ARTICOLI, SENTENZE E APPROFONDIMENTI
19 Luglio 2023Sentenze CiviliArt. 1117 bis c.c. – Supercondominio – Costituzione – Art. 1130 c.c. – Art. 1130 c.c. – Legittimazione attiva
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass. n. 1366 del 2023; n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE ROMA n. 9379/2018 depositata il 10/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 9379/2018 del Tribunale di Roma, pubblicata il 10 maggio 2018.
Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.
Il ricorrente ha depositato memoria.
3. Il Tribunale di Roma ha accolto l’appello spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Giudice di pace di Roma il 2 dicembre 2015 ed ha perciò rigettato l’opposizione del condomino YYYYY al decreto ingiuntivo pronunciato il 13 ottobre 2014 dal Giudice di pace su domanda del 19 settembre 2013, avente ad oggetto la riscossione di contributi condominiali inerenti ai lavori di adeguamento dell’autorimessa A, di cui al riparto approvato con delibera assembleare del 13 settembre 2012.
Il Giudice di pace aveva dichiarato la propria incompetenza per valore e dichiarato la nullità del decreto ingiuntivo opposto, ed aveva altresì rilevato la irritualità della procura conferita dal Condominio, essendo solo dichiarata, ma non provata, la qualità del soggetto munito di potere rappresentativo.
L’appello è stato accolto dal Tribunale di Roma dopo aver superato plurime questioni pregiudiziali, in particolare, per quanto qui rilevi: a) affermando la legittimazione attiva del Condominio XXXXX, costituente un supercondominio (e non dunque del solo “fabbricato Omissis”, come sostenuto dal YYYYY); b) negando che si dovesse procedere alla riassunzione ex art. 50 c.p.c., piuttosto che all’appello, avendo deciso la sentenza del Giudice di pace non solo sulla competenza, ma anche sulla rappresentanza del Condominio; c) accertando che la domanda monitoria aveva il valore di € 2.476,66 e perciò rientrava nella competenza dell’adito giudice di pace; d) evidenziando che il mandato per il ricorso monitorio depositato il 13 settembre 2013 era stato sottoscritto dall’amministratore pro tempore Omissis, non rilevando ai fini dell’instaurato rapporto processuale che il medesimo Ricciardi fosse poi stato revocato dall’assemblea il 23 giugno 2014 e sostituito dal nuovo amministratore Omissis.
4. Il controricorrente antepone una eccezione di inammissibilità del ricorso “per violazione dei principi di autosufficienza e di specificità”. L’eccezione, per come formulata, non può essere accolta, in quanto l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c. deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonché l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 16887 del 2013).
Non di meno, deve riconoscersi che i motivi di ricorso si risolvono in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili di fatto, ed invocano un generico rinnovato esame delle risultanze di causa.
Il Collegio può dare risposta alle critiche contenute nei motivi di ricorso nei limiti in cui appaia quanto meno soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione delle relative ragioni e le censure consentano di individuare il vizio dedotto e la norma o il principio di diritto che si assume violato, in maniera da sussumere le stesse in una delle categorie logiche contemplate dall’art. 360 c.p.c.
5. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 75, 77, 81, 99, 100, 101, 112, 132, 157, 159, 643 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 e 24 Cost., 1129, 1130, 1131 e 2697 c.c., il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
La censura attiene alla perdita di efficacia della procura conferita il 13 settembre 2013 agli avvocati Omissis dall’amministratore Omissis, una volta che quest’ultimo era stato sostituito dal nuovo amministratore Omissis il 23 giugno 2014.
5.1. Il primo motivo di ricorso è carente sotto il profilo della specificità, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. Con esso il ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., indicando diciotto norme di legge di cui lamenta la violazione, senza tuttavia esaminarne il rispettivo contenuto precettivo e raffrontarlo mediante specifiche argomentazioni con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, evidenziandone il contrasto con l’interpretazione che di tali disposizioni fornisce la giurisprudenza o la dottrina (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 23745 del 2020).
5.2. Non ricorre la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la stessa contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, come d’altro canto conferma la contestuale proposizione di molteplici denunce della violazione di norme di diritto sostanziale, le quali presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame le questioni oggetto di doglianza e le abbia risolte in modo giuridicamente non corretto.
5.3. Il Tribunale di Roma ha comunque deciso la questione di diritto in oggetto in modo conforme all’orientamento di questa Corte e il motivo non offre elementi per mutare tale consolidata interpretazione giurisprudenziale.
La procura al difensore rilasciata a margine o in calce al ricorso per decreto ingiuntivo abilita lo stesso al patrocinio non solo nella fase monitoria, ma anche all’eventuale giudizio di opposizione. Ove tale procura sia conferita da un condominio, il mutamento della persona dell’amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, operando quest’ultimo, nell’interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio (Cass. n. 27302 del 2020).
Inoltre, il provvedimento giudiziale o la deliberazione assembleare di revoca dell’amministratore del condominio non travolge gli atti compiuti anteriormente dall’amministratore rimosso dall’incarico, i quali non sono viziati da alcuna automatica invalidità, continuando piuttosto a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (arg. da Cass. n. 454 del 2017).
6. Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., per la irritualità e la intempestività della riassunzione operata dal Condominio XXXXX dopo la declinatoria di competenza pronunciata dal Giudice di pace.
6.1. Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denota una carenza di specifica riferibilità alla sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
Nel caso in esame, a fronte della dichiarazione di incompetenza e del rilievo di carenza di prova del rappresentante del Condominio XXXXX compiuti dal Giudice di pace, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, lo stesso Condominio non ha proceduto a riassumere il giudizio dinanzi al giudice indicato come competente, prestando acquiescenza alla declaratoria di incompetenza, ma ha impugnato con appello la relativa decisione.
Il Tribunale, avendo reputato fondata la censura relativa alla declinatoria di competenza del giudice di pace, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, ha così dichiarato erronea la declinatoria di competenza e correttamente deciso sul merito quale giudice d’appello (Cass. n. 33456 del 2019; n. 13623 del 2015; n. 6520 del 2007).
7. Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1136, 1137, 1138, 1120, 1421, 1423 c.c. La tesi è: era nulla la delibera del 12 gennaio 2012 e “ogni altra delibera ad essa connessa” (…); “si è costituito in giudizio … il complesso edilizio Omissis 14/16/28, ancorché privo di legittimazione attiva e di carenza ad agire, essendo completamente estraneo al condominio autonomo Azalea 14 e al locale autorimessa”. Si contesta la composizione dell’assemblea del 12 gennaio 2012 che ha approvato i lavori e le relative spese.
7.1. Anche questo motivo è privo di specificità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
Il Tribunale di Roma ha evidenziato che le deliberazioni con cui erano stati approvati i lavori e ripartite le spese, e sulle quali è fondato il decreto ingiuntivo opposto nel presente giudizio, erano riferibili al Condominio XXXXX.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (formatosi con riguardo a fattispecie cui, come quella in esame, non era applicabile ratione temporis la disciplina normativa poi introdotta dalla legge n. 220 del 2012, mediante gli articoli 1117-bis c.c. e 67, terzo e quarto comma, disp. att. c.c.), il cosiddetto supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; sicché il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del supercondominio, ove sia stato nominato (Cass. n. 1366 del 2023; n. 40857 del 2021; n. 2279 del 2019; n. 19558 del 2013).
Spetta, comunque all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di cassazione, se non nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., verificare l’appartenenza di un bene ad uno soltanto o a tutti gli edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale (Cass. n. 2623 del 2021).
È comunque tautologica, giacché priva di effettivo valore informativo, l’affermazione del ricorrente secondo cui il locale autorimessa è parte comune del “condominio autonomo Omissise non del superCondominio XXXXX.
Inoltre, l’allegazione che le delibere di approvazione e riparto delle spese inerenti all’autorimessa fossero state adottate con erroneo calcolo delle maggioranze serve a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, e, alla stregua dei principi enunciati dalla sentenza n. 9839 del 2021 delle Sezioni Unite, tale vizio non poteva essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente inammissibilità delle censure rivolte dal ricorrente.
8. Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 88, 91, 94, 96 c.p.c., 1394, 1398, 2043 e 2049 c.c., nonché di “ogni altra norma applicabile”. Si lamenta la temerarietà dell’azione proposta da Marco Riccardi in nome e per conto del complesso Omissis e della difesa assunta dagli avvocati Omissis, “senza possedere la qualità di amministratore” il primo e senza valida procura alle liti i secondi e si fa rinvio alle “gravi e false informazioni” contenute nella comparsa di risposta del 28 dicembre 2014.
8.1. Anche questa censura è inammissibile.
Essa sembra fondarsi sull’art. 94 c.p.c., il quale configura una responsabilità processuale dei rappresentanti e prevede la loro condanna, eventualmente in solido con la parte rappresentata, nei confronti dell’avversario vincitore. L’esame delle precedenti censure ha tuttavia conclamato la integrale soccombenza di YYYYY.
9. Nella memoria depositata in data 26 maggio 2023, il ricorrente lamenta altresì l’omessa pronuncia sulla eccezione relativa alla “violazione della legge 02/02/1974, n. 64 – provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”.
Si tratta, però, di questione non compresa tra i motivi enunciati nel ricorso e la memoria di cui all’art. 380-bis.1, c.p.c., al pari di quella prevista dall’art. 378 c.p.c., ha la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici delle censure già esposte nel medesimo ricorso ritualmente proposto, col quale si “consuma” il diritto di impugnazione, non potendosi perciò veicolare tramite la memoria “motivi aggiunti”, né integrare quelli originari.
10. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza in favore del controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati Omissis.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023. [...]
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19 Luglio 2023Sentenze CiviliSupercondominio – Contratto per la manutenzione di impianto termico di supercondominio — Terzo responsabile ex art. 31 legge n. 10 del 1991 ─ Risoluzione e risarcimento danni per inadempimento – Certificato Prevenzione Incendi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da
Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis);
– ricorrente –
contro
YYYYY, rappresentata e difesa dall’Avv. Omissis (p.e.c. indicata: Omissis), con domicilio eletto in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis (Omissis p.e.c.: Omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2023 dal Consigliere Omissis.
CONSIDERATO CHE:
Con sentenza n. 1721/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019, la Corte d’appello di Genova ha confermato, con aggravio di spese, la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dal Condominio XXXXX nei confronti della YYYYY, diretta a ottenere la risoluzione del contratto di fornitura e somministrazione di calore e acqua calda, per inadempimento della convenuta, dedotto in ragione di ripetuti malfunzionamenti e disservizi, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni.
I passaggi salienti della complessa motivazione sono così schematizzabili.
I) Sintesi delle motivazioni della sentenza di primo grado:
i. la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità dell’attuale appellata avendo appellata avendo ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto ritenuto che i malfunzionamenti dell’impianto dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta dipendessero dalle infiltrazioni verificatesi nel locale caldaia a loro volta imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle imputabili all’inadeguatezza del locale medesimo, a causa delle infiltrazioni in esso presenti (tali da pregiudicare il funzionamento dell’impianto);
ii. tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte tale inadeguatezza non poteva essere imputata a parte convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in convenuta, sussistendo invece un onere di manutenzione dei locali in questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per questione a carico del condominio, essendo la convenuta obbligata per contratto solo alla manutenzione dell’impianto, e non a quella del locale; né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta né un tale obbligo può desumersi dalla attestazione di corretta esecuzione dell’impianto, riferibile solo al momento dell’installazione,
iii. l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza l’istruttoria orale svolta aveva confermato che l’inadeguatezza del locale era stata segnalata da parte convenuta all’amministratore di alata da parte convenuta all’amministratore di condominio, oralmente, anche prima della lettera dell’11 dicembre 2012 condominio, (come da dichiarazioni dei testi Omissis);
iv. il malfunzionamento dell’impianto era stato determinato anche da interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini, con particolare riferimento alla modifica del camino e della canna fumaria (teste Omissis), nonché alle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio (testi Omissis) avendo i testi Omissis confermato che alcuni episodi di malfunzionamento hanno interessato proprio solo i piani alti
v. è dimostrato che lo spegnimento della caldaia è stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (cfr. testi Omissis);
vi. è provato altresì che parte convenuta ha garantito tempestivi interventi a seguito di ogni segnalazione (testi Omissis)
II) Esame e valutazione dei motivi dell’appello:
i. a fronte di tale analitica motivazione, l’appellante si limita a riproporre apoditticamente le difese già svolte in primo grado; in particolare, in primo luogo, non svolge una specifica censura in ordine all’individuazione delle cause del malfunzionamento dell’impianto;
ii. cerca solamente di indurre in equivoco sull’effettivo contenuto delle pattuizioni contrattuali, ma l’assunzione della prestazione relativa al rifacimento della centrale termica, ivi comprese le opere edili all’uopo necessarie, non può certo implicare l’assunzione del diverso e ulteriore impegno di manutenzione ordinaria e straordinaria del locale caldaia di proprietà del condominio, in modo da prevenire le infiltrazioni di acqua e porre rimedio alle medesime
iii. anche in relazione all’asserita omessa segnalazione dell’originaria inidoneità dei locali, l’appellante non censura in modo specifico la sentenza appellata laddove viene chiaramente indicato che l’attestazione di idoneità del locale poteva riguardare solo il momento in cui venne rilasciata, e non aveva nulla a che fare con inconvenienti verificatisi successivamente, quali appunto le infiltrazioni derivanti da carente manutenzione, cui era tenuto il proprietario
iv. ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione delle cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis, tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta
v. un corretto esame delle deposizioni dei testi Omissis presenti infiltrazioni come quelle che in seguito hanno provocato il malfunzionamento dell’impianto, anche considerato che, in caso contrario, non avrebbe mai potuto essere richiesto, né tanto meno rilasciato il nulla osta dei Vigili del Fuoco
vi. quanto alla concorrente causa rappresentata, secondo il primo Giudice, dalle modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio, l’appellante, anziché censura re in modo specifico la sentenza appellata, ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione
vii. il rilievo secondo cui non sarebbe stata consegnata da YYYYY tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, indispensabile per l’esercizio della caldaia in conformità alla legge, è smentito dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’ amministratore del condominio nella compilazione della relativa domanda, come risulta dalla dichiarazione del teste Omissis. In ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di sua competenza , tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA (v. ancora deposizione teste Omissis).
Avverso tale sentenza il Condominio XXXXX propone ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resiste la YYYYY depositando controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RILEVATO CHE:
1. I motivi di impugnazione sono così ivi sintetizzati alle pagg. 2 e 3 del ricorso:
«MOTIVO I (pag. 10): violazione dell’art. 360, comma primo, nn. 1 e 5, cod. proc. civ. per violazione di legge in relazione alla L. n. 10 del 1991, art. 31, comma 2 e del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 1, comma 1, lett. o) e per non aver deciso sulla responsabilità relativa alla qualifica di terzo responsabile assunta contrattualmente dalla YYYYY nel rispetto della normativa vigente.
«MOTIVO II (pag. 30): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c. per avere il giudice d’appello disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali ovvero la confessione della controparte contenuta nella lettera datata 11/12/2012.
«MOTIVO III (pag. 31): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per nullità del procedimento per la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 2697 e 2735 cod. civ., per avere la Corte d’appello trascurato di valutare una prova legale acquisita al giudizio e costituita dalla dichiarazione dell’11/12/2012, avente valenza di confessione stragiudiziale e tale, per effetto probatorio suo proprio, di dare piena dimostrazione dell’inadempimento contrattuale.
«MOTIVO IV (pag. 33): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti, consistente nella ritardata consegna da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e della mancata consegna dello stesso (mai prodotto in atti da controparte) e ciò in violazione dell’art. 1453 cod. civ. in ordine alla configurazione dell’inadempimento e all’art. 2967 c.c. circa l’onere della prova dello stesso.
«MOTIVO V (pag. 38): in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per travisamento di fatti, per aver attribuito alle dichiarazioni dei testi un valore differente da quello che emerge dagli atti.
«MOTIVO VI (pag. 46): ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 comma 2 cod. proc. civ., avuto riguardo alla dichiarata sussistenza di un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza stessa in punto disciplina delle spese giudiziali;
«MOTIVO VII (pag. 49): con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per aver disposto la condanna al pagamento di spese per attività mai espletate e già ritenute in motivazione non dovute».
2. Il primo motivo è in parte infondato, in altra parte inammissibile.
2.1. Dalla prolissa illustrazione ─ nella quale, va detto, non trova spiegazione l’eccentrico riferimento in rubrica alle tipologie di vizio di cui all’art. 360, nn. 1 e 5, senza che tuttavia ciò impedisca, come si vedrà, di comprendere l’ubi consistam delle censure (v. Cass. 24/07/2013, n. 17931) ─ si traggono anzitutto le seguenti premesse, svolte attraverso la testuale citazione, osservante dei requisiti di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ., di interi lunghi brani di documenti ed atti dei giudizi di merito (pagg. 10-24 del ricorso):
─ il contratto intercorso tra le parti prevedeva alla lettera f), e indirettamente anche all’art. 2 lett. L, l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo Responsabile della centrale termica;
─ tale circostanza era stata richiamata: a) dalla stessa convenuta, odierna controricorrente, nella sua comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado; b) dal condominio nell’atto di appello, nel quale in particolare si evidenziava che per tal motivo la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione;
─ su di essa l’appellata aveva preso posizione anche nel giudizio di secondo grado, contestando che gli obblighi connessi all’assunzione di tale ruolo fossero stati disattesi, assumendo, da un lato, che dalle competenze del terzo responsabile esulano compiti di manutenzione del locale caldaia e che nessun obbligo di comunicazione scritta in merito alla necessità di lavori di manutenzione di tale locale era posto a carico del Terzo responsabile (tale obbligo sussistendo solo in merito ai lavori di straordinaria manutenzione dell’impianto), dall’altro, che essa aveva comunque provveduto tuttavia a segnalare tempestivamente e ripetutamente all’amministratore del Condominio XXXXX la presenza di infiltrazioni di acqua piovana all’interno del locale caldaia e la necessità di provvedere alla impermeabilizzazione del predetto locale.
2.2. Poste tali premesse, l’illustrazione del motivo prosegue (pagg. 24 – 30) con la prospettazione dei veri e propri argomenti di critica, che possono sintetizzarsi nelle seguenti proposizioni:
─ erroneamente la Corte d’appello ha avvalorato la ricostruzione offerta dalla parte appellata;
─ essa inoltre ha omesso di motivare, pur dandone atto, sui motivi di doglianza con i quali si era dedotto che era obbligo della YYYYY attendere a «controllo e attuazione di tutto quanto necessario per il raggiungimento dello scopo contrattuale sopra richiamato» e che era anche a carico della YYYYY la revisione dell’impianto elettrico, ciò implicando che «se vi fossero state delle anomalie sul muro parte appellata avrebbe dovuto rendersene conto nel corso dei lavori e degli interventi eseguiti»;
─ la Corte è incorsa in violazione di legge per non aver correttamente qualificato la figura del Terzo Responsabile in capo alla YYYYY, non motivando sull’omessa prova di informazione da parte della YYYYY al condominio;
─ la sentenza impugnata postula una ricostruzione degli obblighi del Terzo responsabile contrastante con quella operata dall’arresto di Cass. n. 13966 del 23/05/2019 e, in particolare, con il principio, ivi affermato, secondo cui «solo le dimissioni dall’incarico, previa formale diffida al proprietario delegante, potevano comportare l’esonero del terzo dalle responsabilità derivanti dall’assunzione di tale veste, non potendo invece bastare né la generica consapevolezza altrimenti acquisita dal proprietario delegante circa eventuali inadeguatezze dell’impianto, né comunicazioni da parte del terzo responsabile cui non abbiano fatto seguito iniziative formali dirette a incidere sul rapporto e sulle connesse responsabilità».
Sostiene in definitiva il ricorrente che, applicando tale principio di diritto, «il numero rilevante degli episodi di malfunzionamento e la loro reiterazione, …, prova … l’inadempimento in cui è incorsa YYYYY perché avendo assunto la … qualifica di Terzo Responsabile, ad ogni disservizio avrebbe dovuto … – cosa mai occorsa – informare il Condominio del problema che aveva determinato il blocco (vuoi allagamento vuoi l’infiltrazione o altro), e avrebbe altresì dovuto – cosa che non ha fatto – indicare la o le tipologie di interventi che riteneva necessari per risolvere il problema e ripristinare l’efficienza dell’impianto; di conseguenza, poi, se il Terzo Responsabile si fosse trovato davanti al mancato riscontro o alla non adesione del Condominio alle sue indicazioni o ordini, avrebbe dovuto diffidare il Condominio ad adempiere o ad intervenire per assicurare, appunto, quegli interventi ritenuti dallo stesso necessari, a spese e costi del delegante. Infine, ed ancora, in caso di inerzia del Condominio debitamente interessato e informato per iscritto e con il rispetto dei requisiti richiesti ex lege nelle comunicazioni del Terzo Responsabile, come da previsione normativa, avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni e avviare quelle procedure necessarie ad intervenire sul contratto, risolvendolo».
