introduttiva ed € 851,00 per la fase decisionale), oltre iva, cpa e rimborso spese generali come per legge.

-dichiara che sussistono, nei confronti dell’appellante le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.

Così deciso nella camera di consiglio del 9.6.2023