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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 10879/2023 DEL 10 LUGLIO 2023

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Il Giudice, in persona della dott.ssa Omissis, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. Omissis del Ruolo Generale degli Affari Civili

TRA

YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLANTE

contro

Condominio XXXXX, in persona del legale rappresentante p.t., Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLATO

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY conveniva davanti al Tribunale di Roma il Condominio XXXXX chiedendo “in via preliminare, sospendere l’efficacia della delibera assembleare impugnata del 19 giugno 2018 in relazione al punto 1 dell’o.d.g.; in via principale e nel merito, accertare e dichiarare nulla e/o annullabile, comunque invalida, la delibera assembleare del 19 giugno 2018 adottata dal Condominio XXXXX, relativamente al punto 1 dell’o.d.g. nella parte in cui si procede ad approvazione dei riparti consumi idrici con applicazione del criterio a quota fissa – minimo impegnato, anziché proporzionale ai consumi come in precedenza deliberato; conseguentemente ordinare al Condominio di procedere a rettifica/correzione/ricalcolo degli importi di cui ai consumi idrici relativi alle gestioni sopra riferite”.

L’attore deduceva, in particolare:

– di essere comproprietario dell’immobile sito al primo piano (int. 4) del condominio convenuto;

– che l’assemblea condominiale del 19 giugno 2018 approvava, al punto 1 dell’o.d.g., i consuntivi di gestione per gli anni 2014-2017;

– di aver espresso voto contrario all’approvazione dei consuntivi, con particolare riferimento al criterio di ripartizione del consumo idrico pro-capite;

– di aver esperito negativamente il tentativo di mediazione.

Si costituiva il Condominio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del giudice adito per ragioni di valore e, nel merito, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda in quanto ritenuta infondata.

Con ordinanza del 18 aprile 2019 il Giudice adito dichiarava la propria incompetenza per valore, assegnando alle parti termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento per riassumere il giudizio davanti al Giudice di Pace di Roma.

Con atto di citazione in riassunzione, YYYYY, nel ribadire la domanda precedentemente formulata, esponeva che il criterio di proporzionalità, svincolato dalla considerazione di un “minimo impegnato – quota fissa”, oltre ad essere previsto nel Regolamento Condominiale, era stato ribadito e riconfermato dallo stesso Condominio nelle delibere assembleari del 22 marzo 2007 e 20 settembre 2017.

Si costituiva in giudizio il Condominio appellato, contestando la domanda attorea e chiedendo, oltreché la vittoria delle spese di lite, accertarsi che i criteri adottati dallo stesso per la ripartizione dei consumi idrici erano corretti e conformi a quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del Regolamento di Condominio.

Con sentenza n. 3401/2020, il Giudice di Pace di Roma rigettava la domanda attorea, con conseguente condanna alle spese processuali, sull’assunto che l’azione intrapresa dall’odierno appellante contrasterebbe con l’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale.

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proponeva appello avverso la sentenza di primo grado n. 3401/2020 chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione della relativa efficacia e, nel merito, l’integrale riforma con accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado.

L’appellante deduceva, in particolare:

– la omessa e insufficiente motivazione della decisione impugnata;

– l’erronea interpretazione dell’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale;

– l’omessa valutazione delle risultanze documentali prodotte e degli atti di causa;

– la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Si costituiva il Condominio appellato chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c. e, in subordine, il rigetto dell’appello.

All’udienza del 20 maggio 2022 il Giudice tratteneva la causa in decisione con termini alle parti ex art. 190 c.p.c.

***

Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inappellabilità della sentenza di primo grado sollevata dal Condominio ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c.

Orbene, il secondo comma dell’art. 113 c.p.c. prevede espressamente che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile”, mentre, in base all’art. 339, comma 3 c.p.c., “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito l’ambito entro il quale viene in rilievo l’applicazione, da parte del Giudice di Pace, dei “principi regolatori della materia”, la cui violazione – unitamente a quella di norme costituzionali o comunitarie e di norme del procedimento – esaurisce l’elenco tassativo dei vizi denunciabili con l’appello proposto avverso le sentenze pronunciato secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha statuito che “i principi regolatori della materia non corrispondono a singole norme regolatrici della specifica materia in questione, né alle regole accessorie e contingenti che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva complessiva della materia stessa. L’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113, 1° comma, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della sua decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, fermo restando, però, il divieto per il giudice di immutare gli elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa, pronunciandosi su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio” (Cass. n. 34632/2022).

E’, peraltro, evidente che l’appellante non può limitarsi ad assumere l’esistenza del vizio, ma è necessario che indichi, sia pure in maniera generica, ma in modo tale da rendere intellegibile la censura, quali sono i principi regolatori che si ritengono violati e/o falsamente applicati.

Al riguardo va osservato che, nel caso di specie, taluni dei motivi di appello proposti dall’odierno appellante integrano violazioni delle norme sul procedimento (quale la violazione dell’art. 112 c.p.c. enunciante il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) ovvero dei principi regolatori della materia (condominiale, in particolare la violazione del regolamento condominiale e delle disposizioni codicistiche sui criteri di ripartizione delle spese), in conformità al disposto di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c.

Pertanto, l’eccezione di inappellabilità deve essere rigettata.

Nel merito, l’appellante contesta il criterio di ripartizione dei consumi idrici, ossia l’addebito di una “quota fissa – minimo impegnato” (pari a complessivi metri cubi 184) nei consuntivi 2014-2017 approvati dalla delibera impugnata.

La doglianza coglie nel segno.

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

In conclusione, in accoglimento dell’appello va riformata integralmente la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellato a sostenere le spese del doppio grado di giudizio

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza 3401/2020 emessa dal Giudice di Pace di Roma, così dispone:

– “accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara la nullità della delibera assunta sul punto n. 1 dell’ordine del giorno dell’assemblea del Condominio XXXXX, del 19.06.2018;

– condanna parte convenuta alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’attore, che si liquidano in euro 350,00 per compensi, oltre rimborso forfeattrio spese generali al 15% ed IVA e CPA come per legge”.

– condanna l’appellato a rimborsare all’appellante le spese di lite, che si liquidano in euro 660,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge da versarsi a favore dello Stato, essendo l’appellante ammesso al gratuito patrocinio.