2.3. Si ricavano, dunque, da tale illustrazione del motivo, due censure: una prima di omessa motivazione su motivi di gravame (v. supra, par. 2.2., secondo alinea); una seconda di violazione di legge per avere erroneamente operato la ricognizione delle norme in tema di Terzo responsabile di impianto, in particolare con riferimento agli oneri di informazione su di esso gravante e sulle conseguenze della mancata ottemperanza agli ordini di intervento dallo stesso impartititi (v. supra, par. 2.2., terzo e quarto alinea)
2.4. La prima di dette censure è manifestamente infondata.
La Corte d’appello ha compiutamente esaminato il secondo motivo di gravame, riportando analiticamente tutti gli argomenti di critica al suo interno dedotti tra cui anche quelli cui è riferita la doglianza (v. sentenza pag. 3).
Il suo rigetto, motivato dal rilievo che competeva alla YYYYY solo la manutenzione dell’impianto, e non anche quella del locale, e dalla ulteriore considerazione che la detta società aveva segnalato l’inadeguatezza dell’impianto, ha con ciò evidentemente espresso, per implicito, anche un giudizio di infondatezza degli argomenti di critica in questione.
Deve al riguardo ribadirsi che il vizio d’omessa pronuncia – configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto, o il suo assorbimento in altre statuizioni. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass. n. 1360 del 26/01/2016; n. 9244 del 18/04/2007; n. 4079 del 25/02/2005; n. 3403 del 20/02/2004).
2.5. La seconda censura è inammissibile.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).
In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Nella sentenza impugnata non c’è alcun passaggio nel quale venga affrontata la questione dei compiti del Terzo responsabile d’impianto, ragione per cui, a fortiori, inutilmente si andrebbero a perseguirvi affermazioni che evidenzino una erronea ricognizione delle norme che tale figura definiscono, regolandone i compiti, o una falsa applicazione delle stesse alla fattispecie concreta. Né, come detto, il ricorrente le individua.
2.6. Il silenzio sul punto avrebbe, dunque, semmai essere potuto ascritto a vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), se e in quanto ne ricorressero i presupposti.
Un tale vizio non è, però, dedotto e non sembra ricavabile da una lettura sostanzialistica del motivo.
2.7. In tale prospettiva mette conto comunque osservare che:
─ dalla stessa analitica rassegna degli atti del processo e della relativa cronologia si ricava che, nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado, a fondamento della domanda di risoluzione e di risarcimento del danno non era stato posto il fatto che, all’interno del contratto de quo, vi fosse pure l’assunzione, da parte di YYYYY, del ruolo di Terzo responsabile di impianto;
─ la circostanza era stata piuttosto incidentalmente affermata dalla convenuta nella comparsa di costituzione;
─ non risulta essere stata poi dedotta, sia pure tardivamente, nel corso del giudizio di primo grado, né in sede di precisazione delle conclusioni;
— essa era stata poi ripresa dal condominio nell’atto di appello nel quale, come detto, per la prima volta si evidenziava che, in ragione dell’assunzione di tale qualità, la società, anche a ritenerla non tenuta a intervenire, aveva comunque l’obbligo, per legge (art. 7, comma 4, d.P.R. 16 aprile 2013 n. 74), di scrivere e sollecitare il soggetto preposto a farlo e si lamentava che il Tribunale non aveva in alcun modo preso in considerazione tale figura nella sua motivazione.
È però del tutto evidente che tale allegazione forniva alla pretesa un nuovo e diverso fondamento (rispetto a quello inizialmente indicato con riferimento alle altre previsioni del contratto) ed andava dunque a introdurre nel giudizio una domanda nuova.
Per tal motivo la mancata considerazione del fatto in questione verrebbe a rappresentare comunque una omissione priva di decisività, trattandosi di fatto estraneo al perimetro della controversia quale definito dalla domanda introduttiva.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
In relazione alla confessione contenuta sulla premessa che la lettera dell’11 dicembre 2012 (quella con la quale per la prima volta per iscritto era stata segnalata da YYYYY al condominio l’inadeguatezza dei locali) conteneva anche una dichiarazione confessoria, si sostiene che, in mancanza di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione, alla stessa doveva riconoscersi valore di prova legale in merito alla provenienza della dichiarazione e in quanto tale non è soggetta alla libera valutazione del giudice secondo il suo prudente apprezzamento.
Ciò posto si deduce che il giudice di merito è incorso nella violazione delle norme evocate in rubrica per aver posto a base della decisione prove valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, disattendendo così delle prove legali, e per converso per avere considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.
La censura, come detto, è inammissibile, dal momento che, anche in tal caso, non è individuata dal ricorrente, né comunque è dato ricavare dalla lettura della sentenza, alcuna affermazione che evidenzi la violazione delle norme sostanziali e processuali evocate in rubrica, non vedendosi dove la Corte abbia escluso l’autenticità della lettera dell’11 dicembre 2012 e dove e in che senso essa abbia ad essa attribuito un valore probatorio diverso da quello ad essa spettante.
È appena il caso di rimarcare al riguardo che:
— come ricorda lo stesso ricorrente, il valore di prova legale della scrittura privata discendente ex art. 2702 cod. civ. dal suo espresso o tacito riconoscimento da parte di colui contro la quale essa è prodotta, riguarda solo la provenienza della stessa da colui che l’ha sottoscritto, non certo il suo contenuto intrinseco;
— è rimessa al giudice di merito la indagine sul contenuto e sul significato della dichiarazione di volontà di una parte del processo, al fine di accertare se essa concreti o meno una confessione e se sussistano gli elementi della stessa (Cass. n. 1427 del 17/05/1974; n. 62 del 10/01/1972; n. 25 del 05/01/1972; n. 459 del 22/02/1971; n. 1218 del 20/04/1968) e tale valutazione è sottratta al sindacato del giudice di legittimità salvo che per errori giuridici o nella ricognizione fattuale, nei limiti in cui questi sono oggi deducibili ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.: errori nella specie nemmeno dedotti.
4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
Ancora in relazione al contenuto della lettera di YYYYY dell’11 dicembre 2012 se ne deduce, in subordine, il valore di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. e si ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la stessa può essere liberamente apprezzata dal Giudice di merito a cui compete stabilire la portata della dichiarazione stessa rispetto al diritto fatto valere in giudizio e tale valutazione è sindacabile in cassazione solo se adeguatamente motivata.
Ciò premesso, si lamenta che nella specie sia mancata, nella sentenza impugnata, proprio tale adeguata motivazione.
Anche tale censura non supera, come detto, il preliminare vaglio di ammissibilità.
Come ricorda lo stesso ricorrente la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. n. 11898 del 18/06/2020; n. 25468 del 16/12/2010; n. 29316 del 15/12/2008).
Trattasi di valutazione prettamente di merito, al pari di quella operata con riferimento ad ogni altro elemento istruttorio.
Come tale è sottratta al sindacato di questa Corte se non per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..
Nella specie la censura si muove su di un piano certamente diverso, ossia proprio quello della valutazione del mezzo istruttorio e del significato e contenuto intrinseco della dichiarazione, nella vigente disciplina non più consentito a questa Corte.
5. Il quarto motivo è inammissibile.
5.1. Esso investe la sentenza nella parte in cui ha rigettato il settimo motivo di gravame relativo alla mancata consegna, da parte di YYYYY di tutta la documentazione necessaria al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi oltre che del certificato medesimo, sul rilievo che tale circostanza è smentita «dalla documentazione allegata sub 8 alla comparsa di costituzione dell’appellata in primo grado; come correttamente evidenziato dal Tribunale, fu rilasciato il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e, se vi fu ritardo nel rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi, fu dovuto a un errore commesso dall’Amministratore del Condominio nella compilazione della relativa domanda».
Lamenta il ricorrente che, così motivando, la Corte d’appello «ha posto a fondamento del suo ragionamento non solo un documento che non esiste agli atti perché mai consegnato (il certificato di prevenzione incendi inerente il Condominio XXXXX e la nuova caldaia installata nel 2011), bensì un documento che è estraneo alle parti in causa e in quanto tale del tutto irrilevante».
Rileva, infatti, che il certificato di prevenzione incendi prodotto in atti da controparte è inerente al diverso condominio corrente in Omissis e si riferisce ad un diverso impianto e ad un’epoca diversa.
5.2. Il motivo, il quale deve più correttamente intendersi come volto a denunciare un vizio di «travisamento di prova», è ─ come si diceva ─ inammissibile.
Rimane, infatti, non censurata l’alternativa ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, espressiva di un giudizio di sostanziale irrilevanza dell’inadempimento di tale specifico obbligo, secondo cui «in ogni caso, se possono esservi stati ritardi burocratici nel completamento della pratica autorizzativa, la documentazione prodotta dimostra che YYYYY si è attivata per quanto di suo competenza, tanto che la caldaia è sempre rimasta in esercizio e infine regolarizzata con la presentazione della SCIA».
È appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Cass. n. 2174 del 24/01/2023; n. 13880 del 06/07/2020; n. 14740 del 13/07/2005).
6. Il quinto motivo prospetta tre diverse censure.
6.1. La prima investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha osservato (pag. 4, penultimo capoverso), ad ulteriore giustificazione del rigetto del secondo motivo d’appello, che «ugualmente, in relazione all’asserita omessa segnalazione della cause del malfunzionamento, la sentenza appellata afferma chiaramente che essa, in realtà, fu effettuata da YYYYY non solo con la lettera dell’11 dicembre 2012, ma anche oralmente in precedenza, come da dichiarazioni dei testi Omissis tuttavia l’appellante incentra le proprie censure solo sulla presunta tardività e genericità della lettera suddetta».
Si sostiene, in sintesi, sulla scorta di una trascrizione testuale delle deposizioni dei testi suindicati, che da queste sono tratte informazioni errate, dal momento che nessuno dei testi indicati ha fatto riferimento a date o ad anni.
6.2. Il motivo investe poi la parte della sentenza dove non sarebbe stato specificamente censurato l’accertamento, contenuto nella sentenza di primo grado, del fatto che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica (teste Omissis).
Si rileva, al riguardo, che, in realtà, uno specifico motivo di gravame era contenuto alle pagg. 17-18 dell’atto di appello, con il quale si era dedotto che, in realtà, il teste Omissis, aveva escluso categoricamente che l’interruttore fosse stato posizionato in posizione di “OFF” dall’azione umana ed aveva piuttosto dichiarato che ciò fosse dipeso dallo scattare del differenziale per ragioni di sicurezza, e quindi da un’azione meccanica.
6.3. Il motivo, infine, considera un’ulteriore parte della sentenza (pagg. 6 -7) nella quale ─ a giustificazione del rigetto del quarto motivo di gravame (che iterava la tesi dell’inadempimento per non esservi prova delle infiltrazioni, né dell’incidenza causale della sopraelevazione) e poi del quinto motivo (che ancora insisteva nel rilievo della mancata corretta informazione sulle infiltrazioni e sui rimedi da adottare) ─ si osserva che:
─ non è censurata in modo specifico la motivazione della sentenza appellata (che ha ritenuto l’esistenza delle infiltrazioni di acqua quale causa dei malfunzionamenti), ma l’appellante si limita ad affermare apoditticamente che non vi sarebbe prova delle infiltrazioni;
─ non è censurato in modo specifico l’accertamento dell’incidenza causale sui malfunzionamenti di interventi effettuati dal condominio e da singoli condomini (modifica del camino e della canna fumaria, con riferimento alla fioriera posta sulla canna fumaria; modifiche dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda al quarto piano del condominio); al riguardo, infatti, l’appellante ripropone in modo apodittico le proprie difese sulla questione della data in cui sarebbe intervenuta la sopraelevazione; e però, da un lato, la deposizione del teste Omissis (amministratore del Condominio) non dice nulla in ordine al momento in cui è stata eseguita la sopraelevazione rispetto all’installazione del nuovo impianto, dall’altro, per quanto esposto nella sentenza appellata, il malfunzionamento è ricollegato non tanto al fatto della sopraelevazione in se stesso, quanto alle modifiche del camino e della canna fumaria, nonché dell’impianto di distribuzione dell’acqua calda;
─ le deposizioni dei testi Omissis dimostravano che il Condominio era consapevole del problema delle infiltrazioni e che tuttavia non vi ha posto rimedio.
Tale parte della motivazione è censurata attribuendo una non corretta lettura delle deposizioni testimoniali richiamate.
7. Nello scrutinio del motivo occorre dunque separatamente considerare le tre distinte censure.
7.1. La prima di esse è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. poiché non coglie l’effettiva ratio decidendi sul punto spesa in sentenza, che rimane quindi non censurata: ratio rappresentata dal rilievo della aspecificità della censura e, quindi, della sua inammissibilità ex art. 342 cod. proc. civ..
7.2. Analoghe considerazioni valgono per la seconda censura.
Anche in tal caso il ricorrente non coglie l’effettiva ratio decidendi addotta in sentenza.
Questa, invero, come si ricava dalla necessaria lettura contestuale dell’intero primo paragrafo di pag. 4, ha posto ad oggetto della propria disamina, da un lato, una considerazione unitaria e complessiva dei vari e articolati rilievi svolti dal primo giudice e, dall’altro, una considerazione altrettanto unitaria degli argomenti ad essi contrapposti dall’appellante.
In tale contesto, con il rilievo della aspecificità delle censure proposte in ordine alla individuazione delle cause del malfunzionamento il giudice d’appello non intende affatto dire che sullo specifico assunto (nella sentenza del Tribunale) che lo spegnimento della caldaia era stato determinato anche dalla volontaria interruzione dell’energia elettrica non vi fosse un contrapposto specifico rilievo critico, quanto piuttosto che si trattava di questione del tutto priva di rilievo dal momento che restava non specificamente censurata l’altra assorbente ratio decidendi data dal collegamento causale del malfunzionamento alle infiltrazioni presenti nel locale caldaia e agli altri detti interventi del condominio o di singoli condomini.
7.3. Anche la terza censura, infine, si appalesa inammissibile.
Lo è anzitutto con riferimento alle motivazioni poste a fondamento del rigetto del quarto motivo di appello, rappresentate dal rilievo della aspecificità delle censure, delle quali il ricorrente sostanzialmente si disinteressa, non facendole segno di pertinenti critiche.
Ma lo è anche con riferimento alla motivazione addotta a fondamento del rigetto del quinto motivo di appello.
In tale parte il motivo evoca una ipotesi censoria (quella di «travisamento della prova»), in astratto, bensì presente nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la identifica tuttavia nell’errore di «percezione» della «informazione probatoria» (ricadente sul contenuto oggettivo della prova demonstratum denunciabile quale error in procedendo , per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.: v., ex aliis , Cass. 12/04/2017, n. 9356 e, da ultimo, Cass. 26/04/2022, n. 12971; 03/05/2022, n. 13918; 06/09/2022, n. 26209; 21/12/2022, n. 37382), tenendo ben fermo che «travisamento delle prove» è nozione distinta da quella di «valutazione delle prove».
Per la sua definizione può farsi riferimento alla giurisprudenza sull’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., la quale ha chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio.
È errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova.
Il travisamento concerne il livello percettivo che precede la valutazione. Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico o dei segni grafici nella loro materialità, si aprono le diverse opzioni valutative.
Proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento di prove ( error in procedendo per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.) solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice.
Il criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore è quello stesso dettato dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per la definizione di errore di fatto percettivo (deve cioè trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come è stato detto, del travisamento di un «dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi» ed inoltre «decisivo»), distinguendosi da questo solo perché inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio.
Orbene, nella specie un siffatto vizio è, come detto, inammissibilmente evocato in ricorso.
È evidente, infatti, che quel che in questa sede viene denunciato non è un errore percettivo ma, ben diversamente, un supposto errore di interpretazione delle dichiarazioni testimoniali ovvero, in sostanza, di valutazione della prova
Deve dunque anche escludersi che, sullo scrutinio della censura, possa interferire la questione da ultimo rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con ordinanze interlocutorie della Sezione Lavoro n. 8895 del 29/03/2023 e di questa Sezione n. 11111 del 27/04/2023, in quanto oggetto di contrasto all’interno della giurisprudenza di questa Corte, circa l’ammissibilità, nel vigente ordinamento processuale civile, del c.d. vizio di travisamento di prova nei termini sopra indicati.
8. Il sesto motivo è fondato.
Come invero rilevato dal ricorrente, vi è nella sentenza impugnata, in punto di spese processuali, una insanabile contraddizione tra la motivazione (nella quale così testualmente si afferma: «Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. devono pertanto essere poste a carico della parte appellante le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo in favore della parte appellata, ritenendo, quanto alla misura della liquidazione, che, avuto riguardo ai parametri generali di cui all’art. 4 DM 55/2014, sì possano applicare i valori medi dello scaglione di pertinenza della lite, di cui alle tabelle allegate al decreto medesimo, soprattutto in considerazione del livello di difficoltà della controversia e del grado di complessità delle questioni giuridiche affrontate, nonché del valore dell’affare; nulla è dovuto con riguardo alla fase istruttoria e/o di trattazione, considerando che la fase istruttoria non ha avuto svolgimento e che la fase di trattazione si è immediatamente esaurita con la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni») e il dispositivo (ove invece si statuisce: «Condanna parte appellante a rifondere le spese del presente grado di giudizio liquidate in € 9.515,00 per il compenso relativo alle fasi di studio, introduzione, trattazione e/o istruzione e decisione della causa ex DM 55/14, oltre accessori di legge (IVA, CPA, rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso) in favore della parte appellata»).
Tale contraddizione è irriducibile e non è possibile nemmeno ascriverla a mero errore materiale, in particolare ostando la mancata indicazione del valore della causa. L’importo liquidato di € 9.515,00 corrisponde, infatti, a quello medio liquidabile, sia considerando la fase di trattazione e istruzione per cause di valore compreso tra € 26.001 ed € 52.000, sia non considerando la detta fase ma per cause di valore compreso nello scaglione superiore (da € 52.001 ad € 260.000).
Se la Corte avesse indicato il valore considerato come compreso in detto ultimo scaglione, non avrebbe potuto dubitarsi che la liquidazione, in quanto dichiaratamente parametrata a valori medi, corrispondeva di fatto al criterio indicato in motivazione ed avrebbe pertanto ascriversi il contraddittorio inciso contenuto nel dispositivo a mero ininfluente errore materiale.
In mancanza di quella indicazione tale lettura non è però consentita e il contrasto tra motivazione e dispositivo rimane insanabile, determinando la nullità della sentenza, in parte qua, ai sensi dell’art. 156, comma secondo, cod. proc. civ.
Va in proposito ribadito che il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza non può essere eliminato con il rimedio della correzione dell’errore materiale poiché, non consentendo di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, determina la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 37079 del 19/12/2022; n. 5939 del 12/03/2018; n. 29490 del 17/12/2008).
9. Il settimo motivo resta conseguentemente assorbito.
10. In accoglimento, dunque, del solo sesto motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa rinviata al giudice a quo, in diversa sezione e diversa composizione, anche per le spese.
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso; rigetta il primo;
dichiara assorbito
il settimo motivo e inammissibili i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, anche per le spese.
Così deciso in Roma,
a seguito di riconvocazione, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2023 [...]
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19 Luglio 2023Sentenze CiviliVideosorveglianza – diritto alla sicurezza ed alla incolumità – Installazione da parte di condomino
Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.
Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.
Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.
Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.
il giudice dr.ssa Omissis ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. R.G. Omissis tra le parti:
ATTORE
PPPPP, cf Omissis
– difesa: avv. Omissis, cf Omissis
– domicilio: presso il difensore
CONVENUTI
GGGGG, cf Omissis
– difesa: avv. Omissis, cf Omissis
– domicilio: presso il difensore
OGGETTO: Altre ipotesi di responsabilità Extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie
Conclusioni delle parti
Per parte attrice: “come da atto di citazione – in tesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG per i titoli e le causali di cui in atti; e, per l’effetto, condannarli alla rimozione della stessa ed alla distruzione delle videoregistrazioni illegittime, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; nonché condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in subordinata ipotesi: accertare l’illegittima installazione dell’impianto di videosorveglianza da parte dei sigg.ri GGGGG e, per l’effetto, condannarli alla ricollocazione della stessa nel rispetto della privacy rimuovendo quella attuale, autorizzando, in difetto di spontaneo adempimento, l’attrice a provvedervi con addebito delle spese ai convenuti; ed ordinare la distruzione delle videoregistrazioni illegittime; nonché condannare i convenuti in solido tra loro al risarcimento del danno subito dalla sig.ra PPPPP nella misura che risulterà di giustizia, da liquidarsi e determinarsi, se del caso anche in via equitativa ex art. 2056 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; in ogni caso con vittoria di spese e onorari di causa – e in via istruttoria come da memoria depositata ai sensi dell’art. 183/2-3 c.p.c.”.
