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TRIBUNALE DI PRATO SENTENZA N. 440/2023 29 GIUGNO 2023

Videosorveglianza – diritto alla sicurezza ed alla incolumità – Installazione da parte di condomino

Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.

Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.

Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.

Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.

il giudice dr.ssa Omissis ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. Omissis tra le parti:

ATTORE

PPPPP, cf Omissis

– difesa: avv. Omissis, cf Omissis

– domicilio: presso il difensore

CONVENUTI

GGGGG, cf Omissis

– difesa: avv. Omissis, cf Omissis

– domicilio: presso il difensore

OGGETTO: Altre ipotesi di responsabilità Extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie

Conclusioni delle parti

Per parte attrice: “come da atto di citazione – in tesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG per i titoli e le causali di cui in atti; e, per l’effetto, condannarli alla rimozione della stessa ed alla distruzione delle videoregistrazioni illegittime, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; nonché condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in subordinata ipotesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG e, per l’effetto, condannarli alla ricollocazione della stessa nel rispetto della privacy rimuovendo quella attuale, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; ed ordinare la distruzione delle videoregistrazioni illegittime; nonché condannare i convenuti in solido tra loro al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi, se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in ogni caso con vittoria di spese e onorari di causa – e in via istruttoria come da memoria depositata ai sensi dell’art. 183/2-3 c.p.c.”.

Per parte convenuta: “conclude in via istruttoria previa revoca dell’ordinanza del 5.7.2022 per l’amissione di tutti i mezzi istruttori richiesti con la seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. per le ragioni ivi indicate nonché nella denegata ipotesi di ammissione delle prove ex adverso richieste per l’ammissione alla controprova sulle stesse così come richiesto con la terza memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.. Nel merito conclude come da comparsa di costituzione e risposta – rigettare le domande tutte proposte dalla attrice nei confronti dei signori GGGGG perché infondate in fatto e in diritto. Il tutto con vittoria di spese e competenze per il presente giudizio.”.

Fatto e diritto

Con atto di citazione ritualmente notificato PPPPP ha citato in giudizio GGGGG per ottenere la condanna dei medesimi alla rimozione della telecamera installata dai medesimi nonché il risarcimento del danno subito.

A sostegno delle proprie domande l’attrice ha dedotto (1) che con comunicazione del 22.3.2017 l’amministratore del Condominio Fontanelle 4 via Soffici 24/58, ove risiede la stessa e gli odierni convenuti, ha reso noto che la famiglia GGGGG avrebbe installato un impianto di videosorveglianza presso la propria abitazione per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale; (2) che tale telecamera è stata posizionata in modo tale da inquadrare non tanto l’area prospiciente l’abitazione di loro proprietà bensì l’intero pianerottolo, il vano scale e l’ascensore, nonché l’ingresso dell’abitazione dell’odierna attrice; (3) che in tal modo i convenuti sono in grado di registrare ogni ingresso nell’abitazione della stessa, sia dall’uscita dell’ascensore che dalla cima delle scale, controllando le abitudini della famiglia dell’attrice, spiandone i movimenti, realizzando così una indebita ed illegittima intrusione nell’altrui vita privata e domestica; (4) che l’amministratore del condominio, alla luce delle lamentele dell’attrice, ha invitato i convenuti a posizionare l’apparecchio in modo tale da riprendere solamente la loro proprietà, tuttavia i convenuti non hanno rimosso detta telecamera; (5) che tali comportamenti hanno realizzato una palese e grave violazione della privacy posto che la telecamera si estende fino ad inquadrare il vano ascensore e la porta di ingresso dell’abitazione dell’attrice, riprendendo e registrando quindi ogni movimento della stessa nonché delle persone che vi accedono, compresi i minori; (6) che, inoltre, non risulta minimamente inquadrata la zona antistante l’abitazione di proprietà dei convenuti, rendendo, pertanto, del tutto pretestuoso e disatteso il fine di ‘sicurezza personale’ che era stato paventato dai convenuti per giustificare l’installazione della videocamera; (7) che, inoltre, l’impianto di videoregistrazione viola anche le disposizioni dettate dal codice civile in tema di condominio, posto che la videocamera inquadra zone pacificamente condominiali.

Con comparsa di costituzione e risposta si sono costituiti i convenuti i quali, dopo aver eccepito in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per mancanza dell’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c., hanno contestato la fondatezza delle domande avversarie, chiedendone il rigetto.

In particolare, i convenuti hanno dedotto (1) che la telecamera è stata installata per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale dei medesimi, dopo averne dato comunicazione all’amministratore di condominio; (2) che tale decisione si è resa necessaria dopo taluni comportamenti molesti e persecutori posti in essere dall’attrice e dalla famiglia della stessa; (3) che il procedimento penale a carico dei convenuti per il reato di cui all’art. 615 bis c.p. è stato archiviato posto che, come rilevato dal Pubblico Ministero “le riprese non integrano modalità per procurarsi indebitamente informazioni attinenti la vita privata altrui, in particolare della denunciante”; (4) che trattandosi di una videocamera privata installata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, non necessita di alcuna autorizzazione condominiale per poter essere installata; (5) che, inoltre, come precisato dal Garante della Privacy al punto 6.1. del provvedimento in materia di videosorveglianza dell’8.4.2010 citato da controparte, qualora siano installati sistemi di videosorveglianza da persone fisiche per fini esclusivamente personali di sicurezza, nel caso in cui i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi non trova applicazione la disciplina del Codice a Tutela della privacy; (6) che in considerazione delle modeste dimensioni dei luoghi la telecamera è stata posizionata nell’unico punto in cui avrebbe potuto essere collocata per poter videosorvegliare utilmente l’area antistante l’appartamento degli esponenti, riprendendo inevitabilmente anche le scale e la porta dell’ascensore, aree, queste ultime, che in ogni caso non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparto da sguardi indiscreti.

La causa, istruita documentalmente, respinte le istanze istruttorie formulate dalle parti, è stata trattenuta in decisione, mutato nel frattempo il giudice istruttore, all’udienza del 25.1.2023 sulle conclusioni delle parti così come riportate in epigrafe previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.

Preliminarmente questo giudice conferma la propria ordinanza emessa in data 5.7.2022 ribadendo la superfluità delle istanze istruttorie formulate dalle parti e l’inammissibilità della richiesta consulenza.

In particolare, si osserva che tutte le prove orali volte a confermare gli accadimenti intercorsi tra le parti nel 2017 non hanno rilevanza nel presente giudizio, mentre le prove orali relative alle immagini prodotte in atti sono risultate superflue alla luce della documentazione offerta da parte attrice. La consulenza tecnica, come richiesta da parte attrice, avrebbe dovuto effettuare un accertamento di natura giuridica, al contrario si ritiene che debba essere rimessa al giudice la valutazione circa la violazione della tutela della privacy o meno sulla base della documentazione in atti.

Detto ciò, nel merito la domanda di parte attrice è infondata e non merita accoglimento.

Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.

Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.

Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.

Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.

Con riguardo, poi, alla domanda risarcitoria avanzata da parte attrice se ne evidenzia l’assoluta genericità, in assenza di qualsiasi supporto probatorio documentale sul punto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione del D.M. 55/2014 e successive modifiche, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva concretamente svolta (valore indeterminabile complessità bassa, valori medi per fase di studio, introduttiva, valori minimi per fase istruttoria e fase decisionale).

P.Q.M.

Il Tribunale di Prato, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede:

– Respinge le domande attoree;

– Condanna l’attrice al pagamento delle spese processuali sostenute dai convenuti che si liquidano in euro 5.260,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA  N. 20888/2023 DEL 18 LUGLIO 2023

Art. 1123 c.c. – Principio di diritto – Art. 1124 c.c. – Spese ascensore – Immobile uso ufficio – Incremento forfetizzato della quota di contribuzione

E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.

Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, elettivamente domiciliata in Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dagli avvocati Omissis -ricorrente

contro

Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis

-controricorrente e ricorrente incidentale

nonché contro

GGGGG

-intimate

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4409/2017 depositata il 19/10/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4409/2017 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2017.

Resiste con controricorso il Condominio XXXXX

Non hanno svolto attività difensive le altre intimate GGGGG

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.

La ricorrente ha depositato memoria.

3.La Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 27 aprile 2015 e perciò rigettato l’opposizione proposta da YYYYY, GGGGG avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis intimato dal Condominio per la riscossione di contributi condominiali, pari ad € 21.827,00, risultanti dal piano di riparto approvato con delibera assembleare del 7 novembre 2012. In particolari, la Corte d’appello ha evidenziato che l’ingiunzione di pagamento opposta riguardava “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore, il tutto approvato all’assemblea ordinaria del 7 novembre 2012” e che “le delibere assunte in tale assemblea non hanno formato oggetto di alcuna impugnativa e neppure è stata svolta, nel presente giudizio, alcuna conclusione in merito ad esse”, di tal che “una volta dichiarata la nullità del punto 3) della delibera 2008, permane comunque l’effetto obbligatorio, nei confronti dei condomini, della delibera del 2012, posta a fondamento dell’azione monitoria”. Le opponenti avevano invero dedotto “la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008”, il quale aveva previsto che a partire dall’esercizio 2008/2009 si ponesse a carico delle unità immobiliari in comproprietà tra

YYYYY, GGGGG, adibite ad uso ufficio, una maggiorazione della contribuzione alle spese di portierato e per l’ascensore. A tal proposito, la Corte d’appello di Milano ha affermato che la delibera del 5 novembre 2008 “venne assunta all’assemblea all’unanimità dei presenti che rappresentavano soltanto 412.67 millesimi dei partecipanti al condominio”, e dunque non “dalla maggioranza degli intervenuti rappresentante almeno la metà del valore dell’edificio, come richiesto dal vigente art. 1136, comma 2, c.c. Sennonché, secondo i giudici di appello, era da “precisare che detta delibera non può considerarsi, oggi, invalida”, in quanto “annullabile e non impugnata”.

4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., recando in rubrica l’illustrazione “violazione del diritto delle attrici alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del relativo principio giuridico per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 69 disp. att. c.c. il semplice aggravio di spesa imposto ad un condomino”. Il motivo si conclude affermando: “[n]el caso di specie ci troviamo sicuramente di fronte a un’ipotesi di modifica, assunta non all’unanimità dei condomini, dei criteri di ripartizione delle spese, con la conseguente applicazione della sanzione della radicale nullità, deducibile senza limiti di tempo, della delibera del 5 novembre 2008 (…), con la quale, appunto, sono stati illegittimamente stabiliti per la proprietà delle esponenti dei criteri di ripartizione delle spese di portierato e ascensore maggiorati rispetto a quanto risultante dalle tabelle millesimali”. Su tale domanda la Corte d’appello non avrebbe pronunciato.

Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 167 c.p.c. e 1137 c.c., avendo la Corte d’appello “ritenuto di poter esaminare la validità della delibera del 5 novembre 2008 sotto la specie dell’annullabilità in difetto di efficiente eccezione di parte”.

Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia, al pari del primo, la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie disciplinata dall’art. 69 disp. att. c.c. “il semplice aggravio di spesa imposto dalla maggioranza a danno di un condomino”. Si riproduce fotograficamente nel corso del motivo il testo del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, con cui l’assemblea prendeva “atto dei disagi provocati dall’ufficio proprietà  YYYYY e dalla elevata quantità dei dipendenti e/o clienti” e così deliberava di seguire quanto già deciso dall’assemblea nell’ottobre 1989, applicando alle unità immobiliari YYYYY “maggiorazioni di spesa” di due quote per le spese portierato e di quattro quote per le spese ascensore.

Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la nullità della delibera “posta alla base del nuovo ed illecito criterio di addebito delle spese non si riverberi sulle successive e consequenziali”. La tesi della ricorrente è che la sentenza impugnata non abbia considerato né “il principio per il quale la nullità radicale della delibera condominiale illegittimamente approvata dalla assemblea si riverbera sulle delibere successive e consequenziali”, né che “le opponenti a decreto ingiuntivo aveva(no) contestato la validità delle decisioni fatte valere dal condominio in sede monitoria, tanto da ritenere che bene avevano fatto a non adeguarvisi”.

5. È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, contenendo l’atto gli essenziali profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche.

6. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacché del tutto connessi, rivelandosi fondato il terzo motivo e non fondati i restanti motivi.

7. In virtù dell’art. 113 c.p.c., nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, sicché ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché alle azioni o eccezioni formulate in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame. L’art. 112 c.p.c., invocato dalla ricorrente, vieta, piuttosto, al giudice di porre a base della decisione fatti che non siano stati oggetto di puntuale allegazione negli scritti difensivi delle parti, ovvero di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Ad un tempo, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda, costituendo vizio di omessa pronuncia la mancanza di decisione su ogni istanza di parte attinente al merito della lite che abbia un contenuto concreto ed una specifica formulazione.

A fronte della espressa domanda di YYYYY, GGGGG volta a dichiarare la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, la Corte d’appello di Milano, nella motivazione (sia pure non nel dispositivo) della sentenza impugnata (pagina 9), ha dunque proceduto ad una diversa qualificazione giuridica della stessa in termini di annullabilità ed ha respinto perciò l’istanza di declaratoria di nullità della stessa.

8. La Corte d’appello di Milano ha tuttavia errato in diritto nel ritenere che la deliberazione del 5 novembre 2008 avesse approvato una tabella millesimale delle spese per l’ascensore, ancorché in difetto della necessaria maggioranza, essendo perciò annullabile.

Si è dinanzi ad un atto di approvazione delle tabelle millesimali, per il quale è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., quando l’approvazione stessa avvenga con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge;

viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini (Cass. n. 6735 del 2020).

9. Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni dell’assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.

10. Avendosi riguardo alla validità di delibere approvate prima dell’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, occorre premettere che già nella vigenza del precedente testo dell’art. 1124 c.c. la giurisprudenza affermava costantemente che la regola posta da tale norma in relazione alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo), in mancanza di criteri convenzionali, trovasse applicazione per analogia alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (ex multis, Cass. n. 3264 del 2005; n. 5975 del 2004; n. 2833 del 1999; n. 5479 del 1991).

11. E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perché il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, né in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.

Il secondo comma dell’art. 1123, allorché disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).

12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.

13. Il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione nel presente giudizio concerneva “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore”, credito comprovato dalla deliberazione approvata dall’assemblea del 7 novembre 2012, la quale non è stata oggetto di domanda riconvenzionale ex art. 1137 c.c. da parte delle opponenti YYYYY, GGGGG, come afferma la Corte d’appello a pagina 7 della sentenza e come conferma la stessa ricorrente riportando integralmente in ricorso il testo dell’atto introduttivo del procedimento di primo grado.

In tal senso, il quarto motivo del ricorso di YYYYY, ove si assume la necessità di accertare la “nullità derivata” (sul modello di quanto sostenuto da Cass. n. 10196 del 2013) della delibera del 7 novembre 2012, per aver dato attuazione all’illegittimo criterio di riparto stabilito dal punto 3 della delibera del 5 novembre 2008, si connota come istanza “nuova”, inammissibile in sede di legittimità, in quanto pone una questione di diritto, appunto, “nuova”, la quale implica altresì lo svolgimento di accertamenti di fatto incompatibili con il procedimento di cassazione.

In ogni modo, l’allegazione che la delibera di approvazione e riparto delle spese del 7 novembre 2012, su cui fondava il credito del Condominio XXXXX azionato in sede monitoria col decreto ingiuntivo n. 34264/2013, sarebbe invalida, per aver fatto applicazione del criterio di riparto delle spese di gestione dell’impianto di ascensore approvato a maggioranza dalla precedente delibera del 5 novembre 2008, serve comunque a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza n. 9839 del 2021, in quanto non viene dedotta una modificazione dei criteri legali di suddivisione dei contributi da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri. Tale vizio non poteva, pertanto, essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente infondatezza delle censure rivolte dal ricorrente.

La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).

14. Possono pertanto enunciarsi i seguenti principi di diritto.

E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.

Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

15. Il terzo motivo di ricorso va perciò accolto, mentre vengono respinti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.

CategoriesSentenze Civili

CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 20282/2023 DEL 14 LUGLIO 2023

Art. 1123 c.c. – Ricorso per cassazione – Legittimazione attiva

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:

YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -ricorrente- contro

SSSSS, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO n. 589/2016 depositata il 28/12/2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 05/07/2023 dal Consigliere Omissis.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

udito l’Avvocato Omissis.

FATTI DI CAUSA

1. YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di via Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso, avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 559/2016 del 28 dicembre 2016.

SSSSS resiste con controricorso.

2. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Taranto in data 28 marzo 2013, che aveva condannato il Condominio XXXXX, Taranto, al pagamento della somma di € 11.459,31, oltre interessi, in favore dell’ex amministratore SSSSS, a titolo di compensi non percepiti e spese anticipate.

Il controricorrente SSSSS ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005.

3. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., come vigenti ratione temporis, il presidente fissò inizialmente l’adunanza della camera di consiglio in data 4 dicembre 2018.

Il ricorrente presentò memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

4. Con ordinanza interlocutoria del 18 dicembre 2018, la Corte decise di rimettere alla pubblica udienza la decisione sulla ravvisata ipotesi di inammissibilità del ricorso, ex art. 375, comma 1, numero 1, c.p.c., attinente alla legittimazione ad impugnare del singolo condomino con riguardo a sentenza che abbia visto soccombente il condominio in giudizio avente ad oggetto il credito vantato nei confronti di quest’ultimo dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.)

Il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso:

1A: nullità del procedimento in relazione agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c.;

1B: omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c.;

2A: nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.;

2B: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.;

2C: violazione degli artt. 1720, 1130 e 1135 c.c.

2. Deve dapprima risolversi la questione pregiudiziale della legittimazione all’impugnazione.

2.1. YYYYY non era costituito nel giudizio di appello, del quale era parte, invece, il Condominio di Omissis. Egli ha poi proposto il ricorso per cassazione nella dichiarata qualità di condomino, qualità, e conseguente legittimazione processuale, specificamente contestate dal controricorrente SSSSS, il quale ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005. YYYYY ha replicato deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.

È noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

2.2. Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad YYYYY, quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di via Omissis per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c.

2.3. Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da YYYYY, singolo condomino del Condominio di Omissis, mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio XXXXX.

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

2.4. Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994).

2.5. Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in data 23 giugno 2023, il ricorrente assume che il proprio interesse diretto ed immediato all’impugnazione discende dalla natura di titolo esecutivo pro quota nei confronti del singolo condomino della condanna conseguita dal terzo creditore nei confronti del condominio.

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

3. Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2023.

CategoriesSentenze Civili

CORTE D’APPELLO DI MILANO SENTENZA N. 1841/2023 DEL 6 GIUGNO 2023

Art. 1129 c.c.  – Art. 1130 bis c.c. – Consegna documenti – Diffida all’avvocato del condominio

Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.

Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;

vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad  avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. Omissis, promossa in grado d’appello con atto di citazione notificato il 26/4/2022, avverso la sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia nel processo di cui al n. R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022, notificata il 25/03/2022

DA

YYYYY (C.F. Omissis) rappresentata e difesa, come da delega allegata all’atto di citazione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis) con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato

– appellante –

CONTRO

Condominio XXXXX (C.F. Omissis), rappresentato e difeso, come da delega allegata alla comparsa di costituzione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis), con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato

– appellate –

OGGETTO: Comunione e condominio, impugnazione di delibera assembleare – spese condominiali

Conclusioni:

per YYYYY:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis, in accoglimento del proposto appello per i motivi dedotti in narrativa, nonché delle istanze e conclusioni avanzate in prime cure, che qui si intendono richiamate integralmente, e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza n. 402/2022, resa dal Tribunale di Pavia, Sez. III Civile, in persona del Giudice Dott. G Omissis, nel giudizio avente R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022 e notificata il 25/03/2022, disattese tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellato dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto:

– respingere le domande proposte dal, in persona dell’amministratore pro tempore, nei confronti del Sig. YYYYY, in quanto infondate in fatto e in diritto, per tutti i motivi esposti in narrativa, nonché per ogni ulteriore motivo rilevabile d’ufficio;

– condannare il Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, a restituire le somme corrisposte e/o quelle che saranno versate dal Sig. YYYYY nel corso del giudizio, in virtù dell’esecutorietà della sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia, pubblicata il 23/03/2022, oltre interessi dal giorno del versamento al saldo.

Con vittoria di spese di lite, compensi, spese generali ed oneri contributivi e fiscali per entrambi i gradi di giudizio”.

Per CONDOMINIO XXXXX:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis reiectis,

NEL MERITO:

– respingere la domanda dell’appellante e conseguentemente confermare la sentenza impugnata.

IN OGNI CASO:

– con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio, oltre IVA, CPA e 15% spese

forfettarie”.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. YYYYY chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Pavia il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. Omissis con il quale veniva ingiunto al Condominio XXXXX la consegna al YYYYY della documentazione afferente a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”, con condanna al pagamento delle spese di fase liquidate in € 1.300,00 per compensi, € 286 per esborsi, oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA e successive occorrende.