Per parte convenuta: “conclude in via istruttoria previa revoca dell’ordinanza del 5.7.2022 per l’amissione di tutti i mezzi istruttori richiesti con la seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. per le ragioni ivi indicate nonché nella denegata ipotesi di ammissione delle prove ex adverso richieste per l’ammissione alla controprova sulle stesse così come richiesto con la terza memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.. Nel merito conclude come da comparsa di costituzione e risposta – rigettare le domande tutte proposte dalla attrice nei confronti dei signori GGGGG perché infondate in fatto e in diritto. Il tutto con vittoria di spese e competenze per il presente giudizio.”.
Fatto e diritto
Con atto di citazione ritualmente notificato PPPPP ha citato in giudizio GGGGG per ottenere la condanna dei medesimi alla rimozione della telecamera installata dai medesimi nonché il risarcimento del danno subito.
A sostegno delle proprie domande l’attrice ha dedotto (1) che con comunicazione del 22.3.2017 l’amministratore del Condominio Fontanelle 4 via Soffici 24/58, ove risiede la stessa e gli odierni convenuti, ha reso noto che la famiglia GGGGG avrebbe installato un impianto di videosorveglianza presso la propria abitazione per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale; (2) che tale telecamera è stata posizionata in modo tale da inquadrare non tanto l’area prospiciente l’abitazione di loro proprietà bensì l’intero pianerottolo, il vano scale e l’ascensore, nonché l’ingresso dell’abitazione dell’odierna attrice; (3) che in tal modo i convenuti sono in grado di registrare ogni ingresso nell’abitazione della stessa, sia dall’uscita dell’ascensore che dalla cima delle scale, controllando le abitudini della famiglia dell’attrice, spiandone i movimenti, realizzando così una indebita ed illegittima intrusione nell’altrui vita privata e domestica; (4) che l’amministratore del condominio, alla luce delle lamentele dell’attrice, ha invitato i convenuti a posizionare l’apparecchio in modo tale da riprendere solamente la loro proprietà, tuttavia i convenuti non hanno rimosso detta telecamera; (5) che tali comportamenti hanno realizzato una palese e grave violazione della privacy posto che la telecamera si estende fino ad inquadrare il vano ascensore e la porta di ingresso dell’abitazione dell’attrice, riprendendo e registrando quindi ogni movimento della stessa nonché delle persone che vi accedono, compresi i minori; (6) che, inoltre, non risulta minimamente inquadrata la zona antistante l’abitazione di proprietà dei convenuti, rendendo, pertanto, del tutto pretestuoso e disatteso il fine di ‘sicurezza personale’ che era stato paventato dai convenuti per giustificare l’installazione della videocamera; (7) che, inoltre, l’impianto di videoregistrazione viola anche le disposizioni dettate dal codice civile in tema di condominio, posto che la videocamera inquadra zone pacificamente condominiali.
Con comparsa di costituzione e risposta si sono costituiti i convenuti i quali, dopo aver eccepito in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per mancanza dell’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c., hanno contestato la fondatezza delle domande avversarie, chiedendone il rigetto.
In particolare, i convenuti hanno dedotto (1) che la telecamera è stata installata per tutelare l’incolumità e la sicurezza personale dei medesimi, dopo averne dato comunicazione all’amministratore di condominio; (2) che tale decisione si è resa necessaria dopo taluni comportamenti molesti e persecutori posti in essere dall’attrice e dalla famiglia della stessa; (3) che il procedimento penale a carico dei convenuti per il reato di cui all’art. 615 bis c.p. è stato archiviato posto che, come rilevato dal Pubblico Ministero “le riprese non integrano modalità per procurarsi indebitamente informazioni attinenti la vita privata altrui, in particolare della denunciante”; (4) che trattandosi di una videocamera privata installata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, non necessita di alcuna autorizzazione condominiale per poter essere installata; (5) che, inoltre, come precisato dal Garante della Privacy al punto 6.1. del provvedimento in materia di videosorveglianza dell’8.4.2010 citato da controparte, qualora siano installati sistemi di videosorveglianza da persone fisiche per fini esclusivamente personali di sicurezza, nel caso in cui i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi non trova applicazione la disciplina del Codice a Tutela della privacy; (6) che in considerazione delle modeste dimensioni dei luoghi la telecamera è stata posizionata nell’unico punto in cui avrebbe potuto essere collocata per poter videosorvegliare utilmente l’area antistante l’appartamento degli esponenti, riprendendo inevitabilmente anche le scale e la porta dell’ascensore, aree, queste ultime, che in ogni caso non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparto da sguardi indiscreti.
La causa, istruita documentalmente, respinte le istanze istruttorie formulate dalle parti, è stata trattenuta in decisione, mutato nel frattempo il giudice istruttore, all’udienza del 25.1.2023 sulle conclusioni delle parti così come riportate in epigrafe previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.
Preliminarmente questo giudice conferma la propria ordinanza emessa in data 5.7.2022 ribadendo la superfluità delle istanze istruttorie formulate dalle parti e l’inammissibilità della richiesta consulenza.
In particolare, si osserva che tutte le prove orali volte a confermare gli accadimenti intercorsi tra le parti nel 2017 non hanno rilevanza nel presente giudizio, mentre le prove orali relative alle immagini prodotte in atti sono risultate superflue alla luce della documentazione offerta da parte attrice. La consulenza tecnica, come richiesta da parte attrice, avrebbe dovuto effettuare un accertamento di natura giuridica, al contrario si ritiene che debba essere rimessa al giudice la valutazione circa la violazione della tutela della privacy o meno sulla base della documentazione in atti.
Detto ciò, nel merito la domanda di parte attrice è infondata e non merita accoglimento.
Dalle fotografie e dal video allegati in atti non appare la sussistenza di alcuna violazione della tutela alla privacy come dedotta da parte attrice. L’installazione della telecamera è stata comunicata a tutti i condomini, i convenuti hanno affisso l’apposito cartello che segnala la presenza della stessa e la stessa non è rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Neppure la relazione tecnica prodotta da parte attrice appare fondare la sua tesi, trattandosi di relazione piuttosto scarna, generica ed avente ad oggetto valutazioni. Dal video allegato in atti si comprende chiaramente che trattasi di un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro, quindi, è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza.
Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 615 bis c.p. nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a pianerottoli ovvero a scale condominiali, ovvero ancora a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi che non possono assolvere la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti (cfr. Cass. 34151/2017; Cass. 44156/2008) e che il Garante della privacy non ha affermato nel corso del tempo la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui viene installata una telecamera sul pianerottolo di un condominio, dovendo, una volta osservate tutte le precauzioni del caso (comunicazione, cartello di avviso ampiamente visibile), contemperare tale diritto con il contrapposto diritto alla tutela della propria sicurezza ed incolumità.
Nel caso che ci occupa, si evidenzia che la allegazione dei convenuti circa il motivo sotteso all’installazione della telecamera ha trovato riscontro nella documentazione in atti, nonché nella mancata contestazione sul punto da parte dell’attrice. Risulta, infatti, pacifico che tra le parti sussiste un evidente astio reciproco, sentimento, questo, che ha determinato nel corso del tempo comportamenti al vaglio del giudice penale.
Il diritto alla sicurezza ed alla incolumità dei convenuti appare, pertanto, prevalente nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza di parte attrice, la quale non viene ripresa nell’ambito della propria vita privata.
Con riguardo, poi, alla domanda risarcitoria avanzata da parte attrice se ne evidenzia l’assoluta genericità, in assenza di qualsiasi supporto probatorio documentale sul punto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione del D.M. 55/2014 e successive modifiche, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva concretamente svolta (valore indeterminabile complessità bassa, valori medi per fase di studio, introduttiva, valori minimi per fase istruttoria e fase decisionale).
P.Q.M.
Il Tribunale di Prato, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede:
– Respinge le domande attoree;
– Condanna l’attrice al pagamento delle spese processuali sostenute dai convenuti che si liquidano in euro 5.260,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. [...]
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18 Luglio 2023Sentenze CiviliArt. 1123 c.c. – Principio di diritto – Art. 1124 c.c. – Spese ascensore – Immobile uso ufficio – Incremento forfetizzato della quota di contribuzione
E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.
Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.
Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliata in Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dagli avvocati Omissis -ricorrente
contro
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis
-controricorrente e ricorrente incidentale
nonché contro
GGGGG
-intimate
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4409/2017 depositata il 19/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. YYYYY ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4409/2017 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2017.
Resiste con controricorso il Condominio XXXXX
Non hanno svolto attività difensive le altre intimate GGGGG
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.
La ricorrente ha depositato memoria.
3.La Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame spiegato dal Condominio XXXXX contro la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 27 aprile 2015 e perciò rigettato l’opposizione proposta da YYYYY, GGGGG avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis intimato dal Condominio per la riscossione di contributi condominiali, pari ad € 21.827,00, risultanti dal piano di riparto approvato con delibera assembleare del 7 novembre 2012. In particolari, la Corte d’appello ha evidenziato che l’ingiunzione di pagamento opposta riguardava “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore, il tutto approvato all’assemblea ordinaria del 7 novembre 2012” e che “le delibere assunte in tale assemblea non hanno formato oggetto di alcuna impugnativa e neppure è stata svolta, nel presente giudizio, alcuna conclusione in merito ad esse”, di tal che “una volta dichiarata la nullità del punto 3) della delibera 2008, permane comunque l’effetto obbligatorio, nei confronti dei condomini, della delibera del 2012, posta a fondamento dell’azione monitoria”. Le opponenti avevano invero dedotto “la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008”, il quale aveva previsto che a partire dall’esercizio 2008/2009 si ponesse a carico delle unità immobiliari in comproprietà tra
YYYYY, GGGGG, adibite ad uso ufficio, una maggiorazione della contribuzione alle spese di portierato e per l’ascensore. A tal proposito, la Corte d’appello di Milano ha affermato che la delibera del 5 novembre 2008 “venne assunta all’assemblea all’unanimità dei presenti che rappresentavano soltanto 412.67 millesimi dei partecipanti al condominio”, e dunque non “dalla maggioranza degli intervenuti rappresentante almeno la metà del valore dell’edificio, come richiesto dal vigente art. 1136, comma 2, c.c. Sennonché, secondo i giudici di appello, era da “precisare che detta delibera non può considerarsi, oggi, invalida”, in quanto “annullabile e non impugnata”.
4. Il primo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., recando in rubrica l’illustrazione “violazione del diritto delle attrici alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del relativo principio giuridico per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 69 disp. att. c.c. il semplice aggravio di spesa imposto ad un condomino”. Il motivo si conclude affermando: “el caso di specie ci troviamo sicuramente di fronte a un’ipotesi di modifica, assunta non all’unanimità dei condomini, dei criteri di ripartizione delle spese, con la conseguente applicazione della sanzione della radicale nullità, deducibile senza limiti di tempo, della delibera del 5 novembre 2008 (…), con la quale, appunto, sono stati illegittimamente stabiliti per la proprietà delle esponenti dei criteri di ripartizione delle spese di portierato e ascensore maggiorati rispetto a quanto risultante dalle tabelle millesimali”. Su tale domanda la Corte d’appello non avrebbe pronunciato.
Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 167 c.p.c. e 1137 c.c., avendo la Corte d’appello “ritenuto di poter esaminare la validità della delibera del 5 novembre 2008 sotto la specie dell’annullabilità in difetto di efficiente eccezione di parte”.
Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia, al pari del primo, la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie disciplinata dall’art. 69 disp. att. c.c. “il semplice aggravio di spesa imposto dalla maggioranza a danno di un condomino”. Si riproduce fotograficamente nel corso del motivo il testo del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, con cui l’assemblea prendeva “atto dei disagi provocati dall’ufficio proprietà YYYYY e dalla elevata quantità dei dipendenti e/o clienti” e così deliberava di seguire quanto già deciso dall’assemblea nell’ottobre 1989, applicando alle unità immobiliari YYYYY “maggiorazioni di spesa” di due quote per le spese portierato e di quattro quote per le spese ascensore.
Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la nullità della delibera “posta alla base del nuovo ed illecito criterio di addebito delle spese non si riverberi sulle successive e consequenziali”. La tesi della ricorrente è che la sentenza impugnata non abbia considerato né “il principio per il quale la nullità radicale della delibera condominiale illegittimamente approvata dalla assemblea si riverbera sulle delibere successive e consequenziali”, né che “le opponenti a decreto ingiuntivo aveva(no) contestato la validità delle decisioni fatte valere dal condominio in sede monitoria, tanto da ritenere che bene avevano fatto a non adeguarvisi”.
5. È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, contenendo l’atto gli essenziali profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche.
6. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacché del tutto connessi, rivelandosi fondato il terzo motivo e non fondati i restanti motivi.
7. In virtù dell’art. 113 c.p.c., nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, sicché ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché alle azioni o eccezioni formulate in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame. L’art. 112 c.p.c., invocato dalla ricorrente, vieta, piuttosto, al giudice di porre a base della decisione fatti che non siano stati oggetto di puntuale allegazione negli scritti difensivi delle parti, ovvero di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Ad un tempo, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda, costituendo vizio di omessa pronuncia la mancanza di decisione su ogni istanza di parte attinente al merito della lite che abbia un contenuto concreto ed una specifica formulazione.
A fronte della espressa domanda di YYYYY, GGGGG volta a dichiarare la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, la Corte d’appello di Milano, nella motivazione (sia pure non nel dispositivo) della sentenza impugnata (pagina 9), ha dunque proceduto ad una diversa qualificazione giuridica della stessa in termini di annullabilità ed ha respinto perciò l’istanza di declaratoria di nullità della stessa.
8. La Corte d’appello di Milano ha tuttavia errato in diritto nel ritenere che la deliberazione del 5 novembre 2008 avesse approvato una tabella millesimale delle spese per l’ascensore, ancorché in difetto della necessaria maggioranza, essendo perciò annullabile.
Si è dinanzi ad un atto di approvazione delle tabelle millesimali, per il quale è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., quando l’approvazione stessa avvenga con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge;
viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini (Cass. n. 6735 del 2020).
9. Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni dell’assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.
10. Avendosi riguardo alla validità di delibere approvate prima dell’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, occorre premettere che già nella vigenza del precedente testo dell’art. 1124 c.c. la giurisprudenza affermava costantemente che la regola posta da tale norma in relazione alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo), in mancanza di criteri convenzionali, trovasse applicazione per analogia alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (ex multis, Cass. n. 3264 del 2005; n. 5975 del 2004; n. 2833 del 1999; n. 5479 del 1991).
11. E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perché il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, né in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.
Il secondo comma dell’art. 1123, allorché disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).
12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.
13. Il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione nel presente giudizio concerneva “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore”, credito comprovato dalla deliberazione approvata dall’assemblea del 7 novembre 2012, la quale non è stata oggetto di domanda riconvenzionale ex art. 1137 c.c. da parte delle opponenti YYYYY, GGGGG, come afferma la Corte d’appello a pagina 7 della sentenza e come conferma la stessa ricorrente riportando integralmente in ricorso il testo dell’atto introduttivo del procedimento di primo grado.
In tal senso, il quarto motivo del ricorso di YYYYY, ove si assume la necessità di accertare la “nullità derivata” (sul modello di quanto sostenuto da Cass. n. 10196 del 2013) della delibera del 7 novembre 2012, per aver dato attuazione all’illegittimo criterio di riparto stabilito dal punto 3 della delibera del 5 novembre 2008, si connota come istanza “nuova”, inammissibile in sede di legittimità, in quanto pone una questione di diritto, appunto, “nuova”, la quale implica altresì lo svolgimento di accertamenti di fatto incompatibili con il procedimento di cassazione.
In ogni modo, l’allegazione che la delibera di approvazione e riparto delle spese del 7 novembre 2012, su cui fondava il credito del Condominio XXXXX azionato in sede monitoria col decreto ingiuntivo n. 34264/2013, sarebbe invalida, per aver fatto applicazione del criterio di riparto delle spese di gestione dell’impianto di ascensore approvato a maggioranza dalla precedente delibera del 5 novembre 2008, serve comunque a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza n. 9839 del 2021, in quanto non viene dedotta una modificazione dei criteri legali di suddivisione dei contributi da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri. Tale vizio non poteva, pertanto, essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente infondatezza delle censure rivolte dal ricorrente.
La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).
14. Possono pertanto enunciarsi i seguenti principi di diritto.
E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal secondo comma dell’art. 1123 c.c.
Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.
Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.
15. Il terzo motivo di ricorso va perciò accolto, mentre vengono respinti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023. [...]
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18 Luglio 2023Sentenze CiviliArt. 1123 c.c. – Ricorso per cassazione – Legittimazione attiva
Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -ricorrente- contro
SSSSS, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis -controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO n. 589/2016 depositata il 28/12/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 05/07/2023 dal Consigliere Omissis.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito l’Avvocato Omissis.
FATTI DI CAUSA
1. YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di via Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso, avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 559/2016 del 28 dicembre 2016.
SSSSS resiste con controricorso.
2. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Taranto in data 28 marzo 2013, che aveva condannato il Condominio XXXXX, Taranto, al pagamento della somma di € 11.459,31, oltre interessi, in favore dell’ex amministratore SSSSS, a titolo di compensi non percepiti e spese anticipate.
Il controricorrente SSSSS ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005.
3. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., come vigenti ratione temporis, il presidente fissò inizialmente l’adunanza della camera di consiglio in data 4 dicembre 2018.
Il ricorrente presentò memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.
4. Con ordinanza interlocutoria del 18 dicembre 2018, la Corte decise di rimettere alla pubblica udienza la decisione sulla ravvisata ipotesi di inammissibilità del ricorso, ex art. 375, comma 1, numero 1, c.p.c., attinente alla legittimazione ad impugnare del singolo condomino con riguardo a sentenza che abbia visto soccombente il condominio in giudizio avente ad oggetto il credito vantato nei confronti di quest’ultimo dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.)
Il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
Il ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.YYYYY, dichiarando di essere condomino dell’edificio di Omissis, ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di ricorso:
1A: nullità del procedimento in relazione agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c.;
1B: omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c.;
2A: nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.;
2B: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.;
2C: violazione degli artt. 1720, 1130 e 1135 c.c.
2. Deve dapprima risolversi la questione pregiudiziale della legittimazione all’impugnazione.
2.1. YYYYY non era costituito nel giudizio di appello, del quale era parte, invece, il Condominio di Omissis. Egli ha poi proposto il ricorso per cassazione nella dichiarata qualità di condomino, qualità, e conseguente legittimazione processuale, specificamente contestate dal controricorrente SSSSS, il quale ha eccepito che YYYYY non sia più condomino dell’edificio di Omissis, avendo donato l’unità immobiliare già di sua proprietà al figlio Omissis con atto del 13 aprile 2005. YYYYY ha replicato deducendo di aver comunque mantenuto la qualità di condomino nel periodo inerente all’insorgenza del credito vantato dall’ex amministratore.
È noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.
La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.
Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.
2.2. Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad YYYYY, quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di via Omissis per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c.
2.3. Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da YYYYY, singolo condomino del Condominio di Omissis, mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio XXXXX.
Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129, commi 14 e 15, c.c.): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.
Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.
Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).
2.4. Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.
Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.
I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994).
2.5. Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in data 23 giugno 2023, il ricorrente assume che il proprio interesse diretto ed immediato all’impugnazione discende dalla natura di titolo esecutivo pro quota nei confronti del singolo condomino della condanna conseguita dal terzo creditore nei confronti del condominio.
Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).
Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131, comma 2, c.c., in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.
3. Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento –– ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1–quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1–bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2023. [...]
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17 Luglio 2023Sentenze CiviliArt. 1129 c.c. – Art. 1130 bis c.c. – Consegna documenti – Diffida all’avvocato del condominio
Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.
Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;
vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.
SENTENZA
nella causa iscritta al n. R.G. Omissis, promossa in grado d’appello con atto di citazione notificato il 26/4/2022, avverso la sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia nel processo di cui al n. R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022, notificata il 25/03/2022
DA
YYYYY (C.F. Omissis) rappresentata e difesa, come da delega allegata all’atto di citazione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis) con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato
– appellante –
CONTRO
Condominio XXXXX (C.F. Omissis), rappresentato e difeso, come da delega allegata alla comparsa di costituzione in appello, dall’Avv. Omissis (C.F. Omissis), con Studio in Omissis presso cui è elettivamente domiciliato
– appellate –
OGGETTO: Comunione e condominio, impugnazione di delibera assembleare – spese condominiali
Conclusioni:
per YYYYY:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis, in accoglimento del proposto appello per i motivi dedotti in narrativa, nonché delle istanze e conclusioni avanzate in prime cure, che qui si intendono richiamate integralmente, e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza n. 402/2022, resa dal Tribunale di Pavia, Sez. III Civile, in persona del Giudice Dott. G Omissis, nel giudizio avente R.G. Omissis, pubblicata in data 23/03/2022 e notificata il 25/03/2022, disattese tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellato dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto:
– respingere le domande proposte dal, in persona dell’amministratore pro tempore, nei confronti del Sig. YYYYY, in quanto infondate in fatto e in diritto, per tutti i motivi esposti in narrativa, nonché per ogni ulteriore motivo rilevabile d’ufficio;
– condannare il Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, a restituire le somme corrisposte e/o quelle che saranno versate dal Sig. YYYYY nel corso del giudizio, in virtù dell’esecutorietà della sentenza n. 402/2022 del Tribunale di Pavia, pubblicata il 23/03/2022, oltre interessi dal giorno del versamento al saldo.
Con vittoria di spese di lite, compensi, spese generali ed oneri contributivi e fiscali per entrambi i gradi di giudizio”.
Per CONDOMINIO XXXXX:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis reiectis,
NEL MERITO:
– respingere la domanda dell’appellante e conseguentemente confermare la sentenza impugnata.
IN OGNI CASO:
– con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio, oltre IVA, CPA e 15% spese
forfettarie”.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Il sig. YYYYY chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Pavia il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. Omissis con il quale veniva ingiunto al Condominio XXXXX la consegna al YYYYY della documentazione afferente a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”, con condanna al pagamento delle spese di fase liquidate in € 1.300,00 per compensi, € 286 per esborsi, oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA e successive occorrende.
A seguito della notifica del titolo esecutivo e del precetto avvenuta in data 17.02.2021, il Condominio consegnava la documentazione richiesta ed instaurava il giudizio di opposizione chiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e, nel merito, la revoca del provvedimento perché emesso in assenza dei presupposti di legge ovvero, in subordine, voler dichiarare la cessazione della materia del contendere. L’opponente, in particolare, rilevava che il sig. YYYYY non aveva mai chiesto all’amministratore copia della documentazione di cui al decreto ingiuntivo con la conseguenza che non vi era stata alcuna violazione del diritto di prendere visione ed estrarre copia riconosciuta ex lege a ciascun condomino. L’opponente, infatti, sottolineava che la richiesta di documentazione avanzata dal YYYYY nel corso della corrispondenza intercorsa tra legali – relativa ad altra controversia pendente tra le parti – non era idonea a mettere in mora l’amministratore del Condominio, il quale non aveva mai ricevuto una formale istanza dall’interessato. Peraltro, l’opponente osservava che i condomini erano stati messi a conoscenza dei giorni e degli orari di ricevimento dell’Amministratore dal quale ciascuno di essi avrebbe potuto recarsi per prendere visione della documentazione inerente la gestione condominiale ed estrarre eventuali copie. Ad ogni modo, osservava ulteriormente l’opponente, la documentazione richiesta a mezzo pec dal legale del sig. YYYYY era diversa da quella per la quale il Tribunale aveva ingiunto l’immediata consegna.
Si costituiva in giudizio il sig. YYYYY eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione e, nel merito, deduceva la legittimità dell’ingiunzione, comprovata dall’immediata consegna della documentazione richiesta – valevole, secondo la tesi difensiva, quale ricognizione del debito – nonché dalla corrispondenza intercorsa tra i legali delle parti, dalla quale si ricaverebbe l’espresso rifiuto dell’amministratore alla consegna; chiedeva quindi la condanna di parte opponente per la temerarietà dell’opposizione ex art. 96 c.p.c.
Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 402/2022, dichiarava la cessazione della materia del contendere stante la pacifica consegna a mezzo PEC del 17.02.2021 della documentazione richiesta dal YYYYY e, in applicazione del principio di soccombenza virtuale, condannava il sig. YYYYY alla refusione delle spese di lite in favore del Condominio pari a € 2.768,00 per compensi, oltre € 286,00 per esborsi, 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.
Il Tribunale, in particolare, rilevava che la dichiarazione della cessazione della materia del contendere obbliga il giudice a provvedere sulle spese di lite secondo il criterio della soccombenza virtuale da individuarsi in base ad una ricognizione della normale probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su un’indagine sommaria di delibazione del merito, valutata con riferimento alla data di emissione del decreto ingiuntivo. Ad avviso del Giudice di primo grado, la richiesta formulata al legale del Condominio non costituiva idonea messa in mora ai sensi degli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. per l’esercizio del diritto di accesso e di esibizione dei registri e documenti contabili condominiali e, pertanto, non poteva ricavarsi dalla stessa la prova – il cui onere gravava sul condòmino – del rifiuto dell’amministratore. Sul punto il Tribunale sottolineava che l’istanza di accesso doveva essere rivolta direttamente all’amministratore e non già al legale del Condominio che era sprovvisto del potere di rappresentanza sostanziale, sottolineando altresì che non sussisteva corrispondenza tra la documentazione richiesta dal legale del condòmino e quanto richiesto in sede monitoria.
Infine, il Tribunale osservava l’inconferenza dell’istituto della ricognizione del debito richiamato dalla difesa dell’opposto in quanto “perché possa valere come riconoscimento del debito, l’adempimento dell’obbligazione dev’essere spontaneo ed implicare, anche per facta concludentia, una volontà del debitore diretta consapevolmente all’intento pratico di riconoscere l’esistenza di un diritto, senza tuttavia formule sacramentali”; di contro, nel caso di specie, l’adempimento era stato necessitato dalla notifica del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e si configurava, quindi, come atto doveroso dell’ingiunto e non libero.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il sig. YYYYY deducendo tre motivi di impugnazione che verranno di seguito puntualmente esaminati.
Si è costituito il Condominio XXXXX, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e chiedendo, nel merito, il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata,
La Corte, disposta la trattazione scritta, sulle conclusioni precisate per via telematica ex art. 83 comma 7 lett. H del D.L. 18/2020 (conv. In L. 27/2020 e succ. mod.), all’udienza del 28/02/2023, ha riservato la causa in decisione alla scadenza dei termini fissati ai sensi dell’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
*****
Preliminarmente si osserva che, con riferimento all’art.348 bis c.p.c., l’eccezione può ritenersi superata in quanto implicitamente disattesa dalla Corte con l’ordinanza con la quale ha fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni, momento processuale incompatibile con un provvedimento, la cosiddetta “ordinanza filtro”, previsto dal legislatore con funzione deflattiva delle impugnazioni. Tale ordinanza può essere invero pronunciata solo in limine litis, quando l’impugnazione appaia “a prima vista” infondata, con eventualità di accoglimento ritenute ab origine pressoché impossibili, in base ad un giudizio prognostico altamente probabilistico e in assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento secondo una valutazione sommaria che porta a ravvedere un evidente insuccesso dell’appello. Cosa nella specie non immediatamente percepibile e percepita dalla Corte, alla luce dell’oggetto della causa sottoposta al suo vaglio, giustificativa di un approfondito esame di merito.
Passando ai motivi d’appello, con il primo motivo, rubricato “Sulla cessazione della materia del contendere a fronte dello spontaneo e pieno adempimento da parte del debitore opponente / riconoscimento del debito”, l’appellante ha rilevato che l’adempimento spontaneo e senza riserve da parte del Condominio equivarrebbe a un pacifico riconoscimento del debito per facta concludentia,.
Ad avviso del sig. YYYYY, la condotta posta in essere dal Condominio avrebbe dovuto indurre il Giudice di primo grado a dichiarare la carenza di interesse ad agire in opposizione con la conseguente condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite.
Con il secondo motivo, rubricato “Sull’errata applicazione del principio della soccombenza virtuale e sulla fondatezza della pretesa monitoria”, l’appellante ha impugnato la condanna pronunciata a suo carico alla refusione delle spese del giudizio a favore del condominio. Nello specifico l’appellante ha rilevato che il principio generale della soccombenza virtuale, nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere, costituisce una declinazione di quello di causalità da valutarsi esclusivamente in considerazione della domanda svolta e non a fatti esterni. Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto quindi stabilire se la pretesa fosse fondata al momento della proposizione della emissione del decreto ingiuntivo e concludere per la fondatezza della domanda proposta in via monitoria alla luce del pieno adempimento senza riserve eseguito dal debitore, sufficiente a confermare la fondatezza e legittimità della pretesa del YYYYY nel merito.
Con il terzo motivo, rubricato “Sull’espresso rifiuto del Condominio a consegnare la documentazione richiesta e sulla corrispondenza fra richiesta stragiudiziale e ricorso monitorio” l’appellante ha denunciato la ritenuta erroneità della pronuncia di primo grado laddove il giudice ha ritenuto la richiesta rivolta al legale del Condominio non idonea a integrare la richiesta di cui agli artt. 1129, comma secondo e 1130 bis c.c. Inoltre, il sig. YYYYY ha contestato l’affermazione svolta in sentenza secondo cui non sussisteva alcuna corrispondenza tra quanto richiesto in via stragiudiziale al procuratore dell’opponente e quanto richiesto con il ricorso monitorio. Secondo l’assunto di parte appellante, “in mancanza di formule specifiche prescritte ex lege e potendo manifestarsi l’interesse anche per facta concludentia, si dovrà dedurre, a maggior ragione, che la richiesta espressamente formulata tra i “rispettivi legali nominati”… ed il conseguente rifiuto comunicato e recepito per il tramite degli stessi, integri pienamente la fattispecie di cui agli artt. 1129, co. 2 e 1130 bis c.c.” (v.pag. 12-13 appello).
Infine, ha evidenziato la difesa appellante, il diniego a consegnare la documentazione formulato dall’Avv. Omissis con pec del 29/01/2021, in quanto “non autorizzata dal cliente” (id est l’amministratore del Condominio) a procedere in tal senso, dimostrerebbe non solo l’espresso rifiuto da parte dell’amministratore condominiale a consentire al condòmino l’accesso documentale di cui aveva diritto, ma anche che lo stesso amministratore fosse venuto effettivamente a conoscenza della richiesta formulata dal sig. YYYYY, dovendosi, pertanto, ritenere, in ogni caso, raggiunti lo scopo e gli effetti della richiesta in questione.
I motivi d’appello sono infondati e, in ragione della stretta connessione, meritano una trattazione congiunta.
Preliminarmente si osserva che gli artt. 1129, comma secondo, e 1130 bis c.c. individuano in capo a ciascun condòmino il diritto di accesso alla documentazione condominiale senza prevedere la necessità di specificare le ragioni per le quali si intende prendere visione o estrarre copia, purché ciò non sia di intralcio all’attività amministrativa, non sia contraria ai diritti di correttezza e non comporti un onere economico per il Condominio. La legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha sancito un vero e proprio diritto dei condomini di visionare la documentazione condominiale sia laddove, in maniera indiretta, ha onerato l’amministratore di comunicare a questi ultimi i giorni e le ore nei quali si rende disponibile a tale adempimento (art. 1129 cc) sia allorché, con espresso riferimento ai documenti contabili, ha stabilito che i condomini possono prenderne visione in ogni momento ed estrarne copia (art. 1130-bis cc). Le norme sono evidentemente finalizzate a contemperare gli opposti interessi dei condomini, che hanno il diritto di consultare la documentazione e farne eventualmente copia, e dell’amministratore, che ha invece diritto a non essere intralciato nello svolgimento della propria attività (Cass. n. 5443/2021). La disciplina de qua, inoltre, non prescrive il rispetto di formule sacramentali, ben potendo la richiesta del condòmino manifestarsi attraverso fatti concludenti.
Premesso ciò, nel caso di specie, è pacifico che il sig. YYYYY non abbia mai formulato una specifica richiesta di accesso ai documenti direttamente e personalmente all’amministratore condominiale ma, con pec del 28.1.2021 inviata dal proprio legale all’avv. Omissis (legale del Condominio) ha chiesto “suo tramite” all’amministratore del condominio “di fornire i verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”; la richiesta effettuata per mezzo del proprio avvocato e rivolta al legale del Condominio, secondo l’assunto di parte appellante, è idonea a configurare la “richiesta all’amministratore” prevista dall’art. 1129 comma 2 c.c. quale presupposto del diritto di accesso agli atti riconosciuto ai singoli condomini.
La tesi non è condivisibile. Invero, le parti hanno prodotto in giudizio le pec relative alla corrispondenza intercorsa tra i rispettivi legali – in occasione di una diversa e autonoma controversia pendente tra le medesime parti – nell’ambito delle quali il legale del sig. YYYYY, avv. Omissis, chiedeva all’avv. Omissis (quale legale del Condominio) di intercedere e fare da tramite tra il proprio cliente e l’amministratore del condominio, chiedendo a questi di fornire i verbali sopra specificati; tuttavia, tale richiesta non è idonea ad integrare una legittima richiesta di accesso ai documenti ai sensi degli artt. 1129, secondo comma e 1130 bis c.c. sotto plurimi aspetti: in primo luogo, l’unico soggetto legittimato ex lege a ricevere ed autorizzare l’accesso era ed è il solo amministratore del Condominio; il legale di quest’ultimo non aveva alcuna rappresentanza sostanziale per disporre dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore; ne consegue che, in mancanza di una richiesta di accesso alla documentazione condominiale rivolta correttamente all’amministratore, non può ravvisarsi il presupposto del rifiuto dell’amministratore il quale, di fatto, non risulta aver mai negato al YYYYY di prendere visione dei chiesti documenti;
vieppiù, dagli atti e, in particolare dalla email di risposta inviata dall’avv. Omissis all’avv. Omissis il 30.01.021 (sub. Doc. 8 di parte appellata) non risulta neppure vi sia stato opposto alcun diniego al YYYYY, atteso che l’avv. Omissis si era limitata a rifiutarsi di fare da tramite, invitando la parte ad avanzare la relativa richiesta direttamente all’amministratore, ovvero a recarsi direttamente presso lo studio di quest’ultimo nei giorni e negli orari opportunamente indicati. Pertanto, non solo non risulta sia stata rivolta alcuna richiesta all’amministratore di accedere alla documentazione ed estrarre copia degli atti voluti dal YYYYY, ma non risulta neppure alcun rifiuto opposto dall’amministratore.
Ciononostante, YYYYY aveva adito il Tribunale di Pavia ottenendo il decreto ingiuntivo oggetto dell’odierno giudizio. Sulla base della ricostruzione fattuale risultante dagli atti, pertanto, al momento dell’instaurazione del giudizio monitorio la domanda avanzata dal sig. YYYYY non era meritevole di accoglimento in quanto, non sussisteva un precedente rifiuto dell’amministratore e non si era perpetrata alcuna violazione del suo diritto di accesso. In aggiunta, va sottolineato che l’art. 1129 comma 2 c.c. stabilisce il diritto del condòmino di prendere visione degli atti di gestione condominiale tenuti dall’amministratore, previa richiesta, recandosi nell’ufficio dell’amministratore stesso nei giorni ed orari da questi preventivamente indicati, e di poterne estrarre anche copia, previo rimborso della spesa, ma non riconosce un diritto indiscriminato del condomino ad ottenere la copia degli atti a cura e spese dell’amministratore.
Quanto poi alla consegna della documentazione effettuata dall’amministratore del Condominio a seguito della notifica del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e del relativo precetto, la condotta dell’amministratore non può essere qualificata come “riconoscimento del debito” per fatti concludenti, trattandosi, all’evidenza, di doverosa esecuzione di un provvedimento giudiziale. Come correttamente osservato dal Tribunale in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento del debito presuppone che l’adempimento dell’obbligazione sia spontaneo e sia espressione della volontà del debitore consapevolmente diretta a riconoscere l’esistenza del debito (Cass. n. 9097/2018; Cass. n. 15353/2002). Nel caso di specie difettano entrambi i presupposti necessari a individuare un effettivo riconoscimento del debito posto che il Condominio agiva sotto la “minaccia” dell’inizio dell’esecuzione.
Ulteriore elemento che impedisce l’accoglimento delle ragioni dell’appellante risiede nella mancata corrispondenza tra i documenti richiesti in sede stragiudiziale e quelli oggetto del ricorso monitorio.
Anche sul punto questa Corte non ritiene di discostarsi dalla ricostruzione fornita dal Giudice di primo grado in quanto tale incongruenza è documentalmente provata. In particolare, la pec del 28.1.2021, inviata dal legale del sig. YYYYY all’avvocato del Condominio, aveva ad oggetto la consegna dei “verbali di approvazione delle modifiche delle tabelle millesimali e di rideterminazione dei costi dei lavori straordinari del 2009”, mentre la domanda formulata in sede monitoria afferiva a “tutti i verbali di assemblea relativi alla gestione condominiale 2017-2018 e 2018-2019, e relativa documentazione contabile”. Tale discordanza rappresenta, dunque, ulteriore prova dell’assenza di una precedente richiesta di accesso alla documentazione condominiale, poi richiesta in via monitoria, e dell’assenza del conseguente addotto rifiuto dell’amministratore, con la conseguenza che l’azione monitoria, in base ad un esame necessariamente sommario nel merito, si rivela verosimilmente illegittima ed infondata, con conseguente soccombenza virtuale del sig. YYYYY che deve, pertanto, sopportare la condanna alle spese di lite dovute sostenere dalla parte opponente per contrastare la domanda giudiziale illegittimamente introdotta.
Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, l’appello proposto va rigettato con la condanna dell’appellante YYYYY, in applicazione del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., alla rifusione delle spese anche del presente grado di giudizio, che vengono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo ai criteri indicati dal vigente D.M. 147/2022 con riferimento al valore della controversia (pari alle spese liquidate dal primo giudice ed oggetto di contestazione) applicando il valore minimo per le tre fasi processuali, attese la non complessità delle questioni trattate e l’impegno professionale effettivamente richiesto alle difese, esclusa la fase istruttoria, di fatto non svoltasi.
Sussistono i presupposti di cui al comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al DPR 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da YYYYY avverso la sentenza del Tribunale di Pavia n. 402/2022, pubblicata il 23/03/2022, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. Rigetta l’appello;
2. Condanna l’appellante al pagamento in favore di parte appellata Condominio XXXXX le spese del presente grado di giudizio liquidate in complessivi € 962,00, di cui € 268,00 per la fase di studio, € 268,00 per la fase introduttiva ed € 426,00 per la fase decisoria, oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA come per legge;
3. dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo corrispondente al contributo unificato ex D.P.R. n.115/2002, art.13 c. 1 quater, comma inserito dall’art.1 c.17 L. n.228/20. [...]
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15 Luglio 2023Sentenze CiviliDecreto ingiuntivo – Art. 1130 c.c. – Art. 63 disp. att. c.c. – recupero oneri condominiali
Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014).
Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio. In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.
Il Giudice, dott.ssa Omissis, ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. Omissis R.Gen.Aff.Cont., assegnata in decisione all’udienza del 2/02/2023, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.
TRA
YYYYY, elett.te dom.ti in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, che li rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
– OPPONENTI
E
Condominio XXXXX, sito in Omissis, in persona dell’amministratore p.t., elett.te dom.to in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, dal quale è rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti.
– OPPOSTO
Oggetto: Opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis.
Conclusioni: all’udienza del 2/02/2023, sostituita dal deposito di note scritte, il difensore degli opponenti ha così concluso: “L’Avv. Omissis, nell’interesse degli opponenti, conclude riportandosi all’atto introduttivo e a tutti i propri scritti difensivi. Impugna tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto ed eccepito e ne chiede il rigetto poiché infondato in fatto e diritto”.