A seguito della notifica del titolo esecutivo e del precetto avvenuta in data 17.02.2021, il Condominio consegnava la documentazione richiesta ed instaurava il giudizio di opposizione chiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e, nel merito, la revoca del provvedimento perché emesso in assenza dei presupposti di legge ovvero, in subordine, voler dichiarare la cessazione della materia del contendere. L’opponente, in particolare, rilevava che il sig. YYYYY non aveva mai chiesto all’amministratore copia della documentazione di cui al decreto ingiuntivo con la conseguenza che non vi era stata alcuna violazione del diritto di prendere visione ed estrarre copia riconosciuta ex lege a ciascun condomino. L’opponente, infatti, sottolineava che la richiesta di documentazione avanzata dal YYYYY nel corso della corrispondenza intercorsa tra legali – relativa ad altra controversia pendente tra le parti – non era idonea a mettere in mora l’amministratore del Condominio, il quale non aveva mai ricevuto una formale istanza dall’interessato. Peraltro, l’opponente osservava che i condomini erano stati messi a conoscenza dei giorni e degli orari di ricevimento dell’Amministratore dal quale ciascuno di essi avrebbe potuto recarsi per prendere visione della documentazione inerente la gestione condominiale ed estrarre eventuali copie. Ad ogni modo, osservava ulteriormente l’opponente, la documentazione richiesta a mezzo pec dal legale del sig. YYYYY era diversa da quella per la quale il Tribunale aveva ingiunto l’immediata consegna.

Si costituiva in giudizio il sig. YYYYY eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione e, nel merito, deduceva la legittimità dell’ingiunzione, comprovata dall’immediata consegna della documentazione richiesta – valevole, secondo la tesi difensiva, quale ricognizione del debito – nonché dalla corrispondenza intercorsa tra i legali delle parti, dalla quale si ricaverebbe l’espresso rifiuto dell’amministratore alla consegna; chiedeva quindi la condanna di parte opponente per la temerarietà dell’opposizione ex art. 96 c.p.c.

Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 402/2022, dichiarava la cessazione della materia del contendere stante la pacifica consegna a mezzo PEC del 17.02.2021 della documentazione richiesta dal YYYYY e, in applicazione del principio di soccombenza virtuale, condannava il sig. YYYYY alla refusione delle spese di lite in favore del Condominio pari a € 2.768,00 per compensi, oltre € 286,00 per esborsi, 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.

Il Tribunale, in particolare, rilevava che la dichiarazione della cessazione della materia del contendere obbliga il giudice a provvedere sulle spese di lite secondo il criterio della soccombenza virtuale da individuarsi in base ad una ricognizione della normale probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su un’indagine sommaria di delibazione del merito, valutata con riferimento alla data di emissione del decreto ingiuntivo. Ad avviso del Giudice di primo grado, la richiesta formulata al legale del Condominio non costituiva idonea messa in mora ai sensi degli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. per l’esercizio del diritto di accesso e di esibizione dei registri e documenti contabili condominiali e, pertanto, non poteva ricavarsi dalla stessa la prova – il cui onere gravava sul condòmino – del rifiuto dell’amministratore. Sul punto il Tribunale sottolineava che l’istanza di accesso doveva essere rivolta direttamente all’amministratore e non già al legale del Condominio che era sprovvisto del potere di rappresentanza sostanziale, sottolineando altresì che non sussisteva corrispondenza tra la documentazione richiesta dal legale del condòmino e quanto richiesto in sede monitoria.

Infine, il Tribunale osservava l’inconferenza dell’istituto della ricognizione del debito richiamato dalla difesa dell’opposto in quanto “perché possa valere come riconoscimento del debito, l’adempimento dell’obbligazione dev’essere spontaneo ed implicare, anche per facta concludentia, una volontà del debitore diretta consapevolmente all’intento pratico di riconoscere l’esistenza di un diritto, senza tuttavia formule sacramentali”; di contro, nel caso di specie, l’adempimento era stato necessitato dalla notifica del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e si configurava, quindi, come atto doveroso dell’ingiunto e non libero.

Avverso tale sentenza ha proposto appello il sig. YYYYY deducendo tre motivi di impugnazione che verranno di seguito puntualmente esaminati.

Si è costituito il Condominio XXXXX, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e chiedendo, nel merito, il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata,

La Corte, disposta la trattazione scritta, sulle conclusioni precisate per via telematica ex art. 83 comma 7 lett. H del D.L. 18/2020 (conv. In L. 27/2020 e succ. mod.), all’udienza del 28/02/2023, ha riservato la causa in decisione alla scadenza dei termini fissati ai sensi dell’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

*****

Preliminarmente si osserva che, con riferimento all’art.348 bis c.p.c., l’eccezione può ritenersi superata in quanto implicitamente disattesa dalla Corte con l’ordinanza con la quale ha fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni, momento processuale incompatibile con un provvedimento, la cosiddetta “ordinanza filtro”, previsto dal legislatore con funzione deflattiva delle impugnazioni. Tale ordinanza può essere invero pronunciata solo in limine litis, quando l’impugnazione appaia “a prima vista” infondata, con eventualità di accoglimento ritenute ab origine pressoché impossibili, in base ad un giudizio prognostico altamente probabilistico e in assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento secondo una valutazione sommaria che porta a ravvedere un evidente insuccesso dell’appello. Cosa nella specie non immediatamente percepibile e percepita dalla Corte, alla luce dell’oggetto della causa sottoposta al suo vaglio, giustificativa di un approfondito esame di merito.

Passando ai motivi d’appello, con il primo motivo, rubricato “Sulla cessazione della materia del contendere a fronte dello spontaneo e pieno adempimento da parte del debitore opponente / riconoscimento del debito”, l’appellante ha rilevato che l’adempimento spontaneo e senza riserve da parte del Condominio equivarrebbe a un pacifico riconoscimento del debito per facta concludentia,.

Ad avviso del sig. YYYYY, la condotta posta in essere dal Condominio avrebbe dovuto indurre il Giudice di primo grado a dichiarare la carenza di interesse ad agire in opposizione con la conseguente condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite.

Con il secondo motivo, rubricato “Sull’errata applicazione del principio della soccombenza virtuale e sulla fondatezza della pretesa monitoria”, l’appellante ha impugnato la condanna pronunciata a suo carico alla refusione delle spese del giudizio a favore del condominio. Nello specifico l’appellante ha rilevato che il principio generale della soccombenza virtuale, nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere, costituisce una declinazione di quello di causalità da valutarsi esclusivamente in considerazione della domanda svolta e non a fatti esterni. Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto quindi stabilire se la pretesa fosse fondata al momento della proposizione della emissione del decreto ingiuntivo e concludere per la fondatezza della domanda proposta in via monitoria alla luce del pieno adempimento senza riserve eseguito dal debitore, sufficiente a confermare la fondatezza e legittimità della pretesa del YYYYY nel merito.

Con il terzo motivo, rubricato “Sull’espresso rifiuto del Condominio a consegnare la documentazione richiesta e sulla corrispondenza fra richiesta stragiudiziale e ricorso monitorio” l’appellante ha denunciato la ritenuta erroneità della pronuncia di primo grado laddove il giudice ha ritenuto la richiesta rivolta al legale del Condominio non idonea a integrare la richiesta di cui agli artt. 1129, comma secondo e 1130 bis c.c. Inoltre, il sig. YYYYY ha contestato l’affermazione svolta in sentenza secondo cui non sussisteva alcuna corrispondenza tra quanto richiesto in via stragiudiziale al procuratore dell’opponente e quanto richiesto con il ricorso monitorio. Secondo l’assunto di parte appellante, “in mancanza di formule specifiche prescritte ex lege e potendo manifestarsi l’interesse anche per facta concludentia, si dovrà dedurre, a maggior ragione, che la richiesta espressamente formulata tra i “rispettivi legali nominati”… ed il conseguente rifiuto comunicato e recepito per il tramite degli stessi, integri pienamente la fattispecie di cui agli artt. 1129, co. 2 e 1130 bis c.c.” (v.pag. 12-13 appello).

Infine, ha evidenziato la difesa appellante, il diniego a consegnare la documentazione formulato dall’Avv. Omissis con pec del 29/01/2021, in quanto “non autorizzata dal cliente” (id est l’amministratore del Condominio) a procedere in tal senso, dimostrerebbe non solo l’espresso rifiuto da parte dell’amministratore condominiale a consentire al condòmino l’accesso documentale di cui aveva diritto, ma anche che lo stesso amministratore fosse venuto effettivamente a conoscenza della richiesta formulata dal sig. YYYYY, dovendosi, pertanto, ritenere, in ogni caso, raggiunti lo scopo e gli effetti della richiesta in questione.

I motivi d’appello sono infondati e, in ragione della stretta connessione, meritano una trattazione congiunta.

Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.

Premesso ciò, nel caso di specie, è pacifico che il sig. YYYYY non abbia mai formulato una specifica richiesta di accesso ai documenti direttamente e personalmente all’amministratore condominiale ma, con pec del 28.1.2021 inviata dal proprio legale all’avv. Omissis (legale del Condominio) ha chiesto “suo tramite” all’amministratore del condominio “di fornire i verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”; la richiesta effettuata per mezzo del proprio avvocato e rivolta al legale del Condominio, secondo l’assunto di parte appellante, è idonea a configurare la “richiesta all’amministratore” prevista dall’art. 1129 comma 2 c.c. quale presupposto del diritto di accesso agli atti riconosciuto ai singoli condomini.

La tesi non è condivisibile. Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;

vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad  avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.

Ciononostante, YYYYY aveva adito il Tribunale di Pavia ottenendo il decreto ingiuntivo oggetto dell’odierno giudizio. Sulla base della ricostruzione fattuale risultante dagli atti, pertanto, al momento dell’instaurazione del giudizio monitorio la domanda avanzata dal sig. YYYYY non era meritevole di accoglimento in quanto, non sussisteva un precedente rifiuto dell’amministratore e non si era perpetrata alcuna violazione del suo diritto di accesso. In aggiunta, va sottolineato che l’art. 1129 comma 2 c.c. stabilisce il diritto del condòmino di prendere visione degli atti di gestione condominiale tenuti dall’amministratore, previa richiesta, recandosi nell’ufficio dell’amministratore stesso nei giorni ed orari da questi preventivamente indicati, e di poterne estrarre anche copia, previo rimborso della spesa, ma non riconosce un diritto indiscriminato del condomino ad ottenere la copia degli atti a cura e spese dell’amministratore.

Quanto poi alla consegna della documentazione effettuata dall’amministratore del Condominio a seguito della notifica del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e del relativo precetto, la condotta dell’amministratore non può essere qualificata come “riconoscimento del debito” per fatti concludenti, trattandosi, all’evidenza, di doverosa esecuzione di un provvedimento giudiziale. Come correttamente osservato dal Tribunale in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento del debito presuppone che l’adempimento dell’obbligazione sia spontaneo e sia espressione della volontà del debitore consapevolmente diretta a riconoscere l’esistenza del debito (Cass. n. 9097/2018; Cass. n. 15353/2002). Nel caso di specie difettano entrambi i presupposti necessari a individuare un effettivo riconoscimento del debito posto che il Condominio agiva sotto la “minaccia” dell’inizio dell’esecuzione.