Il difensore del condominio opposto ha così concluso: “In via preliminare: Dichiarare l’inammissibilità della memoria istruttoria e dei documenti ad essa allegati, depositata dagli attori-opponenti il 17/2/2022, in quanto depositata oltre i termini di cui all’art. 183, VI° comma, c.p.c. Nel merito, in via principale:
Contrariis reiectis, accertata e dichiarata l’assoluta infondatezza, in fatto e in diritto, dell’avversa opposizione, per i motivi esposti in atti, accertato l’avvenuto pagamento in corso di causa di quanto ingiunto con il decreto ingiuntivo opposto (competenze e spese liquidate comprese), rigettare integralmente la stessa opposizione e dichiarare la cessazione della materia del contendere, con la conseguente contemporanea dichiarazione di soccombenza virtuale dei signori YYYYY-
Nel merito, in via subordinata:
Contrariis reiectis, accertare e dichiarare che i signori YYYYY, Omissis sono debitori, nei confronti del Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore condominiale pro tempore, Omissis in persona del legale rappresentante pro tempore, dell’importo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio e, per l’effetto, condannare i signori YYYYY, a pagare al Condominio XXXXX, la somma di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all’esito del presente giudizio. In ogni caso:
Spese, diritti ed onorari interamente rifusi, comprese quelle attinenti la fase monitoria e la fase di mediazione.
Con la condanna dei signori YYYYY ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 10.11.2020, il Condominio XXXXX sito in Omissis in persona dell’amministratore p.t., ha adito il Tribunale di Gorizia, chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di YYYYY, per l’importo complessivo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, per spese condominiali straordinarie non pagate alla scadenza del 15/10/2020. Avverso il decreto ingiuntivo n. Omissis, emesso dal Tribunale di Gorizia il 19.11.2020, hanno proposto opposizione YYYYY, eccependo, da un lato, il difetto di legittimazione attiva del condominio, per aver uno dei condomini provveduto a versare l’intera quota delle spese straordinarie di loro spettanza, e, dall’altro, l’omessa approvazione del bilancio (esercizio dal 1/10/2019 al 31/12/2020), del relativo piano di riparto e del prospetto delle rate, posti a fondamento della domanda monitoria. Si è costituito nel presente giudizio il Condominio XXXXX, il quale ha chiesto, in via principale, il rigetto dell’opposizione, con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, e in subordine la condanna degli opponenti, in solido, al pagamento dell’importo di Euro 9.831,36 o la diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali dalla scadenza al saldo, nonché la condanna di YYYYY ex art. 96 c.p.c. Ciò posto, si rileva che nel corso del presente giudizio di opposizione gli opponenti hanno provveduto all’integrale pagamento della somma di Euro 11.430,13, comprensivo della sorte capitale, interessi e spese legali, ivi comprese quelle relative all’atto di precetto (v. l’estratto conto depositato il 29.11.2021), sicché va dichiarata la cessazione della materia del contendere e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis va revocato, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014). Residua, dunque, la sola decisione sulla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal condominio opposto e sul governo delle spese processuali, da compiersi alla stregua della cosiddetta soccombenza virtuale. Orbene, l’opposizione non risulta fondata.
Il condominio ha, infatti, fornito adeguata dimostrazione del proprio credito, depositando il verbale dell’assemblea del 29.7.2019, del 10.10.2019 e del 30.9.2020 (doc. 3, 4 e 7 di parte opposta), da cui emerge l’approvazione, all’unanimità, sia dei lavori di straordinaria manutenzione del lastrico solare e della ripartizione delle spese, in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, che l’incremento del fondo costituito. Si rileva, peraltro, che gli opponenti hanno riconosciuto di essere debitori dell’importo di Euro 4.548,18, dovuto per spese straordinarie approvate dall’assemblea il 10.10.2019 (v. doc. 6 e 8 di parte opposta).
Non può, inoltre, essere accolta l’eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell’art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l’amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un’obbligazione di restituzione in capo al condominio.
In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all’amministratore del condominio, in ragione dell’ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate.
In ordine alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., vale rammentare che la responsabilità aggravata discende da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta e, precisamente, per quanto riguarda il primo comma dell’articolo 96 c.p.c., dall’avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il terzo comma dello stesso articolo, dall’aver abusato dello strumento processuale. Nel caso di specie, si ritiene che non sussistano i presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c. 1 c.p.c., in mancanza di prova sia dell’ai che del quantum del danno, considerato che, in applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., è stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, confermata nel corso del giudizio di opposizione, a seguito del rigetto dell’istanza ex art. 649 c.p.c.
Tantomeno può essere accolta la domanda di condanna ai sensi del successivo comma 3, tenuto conto del comportamento processuale degli opponenti, i quali hanno dato prova di aver provveduto al pagamento delle somme ingiunte nel corso della prima udienza, valutato, unitamente al comportamento processuale del Condominio opposto, che ha ritenuto di non accettare la proposta formulata dal mediatore (v. verbale di mediazione negativo depositato il 29.11.2021 dagli opponenti).
In considerazione dell’esito complessivo del giudizio e del comportamento processuale delle parti, tanto in sede di mediazione quanto nel corso del presente giudizio di opposizione, le spese di lite vanno compensate per la metà, ponendo la restante metà, a carico degli opponenti in solido, che sono liquidate, complessivamente, ivi compresa la mediazione, come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014, come modificati dal D.M. 147/2022.
P.Q.M.
Il Tribunale di Gorizia, Sezione Unica civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando così provvede:
1) dichiara la cessazione della materia del contendere;
2) revoca il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. Omissis;
3) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c.;
4) compensa tra le parti le spese di lite al 50% e condanna YYYYY, in solido, al pagamento della restante metà, in favore del Condominio opposto, in persona dell’amministratore p.t., che sono liquidate in Euro 122,00 per esborsi ed Euro 4.060,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%. [...]
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11 Luglio 2023Sentenze CiviliIn materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).
Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.
Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.
Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.
Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).
Il Giudice, in persona della dott.ssa Omissis, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nel procedimento civile di I grado iscritto al n. Omissis del Ruolo Generale degli Affari Civili
TRA
YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti
APPELLANTE
contro
Condominio XXXXX, in persona del legale rappresentante p.t., Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti
APPELLATO
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY conveniva davanti al Tribunale di Roma il Condominio XXXXX chiedendo “in via preliminare, sospendere l’efficacia della delibera assembleare impugnata del 19 giugno 2018 in relazione al punto 1 dell’o.d.g.; in via principale e nel merito, accertare e dichiarare nulla e/o annullabile, comunque invalida, la delibera assembleare del 19 giugno 2018 adottata dal Condominio XXXXX, relativamente al punto 1 dell’o.d.g. nella parte in cui si procede ad approvazione dei riparti consumi idrici con applicazione del criterio a quota fissa – minimo impegnato, anziché proporzionale ai consumi come in precedenza deliberato; conseguentemente ordinare al Condominio di procedere a rettifica/correzione/ricalcolo degli importi di cui ai consumi idrici relativi alle gestioni sopra riferite”.
L’attore deduceva, in particolare:
– di essere comproprietario dell’immobile sito al primo piano (int. 4) del condominio convenuto;
– che l’assemblea condominiale del 19 giugno 2018 approvava, al punto 1 dell’o.d.g., i consuntivi di gestione per gli anni 2014-2017;
– di aver espresso voto contrario all’approvazione dei consuntivi, con particolare riferimento al criterio di ripartizione del consumo idrico pro-capite;
– di aver esperito negativamente il tentativo di mediazione.
Si costituiva il Condominio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del giudice adito per ragioni di valore e, nel merito, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda in quanto ritenuta infondata.
Con ordinanza del 18 aprile 2019 il Giudice adito dichiarava la propria incompetenza per valore, assegnando alle parti termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento per riassumere il giudizio davanti al Giudice di Pace di Roma.
Con atto di citazione in riassunzione, YYYYY, nel ribadire la domanda precedentemente formulata, esponeva che il criterio di proporzionalità, svincolato dalla considerazione di un “minimo impegnato – quota fissa”, oltre ad essere previsto nel Regolamento Condominiale, era stato ribadito e riconfermato dallo stesso Condominio nelle delibere assembleari del 22 marzo 2007 e 20 settembre 2017.
Si costituiva in giudizio il Condominio appellato, contestando la domanda attorea e chiedendo, oltreché la vittoria delle spese di lite, accertarsi che i criteri adottati dallo stesso per la ripartizione dei consumi idrici erano corretti e conformi a quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del Regolamento di Condominio.
Con sentenza n. 3401/2020, il Giudice di Pace di Roma rigettava la domanda attorea, con conseguente condanna alle spese processuali, sull’assunto che l’azione intrapresa dall’odierno appellante contrasterebbe con l’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale.
Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proponeva appello avverso la sentenza di primo grado n. 3401/2020 chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione della relativa efficacia e, nel merito, l’integrale riforma con accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado.
L’appellante deduceva, in particolare:
– la omessa e insufficiente motivazione della decisione impugnata;
– l’erronea interpretazione dell’art. 7, comma 2, del Regolamento Condominiale;
– l’omessa valutazione delle risultanze documentali prodotte e degli atti di causa;
– la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Si costituiva il Condominio appellato chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c. e, in subordine, il rigetto dell’appello.
All’udienza del 20 maggio 2022 il Giudice tratteneva la causa in decisione con termini alle parti ex art. 190 c.p.c.
***
Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inappellabilità della sentenza di primo grado sollevata dal Condominio ai sensi del combinato disposto degli artt. 113 e 339 c.p.c.
Orbene, il secondo comma dell’art. 113 c.p.c. prevede espressamente che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile”, mentre, in base all’art. 339, comma 3 c.p.c., “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.
La giurisprudenza di legittimità ha definito l’ambito entro il quale viene in rilievo l’applicazione, da parte del Giudice di Pace, dei “principi regolatori della materia”, la cui violazione – unitamente a quella di norme costituzionali o comunitarie e di norme del procedimento – esaurisce l’elenco tassativo dei vizi denunciabili con l’appello proposto avverso le sentenze pronunciato secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.
La Corte di Cassazione, in particolare, ha statuito che “i principi regolatori della materia non corrispondono a singole norme regolatrici della specifica materia in questione, né alle regole accessorie e contingenti che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva complessiva della materia stessa. L’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113, 1° comma, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della sua decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, fermo restando, però, il divieto per il giudice di immutare gli elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa, pronunciandosi su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio” (Cass. n. 34632/2022).
E’, peraltro, evidente che l’appellante non può limitarsi ad assumere l’esistenza del vizio, ma è necessario che indichi, sia pure in maniera generica, ma in modo tale da rendere intellegibile la censura, quali sono i principi regolatori che si ritengono violati e/o falsamente applicati.
Al riguardo va osservato che, nel caso di specie, taluni dei motivi di appello proposti dall’odierno appellante integrano violazioni delle norme sul procedimento (quale la violazione dell’art. 112 c.p.c. enunciante il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) ovvero dei principi regolatori della materia (condominiale, in particolare la violazione del regolamento condominiale e delle disposizioni codicistiche sui criteri di ripartizione delle spese), in conformità al disposto di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c.
Pertanto, l’eccezione di inappellabilità deve essere rigettata.
Nel merito, l’appellante contesta il criterio di ripartizione dei consumi idrici, ossia l’addebito di una “quota fissa – minimo impegnato” (pari a complessivi metri cubi 184) nei consuntivi 2014-2017 approvati dalla delibera impugnata.
La doglianza coglie nel segno.
In materia condominiale, la giurisprudenza di legittimità considera “nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).
Ciò premesso, l’esame dei documenti versati in atti ha consentito di accertare l’esistenza di vizi idonei a rendere invalidi i consuntivi di gestione 2014-2017 approvati con la delibera assembleare del 19 giugno 2018.
Invero, nella bolletta per la fornitura idrica vengono indicati i corrispettivi dovuti per i diversi servizi che lo compongono (acquedotto, fognatura, depurazione) e di cui l’utente effettivamente fruisce, ognuno dei quali composto da: una quota fissa (espressa in euro/anno e indipendente dal consumo di acqua) che copre una parte dei costi fissi che il gestore sostiene per erogare il servizio; una quota variabile (correlata al consumo di acqua ed espressa in euro/mc) differenziata a seconda degli scaglioni di consumo. Questi ultimi prevedono una tariffa agevolata, una tariffa base e tre tariffe eccedenza, il cui valore (e, quindi, il costo) cresce in proporzione all’aumentare dello scaglione di consumo di riferimento.
Quanto alla ripartizione della quota fissa – oggetto di contestazione – il riferimento è rappresentato dall’art. 1123, comma 1, c.c. il quale prevede che le spese necessarie per i servizi resi nell’interesse comune, salvo diversa convenzione, devono essere sostenute dai condomini secondo i millesimi di proprietà. Dunque, è possibile che le spese per quote fisse siano ripartite in parti uguali tra i condomini purché sia presente una espressa convenzione.
Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 7 del regolamento condominiale versato in atti, laddove stabilisce che “il canone per il consumo dell’acqua è a carico dei singoli utenti in proporzione della quantità di acqua cui hanno diritto”, non prevede alcuna deroga al criterio codicistico di cui all’art. 1123 c.c., di guisa che la delibera impugnata deve dichiararsi nulla per avere l’assemblea “a maggioranza, stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).
In conclusione, in accoglimento dell’appello va riformata integralmente la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellato a sostenere le spese del doppio grado di giudizio
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza 3401/2020 emessa dal Giudice di Pace di Roma, così dispone:
– “accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara la nullità della delibera assunta sul punto n. 1 dell’ordine del giorno dell’assemblea del Condominio XXXXX, del 19.06.2018;
– condanna parte convenuta alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’attore, che si liquidano in euro 350,00 per compensi, oltre rimborso forfeattrio spese generali al 15% ed IVA e CPA come per legge”.
– condanna l’appellato a rimborsare all’appellante le spese di lite, che si liquidano in euro 660,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge da versarsi a favore dello Stato, essendo l’appellante ammesso al gratuito patrocinio. [...]
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11 Luglio 2023Sentenze CiviliResponsabilità professionale amministratore – Responsabilità amministratore – Art. 1227 c.c.
Deve rammentarsi che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).
La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).
Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).
in persona del dott. Omissis, in funzione di giudice unico,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n. Omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, trattenuta in decisione all’udienza del 16.5.2023 e vertente tra
Condominio XXXXX ATTORE rappresentato e difeso dall’avv. Omissis
E
YYYYY CONVENUTO rappresentato e difeso dall’avv. Omissis
E
ASASAS rappresentata e difesa dall’avv. Omissis
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il condominio attore ha convenuto in giudizio YYYYY – già amministratore di tale condominio sino al 6.7.2017 – deducendo il suo inadempimento nell’esecuzione del relativo mandato con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto – sottoscritto in data 16.4.2012 con la Omissis. – afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.
L’attore – in primo luogo – ha dedotto quanto segue:
– i lavori di sistemazione della “cortina” venivano difettosamente eseguiti dalla ditta appaltatrice e pertanto l’assemblea – nella riunione del 2.12.2013 – stabiliva di “proporre alla ditta il rifacimento a regola d’arte dei lavori relativi alla cortina o in alternativa una riduzione del 60% dell’importo”;
– la società appaltatrice – riconoscendo i vizi – comunicava all’amministratore in data 10.12.2013 di accettare tale riduzione (non avendo intenzione di effettuare un nuovo intervento correttivo);
– solo in data 15.5.2014 l’amministratore comunicava ai condomini tale accettazione, comportante una riduzione del prezzo pari ad euro 18.852,38;
– il YYYYY – anche successivamente – continuava però a corrispondere all’impresa appaltatrice le somme pattuite in origine, senza operare alcuna riduzione;
– l’assemblea – nella riunione del 14.12.2016 – dava pertanto incarico all’amministratore di recuperare le somme versate in eccedenza;
– quest’ultimo disattendeva ancora una volta la volontà assembleare ed ometteva ogni conseguente iniziativa;
– l’assemblea – nella successiva riunione del 6.7.2017 – decideva così di revocarlo dalla carica e nominava una commissione per esaminare la complessiva gestione dell’appalto;
– la relazione finale – redatta all’esito – accertava una somma complessiva di euro 22.136,47 indebitamente corrisposta alla ditta appaltatrice.
L’attore ha inoltre dedotto – in secondo luogo – che in occasione del passaggio di consegne emergeva la mancata contabilizzazione da parte dell’ex amministratore di pagamenti ricevuti per complessivi euro 2.107,00 (euro 552,00 per versamenti da parte di condomini ed euro 1.555,00 a titolo d’indennizzo da parte della compagnia Omissis), somma che il YYYYY affermava però di non dover restituire stante un suo preteso maggior credito di euro 2.493,83 – in realtà insussistente – per compensi straordinari afferenti proprio alla gestione dei lavori in oggetto.
Ha pertanto concluso per la condanna del convenuto al risarcimento di euro 22.136,47 ed alla restituzione di euro 2.107,00.
Il YYYYY – nel costituirsi – ha chiesto in via preliminare l’autorizzazione alla chiamata in causa della ASASAS per essere tenuto indenne da un’eventuale condanna in forza della polizza per la copertura assicurativa della sua responsabilità professionale e – nel merito – ha comunque contestato la fondatezza delle avverse pretese chiedendone l’integrale rigetto.
E’ stata autorizzata la chiamata in causa e la compagnia – nel costituirsi – ha per un verso contestato la domanda di manleva – per inoperatività della garanzia con riguardo agli addebiti contestati all’assicurato – e per altro verso ha ugualmente contestato la stessa fondatezza delle pretese di parte attrice.
Sono state depositate le memorie autorizzate ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e – all’esito – è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio.
All’udienza dell’8.3.2022 – senza l’espletamento di ulteriori attività istruttorie – la causa è stata trattenuta una prima volta in decisione e poi rimessa sul ruolo per l’incombente ex art. 182 c.p.c. richiesto con ordinanza del 28.6.2022.
All’ultima udienza del 16.5.2023 – prodotta da parte attrice la delibera di ratifica per l’esercizio dell’azione risarcitoria in oggetto – la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione (con espressa rinunzia di tutte le parti ad ulteriori termini ex art. 190 c.p.c.).
Il Tribunale – sulla base di tali premesse – rileva quanto segue.
La prima e più rilevante pretesa dell’attore ha natura risarcitoria e si fonda sul dedotto inadempimento del YYYYY nell’esecuzione del mandato – in qualità di amministratore del condominio – con specifico riguardo alla gestione del contratto d’appalto afferente alla manutenzione straordinaria dell’edificio.
L’attore afferma che – stante la concordata riduzione del prezzo con l’impresa appaltatrice in conseguenza della difettosa sistemazione della cortina (come da proposta assembleare del 2.12.2013) – il successivo e non dovuto pagamento integrale effettuato dall’amministratore a tale impresa comporterebbe una responsabilità risarcitoria del primo in misura corrispondente a tale mancata riduzione (pari ad euro 18.852,38, cui dovrebbe aggiungersi l’ulteriore importo versato comunque in eccedenza rispetto al costo complessivo dei lavori accertato dalla richiamata commissione, così da giungere ad un maggior indebito totale pari ad euro 22.136,47).
Tale conclusione – a prescindere da ogni superflua analisi della relazione peritale – non può essere condivisa.
Deve rammentarsi – in proposito – che “ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l’art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell’inevitabilità dei danni attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento” (così, fra le altre, Cass. 22352/2021).
La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa “di regole di comune prudenza” e – ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie – tali regole comprendono l’attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.).
Deve allora ritenersi – nella fattispecie – che l’omissione da parte del nuovo amministratore del condominio (dopo la revoca del YYYYY risalente al 6.7.2017) di ogni iniziativa diretta per la ripetizione dell’indebito nei confronti dell’impresa appaltatrice – anche sul piano giudiziario – abbia costituito una condotta colposa tale da far escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose che pur sono derivate al condominio per il denunziato pagamento dei maggiori importi in oggetto.
La questione – del resto – era stata già segnalata nel corso del giudizio (cfr. ordinanza riservata del 30.4.2020, ove si evidenziava appunto il fatto che “la restituzione di somme indebitamente corrisposte avrebbe potuto essere richiesta dal Condominio direttamente all’accipiens”) e parte attrice – tuttavia – ha omesso alcuna specifica allegazione su eventuali circostanze che – nel caso concreto – avrebbero reso eventualmente superflua, perché infruttuosa, una simile iniziativa da parte del nuovo amministratore (in ragione, ad esempio, di una conclamata insolvenza o irreperibilità dell’impresa appaltatrice).
Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale – nella riunione del 14.12.2016 – aveva appunto invitato il convenuto “a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare”, ritenendo così evidentemente percorribile un’iniziativa che dopo la sua revoca – di poco successiva – avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza – rispetto al costo complessivo dei lavori – sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata).
Ne consegue – pertanto – il rigetto della suddetta domanda risarcitoria.
La seconda e meno rilevante pretesa dell’attore attiene – invece – alla restituzione della somma – pari a complessivi euro 2.107,00 – indebitamente trattenuta dal YYYYY alla scadenza del suo mandato.
Tale pretesa deve essere – invece – accolta.
Le suesposte considerazioni – se valgono ad escludere l’imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose denunziate – non portano infatti ad escludere che il YYYYY sia stato comunque inadempiente al mandato assembleare con riguardo alla specifica gestione dell’appalto in oggetto e non possa dunque opporre legittimamente in compensazione – rispetto al suo incontestato debito restitutorio di euro 2.107,00 – il maggior credito che assume maturato proprio a titolo di compensi straordinari (seppur inizialmente concordati in sede assembleare) per tale specifica gestione.
La reciproca soccombenza giustifica – fra attore e convenuto – la compensazione delle spese processuali (mentre le spese di c.t.u. – stante il rigetto della pretesa risarcitoria – devono essere poste definitivamente a carico dell’attore).
L’attore è invece tenuto a rifondere le spese processuali alla compagnia chiamata in causa (la cui evocazione in giudizio – seppure effettuata dal convenuto – è stata comunque conseguenza dell’infondata pretesa risarcitoria del condominio).
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, così decide:
rigetta la domanda risarcitoria del condominio attore;
condanna il convenuto YYYYY a restituire al condominio attore l’importo di euro 2.107,00;
pone le spese di c.t.u. – nella misura già liquidata – a carico definitivo del condominio attore;
compensa – fra attore e convenuto – le altre spese processuali;
condanna il condominio attore a rimborsare alla chiamata in causa ASASAS le spese processuali, liquidate d’ufficio in euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge. [...]
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5 Luglio 2023Sentenze CiviliRegolamento condominiale – Tabelle Millesimali – Art. 1123 c.c. – Quorum deliberativi – Art.69 disp. att. c.c.
“Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526
Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712.
S E N T E N Z A
Nel procedimento n. Omissis R.G., vertente
TRA
Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, C.F. Omissis, rapp.to e difeso dall’avv. Omissis appellante
CONTRO
YYYYY tutti rappresentati e difesi dall’avv. Omissis
appellato
Ogg: appello a sentenza n. 355/2020 del 13/02/2020, emessa dal Tribunale di Messina
Conclusioni per le parti: come da atti e verbali di causa
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con citazione notificata il 16.11.2020, il Condominio XXXXX proponeva appello avverso la sentenza di cui all’intestazione, con la quale il Tribunale di Messina, definendo il giudizio proposto dai coniugi YYYYY nei confronti del medesimo Condominio, annullava la delibera dell’Assemblea del Condominiale del 22.03.2012.
Si costituivano YYYYY , in primi quali eredi, e l’ultima in proprio e quale erede di Omissis, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 14.07.2022, previa precisazione delle conclusioni, la causa veniva posta in decisione con i termini di rito per conclusionali e repliche.
* * *
I coniugi YYYYY adivano il Tribunale di Messina per chiedere l’annullamento della delibera assembleare del 22.03.2012, con la quale il Condominio aveva approvato, a maggioranza e non con voto unanime, una nuova caratura millesimale in sostituzione delle originarie tabelle.
Premettevano gli attori: a) che con atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967, avevano acquistato un’autorimessa comprendente tutto il piano cantinato dell’Omissis del PRG di Messina; b) che tale immobile non era stato inserito nelle tabelle millesimali del condominio dell’ Omissis B, tanto che nell’atto pubblico, non erano stati allegati né richiamati il regolamento di condominio e le tabelle, in quanto l’originario proprietario dello stabile, Omissis, “aveva ritenuto di escludere il locale cantinato dal resto del complesso condominiale, in considerazione del fatto che l’immobile è del tutto indipendente dal resto dell’edificio, essendo dotato di autonomi ingressi, autonomi impianti per l’approvvigionamento idrico ed elettrico e non ha alcun diritto d’uso sulle parti comuni, né usufruisce dei servizi condominiali”; c) che, conseguentemente alla scelta operata dal costruttore, gli attori nel corso degli anni non avevano mai esercitato i diritti spettanti ai condomini, non erano stati mai convocati per le assemblee e, pertanto, non avevano mai preso parte ad alcuna decisione riguardante la gestione del condominio; d) che, in seguito alla decisione, maturata tra i condomini dell’ Omissis, di far redigere nuove carature millesimali, nelle quali veniva inserito anche l’immobile di loro proprietà, i coniugi YYYYY erano stati convocati per le assemblee condominiali del 7.07.95 e del 18.10.1995; e) che, nel corso di quest’ultima assemblea, avevano espresso voto contrario sia all’approvazione delle nuove tabelle millesimali redatte dal dott. Omissis-che venivano approvate, con una maggioranza totale di 549 millesimi- sia alla deliberazione di ripartire, secondo queste tabelle, le spese per lavori di straordinaria manutenzione, deliberate in epoca remota (nel 1988); f) che con citazione notificata il 14.11.1995, essi attori YYYYY avevano impugnato la suddetta delibera condominiale del 18.10.1995 innanzi al Tribunale di Messina, chiedendone la declaratoria di nullità per avere approvato a maggioranza le nuove carature e per avere modificato, senza il consenso unanime dei condomini, il criterio di ripartizione delle spese condominiali; g) che nel corso di tale giudizio di impugnazione della delibera (n. Omissis R.G.), in seguito alla domanda proposta in via riconvenzionale dal Condominio dell’ Omissis, il Tribunale di Messina aveva nominato CTU l’arch. Omissis per la redazione giudiziale di un’ulteriore tabella millesimale; h) che, con sentenza n.765 del 6.03.2004, il Tribunale di Messina aveva accolto integralmente l’impugnazione proposta dagli attori, dichiarando la nullità di entrambe le delibere adottate nell’assemblea condominiale il 18.10.1995 ed invece aveva definito in rito la domanda riconvenzionale del condominio, affermando la necessità che la decisione venisse assunta con la partecipazione di tutti i condomini, mentre nella specie il contradditorio non era integro;
i) che, successivamente, il Condominio XXXXX, nell’assemblea straordinaria del 22.03.2012, aveva provveduto ancora alla sostituzione delle originarie tabelle, approvando a maggioranza quella tabella millesimale redatta dal CTU arch. Omissis nel corso del citato giudizio n. Omissis R.G., nonché l’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione per un importo di € 45.000,00 oltre Iva ed oneri del 6% per la Direzione Lavori, da ripartire in base a tale nuova tabella.
Con sentenza n. 355/2020, oggetto del presente gravame, il Tribunale di Messina accoglieva integralmente l’impugnazione proposta dai coniugi Omissis, dichiarando la nullità della delibera assembleare del 22.03.2012 e, conseguentemente, l’insussistenza dell’obbligo del pagamento della somma di € 2.842,80 per i lavori di straordinaria manutenzione deliberati nel corso della stessa assemblea, nonché degli oneri inerenti l’ordinaria amministrazione del Condominio XXXXX che veniva, quindi, condannato alla rifusione delle spese giudiziali.
Tale decisione è stata formulata sull’assunto che la delibera di approvazione delle nuove tabelle millesimali deve essere approvata all’unanimità.
Il Condominio con la citazione introduttiva del II grado ha articolato diverse censure, rubricandole con i numeri da 1) a 5).
1) Con il primo motivo il condominio rileva che ha errato il Tribunale a ritenere che fosse stata sollevata un’eccezione di difetto di legittimazione degli attori, in quanto non condomini.
2) Con il secondo motivo lamenta l’errore del Tribunale, commesso in materia di ripartizione dell’onere probatorio, col ritenere che la produzione in giudizio dell’atto di compravendita -privo di alcun richiamo al regolamento di condominio- fosse sufficiente a dimostrare l’esclusione degli attori dalla ripartizione delle spese condominiali, e che -di contro- fosse onere del Condominio dimostrare l’esistenza dell’obbligo degli odierni attori di partecipare alle spese di gestione del condominio. Così facendo, il Tribunale avrebbe violato il principio di diritto secondo il quale, una volta affermata la qualità di condomini degli appellati, l’obbligo degli stessi di partecipare alle spese condominiali sorge per legge, motivo per cui, ai fini dell’esonero, incombeva su di loro l’onere di dimostrare che la volontà del costruttore, accettata da tutti i condomini, fosse quella di escludere l’immobile in questione dalla partecipazione alle spese in deroga al principio legale. Tale volontà non si può desumere dall’omesso richiamo nel contratto di compravendita del regolamento di condominio e delle tabelle millesimali, essendo principio assolutamente pacifico che l’esonero parziale o totale dal pagamento delle spese condominiali, comportando una deroga ad un regime legale, non può essere tacita, ma deve risultare espressamente.
3) Con i motivi sub 3) e 4) il Condominio lamenta che il Tribunale abbia ritenuto la natura contrattuale del regolamento di condominio, da ciò pervenendo a richiedere l’unanimità per l’approvazione delle nuove tabelle millesimali. Infatti, la vecchia distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale è stata superata, per ritenere che in esso possono coesistere clausole di diversa natura. E nel caso di specie le clausole del regolamento era tutte di natura regolamentare, tanto che in nessuna di esse venivano previsti quei limiti alla proprietà individuale o quelle deroghe ai principi del codice civile -quale può essere, per l’appunto, l’esonero totale o parziale dal pagamento delle spese condominiali che connotano le clausole contrattuali.
Di conseguenza, il Tribunale ha errato nel ritenere che, per la modifica delle tabelle millesimali, fosse necessaria l’unanimità e “la circostanza che il regolamento di condominio sia stato predisposto dall’originario proprietario, in assenza di una espressa clausola di esonero dalla partecipazione alle spese, non vale ad attribuire efficacia vincolante né allo stesso né alle tabelle millesimali, che possono, quindi, essere modificate con la maggioranza di legge”.
4) Con l’ultimo motivo di gravame, il Condominio sostiene che “le spese del giudizio di primo grado, attesa la legittimità della delibera assembleare, andavano poste a carico degli appellati”.
Ciò premesso, valgono le seguenti considerazioni.
L’adozione di un regolamento condominiale e delle tabelle millesimali può avvenire o con la relativa predisposizione da parte dell’originario costruttore e il relativo richiamo nei singoli atti di acquisto, o con deliberazione dell’assemblea condominiale.
Nello specifico, come risulta dagli atti di causa, ciò è avvenuto secondo la prima delle citate modalità.
Risultano prodotti in causa, infatti, il regolamento di condominio e un atto di compravendita tra l’originario costruttore e un condominio, nel quale “l’acquirente dichiara di conoscere ed accettare il Regolamento di condominio predisposto dal venditore di cui all’atto del 5.10.1964”.
Inoltre, a fronte dell’allegazione degli attori, secondo cui tutti gli acquirenti successivi dell’originario costruttore hanno approvato -nei loro atti di acquisto- il regolamento e le allegate tabelle, il Condominio non ha formulato alcuna contestazione.
La questione, comunque, non è particolarmente rilevante, perché, in realtà deve aversi riguardo al contenuto delle singole clausole del regolamento per stabilire se abbiano natura contrattuale o regolamentare e, quindi, se per modificarle occorra l’unanimità o la maggioranza.
Sul punto la Suprema Corte ha affermato: “Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale e allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale e possono essere modificate solo all’unanimità qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza. Cassazione civile sez. II, 09/08/2022, n.24526
Più in particolare, ossia con riferimento alle tabelle millesimali, la Cassazione ha affermato: “L’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; è, infatti, sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l’approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini. Cassazione civile sez. II, 30/01/2023, n.2712
Orbene, nel caso de quo, gli attori hanno prodotto le tabelle millesimali oggetto di modifica e da esse risulta chiaramente che l’autorimessa di proprietà degli attori è esclusa dalla caratura millesimale, che riguarda esclusivamente gli appartamenti a partire dal piano rialzato e fino all’ultimo.
Ciò è perfettamente in linea con le risultanze dell’atto pubblico in notar Omissis del 21.12.1967 -in forza del quale l’autorimessa è pervenuta agli attori- che non contiene alcun richiamo alle tabelle millesimali o al regolamento condominiale.
Va da sé, quindi, che gli attori, la cui qualità di condomini è indiscutibile, hanno goduto di un vantaggio, derivante dall’accordo degli acquirenti degli appartamenti sulle tabelle millesimali predisposte dal costruttore, che escludeva l’autorimessa dalla caratura.
Più specificamente, il mancato richiamo alle tabelle millesimali – nell’atto di acquisto dell’immobile da parte dei coniugi Omissis ad integrare la fattispecie di una convenzione derogatrice dei criteri legali di ripartizione delle spese, infatti “l’accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che, anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell’edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall’art. 69 disp. Att. C.c. (Cass Civ. sez. II 28 gennaio 1995 n. 1028).
Dunque, volendosi eliminare tale deroga con l’inserimento dell’autorimessa nella caratura millesimale, e comportando questo l’assunzione di spese da parte dei proprietario dell’autorimessa, che ne sono esonerati, si va ad incidere sul regime di ripartizione, e -per quanto- su un contenuto contrattuale del regolamento; ciò non può che passare per una approvazione delle nuove tabelle assunta all’unanimità.
Per le esposte argomentazioni, ogni altra questione resta assorbita.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Messina, II Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Condominio XXXXX, in persona dell’Amministratore pro tempore avverso la sentenza n. 355/2020, emessa dal Tribunale di Messina il 13.02.2020, tra l’appellante e i coniugi YYYYY, così provvede:
– rigetta l’appello perché infondato.
– condanna il Condominio appellante al pagamento in favore degli appellati delle spese processuali del presente grado di giudizio, spese che liquida in complessivi € 1.923,00 per compensi professionali (di cui € 536,00 per la fase di studio, € 536,00 per la fase introduttiva ed € 851,00 per la fase decisionale), oltre iva, cpa e rimborso spese generali come per legge.
-dichiara che sussistono, nei confronti dell’appellante le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.6.2023 [...]
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5 Luglio 2023Sentenze CiviliMandato – Approvazione rendiconto – In mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile
Così decidendo la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi consolidati in materia, secondo cui il contratto tipico di amministrazione di condominio è comunque riconducibile ad un rapporto di mandato presumibilmente oneroso (v. Cass. Sez. Un. 29/10/2004, n. 20957) e il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Sez. 2, Sentenza n. 1429 del 08/03/1979; Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 28/04/1990); proprio le specifiche norme dettate in materia di condominio, poi, prevedono che l’assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (Sez. 2, Sentenza n. 14197 del 2011; Sez. 2 – , Ordinanza n. 7874 del 19/03/2021).
ORDINANZA
sul ricorso Omissis proposto da:
YYYYY, nella qualità di eredi di Omissis, elettivamente domiciliati in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1614/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/05/2023 dal consigliere Omissis;
letta la memoria dei ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n.1614 del 2018, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello del Condominio XXXXX ha rigettato la domanda di Omissis, dante causa degli attuali ricorrenti, diretta ad ottenere il pagamento della somma dovutale a titolo di compenso per l’attività svolta quale amministratrice negli anni 2009 e 2010.
Il condominio aveva rappresentato che con sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, Omissis era stata condannata alla restituzione della somma di Euro 39.802,42 corrispondente agli importi, non registrati in modo regolare, versati dall’ Omissis e da alcuni condomini e che in conseguenza non risultava approvato alcun rendiconto relativo alla sua gestione.
La Corte d’appello ha ritenuto, pertanto, che correttamente il Condominio avesse rifiutato di pagare il compenso, perché il compenso per l’attività gestoria è comunque una spesa che necessita di preventiva deliberazione e approvazione quale voce del relativo bilancio e mancava la prova del corretto adempimento degli obblighi di rendiconto per gli esercizi di amministrazione.
Avverso questa sentenza YYYYY, eredi di Omissis deceduta nelle more del giudizio, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il condominio ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve darsi atto che infondatamente il Condominio ha eccepito il difetto di prova della qualità di eredi dei ricorrenti.
YYYYY hanno tempestivamente documentato, con memoria depositata oltre un mese prima dell’odierna udienza in camera di consiglio (alla fattispecie si applica ratione temporis il nuovo testo dell’art. 372 cod.proc.civ., ex art. art. 35, comma 6 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla legge 29 dicembre 2022, n. 197), non soltanto di essere eredi, ma anche la conoscenza del controricorrente di tale loro qualità: proprio dal Condominio, infatti, è stato eseguito, nei loro confronti, un atto di pignoramento immobiliare in cui è dato atto del decesso della dante causa Valente Petri, della intervenuta successione legittima e della proprietà del bene staggito in capo a loro, per successione dalla madre; con il Condominio, peraltro, è anche stata stipulata da loro, nella qualità, una transazione.
1. Con il primo motivo, articolato in più profili, gli eredi hanno sostenuto la nullità della sentenza ex art. 360 comma I numero 4 cod. proc. civ. «per errata valutazione delle prove e dei documenti e omesso ed erroneo esame delle risultanze probatorie» (così in ricorso), nonché, ex numero 5, l’erronea considerazione di decisività di fatti invece estranei al giudizio. La Corte territoriale avrebbe infatti erroneamente ritenuto rilevante la sentenza del 16 luglio 2015 resa dal Tribunale di Roma nel separato giudizio, per essere ancora pendente l’appello e, in conseguenza, per essere ancora sub iudice la questione della registrazione erronea di alcune partite nel rendiconto; avrebbe altresì erroneamente equiparato la mancata approvazione dei bilanci regolarmente presentati alla mancata presentazione di rendicontazione.
2. Con il secondo motivo è stata prospettata la violazione e falsa applicazione, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., degli articoli 1713 e seguenti cod. civ. per avere la Corte d’appello fondato il rigetto della domanda di Valente Petri sull’irregolarità accertata nel diverso giudizio, peraltro soltanto in primo grado, senza considerare che l’amministratrice aveva comunque provato di avere esperito il suo mandato con conseguente diritto al compenso pattuito.
3. Entrambi i motivi, esaminabili congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Premesso che alla fattispecie non è applicabile, ratione temporis, la disciplina del condominio negli edifici come introdotta con la legge 11/12/2012 n. 220, deve dunque considerarsi che comunque, anche ai sensi dei n. 2 e 3 dell’art. 1135 cod. civ. nella formulazione vigente all’epoca dei fatti per cui è giudizio, il compenso dell’amministratore del condominio, costituendo una spesa a carico del condominio, era una voce del relativo bilancio che necessitava di approvazione in sede di deliberazione concernente il consuntivo spese.
Nella specie, dunque, è incontestato tra le parti, attesa la pendenza del giudizio conclusosi in primo grado con la sentenza del Tribunale di Roma del 16 luglio 2015, che i rendiconti annuali di gestione a cui l’amministratore era tenuto ex comma II dell’art. 1130 cod. civ. vigente all’epoca, per entrambi gli anni di incarico, non sono stati approvati perché sono state riscontrate irregolarità di registrazione di alcune voci.
Conseguentemente, con la sua prima ratio decidendi, in sé già sufficiente, la Corte ha fondatamente escluso il diritto al compenso dell’amministratrice Violante Petri perché il credito non era munito del necessario requisito di liquidità ed esigibilità in mancanza di regolare approvazione del rendiconto di gestione relativo agli anni in cui è maturato.
Così decidendo la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi consolidati in materia, secondo cui il contratto tipico di amministrazione di condominio è comunque riconducibile ad un rapporto di mandato presumibilmente oneroso (v. Cass. Sez. Un. 29/10/2004, n. 20957) e il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Sez. 2, Sentenza n. 1429 del 08/03/1979; Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 28/04/1990); proprio le specifiche norme dettate in materia di condominio, poi, prevedono che l’assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell’amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (Sez. 2, Sentenza n. 14197 del 2011; Sez. 2 – , Ordinanza n. 7874 del 19/03/2021).
4. Per queste ragioni il ricorso è respinto, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore del Condominio XXXXX
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Condominio XXXXX al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 31 maggio 2023. [...]
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1 Luglio 2023Sentenze CiviliFondo cassa morosi – Quorum deliberativo – Effettiva ed improrogabile urgenza – Art. 1129 c.c. – Compenso amministratore – specifica analitica del compenso – Rinvio discussione argomenti posti all’ordine del giorno
Con riguardo al c.d. “fondo cassa morosi ”, la Suprema Corte ha ritenuto che, nei casi di effettiva urgenza, sia sufficiente, per deliberare la costituzione del fondo morosi, la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile. La S. Corte (sentenza 5 novembre 2001, n. 13631) ha osservato che ‹in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità quale espressione dell’autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde e le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa od liv tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante oh esterno, alle azioni dei terzi».
E dunque sarebbe legittima la costituzione del fondo cassa per il pagamento delle quote dei morosi in ipotesi di effettiva ed improrogabile urgenza, e con il voto favorevole dei condòmini che rappresentano la maggioranza degli intervenuti in assemblea (Cass. 13631/2001, n. 9083/2014), con rideterminazione secondo criteri millesimali delle quote di partecipazione al fondo cassa.