Ulteriore elemento che impedisce l’accoglimento delle ragioni dell’appellante risiede nella mancata corrispondenza tra i documenti richiesti in sede stragiudiziale e quelli oggetto del ricorso monitorio.

Anche sul punto questa Corte non ritiene di discostarsi dalla ricostruzione fornita dal Giudice di primo grado in quanto tale incongruenza è documentalmente provata. In particolare, la pec del 28.1.2021, inviata dal legale del sig. YYYYY all’avvocato del Condominio, aveva ad oggetto la consegna dei “verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”, mentre la domanda formulata in sede monitoria afferiva a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”. Tale discordanza rappresenta, dunque, ulteriore prova dell’assenza di una precedente richiesta di accesso alla documentazione condominiale, poi richiesta in via monitoria, e dell’assenza del conseguente addotto rifiuto dell’amministratore, con la conseguenza che l’azione monitoria, in base ad un esame necessariamente sommario nel merito, si rivela verosimilmente illegittima ed infondata, con conseguente soccombenza virtuale del sig. YYYYY che deve, pertanto, sopportare la condanna alle spese di lite dovute sostenere dalla parte opponente per contrastare la domanda giudiziale illegittimamente introdotta.

Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, l’appello proposto va rigettato con la condanna dell’appellante YYYYY, in applicazione del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., alla rifusione delle spese anche del presente grado di giudizio, che vengono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo ai criteri indicati dal vigente D.M. 147/2022 con riferimento al valore della controversia (pari alle spese liquidate dal primo giudice ed oggetto di contestazione) applicando il valore minimo per le tre fasi processuali, attese la non complessità delle questioni trattate e l’impegno professionale effettivamente richiesto alle difese, esclusa la fase istruttoria, di fatto non svoltasi.

Sussistono i presupposti di cui al comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al DPR 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da YYYYY avverso la sentenza del Tribunale di Pavia n. 402/2022, pubblicata il 23/03/2022, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1. Rigetta l’appello;

2. Condanna l’appellante al pagamento in favore di parte appellata Condominio XXXXX le spese del presente grado di giudizio liquidate in complessivi € 962,00, di cui € 268,00 per la fase di studio, € 268,00 per la fase introduttiva ed € 426,00 per la fase decisoria, oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA come per legge;

3. dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo corrispondente al contributo unificato ex D.P.R. n.115/2002, art.13 c. 1 quater, comma inserito dall’art.1 c.17 L. n.228/20.

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TRIBUNALE DI GORIZIA SENTENZA N. 158/2023 DEL 30 GIUGNO 2023

Decreto ingiuntivo – Art. 1130 c.c. – Art. 63 disp. att. c.c. – recupero oneri condominiali

  • Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014).
  • Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio. In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.

Il Giudice, dott.ssa Omissis, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. Omissis R.Gen.Aff.Cont., assegnata in decisione all’udienza del 2/02/2023, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

TRA

YYYYY, elett.te dom.ti in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, che li rappresenta e difende in virtù di procura in atti;

– OPPONENTI

E

Condominio XXXXX, sito in Omissis, in persona dell’amministratore p.t., elett.te dom.to in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, dal quale è rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti.

– OPPOSTO

Oggetto: Opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis.

Conclusioni: all’udienza del 2/02/2023, sostituita dal deposito di note scritte, il difensore degli opponenti ha così concluso: “L’Avv. Omissis, nell’interesse degli opponenti, conclude riportandosi all’atto introduttivo e a tutti i propri scritti difensivi. Impugna tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto ed eccepito e ne chiede il rigetto poiché infondato in fatto e diritto”.

Il difensore del condominio opposto ha così concluso: “In via preliminare: Dichiarare l’inammissibilità della memoria istruttoria e dei documenti ad essa allegati, depositata dagli attori-opponenti il 17/2/2022, in quanto depositata oltre i termini di cui all’art. 183, VI° comma, c.p.c. Nel merito, in via principale:

Contrariis reiectis, accertata e dichiarata l’assoluta infondatezza, in fatto e in diritto, dell’avversa opposizione, per i motivi esposti in atti, accertato l’avvenuto pagamento in corso di causa di quanto ingiunto con il decreto ingiuntivo opposto (competenze e spese liquidate comprese), rigettare integralmente la stessa opposizione e dichiarare la cessazione della materia del contendere, con la conseguente contemporanea dichiarazione di soccombenza virtuale dei signori YYYYY-

Nel merito, in via subordinata:

Contrariis reiectis, accertare e dichiarare che i signori YYYYY, Omissis sono debitori, nei confronti del Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore condominiale pro tempore, Omissis in persona del legale rappresentante pro tempore, dell’importo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio e, per l’effetto, condannare i signori YYYYY, a pagare al Condominio XXXXX, la somma di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio. In ogni caso:

Spese, diritti ed onorari interamente rifusi, comprese quelle attinenti la fase monitoria e la fase di mediazione.

Con la condanna dei signori YYYYY ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato il 10.11.2020, il Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore p.t., ha adito il Tribunale di Gorizia, chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di YYYYY, per l’importo complessivo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, per spese condominiali straordinarie non pagate alla scadenza del 15/10/2020. Avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis, emesso dal Tribunale di Gorizia il 19.11.2020, hanno proposto opposizione YYYYY, eccependo, da un lato, il difetto di legittimazione attiva del condominio, per aver uno dei condomini provveduto a versare l’intera quota delle spese straordinarie di loro spettanza, e, dall’altro, l’omessa approvazione del bilancio (esercizio dal 1/10/2019 al 31/12/2020), del relativo piano di riparto e del prospetto delle rate, posti a fondamento della domanda monitoria. Si è costituito nel presente giudizio il Condominio XXXXX, il quale ha chiesto, in via principale, il rigetto dell’opposizione, con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, e in subordine la condanna degli opponenti, in solido, al pagamento dell’importo di Euro 9.831,36 o la diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali dalla scadenza al saldo, nonché la condanna di YYYYY ex art. 96 c.p.c. Ciò posto, si rileva che nel corso del presente giudizio di opposizione gli opponenti hanno provveduto all’integrale pagamento della somma di Euro 11.430,13, comprensivo della sorte capitale, interessi e spese legali, ivi comprese quelle relative all’atto di precetto (v. l’estratto conto depositato il 29.11.2021), sicché va dichiarata la cessazione della materia del contendere e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis va revocato, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014). Residua, dunque, la sola decisione sulla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal condominio opposto e sul governo delle spese processuali, da compiersi alla stregua della cosiddetta soccombenza virtuale. Orbene, l’opposizione non risulta fondata.

Il condominio ha, infatti, fornito adeguata dimostrazione del proprio credito, depositando il verbale dell’assemblea del 29.7.2019, del 10.10.2019 e del 30.9.2020 (doc. 3, 4 e 7 di parte opposta), da cui emerge l’approvazione, all’unanimità, sia dei lavori di straordinaria manutenzione del lastrico solare e della ripartizione delle spese, in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, che l’incremento del fondo costituito. Si rileva, peraltro, che gli opponenti hanno riconosciuto di essere debitori dell’importo di Euro 4.548,18, dovuto per spese straordinarie approvate dall’assemblea il 10.10.2019 (v. doc. 6 e 8 di parte opposta).

Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio.

In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.

In ordine alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., vale rammentare che la responsabilità aggravata discende da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta e, precisamente, per quanto riguarda il primo comma dell’articolo 96 c.p.c., dall’avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il terzo comma dello stesso articolo, dall’aver abusato dello strumento processuale. Nel caso di specie, si ritiene che non sussistano i presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c. 1 c.p.c., in mancanza di prova sia dell’ai che del quantum del danno, considerato che, in applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., è stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, confermata nel corso del giudizio di opposizione, a seguito del rigetto dell’istanza ex art. 649 c.p.c.

Tantomeno può essere accolta la domanda di condanna ai sensi del successivo comma 3, tenuto conto del comportamento processuale degli opponenti, i quali hanno dato prova di aver provveduto al pagamento delle somme ingiunte nel corso della prima udienza, valutato, unitamente al comportamento processuale del Condominio opposto, che ha ritenuto di non accettare la proposta formulata dal mediatore (v. verbale di mediazione negativo depositato il 29.11.2021 dagli opponenti).

In considerazione dell’esito complessivo del giudizio e del comportamento processuale delle parti, tanto in sede di mediazione quanto nel corso del presente giudizio di opposizione, le spese di lite vanno compensate per la metà, ponendo la restante metà, a carico degli opponenti in solido, che sono liquidate, complessivamente, ivi compresa la mediazione, come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014, come modificati dal D.M. 147/2022.

P.Q.M.

Il Tribunale di Gorizia, Sezione Unica civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando così provvede:

1) dichiara la cessazione della materia del contendere;

2) revoca il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis;

3) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c.;

4) compensa tra le parti le spese di lite al 50% e condanna YYYYY, in solido, al pagamento della restante metà, in favore del Condominio opposto, in persona dell’amministratore p.t., che sono liquidate in Euro 122,00 per esborsi ed Euro 4.060,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%.

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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 10879/2023 DEL 10 LUGLIO 2023

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Il Giudice, in persona della dott.ssa Omissis, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. Omissis del Ruolo Generale degli Affari Civili

TRA

YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLANTE

contro

Condominio XXXXX, in persona del legale rappresentante p.t., Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

APPELLATO

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY conveniva davanti al Tribunale di Roma il Condominio XXXXX chiedendo “in via preliminare, sospendere l’efficacia della delibera assembleare impugnata del 19 giugno 2018 in relazione al punto 1 dell’o.d.g.; in via principale e nel merito, accertare e dichiarare nulla e/o annullabile, comunque invalida, la delibera assembleare del 19 giugno 2018 adottata dal Condominio XXXXX, relativamente al punto 1 dell’o.d.g. nella parte in cui si procede ad approvazione dei riparti consumi idrici con applicazione del criterio a quota fissa – minimo impegnato, anziché proporzionale ai consumi come in precedenza deliberato; conseguentemente ordinare al Condominio di procedere a rettifica/correzione/ricalcolo degli importi di cui ai consumi idrici relativi alle gestioni sopra riferite”.

L’attore deduceva, in particolare:

– di essere comproprietario dell’immobile sito al primo piano (int. 4) del condominio convenuto;

– che l’assemblea condominiale del 19 giugno 2018 approvava, al punto 1 dell’o.d.g., i consuntivi di gestione per gli anni 2014-2017;

– di aver espresso voto contrario all’approvazione dei consuntivi, con particolare riferimento al criterio di ripartizione del consumo idrico pro-capite;

– di aver esperito negativamente il tentativo di mediazione.

Si costituiva il Condominio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del giudice adito per ragioni di valore e, nel merito, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda in quanto ritenuta infondata.

Con ordinanza del 18 aprile 2019 il Giudice adito dichiarava la propria incompetenza per valore, assegnando alle parti termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento per riassumere il giudizio davanti al Giudice di Pace di Roma.

Con atto di citazione in riassunzione, YYYYY, nel ribadire la domanda precedentemente formulata, esponeva che il criterio di proporzionalità, svincolato dalla considerazione di un “minimo impegnato – quota fissa”, oltre ad essere previsto nel Regolamento Condominiale, era stato ribadito e riconfermato dallo stesso Condominio nelle delibere assembleari del 22 marzo 2007 e 20 settembre 2017.

Si costituiva in giudizio il Condominio appellato, contestando la domanda attorea e chiedendo, oltreché la vittoria delle spese di lite, accertarsi che i criteri adottati dallo stesso per la ripartizione dei consumi idrici erano corretti e conformi a quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del Regolamento di Condominio.

Con sentenza n. 3401/2020, il Giudice di Pace di Roma rigettava la domanda attorea, con conseguente condanna alle spese processuali, sull’assunto che l’azione intrapresa dall’odierno appellante contrasterebbe con l’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale.

Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proponeva appello avverso la sentenza di primo grado n. 3401/2020 chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione della relativa efficacia e, nel merito, l’integrale riforma con accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado.

L’appellante deduceva, in particolare:

– la omessa e insufficiente motivazione della decisione impugnata;

– l’erronea interpretazione dell’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale;

– l’omessa valutazione delle risultanze documentali prodotte e degli atti di causa;

– la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Si costituiva il Condominio appellato chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c. e, in subordine, il rigetto dell’appello.

All’udienza del 20 maggio 2022 il Giudice tratteneva la causa in decisione con termini alle parti ex art. 190 c.p.c.

***

Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inappellabilità della sentenza di primo grado sollevata dal Condominio ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c.

Orbene, il secondo comma dell’art. 113 c.p.c. prevede espressamente che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile”, mentre, in base all’art. 339, comma 3 c.p.c., “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito l’ambito entro il quale viene in rilievo l’applicazione, da parte del Giudice di Pace, dei “principi regolatori della materia”, la cui violazione – unitamente a quella di norme costituzionali o comunitarie e di norme del procedimento – esaurisce l’elenco tassativo dei vizi denunciabili con l’appello proposto avverso le sentenze pronunciato secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha statuito che “i principi regolatori della materia non corrispondono a singole norme regolatrici della specifica materia in questione, né alle regole accessorie e contingenti che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva complessiva della materia stessa. L’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113, 1° comma, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della sua decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, fermo restando, però, il divieto per il giudice di immutare gli elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa, pronunciandosi su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio” (Cass. n. 34632/2022).

E’, peraltro, evidente che l’appellante non può limitarsi ad assumere l’esistenza del vizio, ma è necessario che indichi, sia pure in maniera generica, ma in modo tale da rendere intellegibile la censura, quali sono i principi regolatori che si ritengono violati e/o falsamente applicati.

Al riguardo va osservato che, nel caso di specie, taluni dei motivi di appello proposti dall’odierno appellante integrano violazioni delle norme sul procedimento (quale la violazione dell’art. 112 c.p.c. enunciante il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) ovvero dei principi regolatori della materia (condominiale, in particolare la violazione del regolamento condominiale e delle disposizioni codicistiche sui criteri di ripartizione delle spese), in conformità al disposto di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c.

Pertanto, l’eccezione di inappellabilità deve essere rigettata.

Nel merito, l’appellante contesta il criterio di ripartizione dei consumi idrici, ossia l’addebito di una “quota fissa – minimo impegnato” (pari a complessivi metri cubi 184) nei consuntivi 2014-2017 approvati dalla delibera impugnata.

La doglianza coglie nel segno.

In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.

Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.

Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.

Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

In conclusione, in accoglimento dell’appello va riformata integralmente la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellato a sostenere le spese del doppio grado di giudizio

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza 3401/2020 emessa dal Giudice di Pace di Roma, così dispone:

– “accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara la nullità della delibera assunta sul punto n. 1 dell’ordine del giorno dell’assemblea del Condominio XXXXX, del 19.06.2018;

– condanna parte convenuta alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’attore, che si liquidano in euro 350,00 per compensi, oltre rimborso forfeattrio spese generali al 15% ed IVA e CPA come per legge”.

– condanna l’appellato a rimborsare all’appellante le spese di lite, che si liquidano in euro 660,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge da versarsi a favore dello Stato, essendo l’appellante ammesso al gratuito patrocinio.

CategoriesSentenze Civili

TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA N. 8516/2023 DEL 30 MAGGIO 2023

Responsabilità professionale amministratore – Responsabilità amministratore – Art. 1227 c.c.

Deve rammentarsi che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).

La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).

Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).

in persona del dott. Omissis, in funzione di giudice unico,

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado iscritta al n. Omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, trattenuta in decisione all’udienza del 16.5.2023 e vertente tra

Condominio XXXXX ATTORE rappresentato e difeso dall’avv. Omissis

E

YYYYY CONVENUTO rappresentato e difeso dall’avv. Omissis

E

ASASAS rappresentata e difesa dall’avv. Omissis

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il condominio attore ha convenuto in giudizio YYYYY – già amministratore di tale condominio sino al 6.7.2017 – deducendo il suo inadempimento nell’esecuzione del relativo mandato con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto – sottoscritto in data 16.4.2012 con la Omissis. – afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.

L’attore – in primo luogo – ha dedotto quanto segue:

– i lavori di sistemazione della “cortina” venivano difettosamente eseguiti dalla ditta appaltatrice e pertanto l’assemblea – nella riunione del 2.12.2013 – stabiliva di “proporre alla ditta il rifacimento a regola d’arte dei lavori relativi alla cortina o in alternativa una riduzione del 60% dell’importo”;

– la società appaltatrice – riconoscendo i vizi – comunicava all’amministratore in data 10.12.2013 di accettare tale riduzione (non avendo intenzione di effettuare un nuovo intervento correttivo);

– solo in data 15.5.2014 l’amministratore comunicava ai condomini tale accettazione, comportante una riduzione del prezzo pari ad euro 18.852,38;

– il YYYYY – anche successivamente – continuava però a corrispondere all’impresa appaltatrice le somme pattuite in origine, senza operare alcuna riduzione;

– l’assemblea – nella riunione del 14.12.2016 – dava pertanto incarico all’amministratore di recuperare le somme versate in eccedenza;

– quest’ultimo disattendeva ancora una volta la volontà assembleare ed ometteva ogni conseguente iniziativa;

– l’assemblea – nella successiva riunione del 6.7.2017 – decideva così di revocarlo dalla carica e nominava una commissione per esaminare la complessiva gestione dell’appalto;

– la relazione finale – redatta all’esito – accertava una somma complessiva di euro 22.136,47 indebitamente corrisposta alla ditta appaltatrice.

L’attore ha inoltre dedotto – in secondo luogo – che in occasione del passaggio di consegne emergeva la mancata contabilizzazione da parte dell’ex amministratore di pagamenti ricevuti per complessivi euro 2.107,00 (euro 552,00 per versamenti da parte di condomini ed euro 1.555,00 a titolo d’indennizzo da parte della compagnia Omissis), somma che il YYYYY affermava però di non dover restituire stante un suo preteso maggior credito di euro 2.493,83 – in realtà insussistente – per compensi straordinari afferenti proprio alla gestione dei lavori in oggetto.

Ha pertanto concluso per la condanna del convenuto al risarcimento di euro 22.136,47 ed alla restituzione di euro 2.107,00.

Il YYYYY – nel costituirsi – ha chiesto in via preliminare l’autorizzazione alla chiamata in causa della ASASAS per essere tenuto indenne da un’eventuale condanna in forza della polizza per la copertura assicurativa della sua responsabilità professionale e – nel merito – ha comunque contestato la fondatezza delle avverse pretese chiedendone l’integrale rigetto.

E’ stata autorizzata la chiamata in causa e la compagnia – nel costituirsi – ha per un verso contestato la domanda di manleva – per inoperatività della garanzia con riguardo agli addebiti contestati all’assicurato – e per altro verso ha ugualmente contestato la stessa fondatezza delle pretese di parte attrice.

Sono state depositate le memorie autorizzate ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e – all’esito – è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

All’udienza dell’8.3.2022 – senza l’espletamento di ulteriori attività istruttorie – la causa è stata trattenuta una prima volta in decisione e poi rimessa sul ruolo per l’incombente ex art. 182 c.p.c. richiesto con ordinanza del 28.6.2022.

All’ultima udienza del 16.5.2023 – prodotta da parte attrice la delibera di ratifica per l’esercizio dell’azione risarcitoria in oggetto – la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione (con espressa rinunzia di tutte le parti ad ulteriori termini ex art. 190 c.p.c.).

Il Tribunale – sulla base di tali premesse – rileva quanto segue.

La prima e più rilevante pretesa dell’attore ha natura risarcitoria e si fonda sul dedotto inadempimento del YYYYY nell’esecuzione del mandato – in qualità di amministratore del condominio – con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.

L’attore afferma che – stante la concordata riduzione del prezzo con l’impresa appaltatrice in conseguenza della difettosa sistemazione della cortina (come da proposta assembleare del 2.12.2013) – il successivo e non dovuto pagamento integrale effettuato dall’amministratore a tale impresa comporterebbe una responsabilità risarcitoria del primo in misura corrispondente a tale mancata riduzione (pari ad euro 18.852,38, cui dovrebbe aggiungersi l’ulteriore importo versato comunque in eccedenza rispetto al costo complessivo dei lavori accertato dalla richiamata commissione, così da giungere ad un maggior indebito totale pari ad euro 22.136,47).

Tale conclusione – a prescindere da ogni superflua analisi della relazione peritale – non può essere condivisa.

Deve rammentarsi – in proposito – che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).

La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).

Deve allora ritenersi – nella fattispecie – che l’omissione da parte del nuovo amministratore del condominio (dopo la revoca del YYYYY risalente al 6.7.2017) di ogni iniziativa diretta per la ripetizione dell’indebito nei confronti dell’impresa appaltatrice – anche sul piano giudiziario – abbia costituito una condotta colposa tale da far escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose che pur sono derivate al condominio per il denunziato pagamento dei maggiori importi in oggetto.

La questione – del resto – era stata già segnalata nel corso del giudizio (cfr. ordinanza riservata del 30.4.2020, ove si evidenziava appunto il fatto che “la restituzione di somme indebitamente corrisposte avrebbe potuto essere richiesta dal Condominio direttamente all’accipiens”) e parte attrice – tuttavia – ha omesso alcuna specifica allegazione su eventuali circostanze che – nel caso concreto – avrebbero reso eventualmente superflua, perché infruttuosa, una simile iniziativa da parte del nuovo amministratore (in ragione, ad esempio, di una conclamata insolvenza o irreperibilità dell’impresa appaltatrice).

Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).

Ne consegue – pertanto – il rigetto della suddetta domanda risarcitoria.

La seconda e meno rilevante pretesa dell’attore attiene – invece – alla restituzione della somma – pari a complessivi euro 2.107,00 – indebitamente trattenuta dal YYYYY alla scadenza del suo mandato.

Tale pretesa deve essere – invece – accolta.

Le suesposte considerazioni – se valgono ad escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose denunziate – non portano infatti ad escludere che il YYYYY sia stato comunque inadempiente al mandato assembleare con riguardo alla specifica gestione dell’appalto in oggetto e non possa dunque opporre legittimamente in compensazione – rispetto al suo incontestato debito restitutorio di euro 2.107,00 – il maggior credito che assume maturato proprio a titolo di compensi straordinari (seppur inizialmente concordati in sede assembleare) per tale specifica gestione.

La reciproca soccombenza giustifica – fra attore e convenuto – la compensazione delle spese processuali (mentre le spese di c.t.u. – stante il rigetto della pretesa risarcitoria – devono essere poste definitivamente a carico dell’attore).

L’attore è invece tenuto a rifondere le spese processuali alla compagnia chiamata in causa (la cui evocazione in giudizio – seppure effettuata dal convenuto – è stata comunque conseguenza dell’infondata pretesa risarcitoria del condominio).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, così decide:

rigetta la domanda risarcitoria del condominio attore;

condanna il convenuto YYYYY a restituire al condominio attore l’importo di euro 2.107,00;

pone le spese di c.t.u. – nella misura già liquidata – a carico definitivo del condominio attore;

compensa – fra attore e convenuto – le altre spese processuali;

condanna il condominio attore a rimborsare alla chiamata in causa ASASAS le spese processuali, liquidate d’ufficio in euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge.

CategoriesSentenze Civili

CORTE D’APPELLO DI MESSINA SENTENZA N. 606/2023 DEL 4 LUGLIO 2023

Regolamento condominiale – Tabelle Millesimali – Art. 1123 c.c. – Quorum deliberativi – Art.69 disp. att. c.c.

“Le clausole dei  regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526

Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712.

S E N T E N Z A

Nel procedimento n. Omissis R.G., vertente

TRA

Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, C.F. Omissis, rapp.to e difeso dall’avv. Omissis appellante

CONTRO

YYYYY tutti rappresentati e difesi dall’avv. Omissis

appellato

Ogg: appello a sentenza n. 355/2020 del 13/02/2020, emessa dal Tribunale di Messina

Conclusioni per le parti: come da atti e verbali di causa

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con citazione notificata il 16.11.2020, il Condominio XXXXX proponeva appello avverso la sentenza di cui all’intestazione, con la quale il Tribunale di Messina, definendo il giudizio proposto dai coniugi YYYYY  nei confronti del medesimo Condominio, annullava la delibera dell’Assemblea del Condominiale del 22.03.2012.

Si costituivano YYYYY , in primi quali eredi, e l’ultima in proprio e quale erede di Omissis, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 14.07.2022, previa precisazione delle conclusioni, la causa veniva posta in decisione con i termini di rito per conclusionali e repliche.

* * *

I coniugi YYYYY  adivano il Tribunale di Messina per chiedere l’annullamento della delibera assembleare del 22.03.2012, con la quale il Condominio aveva approvato, a maggioranza e non con voto unanime, una nuova caratura millesimale in sostituzione delle originarie tabelle.

Premettevano gli attori: a) che con atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967, avevano acquistato un’autorimessa comprendente tutto il piano cantinato dell’Omissis del PRG di Messina; b) che tale immobile non era stato inserito nelle tabelle millesimali del condominio dell’ Omissis B, tanto che nell’atto pubblico, non erano stati allegati né richiamati il regolamento di condominio e le tabelle, in quanto l’originario proprietario dello stabile, Omissis, “aveva ritenuto di escludere il locale cantinato dal resto del complesso condominiale, in considerazione del fatto che l’immobile è del tutto indipendente dal resto dell’edificio, essendo dotato di autonomi ingressi, autonomi impianti per l’approvvigionamento idrico ed elettrico e non ha alcun diritto d’uso sulle parti comuni, né usufruisce dei servizi condominiali”; c) che, conseguentemente alla scelta operata dal costruttore, gli attori nel corso degli anni non avevano mai esercitato i diritti spettanti ai condomini, non erano stati mai convocati per le assemblee e, pertanto, non avevano mai preso parte ad alcuna decisione riguardante la gestione del condominio; d) che, in seguito alla decisione, maturata tra i condomini dell’ Omissis, di far redigere nuove carature millesimali, nelle quali veniva inserito anche l’immobile di loro proprietà, i coniugi YYYYY  erano stati convocati per le assemblee condominiali del 7.07.95 e del 18.10.1995; e) che, nel corso di quest’ultima assemblea, avevano espresso voto contrario sia all’approvazione delle nuove tabelle millesimali redatte dal dott. Omissis-che venivano approvate, con una maggioranza totale di 549 millesimi- sia alla deliberazione di ripartire, secondo queste tabelle, le spese per lavori di straordinaria manutenzione, deliberate in epoca remota (nel 1988); f) che con citazione notificata il 14.11.1995, essi attori YYYYY avevano impugnato la suddetta delibera condominiale del 18.10.1995 innanzi al Tribunale di Messina, chiedendone la declaratoria di nullità per avere approvato a maggioranza le nuove carature e per avere modificato, senza il consenso unanime dei condomini, il criterio di ripartizione delle spese condominiali; g) che nel corso di tale giudizio di impugnazione della delibera (n. Omissis R.G.), in seguito alla domanda proposta in via riconvenzionale dal Condominio dell’ Omissis, il Tribunale di Messina aveva nominato CTU l’arch. Omissis per la redazione giudiziale di un’ulteriore tabella millesimale; h) che, con sentenza n.765 del 6.03.2004, il Tribunale di Messina aveva accolto integralmente l’impugnazione proposta dagli attori, dichiarando la nullità di entrambe le delibere adottate nell’assemblea condominiale il 18.10.1995 ed invece aveva definito in rito la domanda riconvenzionale del condominio, affermando la necessità che la decisione venisse assunta con la partecipazione di tutti i condomini, mentre nella specie il contradditorio non era integro;

i) che, successivamente, il Condominio XXXXX, nell’assemblea straordinaria del 22.03.2012, aveva provveduto ancora alla sostituzione delle originarie tabelle, approvando a maggioranza quella tabella millesimale redatta dal CTU arch. Omissis nel corso del citato giudizio n. Omissis R.G., nonché l’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione per un importo di € 45.000,00 oltre Iva ed oneri del 6% per la Direzione Lavori, da ripartire in base a tale nuova tabella.

Con sentenza n. 355/2020, oggetto del presente gravame, il Tribunale di Messina accoglieva integralmente l’impugnazione proposta dai coniugi Omissis, dichiarando la nullità della delibera assembleare del 22.03.2012 e, conseguentemente, l’insussistenza dell’obbligo del pagamento della somma di € 2.842,80 per i lavori di straordinaria manutenzione deliberati nel corso della stessa assemblea, nonché degli oneri inerenti l’ordinaria amministrazione del Condominio XXXXX che veniva, quindi, condannato alla rifusione delle spese giudiziali.

Tale decisione è stata formulata sull’assunto che la delibera di approvazione delle nuove tabelle millesimali deve essere approvata all’unanimità.

Il Condominio con la citazione introduttiva del II grado ha articolato diverse censure, rubricandole con i numeri da 1) a 5).

1) Con il primo motivo il condominio rileva che ha errato il Tribunale a ritenere che fosse stata sollevata un’eccezione di difetto di legittimazione degli attori, in quanto non condomini.

2) Con il secondo motivo lamenta l’errore del Tribunale, commesso in materia di ripartizione dell’onere probatorio, col ritenere che la produzione in giudizio dell’atto di compravendita -privo di alcun richiamo al regolamento di condominio- fosse sufficiente a dimostrare l’esclusione degli attori dalla ripartizione delle spese condominiali, e che -di contro- fosse onere del Condominio dimostrare l’esistenza dell’obbligo degli odierni attori di partecipare alle spese di gestione del condominio. Così facendo, il Tribunale avrebbe violato il principio di diritto secondo il quale, una volta affermata la qualità di condomini degli appellati, l’obbligo degli stessi di partecipare alle spese condominiali sorge per legge, motivo per cui, ai fini dell’esonero, incombeva su di loro l’onere di dimostrare che la volontà del costruttore, accettata da tutti i condomini, fosse quella di escludere l’immobile in questione dalla partecipazione alle spese in deroga al principio legale. Tale volontà non si può desumere dall’omesso richiamo nel contratto di compravendita del regolamento di condominio e delle tabelle millesimali, essendo principio assolutamente pacifico che l’esonero parziale o totale dal pagamento delle spese condominiali, comportando una deroga ad un regime legale, non può essere tacita, ma deve risultare espressamente.

3) Con i motivi sub 3) e 4) il Condominio lamenta che il Tribunale abbia ritenuto la natura contrattuale del regolamento di condominio, da ciò pervenendo a richiedere l’unanimità per l’approvazione delle nuove tabelle millesimali. Infatti, la vecchia distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale è stata superata, per ritenere che in esso possono coesistere clausole di diversa natura. E nel caso di specie le clausole del regolamento era tutte di natura regolamentare, tanto che in nessuna di esse venivano previsti quei limiti alla proprietà individuale o quelle deroghe ai principi del codice civile -quale può essere, per l’appunto, l’esonero totale o parziale dal pagamento delle spese condominiali che connotano le clausole contrattuali.

Di conseguenza, il Tribunale ha errato nel ritenere che, per la modifica delle tabelle millesimali, fosse necessaria l’unanimità e “la circostanza che il regolamento di condominio sia stato predisposto dall’originario proprietario, in assenza di una espressa clausola di esonero dalla partecipazione alle spese, non vale ad attribuire efficacia vincolante né allo stesso né alle tabelle millesimali, che possono, quindi, essere modificate con la maggioranza di legge”.

4) Con l’ultimo motivo di gravame, il Condominio sostiene che “le spese del giudizio di primo grado, attesa la legittimità della delibera assembleare, andavano poste a carico degli appellati”.

Ciò premesso, valgono le seguenti considerazioni.

L’adozione di un regolamento condominiale e delle tabelle millesimali può avvenire o con la relativa predisposizione da parte dell’originario costruttore e il relativo richiamo nei singoli atti di acquisto, o con deliberazione dell’assemblea condominiale.

Nello specifico, come risulta dagli atti di causa, ciò è avvenuto secondo la prima delle citate modalità.