Si osserva al riguardo che la delibera impugnata ha confermato l’amministratore nella carica che già rivestiva; se è vero che in base al comma 14º dell’art 1129 c.c. l’amministratore “all’atto dell’accettazione della nomina o del suo rinnovo deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”, occorre evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche. La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condomini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell’amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l’amministratore sia stato confermato nell’incarico, dal momento che – in tal caso – si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condomini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste.
Si ritiene, dunque, che la “specificazione analitica” del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell’incarico) non fosse stato precisato il compenso.
E’ al riguardo da rilevare la possibilità che l’assemblea decida di rimandare la discussione di alcuni argomenti alla successiva riunione assembleare sempre che da queste eventuali variazioni non derivi una compressione o menomazione dei diritti di condomini. Nel caso in esame non risulta leso alcun diritto in capo all’attore il quale era finanche assente in sede assembleare e non si era nemmeno premurato di farsi rappresentare per delega. Del resto, gli stessi oggetti di discussione descritti ai punti 7), 8) e 9) – in ragione della loro evidente sinteticità e genericità – necessitavano di chiarimenti e supporti documentali che il solo attore avrebbe potuto fornire. Risulta inoltre che l’assemblea aveva deliberato in ordine al punto 10) essendo stato riportato in verbale che “l’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore”.
in persona del dr. Omissis ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. Omissis, trattenuta in decisione all’udienza del 1 febbraio 2023 e vertente
TRA
YYYYY elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv.to Omissis che lo rappresenta e difende per procura in atti – parte ammessa al gratuito patrocinio.
– ATTORE –
E
Condominio XXXXX in, in persona dell’Amministratore pro tempore elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende per procura in atti.
Conclusioni: all’udienza del 1 febbraio 2023 i procuratori delle parti hanno concluso come in atti.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, YYYYY proprietario dell’immobile sito in Omissis piano terzo dislocato su due livelli, ha impugnato le delibere assembleari del 28 aprile 2021 assunte dal Condominio XXXXX convocato per l’esame dei seguenti punti all’ordine del giorno 1) Discussione e delibera bilancio consuntivo 2020, 2) Discussione e delibera bilancio preventivo 2021, 3)Nomina amministratore condominiale, 4) Costituzione di un fondo cassa condominiale destinato alla coperture delle spese legali e delle morosità per consentire una corretta gestione all’amministratore, 5) Discussione e delibera lavori fognatura condominiale, 6) L Amministratore illustrerà la legge c. d. superbonus 110 e la relativa documentazione da presentare, 7) Richiesta da parte del signor Omissis di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni, 8) Richiesta da parte del signor Omissis di contabilizzate una spesa da lui sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di € 1.464,00, 9) Richiesta de parte del signor Omissis di una ristrutturazione del suo immobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti, 10) Richiesta da parte del sig. Omissis di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente amministrazione 11) Richiesta da parte del sig. Omissis di acquisire il capitolato lavori già redatto durante la precedente amministrazione al fine di poter stimare i lavori da effettuare, discussione degli altri aspetti connessi alla mediazione proposta dal sig. 12) Varie ed eventuali ”.
L’attore al riguardo ha premesso che l’assemblea, con la maggioranza di 752,14 millesimi, aveva deliberato 1) L’approvazione all’unanimità del bilancio consuntivo 2020; 2) L’approvazione all’unanimità del preventivo 2021; 3) la nomina dell’Amministratore p.t. Omissis 4) la costituzione di un apposito fondo condominiale pari ad euro 2000,00 a seguito della morosità evidenziata nell’atto nel bilancio consuntivo 2020 e 5) la presentazione alla successiva assemblea di preventivi per il rifacimento della fognatura condominiale.
Ha inoltre riportato le seguenti determinazioni assunte in ordine ai punti 7), 8), 9), 10), 11) L’amministratore riporta il contenuto della mediazione U.s. nei confronti del signor Omissis e le richieste di quest’ultimo di cui ai punti 7,8 9,10,11 L’assemblea all’unanimità chiede la presenza del signor Omissis per poter discutere circa le azioni da intraprendere. Tutti i presenti si rendono disponibili ad apportare eventuali migliorie, chiedo altresì al proprietario assente di onorare i propri debiti come da bilancio iniziato e di non gravare quindi sul resto del condominio. L’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente i:amministratore.
L’attore quindi, nel rilevare di aver ricevuto il verbale dell’assemblea in data 10 giugno 2021, ha formulato una prima contestazione in merito all’approvata costituzione del fondo rilevando la mancata descrizione del suo scopo, evidenziando che non sarebbero stati specificati i criteri di ripartizione di tale fondo e sostenendo che la sua costituzione sarebbe avvenuta senza alcuna effettiva urgenza trattandosi di situazioni comunque risalenti nel tempo.
Con riguardo alla intervenuta nomina dell’amministratore ha rilevato l’assenza di indicazioni dei costi di tale incarico.
Ha infine contestato l’omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10 rilevando che non fosse ostativa alle deliberazioni sugli stessi punti la circostanza che esso istante non era presente e lamentando che l’inerzia del Condominio avrebbe impedito il necessario adeguamento del fabbricato alla normativa di legge in materia di manufatti in eternit.
Si è costituito il Condominio rilevando che il fondo deliberato dalla assemblea dei condomini era funzionale alla necessità del condominio, di minute dimensioni, di sopperire ad esigenze di cassa derivanti dall’inadempimento cronico del rispetto all’obbligo di pagamento delle quote condominiali e quindi di far fronte ad esigenze di cassa per evitare danni più gravi nei confronti di tutti i condomini derivanti dal pericolo di interruzione dei servizi essenziali comuni quali l’energia elettrica, il funzionamento dell’ascensore e la illuminazione delle parti comuni.
In merito alla nomina dell’Amministratore ha evidenziato che il preventivo presentato era stato vagliato, valutato, approvato ed anche allegato al verbale assembleare trasmesso alle qui oggetto di impugnativa.
Ha altresì evidenziato che l’attuale Amministratore condominiale era già stato nominato, per la prima volta, dalla assemblea dei condomini all’esito della riunione assembleare del 16.01. 2020.
Con riguardo alla mancata deliberazione in ordine ai punti 7,8,9,10 posti all’ordine del giorno dell’assemblea del 28.04.2021, ha riferito che, dopo l’incontro di mediazione del 22.10.2020 al quale il Condominio aveva partecipato e nel quale il aveva esposto le proprie richieste, lo stesso Condominio aveva inserito proprio ai punti 7,8,9,10 dell’ordine del giorno le istanze del YYYYY che lo stesso voleva discutere nella assemblea condominiale ed alla quale non aveva partecipato.
Ha pertanto concluso per il rigetto delle domande proposte.
Prodotti documenti la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza in epigrafe indicata.
Motivi della decisione
Con riguardo al c.d. “fondo cassa morosi ”, la Suprema Corte ha ritenuto che, nei casi di effettiva urgenza, sia sufficiente, per deliberare la costituzione del fondo morosi, la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile. La S. Corte (sentenza 5 novembre 2001, n. 13631) ha osservato che ‹in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità quale espressione dell’autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde e le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa od liv tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante oh esterno, alle azioni dei terzi».
E dunque sarebbe legittima la costituzione del fondo cassa per il pagamento delle quote dei morosi in ipotesi di effettiva ed improrogabile urgenza, e con il voto favorevole dei condòmini che rappresentano la maggioranza degli intervenuti in assemblea (Cass. 13631/2001, n. 9083/2014), con rideterminazione secondo criteri millesimali delle quote di partecipazione al fondo cassa.
Avuto riguardo a tali principi sussistevano nel caso concreto i motivi di urgenza che hanno giustificato l’istituzione del fondo cassa anche in assenza del consenso di tutti i condomini avendo il condominio evidenziato una situazione di cronica morosità da parte dell’attore – il quale con riguardo al pic colo condominio risulta portatore di ben 247,86 millesimi – richiamando anche la situazione di cassa come riportata nel consuntivo 2020 e preventivo 2021.
Una tale situazione del resto – espressamente riportata in sede di delibera avendo i presenti chiesto “al proprietario assente di onorare i propri debiti come da bilancio inviato e di non gravare quindi sul resto del condominio” – non è oggetto di alcuna contestazione da parte dell’attore.
Venendo alla delibera di conferma dell’amministratore la stessa è stata contestata per il fatto che era mancata la specifica determinazione del compenso dell’amministratore.
Si osserva al riguardo che la delibera impugnata ha confermato l’amministratore nella carica che già rivestiva; se è vero che in base al comma 14º dell’art 1129 c.c. l’amministratore “all’atto dell’accettazione della nomina o del suo rinnovo deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”, occorre evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche. La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condomini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell’amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l’amministratore sia stato confermato nell’incarico, dal momento che – in tal caso – si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condomini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste.
Si ritiene, dunque, che la “specificazione analitica” del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell’incarico) non fosse stato precisato il compenso.
Poiché questa circostanza, nella specie, non è stata dedotta dall’attore, la mancata nuova specifica non inficia la delibera impugnata. E’ comunque da rilevare che tale onorario risulta di fatto specificato avendo l’amministratore Omissis quantificato la propria offerta (euro 650 + IVA) in data 7.1.2020, epoca antecedente 1’adozione della delibera di nomina del 16 gennaio 2020.
L’attore ha infine contestato l’omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10. Tali punti avevano riguardato le seguenti richieste: 7 Richiesta da parte del signor Omissis di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni, 8) Richiesta da parte del signor Omissis di contabilizzate una spesa da lvi sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di € 1.464,00, 9) Richiesta de parte del signor Omissis di una ristrutturazione del suo mobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti, 10) Richiesta da parte del sig. Omissis di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente i:amministrazione
E’ al riguardo da rilevare la possibilità che l’assemblea decida di rimandare la discussione di alcuni argomenti alla successiva riunione assembleare sempre che da queste eventuali variazioni non derivi una compressione o menomazione dei diritti di condomini. Nel caso in esame non risulta leso alcun diritto in capo all’attore il quale era finanche assente in sede assembleare e non si era nemmeno premurato di farsi rappresentare per delega. Del resto, gli stessi oggetti di discussione descritti ai punti 7), 8) e 9) – in ragione della loro evidente sinteticità e genericità – necessitavano di chiarimenti e supporti documentali che il solo attore avrebbe potuto fornire. Risulta inoltre che l’assemblea aveva deliberato in ordine al punto 10) essendo stato riportato in verbale che “l’assemblea all’unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore”.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Con separato decreto si procede alla liquidazione del compenso del legale dell’attore essendo in atti un provvedimento del Consiglio dell’Ordine di ammissione al gratuito patrocinio.
P.Q.M.
Definitivamente decidendo, ogni ulteriore domanda o eccezione dichiarata inammissibile o disattesa, così provvede;
– rigetta le domande proposte da nei confronti del Condominio XXXXX in Omissis;
– condanna YYYYY al pagamento delle spese di giudizio sostenute dal Condominio che si liquidano in euro 2.200,00 per compensi, oltre accessori come per legge. [...]
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28 Giugno 2023ApprofondimentiMolto spesso condomini ed amministratori si chiedono cosa possa accadere in caso di annullamento di una delibera assembleare, da quanto si producono gli effetti e che impatto abbia l’annullamento sui contratti sottoscritti nelle more della causa per l’annullamento delle delibere.
La questione che potrebbe, a prima vista, sembrare complicata richiede solo alcune precisazioni e specificazioni.
Circa gli effetti dell’annullamento è illuminante la (CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N. 2127/2021 DEL 29 GENNAIO 2021) che ha avuto modo di precisare che va considerato, del resto, come pure la pronunzia di annullamento di una delibera assembleare riveste unicamente un effetto caducatorio, e non anche un effetto costitutivo per l’assemblea o per l’amministratore. In tal senso, può dirsi che l’efficacia preclusiva e precettiva del giudicato di annullamento di una delibera condominiale è meramente negativa, in quanto essa pone soltanto un limite all’esercizio dell’attività di gestione dell’assemblea, impedendole di riapprovare un atto affetto dagli stessi vizi, atto che sarebbe altrimenti a sua volta invalido. Un’efficacia più intensa può essere riconosciuta soltanto al giudicato di invalidità caduto su una deliberazione avente contenuto negativo, che abbia, cioè, respinto proposte o richieste (parimenti impugnabile ai sensi dell’art. 1137 c.c.: Cass. Sez. 2, 14/01/ 1999, n. 313), dovendo da esso discendere un obbligo di assumere la decisione illegittimamente rigettata. Pertanto, la sentenza di annullamento resa ai sensi dell’art. 1137 c.c. ha effetto nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro, ma con riguardo alla specifica deliberazione impugnata. L’ampliamento dell’efficacia del giudicato a tutti i componenti dell’organizzazione condominiale è coerente col disposto del primo comma dell’art. 1137 c.c., per cui le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, essendo inconcepibile che la delibera annullata giudizialmente venga rimossa per l’impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri comproprietari. Viceversa, si spiega in giurisprudenza come l’annullamento, con sentenza passata in giudicato, di una deliberazione dell’assemblea, impugnata da un condomino per violazione di una norma del regolamento condominiale, non determina, al di fuori dei casi e dei modi previsti dall’art. 34 c.p.c., nemmeno il giudicato sulla validità della stessa disposizione regolamentare, la cui conformità, o meno, a norme imperative di legge può essere oggetto di un successivo giudizio tra le medesime parti (Cass. Sez. 2, 29/11/2017, n. 28620; Cass. Sez. 2, 11/05/2012, n. 7405).
E’ evidente come gli ermellini abbiano differenziato, in riferimento agli effetti, le delibere con contenuto positivo da quelle a contenuto negativo diniego (cioè che abbiano respinto proposte o richieste).In caso di annullamento di una delibera assembleare gli effetti, nei rapporti interni tra i condomini, si producono da quando è stata assunta la delibera. Tecnicamente si suol dire che la mancanza di effetti della delibera annullata si producono ex tunc (cioè dall’assunzione della delibera stessa).
Invece, per quel che concerne i rapporti con i terzi, in caso di annullamento di una delibera assembleare per gli effetti nei rapporti con i terzi che abbiano stipulato un contratto con il condominio in forza della delibera che è stata annullata dall’autorità giudiziaria nel silenzio della legge sul punto, posto che la giurisprudenza ha ribadito, a più riprese, che al diritto condominiale si applica, in via analogica, il diritto societario, troverebbe applicazione l’art. 2377 c.c. che prevede al comma 7 che “L’annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”.
Ci si è anche chiesti se in caso di annullamento di una delibera assembleare i condomini che hanno votato a favore assumo direttamente gli obblighi a titolo personale. Sul punto troviamo la risposta in una sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. II, Sent., n. 1561/1976 del 3 maggio 1976) che ha avuto modo di precisare che “ Cosicchè ove la delibera assembleare venga annullata, per mancata formazione delle tabelle millesimali e conseguente impossibilità di verificare i “quorum” richiesti per la regolare costituzione dell’assemblea e le prescritte maggioranze occorrenti per la valida approvazione della delibera, la manifestazione di voto che fu, a suo tempo, espressa dai condomini che concorsero alla sua approvazione – ove da essa non risulti che siano stati assunti impegni a titolo personale, da parte dei singoli condomini che parteciparono alla relativa assemblea, verso l’esterno del condominio, indipendentemente dall’esistenza e validità di una delibera riferibile e vincolante, per i suoi effetti, a tutti i condomini, secondo le regole e i limiti stabiliti dalle norme vigenti in materia – la delibera annullata non può continuare a produrre i suoi effetti obbligatori a carico dei soli condomini che ne deliberarono la approvazione, singolarmente considerati, per il semplice fatto di avere partecipato alla relativa assemblea. [...]
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27 Giugno 2023Sentenze CiviliArt. 1117 c.c. – Androne scale – Parte comune – Opposizione decreto ingiuntivo
L’uso di una parte dell’edificio del Condominio XXXXX (nel caso di specie: androne e scale), non è di per sé sufficiente ad ammetterne la comproprietà, da ciò facendone derivare la qualità di condòmino del YYYYY, posto che l’utilizzo può essere frutto dell’autonomia privata a titolo, per esempio, di servitù.
Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, la questione della titolarità comune di una porzione dell’edificio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 cod. civ., non è stata oggetto di accertamento in fatto, anzi nel caso di specie è stata del tutto omessa dal giudice di seconde cure.
La pronuncia, pertanto, merita di essere cassata affinché il Tribunale di Siena, nella persona di diverso Giudice, accerti la sussistenza della titolarità comune di scala e androne e, quindi, il rapporto di accessorietà necessaria, strutturale e funzionale, che lega alcune parti comuni di corpi di fabbrica distinti (Cass. Sez. 2, n. 9976 del 2022; Cass. Sez. 2, n. 884 del 2018), al fine di poter attribuire al YYYYY la qualità di condòmino.
ORDINANZA
sul ricorso 35806-2018 proposto da:
YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Omissis;
– ricorrente –
contro
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 534/2018 del TRIBUNALE di SIENA,
depositata l’8/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere Omissis;
RILEVATO CHE:
1. Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. Omissis, il Giudice di Pace di Siena – su ricorso del Condominio XXXXX – ingiungeva a YYYYY di pagare la somma di €1.582,22, oltre interessi legali e spese di procedura, dovuta al condominio ricorrente a titolo di saldo per la gestione condominiale ordinaria.
1.1. YYYYY proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo contestando, innanzitutto, la propria natura di condòmino e, nel merito, la legittimità dei calcoli alla base dell’ingiunzione di pagamento, in quanto la ripartizione delle voci di spesa a bilancio non avrebbe seguito il criterio di ripartizione di cui all’art. 1123 cod. civ., bensì quello della divisione in parti uguali.
1.2. Il Giudice di Pace di Siena rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.
2. YYYYY impugnava dinanzi al Tribunale di Siena la pronuncia del Giudice di Pace, reiterando in appello la sua carenza di legittimazione passiva, nonché la nullità della delibera condominiale, presupposto per l’emissione del decreto ingiuntivo.
2.1. Con sentenza n. 534/2018 qui impugnata, il Tribunale adìto rigettava l’appello. A sostegno della sua decisione osservava il giudice che:
– trattandosi di decreto ingiuntivo emesso sulla base di delibera assembleare ancora efficace al momento della decisione appellata, resta escluso che possa essere sollevata qualsivoglia questione attinente alla validità della delibera nell’ambito dell’eventuale opposizione al provvedimento monitorio, non essendo utile distinguere tra i vizi di annullabilità e di nullità che la potrebbero affliggere; – anche alla luce dei principi resi dalla Corte Suprema di legittimità (v. in particolare Cass. Sez. U., n. 4672 del 23.02.2017) viene in rilievo come il legislatore abbia voluto garantire l’interesse della collettività condominiale considerato prevalente, stabilendo ex art. 1130 cod. civ. e art. 63 disp. att. cod. civ., comma 1, anche in relazione agli artt. 633, 634 cod. proc. civ., il carattere dell’immediata esecutività del decreto ingiuntivo. D’altra parte, è significativo che comunque il legislatore non abbia lasciato il singolo condòmino del tutto privo di tutela, dacché ha attribuito al giudice dell’impugnazione della deliberazione il potere di sospendere l’esecutività della stessa.
3. La pronuncia veniva impugnata dal YYYYY per la sua cassazione, affidando il ricorso a due motivi.
Si difendeva il Condominio XXXXX depositando controricorso.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – nullità della sentenza per omesso esame di un motivo d’appello, anche in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia su un espresso motivo di gravame con il quale l’allora appellante aveva censurato la decisione del Giudice di Pace in ordine alla sua qualità di condòmino, chiedendo al giudice di secondo grado di pronunciarsi sull’eccepita carenza di legittimazione passiva e sulla sua qualifica di condòmino del fabbricato di via Omissis. Già in sede di opposizione al decreto ingiuntivo il YYYYY riferiva di utilizzare soltanto una scala del Condominio XXXXX, per raggiungere l’unità abitativa di sua proprietà sita nel condominio di via Omissis. La mancanza di proprietà appartenente al YYYYY nel condominio di via Omissis, fa venire meno l’unico criterio in base al quale l’odierno ricorrente possa essere definito condòmino.
1.1. Preliminarmente, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal Condominio XXXXX, nel controricorso. La prima inerente al mancato rispetto dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ. (difetto di specificità e autosufficienza): nel caso in esame, come emerge dagli atti del giudizio di merito, cui la Corte accede direttamente in ragione della natura processuale del vizio dedotto, il ricorrente aveva effettivamente contestato in appello la sua legittimazione passiva, dettagliandone le motivazioni (v. Atto di citazione in appello, pp. 5-9).