Risultano prodotti in causa, infatti, il regolamento di condominio e un atto di compravendita tra l’originario costruttore e un condominio, nel quale “l’acquirente dichiara di conoscere ed accettare il Regolamento di condominio predisposto dal venditore di cui all’atto del 5.10.1964”.

Inoltre, a fronte dell’allegazione degli attori, secondo cui tutti gli acquirenti successivi dell’originario costruttore hanno approvato -nei loro atti di acquisto- il regolamento e le allegate tabelle, il Condominio non ha formulato alcuna contestazione.

La questione, comunque, non è particolarmente rilevante, perché, in realtà deve aversi riguardo al contenuto delle singole clausole del regolamento per stabilire se abbiano natura contrattuale o regolamentare e, quindi, se per modificarle occorra l’unanimità o la maggioranza.

Sul punto la Suprema Corte ha affermato: “Le clausole dei  regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526

Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712

Orbene, nel caso de quo, gli attori hanno prodotto le tabelle millesimali oggetto di modifica e da esse risulta chiaramente che l’autorimessa di proprietà degli attori è esclusa dalla caratura millesimale, che riguarda esclusivamente gli appartamenti a partire dal piano rialzato e fino all’ultimo.

Ciò è perfettamente in linea con le risultanze dell’atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967 -in forza del quale l’autorimessa è pervenuta agli attori- che non contiene alcun richiamo alle tabelle millesimali o al regolamento condominiale.

Va da sé, quindi, che gli attori, la cui qualità di condomini è indiscutibile, hanno goduto di un vantaggio, derivante dall’accordo degli acquirenti degli appartamenti sulle tabelle millesimali predisposte dal costruttore, che escludeva l’autorimessa dalla caratura.

Più specificamente, il mancato richiamo alle tabelle millesimali – nell’atto di acquisto dell’immobile da parte dei coniugi Omissis ad integrare la fattispecie di una convenzione derogatrice dei criteri legali di ripartizione delle spese, infatti “l’accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che, anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell’edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall’art. 69 disp. Att. C.c. (Cass Civ. sez. II 28 gennaio 1995 n. 1028).

Dunque, volendosi eliminare tale deroga con l’inserimento dell’autorimessa nella caratura millesimale, e comportando questo l’assunzione di spese da parte dei proprietario dell’autorimessa, che ne sono esonerati, si va ad incidere sul regime di ripartizione, e -per quanto- su un contenuto contrattuale del regolamento; ciò non può che passare per una approvazione delle nuove tabelle assunta all’unanimità.

Per le esposte argomentazioni, ogni altra questione resta assorbita.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Messina, II Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Condominio XXXXX, in persona dell’Amministratore pro tempore avverso la sentenza n. 355/2020, emessa dal Tribunale di Messina il 13.02.2020, tra l’appellante e i coniugi YYYYY, così provvede:

– rigetta l’appello perché infondato.

– condanna il Condominio appellante al pagamento in favore degli appellati delle spese processuali del presente grado di giudizio, spese che liquida in complessivi € 1.923,00 per compensi professionali (di cui € 536,00 per la fase di studio, € 536,00 per la fase introduttiva ed € 851,00 per la fase decisionale), oltre iva, cpa e rimborso spese generali come per legge.

-dichiara che sussistono, nei confronti dell’appellante le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.

Così deciso nella camera di consiglio del 9.6.2023

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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 17713/2023 DEL 21 GIUGNO 2023

Mandato – Approvazione rendiconto – In mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile

Così decidendo la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi consolidati in materia, secondo cui il contratto tipico di amministrazione di condominio è comunque riconducibile ad un rapporto di mandato presumibilmente oneroso (v. Cass. Sez. Un. 29/10/2004, n. 20957) e il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Sez. 2, Sentenza n. 1429 del 08/03/1979; Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 28/04/1990); proprio le specifiche norme dettate in materia di condominio, poi, prevedono che l’assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (Sez. 2, Sentenza n. 14197 del 2011; Sez. 2 – , Ordinanza n. 7874 del 19/03/2021).

ORDINANZA

sul ricorso Omissis proposto da:

YYYYY, nella qualità di eredi di Omissis, elettivamente domiciliati in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;

– ricorrenti –

contro

Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1614/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/05/2023 dal consigliere Omissis;

letta la memoria dei ricorrenti.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n.1614 del 2018, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello del Condominio XXXXX ha rigettato la domanda di Omissis, dante causa degli attuali ricorrenti, diretta ad ottenere il pagamento della somma dovutale a titolo di compenso per l’attività svolta quale amministratrice negli anni 2009 e 2010.

Il condominio aveva rappresentato che con sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, Omissis era stata condannata alla restituzione della somma di Euro 39.802,42 corrispondente agli importi, non registrati in modo regolare, versati dall’ Omissis e da alcuni condomini e che in conseguenza non risultava approvato alcun rendiconto relativo alla sua gestione.

La Corte d’appello ha ritenuto, pertanto, che correttamente il Condominio avesse rifiutato di pagare il compenso, perché il compenso per l’attività gestoria è comunque una spesa che necessita di preventiva deliberazione e approvazione quale voce del relativo bilancio e mancava la prova del corretto adempimento degli obblighi di rendiconto per gli esercizi di amministrazione.

Avverso questa sentenza YYYYY, eredi di Omissis deceduta nelle more del giudizio, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il condominio ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve darsi atto che infondatamente il Condominio ha eccepito il difetto di prova della qualità di eredi dei ricorrenti.

YYYYY hanno tempestivamente documentato, con memoria depositata oltre un mese prima dell’odierna udienza in camera di consiglio (alla fattispecie si applica ratione temporis il nuovo testo dell’art. 372 cod.proc.civ., ex art. art. 35, comma 6 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla legge 29 dicembre 2022, n. 197), non soltanto di essere eredi, ma anche la conoscenza del controricorrente di tale loro qualità: proprio dal Condominio, infatti, è stato eseguito, nei loro confronti, un atto di pignoramento immobiliare in cui è dato atto del decesso della dante causa Valente Petri, della intervenuta successione legittima e della proprietà del bene staggito in capo a loro, per successione dalla madre; con il Condominio, peraltro, è anche stata stipulata da loro, nella qualità, una transazione.

1. Con il primo motivo, articolato in più profili, gli eredi hanno sostenuto la nullità della sentenza ex art. 360 comma I numero 4 cod. proc. civ. «per errata valutazione delle prove e dei documenti e omesso ed erroneo esame delle risultanze probatorie» (così in ricorso), nonché, ex numero 5, l’erronea considerazione di decisività di fatti invece estranei al giudizio. La Corte territoriale avrebbe infatti erroneamente ritenuto rilevante la sentenza del 16 luglio 2015 resa dal Tribunale di Roma nel separato giudizio, per essere ancora pendente l’appello e, in conseguenza, per essere ancora sub iudice la questione della registrazione erronea di alcune partite nel rendiconto; avrebbe altresì erroneamente equiparato la mancata approvazione dei bilanci regolarmente presentati alla mancata presentazione di rendicontazione.

2. Con il secondo motivo è stata prospettata la violazione e falsa applicazione, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., degli articoli 1713 e seguenti cod. civ. per avere la Corte d’appello fondato il rigetto della domanda di Valente Petri sull’irregolarità accertata nel diverso giudizio, peraltro soltanto in primo grado, senza considerare che l’amministratrice aveva comunque provato di avere esperito il suo mandato con conseguente diritto al compenso pattuito.

3. Entrambi i motivi, esaminabili congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.

Premesso che alla fattispecie non è applicabile, ratione temporis, la disciplina del condominio negli edifici come introdotta con la legge 11/12/2012 n. 220, deve dunque considerarsi che comunque, anche ai sensi dei n. 2 e 3 dell’art. 1135 cod. civ. nella formulazione vigente all’epoca dei fatti per cui è giudizio, il compenso dell’amministratore del condominio, costituendo una spesa a carico del condominio, era una voce del relativo bilancio che necessitava di approvazione in sede di deliberazione concernente il consuntivo spese.

Nella specie, dunque, è incontestato tra le parti, attesa la pendenza del giudizio conclusosi in primo grado con la sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, che i rendiconti annuali di gestione a cui l’amministratore era tenuto ex comma II dell’art. 1130 cod. civ. vigente all’epoca, per entrambi gli anni di incarico, non sono stati approvati perché sono state riscontrate irregolarità di registrazione di alcune voci.

Conseguentemente, con la sua prima ratio decidendi, in sé già sufficiente, la Corte ha fondatamente escluso il diritto al compenso dell’amministratrice Violante Petri perché il credito non era munito del necessario requisito di liquidità ed esigibilità in mancanza di regolare approvazione del rendiconto di gestione relativo agli anni in cui è maturato.

Così decidendo la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi consolidati in materia, secondo cui il contratto tipico di amministrazione di condominio è comunque riconducibile ad un rapporto di mandato presumibilmente oneroso (v. Cass. Sez. Un. 29/10/2004, n. 20957) e il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Sez. 2, Sentenza n. 1429 del 08/03/1979; Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 28/04/1990); proprio le specifiche norme dettate in materia di condominio, poi, prevedono che l’assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (Sez. 2, Sentenza n. 14197 del 2011; Sez. 2 – , Ordinanza n. 7874 del 19/03/2021).

4. Per queste ragioni il ricorso è respinto, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore del Condominio XXXXX

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Condominio XXXXX al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 31 maggio 2023.

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TRIBUNALE DI ROMA SENTENZA 7695/2023 DEL 16 MAGGIO 2023

Fondo cassa morosi – Quorum deliberativo – Effettiva ed improrogabile urgenza – Art. 1129 c.c. – Compenso amministratore – specifica analitica del compenso – Rinvio discussione argomenti posti all’ordine del giorno

Con riguardo al c.d. “fondo cassa morosi ”, la Suprema Corte ha ritenuto che, nei casi di effettiva urgenza, sia sufficiente, per deliberare la costituzione del fondo morosi, la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile. La S. Corte (sentenza 5 novembre 2001, n. 13631) ha osservato che ‹in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità quale espressione dell’autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde e le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa od liv tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante oh esterno, alle azioni dei terzi».

E dunque sarebbe legittima la costituzione del fondo cassa per il pagamento delle quote dei morosi in ipotesi di effettiva ed improrogabile urgenza, e con il voto favorevole dei condòmini che rappresentano la maggioranza degli intervenuti in assemblea (Cass. 13631/2001, n. 9083/2014), con rideterminazione secondo criteri millesimali delle quote di partecipazione al fondo cassa.

Si osserva al riguardo che la delibera impugnata ha confermato l’amministratore nella carica che già rivestiva; se è vero che in base al comma 14º dell’art 1129 c.c. l’amministratore “all’atto dell’accettazione della nomina o del suo rinnovo deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”, occorre evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche. La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condomini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell’amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l’amministratore sia stato confermato nell’incarico, dal momento che – in tal caso – si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condomini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste.

Si ritiene, dunque, che la “specificazione analitica” del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell’incarico) non fosse stato precisato il compenso.

E’ al riguardo da rilevare la possibilità che l’assemblea decida di rimandare la discussione di alcuni argomenti alla successiva riunione assembleare sempre che da queste eventuali variazioni non derivi una compressione o menomazione dei diritti di condomini. Nel caso in esame non risulta leso alcun diritto in capo all’attore il quale era finanche assente in sede assembleare e non si era nemmeno premurato di farsi rappresentare per delega. Del resto, gli stessi oggetti di discussione descritti ai punti 7), 8) e 9) – in ragione della loro evidente sinteticità e genericità – necessitavano di chiarimenti e supporti documentali che il solo attore avrebbe potuto fornire. Risulta inoltre che l’assemblea aveva deliberato in ordine al punto 10) essendo stato riportato in verbale che “l’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore”.

in persona del dr. Omissis ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. Omissis, trattenuta in decisione all’udienza del 1 febbraio 2023 e vertente

TRA

YYYYY elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv.to Omissis che lo rappresenta e difende per procura in atti – parte ammessa al gratuito patrocinio.

– ATTORE –

E

Condominio XXXXX in, in persona  dell’Amministratore pro tempore elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende per procura in atti.

Conclusioni: all’udienza del 1 febbraio 2023 i procuratori delle parti hanno concluso come in atti.

Svolgimento del processo

Con  atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proprietario dell’immobile sito in Omissis piano terzo dislocato su due livelli, ha impugnato le delibere assembleari del 28 aprile 2021 assunte dal Condominio XXXXX convocato per l’esame dei seguenti punti all’ordine del giorno 1) Discussione e delibera bilancio consuntivo 2020, 2) Discussione e delibera bilancio preventivo 2021, 3)Nomina amministratore condominiale, 4) Costituzione di un fondo cassa condominiale destinato alla coperture delle spese legali e delle morosità per consentire una corretta gestione all’amministratore, 5) Discussione e delibera lavori fognatura condominiale,  6) L Amministratore illustrerà la legge c. d. superbonus 110 e la relativa documentazione da presentare, 7) Richiesta da parte del signor          Omissis di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni, 8) Richiesta da parte del signor Omissis di contabilizzate una spesa da lui sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di € 1.464,00, 9) Richiesta de parte del signor Omissis di una ristrutturazione del suo immobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti, 10) Richiesta da parte del sig. Omissis di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente amministrazione 11) Richiesta da parte del sig. Omissis di acquisire il capitolato lavori già redatto durante la precedente amministrazione al fine di poter stimare i lavori da effettuare, discussione degli altri aspetti connessi alla mediazione proposta dal sig. 12) Varie ed eventuali ”.

L’attore al riguardo ha premesso che l’assemblea, con la maggioranza di 752,14 millesimi, aveva deliberato 1) L’approvazione all’unanimità del bilancio consuntivo 2020; 2) L’approvazione all’unanimità del preventivo 2021; 3) la nomina dell’Amministratore p.t. Omissis 4) la costituzione di un apposito fondo condominiale pari ad euro 2000,00 a seguito della morosità evidenziata nell’atto nel bilancio consuntivo 2020 e 5) la presentazione alla successiva assemblea di preventivi per il rifacimento della fognatura condominiale.

Ha inoltre riportato le seguenti determinazioni assunte in ordine ai punti 7), 8), 9), 10), 11) L’amministratore riporta il contenuto della mediazione U.s. nei confronti del signor Omissis e le richieste di quest’ultimo di cui ai punti 7,8 9,10,11 L’assemblea all’unanimità chiede la presenza del signor Omissis per poter discutere circa le azioni da intraprendere. Tutti i presenti si rendono disponibili ad apportare eventuali migliorie, chiedo altresì al proprietario assente di onorare i propri debiti come da bilancio iniziato e di non gravare quindi sul resto del condominio. L’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente i:amministratore.

L’attore quindi, nel rilevare di aver ricevuto il verbale dell’assemblea in data 10 giugno 2021, ha formulato una prima contestazione in merito all’approvata costituzione del fondo rilevando la mancata descrizione del suo scopo, evidenziando che non sarebbero stati specificati i criteri di ripartizione di tale fondo e sostenendo che la sua costituzione sarebbe avvenuta senza alcuna effettiva urgenza trattandosi di situazioni comunque risalenti nel tempo.

Con riguardo alla intervenuta nomina dell’amministratore ha rilevato l’assenza di indicazioni dei costi di tale incarico.

Ha infine contestato l’omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10 rilevando che non fosse ostativa alle deliberazioni sugli stessi punti la circostanza che esso istante non era presente e lamentando che l’inerzia del Condominio avrebbe impedito il necessario adeguamento del fabbricato alla normativa di legge in materia di manufatti in eternit.

Si è costituito il Condominio rilevando che il fondo deliberato dalla assemblea dei condomini era funzionale alla necessità del condominio, di minute dimensioni, di sopperire ad esigenze di cassa derivanti dall’inadempimento cronico del            rispetto all’obbligo di pagamento delle quote condominiali e quindi di far fronte ad esigenze di cassa per evitare danni più gravi nei confronti di tutti i condomini derivanti dal pericolo di interruzione dei servizi essenziali comuni quali l’energia elettrica, il funzionamento dell’ascensore e la illuminazione delle parti comuni.

In merito alla nomina dell’Amministratore ha evidenziato che il preventivo presentato era stato vagliato, valutato, approvato ed anche allegato al verbale assembleare trasmesso alle qui oggetto di impugnativa.

Ha altresì evidenziato che l’attuale Amministratore condominiale era già stato nominato, per la prima volta, dalla assemblea dei condomini all’esito della riunione assembleare del 16.01. 2020.

Con riguardo alla mancata deliberazione in ordine ai punti 7,8,9,10 posti all’ordine del giorno dell’assemblea del 28.04.2021, ha riferito che, dopo l’incontro di mediazione del 22.10.2020 al quale il Condominio aveva partecipato e nel quale il aveva esposto le proprie richieste, lo stesso Condominio aveva inserito proprio ai punti 7,8,9,10 dell’ordine del giorno le istanze del YYYYY  che lo stesso voleva discutere nella assemblea condominiale ed alla quale non aveva partecipato.

Ha pertanto concluso per il rigetto delle domande proposte.

Prodotti documenti la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza in epigrafe indicata.

Motivi della decisione

Con riguardo al c.d. “fondo cassa morosi ”, la Suprema Corte ha ritenuto che, nei casi di effettiva urgenza, sia sufficiente, per deliberare la costituzione del fondo morosi, la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile. La S. Corte (sentenza 5 novembre 2001, n. 13631) ha osservato che ‹in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità quale espressione dell’autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde e le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa od liv tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante oh esterno, alle azioni dei terzi».

E dunque sarebbe legittima la costituzione del fondo cassa per il pagamento delle quote dei morosi in ipotesi di effettiva ed improrogabile urgenza, e con il voto favorevole dei condòmini che rappresentano la maggioranza degli intervenuti in assemblea (Cass. 13631/2001, n. 9083/2014), con rideterminazione secondo criteri millesimali delle quote di partecipazione al fondo cassa.

Avuto riguardo a tali principi sussistevano nel caso concreto i motivi di urgenza che hanno giustificato l’istituzione del fondo cassa anche in assenza del consenso di tutti i condomini avendo il condominio evidenziato una situazione di cronica morosità da parte dell’attore – il quale con riguardo al pic colo condominio risulta portatore di ben 247,86 millesimi – richiamando anche la situazione di cassa come riportata nel consuntivo 2020 e preventivo 2021.

Una tale situazione del resto – espressamente riportata in sede di delibera avendo i presenti chiesto “al proprietario assente di onorare i propri debiti come da bilancio inviato e di non gravare quindi sul resto del condominio” – non è oggetto di alcuna contestazione da parte dell’attore.

Venendo alla delibera di conferma dell’amministratore la stessa è stata contestata per il fatto che era mancata la specifica determinazione del compenso dell’amministratore.

Si osserva al riguardo che la delibera impugnata ha confermato l’amministratore nella carica che già rivestiva; se è vero che in base al comma 14º dell’art 1129 c.c. l’amministratore “all’atto dell’accettazione della nomina o del suo rinnovo deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”, occorre evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche. La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condomini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell’amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l’amministratore sia stato confermato nell’incarico, dal momento che – in tal caso – si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condomini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste.

Si ritiene, dunque, che la “specificazione analitica” del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell’incarico) non fosse stato precisato il compenso.

Poiché questa circostanza, nella specie, non è stata dedotta dall’attore, la mancata nuova specifica non inficia la delibera impugnata. E’ comunque da rilevare che tale onorario risulta di fatto specificato avendo l’amministratore Omissis quantificato la propria offerta (euro 650 + IVA) in data 7.1.2020, epoca antecedente 1’adozione della delibera di nomina del 16 gennaio 2020.

L’attore ha infine contestato l’omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10. Tali punti avevano riguardato le seguenti richieste: 7 Richiesta da parte del signor Omissis di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni, 8) Richiesta da parte del signor Omissis di contabilizzate una spesa da lvi sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di € 1.464,00, 9) Richiesta de parte del signor Omissis di una ristrutturazione del suo mobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti, 10) Richiesta da parte del sig. Omissis di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente i:amministrazione

E’ al riguardo da rilevare la possibilità che l’assemblea decida di rimandare la discussione di alcuni argomenti alla successiva riunione assembleare sempre che da queste eventuali variazioni non derivi una compressione o menomazione dei diritti di condomini. Nel caso in esame non risulta leso alcun diritto in capo all’attore il quale era finanche assente in sede assembleare e non si era nemmeno premurato di farsi rappresentare per delega. Del resto, gli stessi oggetti di discussione descritti ai punti 7), 8) e 9) – in ragione della loro evidente sinteticità e genericità – necessitavano di chiarimenti e supporti documentali che il solo attore avrebbe potuto fornire. Risulta inoltre che l’assemblea aveva deliberato in ordine al punto 10) essendo stato riportato in verbale che “l’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Con separato decreto si procede alla liquidazione del compenso del legale dell’attore essendo in atti un provvedimento del Consiglio dell’Ordine di ammissione al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

Definitivamente decidendo, ogni ulteriore domanda o eccezione dichiarata inammissibile o disattesa, così provvede;

–             rigetta le domande proposte da nei confronti del Condominio XXXXX in Omissis;

–             condanna YYYYY al pagamento delle spese di giudizio sostenute dal Condominio che si liquidano in euro 2.200,00 per compensi, oltre accessori come per legge.