1.2. Parimenti priva di pregio è la seconda eccezione di inammissibilità, sollevata con riferimento ad entrambi i motivi del ricorso, per doppia conforme, posto che in nessuno dei due motivi si fa riferimento al n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.
1.3. Tanto premesso, il motivo è fondato. L’uso di una parte dell’edificio del Condominio XXXXX (nel caso di specie: androne e scale), non è di per sé sufficiente ad ammetterne la comproprietà, da ciò facendone derivare la qualità di condòmino del YYYYY, posto che l’utilizzo può essere frutto dell’autonomia privata a titolo, per esempio, di servitù. Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, la questione della titolarità comune di una porzione dell’edificio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 cod. civ., non è stata oggetto di accertamento in fatto, anzi nel caso di specie è stata del tutto omessa dal giudice di seconde cure.
1.4. La pronuncia, pertanto, merita di essere cassata affinché il Tribunale di Siena, nella persona di diverso Giudice, accerti la sussistenza della titolarità comune di scala e androne e, quindi, il rapporto di accessorietà necessaria, strutturale e funzionale, che lega alcune parti comuni di corpi di fabbrica distinti (Cass. Sez. 2, n. 9976 del 2022; Cass. Sez. 2, n. 884 del 2018), al fine di poter attribuire al YYYYY la qualità di condòmino.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1123, 1135, 1136, 1137, e 1421 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., nonché dell’art. 132, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Il ricorrente censura la sentenza del Tribunale di Siena nella parte in cui non ha ritenuto utile distinguere tra i vizi di annullabilità e di nullità che potrebbero affliggere la delibera.
Orbene, nella ricostruzione del ricorrente, se la delibera presupposta fosse affetta da nullità ne sarebbero derivate conseguenze ben diverse: come, infatti, prospettato dalla Corte Suprema (Cass. n. 16389 del 21.06.2018) il limite della rilevabilità anche d’ufficio dell’invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità. Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto determinare se la delibera di cui si discute, costituente presupposto della domanda monitoria, fosse o meno affetta da nullità.
2.1. Avendo il Collegio accolto il primo motivo il secondo deve ritenersi assorbito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso;
dichiara assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Siena in persona di diverso Magistrato, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 giugno 2023. [...]
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19 Giugno 2023Sentenze CiviliArt. 1123 c.c. – Modifica criteri di ripartizione spese – Facta concludentia
Esso non coglie la ratio decidendi, che è fondamentalmente la seguente: l’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie non solo alla conservazione, ma anche al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio (art. 1123 co. 1 c.c.). Ne segue che la semplice circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio, poiché il condomino non è titolare di una pretesa a una prestazione sinallagmatica nei confronti del condominio e quindi non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (cfr. per tutte Cass. SU 10492/1996, richiamata espressamente dalla sentenza, p. 14), essendo ben altri gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per reagire all’inerzia manutentiva del condominio (in questo senso, cfr. anche le osservazioni del P.M.).
La Corte di appello ben richiede l’unanimità dei consensi per l’accordo derogatorio delle regole legislative di ripartizione delle spese e ben invoca a tale proposito Cass. 7884/1991. Secondo tale pronuncia, la disciplina della ripartizione delle spese condominiali può essere modificata da una nuova convenzione, la quale richiede il consenso di tutti i condomini, che può essere espresso anche per facta concludentia, consistenti in un comportamento dal quale possa inequivocabilmente desumersi, alla stregua del senso comune, una volontà determinata, indirizzata ad uno specifico contenuto. Assume in questo contesto un carattere persuasivo anche il caso di specie sotteso a Cass. 7884/1991.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis proposto da:
YYYYY, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Omissis;
-ricorrente
contro
Supercondominio XXXXX , rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Omissis;
-controricorrente
nonché
TTTTT;
-intimata
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BARI n. 917/2017 depositata il 13/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/05/2023 dal consigliere Omissis.
Lette le osservazioni del P.M., nella persona del sostituto procuratore generale, Omissis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Nel 2000 YYYYY e TTTTT, separatamente, adivano il Tribunale di Trani (Sezione distaccata di Molfetta), per l’annullamento della delibera condominiale del 2000 con cui il Supercondominio XXXXX aveva «revocato» un’esenzione dalle spese di esercizio e di consumo accordata di fatto a taluni condomini distaccatisi dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
Antefatti: nel 1989, due dei condomìni avevano proposto la cessazione del servizio centralizzato di riscaldamento entro il 1992, senza prospettare le modalità di trasformazione in impianti unifamiliari. Nel 1991 uno dei due condomìni deliberava di compiere il distacco entro qualche mese. Viceversa, nel 1992 il Supercondominio decideva di proseguire nell’utilizzazione dell’impianto esistente. Nel 1993 i tre amministratori dei condomìni concordavano di negare distacchi unilaterali intimando a chi si era già distaccato di riprendere a pagare interamente le quote per le spese del riscaldamento centralizzato. Seguono circa sette anni in cui tale intimazione non riceve seguito (nei confronti degli attori), finché nel 2000, con la delibera impugnata, l’assemblea del Supercondominio decideva di non agire per il saldo delle spese pregresse, ma si determinava a non tollerare più in futuro esenzioni da parte dei condomini nel frattempo distaccatisi.
In primo e in secondo grado le domande attoree venivano rigettate.
Su ricorso in cassazione di YYYYY, Cass. 8727/2014 annullava la sentenza di appello sotto il profilo dell’omesso rilievo del litisconsorzio necessario processuale in relazione ad TTTTT che non aveva partecipato al giudizio di appello, mentre dichiarava assorbito il secondo motivo di ricorso con il quale YYYYY denunciava la violazione dell’art. 1123 co. 2 e 3 c.c. Riassunto il processo in sede di rinvio, la Corte di appello rigettava l’appello e confermava di nuovo la pronuncia di primo grado di rigetto dell’impugnazione della delibera condominiale.
Ricorre in cassazione YYYYY con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste il Supercondominio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – In seguito alla l. n. 220/2012, il tema al centro del presente ricorso (il distacco di singoli condomini dall’impianto centralizzato di riscaldamento) riceve una distinta disciplina nell’art. 1118 co. 4 c.c., che però non si applica ratione temporis alla presente controversia, in quanto instaurata anteriormente.
2. – Con il primo motivo si denuncia che il Supercondominio abbia errato nel ripartire le spese del riscaldamento centralizzato, che serve i singoli condomini in maniera diversa, cosicché le spese sono da ripartire in proporzione dell’uso che ciascun condomino può farne (si denuncia violazione dell’art. 1123 co. 2 e 3 c.c.). Inoltre, si censura che, al fine di rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e di usufruire di un corrispondente sgravio di spese, il ricorrente sia stato gravato dell’onere di provare – attraverso informazione preventiva corredata da documentazione tecnica – che dal suo distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato non derivino notevoli squilibri o aggravi di spesa per gli altri condomini. Infatti, il criterio legale di ripartizione delle spese si fonda sul beneficio che dalle cose comuni può derivare ad ogni condomino, quando esse sono destinate a servire in maniera diversa, ossia è basato sulla proporzione dell’uso che ciascuno è posto in grado di fare. Ciò al fine di evitare l’indebito arricchimento dei condomini che beneficiano della cosa comune e vedano poi le spese ripartite anche a carico dei condomini che non ne possano usufruire.
Nel caso di specie, è da tenere conto che il ricorrente, abitante all’ultimo piano dell’edificio, non poteva più usare il servizio di riscaldamento centralizzato a causa della corrosione delle diramazioni terminali. Infine, si censura che la Corte di appello, pur accertando che è possibile un’opera di risanamento, non abbia rilevato la mancata previsione nella delibera impugnata di un intervento di riparazione del servizio di riscaldamento, affinché tutti i condomini potessero trarne identicamente beneficio.
Il primo motivo è inammissibile.
Esso non coglie la ratio decidendi, che è fondamentalmente la seguente: l’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie non solo alla conservazione, ma anche al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio (art. 1123 co. 1 c.c.). Ne segue che la semplice circostanza che l’impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio, poiché il condomino non è titolare di una pretesa a una prestazione sinallagmatica nei confronti del condominio e quindi non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (cfr. per tutte Cass. SU 10492/1996, richiamata espressamente dalla sentenza, p. 14), essendo ben altri gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per reagire all’inerzia manutentiva del condominio (in questo senso, cfr. anche le osservazioni del P.M.).
A ciò si aggiunge che nel caso di specie «la prova orale non ha confermato la situazione d’irreversibile degrado che a dire del YYYYY l’aveva indotto a distaccarsi dall’impianto centralizzato. Invero nella comunicazione del 22/06/1991 egli ha denunciato solo la difettosità degli sfiatatoi dell’impianto. Le testimonianze hanno fatto riferimento esclusivamente a fenomeni di corrosione e ruggine, ma non emerge affatto che fosse impossibile un’agevole opera di risanamento» (p. 14). Inoltre, prosegue la Corte, non vi è prova di insufficienza del potere di riscaldamento. Viceversa, i passi della sentenza aggrediti dal
ricorrente costituiscono mere argomentazioni di rincalzo (che indubbiamente avrebbero trovato una collocazione migliore alla fine della motivazione).
In conclusione, il primo motivo è inammissibile.
3. – Con il secondo motivo si denuncia che la Corte di appello abbia errato nell’interpretare l’accordo intervenuto di fatto tra le parti sul distacco dal riscaldamento centralizzato dopo le deliberazioni dei singoli condomìni e la mancata realizzazione degli interventi di manutenzione sulle diramazioni terminali (si deduce violazione degli artt. 1322, 1362, 1366 c.c.). Si censura che la controversia sia stata inquadrata invece nell’ambito della disciplina ex l. 10/1991 (sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili) concernente le maggioranze assembleari necessarie per l’installazione degli impianti unifamiliari, omettendo di rilevare che i condomìni avevano tollerato per sette anni il mancato pagamento da parte degli attori delle spese relative all’uso del riscaldamento centralizzato per poi asserire contraddittoriamente che non avevano avuto consapevolezza dell’intervenuta adozione di criteri diversi. Si era così perfezionato per fatti concludenti un accordo di scambio tra il mancato intervento di manutenzione e il mancato risarcimento dei danni all’appartamento, da un lato, e, dall’altro lato, la concessione del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato (ne sarebbe un indizio anche il termine «revoca» impiegato nella delibera impugnata).
Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello ben richiede l’unanimità dei consensi per l’accordo derogatorio delle regole legislative di ripartizione delle spese e ben invoca a tale proposito Cass. 7884/1991. Secondo tale pronuncia, la disciplina della ripartizione delle spese condominiali può essere modificata da una nuova convenzione, la quale richiede il consenso di tutti i condomini, che può essere espresso anche per facta concludentia, consistenti in un comportamento dal quale possa inequivocabilmente desumersi, alla stregua del senso comune, una volontà determinata, indirizzata ad uno specifico contenuto. Assume in questo contesto un carattere persuasivo anche il caso di specie sotteso a Cass. 7884/1991.
Si trattava di un’applicazione di mutati criteri di ripartizione delle spese condominiali, distesasi lungo un arco di tempo pluriennale, in cui non si è ravvisata la consapevolezza del mutamento dei criteri e delle relative tabelle millesimali, cosicché si è esclusa la formazione di un nuovo accordo per fatti concludenti.
A completamento dell’argomentazione, la Corte di appello di Bari osserva che le delibere programmatiche relative alla cessazione del riscaldamento centralizzato non costituiscono prova della consapevolezza da parte dei condomini del distacco dal riscaldamento centralizzato operato da YYYYY né indice inequivoco della loro volontà di mutare
la ripartizione delle spese di gestione.
In conclusione, essendo la statuizione della Corte territoriale conforme a diritto, il secondo motivo è rigettato.
4. – Con il terzo motivo si denuncia che la Corte di appello abbia violato l’art. 1136 c.c., sul quorum per la validità delle deliberazioni, con riferimento alla decisione adottata nel 1993 dagli amministratori responsabili dei tre plessi condominiali di negare distacchi unilaterali e di riservarsi di agire nei confronti di chi si era già distaccato.
Anche questo motivo è infondato.
Il ricorrente mostra di fraintendere un passo di Cass. 8727/2014, poiché attribuisce alla predetta pronuncia di cassazione con rinvio già intervenuta nel presente giudizio una statuizione di erroneità del mancato rilievo dell’accordo per fatti concludenti tra YYYYY e il Condominio, laddove invece la Corte aveva semplicemente riferito un’affermazione del ricorrente nell’esporre il secondo motivo di ricorso (poi assorbito).
Dal chiarimento dell’equivoco segue che le indicazioni di Cass. 8727/2014 non sono state affatto disattese dalla Corte di appello. Inoltre e infine, la decisione adottata nel 1993 dai responsabili dei plessi condominiali è semplicemente esecutiva della delibera del 1992 con cui il Supercondominio si era determinato a continuare a usare l’impianto di riscaldamento centralizzato. Fuori luogo è l’invocazione della necessità di una delibera condominiale.
In conclusione, il terzo motivo è rigettato e, con esso, è rigettato il ricorso nel suo complesso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater d.p.r. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in € 4.000, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente, di un’ulteriore somma pari al contributo unificato previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/05/2023 [...]
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18 Giugno 2023Sentenze CiviliDelibera assembleare – Nullità – Parcheggi – Posti auto
I giudici di merito hanno infatti correttamente accertato la nullità della delibera condominiale in oggetto (della quale i ricorrenti riportano un estratto alle pagg. 6 e 7). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare e assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di uno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle” (così Cass. n. 8014/2018, v. anche Cass. n. 20612/2017 e Cass., sez. un., n. 4806). L’assemblea del Condominio, nel deliberare “l’assenza del sesto posto auto” e nel dare incarico a un avvocato di compiere accertamenti, ha adottato una delibera volta alla predeterminazione e assegnazione delle aree destinate al parcheggio, incidendo sul diritto individuale di uno dei condomini, e ha così ecceduto dalle proprie attribuzioni, con conseguente nullità della delibera. Al riguardo non assume rilievo la circostanza che il condomino il cui diritto individuale è stato inciso sia divenuto proprietario dell’appartamento per successione dell’impresa che ha costruito il fabbricato condominiale, avendo la società DDDDD il diritto di godere della cosa comune al pari degli altri. Quanto all’ultimo profilo censurato, ossia il mancato esercizio da parte del giudice d’appello del potere di disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio, va rilevato che si tratta di un potere discrezionale (v. Cass. 5339/2015) e che la Corte d’appello ha ampiamente argomentato il rigetto delle critiche mosse dall’appellante all’operato del consulente di primo grado.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
OOOOO, elettivamente domiciliati in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentati e difesi dall’avvocato OOOOO; -ricorrenti- contro
DDDDD, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 173/2017, depositata il 20/02/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2023 dal Consigliere Omissis.
PREMESSO CHE
1. Con la sentenza n. 1601/2008 il Tribunale di Salerno ha accolto le domande proposte dalla società DDDDD proprietaria di un appartamento del Condominio di Via Omissis, domande proposte nei confronti del Condominio e di altri tre condomini (Omissis, OOOOO ) e ha invece rigettato la domanda riconvenzionale di Omissis. La società attrice aveva chiesto al Tribunale di dichiarare la nullità della deliberazione assembleare del 2 luglio 1998, con cui era stato negato all’attrice l’uso a titolo di parcheggio dell’area a ciò riservata, e quindi di accertare il proprio diritto al godimento dell’area condominiale adibita a posti macchina. Omissis aveva invece domandato, in via riconvenzionale, la “ripetizione di quanto versato in rapporto all’acquisto dell’area garage per la riduzione che per effetto di causa dovesse subire”.
La sentenza è stata impugnata da Omissis (poi deceduto nel corso del giudizio di secondo grado). Riassunto il processo dagli eredi di Omissis, la causa è stata decisa dalla Corte d’appello di Salerno che, con la sentenza n. 173/2017, ha rigettato l’impugnazione.
Ricorrono per cassazione OOOOO, DDDDD, in proprio e quali eredi di Omissis.
Resiste con controricorso Omissis, in proprio e quale ex socio della cessata società DDDDD Il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi:
1. il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e 1137 c.c., travisamento degli atti di causa su punti fondamentali, motivazione errata e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio”; l’assemblea condominiale non ha mai limitato il diritto della società attrice sulla presunta cosa comune, come non ha mai fatto ricorso al valore degli appartamenti per stabilire il criterio d’uso dell’area destinata a parcheggio;
2. il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’art. 41-sexies legge 1150/1942, introdotto dall’art. 18 legge 765/1967, travisamento degli atti di causa su punti fondamentali, motivazione errata e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio”; la sentenza impugnata trascura una circostanza di fatto, che caratterizza il caso in esame, ossia la perfetta coincidenza tra chi lamenta la lesione del proprio diritto d’uso dell’area destinata a parcheggio e chi, per sua esclusiva responsabilità, tale diritto ha leso; il fabbricato è infatti stato realizzato dalla ditta individuale DDDDD, il cui patrimonio aziendale è confluito nella impresa DDDDD ed è stato proprio l’originario costruttore-venditore che, prima di procedere alla vendita degli appartamenti, non ha destinato a parcheggio l’intera area, ma ha ridotto tale spazio rendendolo insufficiente a soddisfare le esigenze di sosta di tutti i condomini, d’altro canto rinunciando – come si evince dagli atti di compravendita – a qualsiasi pretesa sulla zona destinata alla sosta dei veicoli; la decisione impugnata va poi criticata anche nella parte in cui non ha ritenuto necessario disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio finalizzata ad accertare se nell’edificio condominiale e nelle sue pertinenza esistano ulteriori spazi di parcheggio da far rientrare nella previsione di cui alla legge 1150/1942.
I motivi non possono essere accolti. I giudici di merito hanno infatti correttamente accertato la nullità della delibera condominiale in oggetto (della quale i ricorrenti riportano un estratto alle pagg. 6 e 7). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare e assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di uno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle” (così Cass. n. 8014/2018, v. anche Cass. n. 20612/2017 e Cass., sez. un., n. 4806). L’assemblea del Condominio, nel deliberare “l’assenza del sesto posto auto” e nel dare incarico a un avvocato di compiere accertamenti, ha adottato una delibera volta alla predeterminazione e assegnazione delle aree destinate al parcheggio, incidendo sul diritto individuale di uno dei condomini, e ha così ecceduto dalle proprie attribuzioni, con conseguente nullità della delibera. Al riguardo non assume rilievo la circostanza che il condomino il cui diritto individuale è stato inciso sia divenuto proprietario dell’appartamento per successione dell’impresa che ha costruito il fabbricato condominiale, avendo la società DDDDD. il diritto di godere della cosa comune al pari degli altri. Quanto all’ultimo profilo censurato, ossia il mancato esercizio da parte del giudice d’appello del potere di disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio, va rilevato che si tratta di un potere discrezionale (v. Cass. 5339/2015) e che la Corte d’appello ha ampiamente argomentato il rigetto delle critiche mosse dall’appellante all’operato del consulente di primo grado.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-bis del d.p.r. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione [...]
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14 Giugno 2023Sentenze CiviliMediazione – Condizione di procedibilità – Partecipazione Formale – Partecipazione sostanziale
La giurisprudenza di legittimità, peraltro invocata anche da parte attrice, ha più volte ritenuto che “Nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in l. n. 98 del 2013), è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste. La condizione di procedibilità può ritenersi, inoltre, realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto improcedibile, ai soli fini della soccombenza virtuale, l’azione di risoluzione del contratto di locazione rinunciata dalla parte, in quanto le parti non erano mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tenuto conto che, per un verso, la procura speciale notarile rilasciata dalla parte al proprio difensore e autenticata da quest’ultimo, era in realtà una semplice procura alle liti e che, per l’altro, non era stato neppure redatto un verbale negativo)” (Cass. n. 8473/2019; nello stesso senso, da ultimo, Cass. n. 13029/2022).
Nel caso che ci occupa la mediatrice, all’incontro del 17 gennaio 2023, ha dato atto che nonostante più rinvii della prima seduta a causa delle condizioni di salute di YYYYY, non era stato possibile comprendere se la medesima fosse o meno disponibile alla mediazione e pertanto non ha concesso l’ulteriore rinvio domandato dal suo legale e ha dato atto dell’impossibilità di procedere alla mediazione.
Alla luce della stessa ricostruzione dei fatti esposta da parte attrice nei propri atti e pur volendo tenere anche conto delle condizioni di salute dell’attrice esposte negli atti della medesima e risultanti dai documenti depositati, si deve senza dubbio concludere che YYYYY abbia tenuto, durante la mediazione, seppure da lei promossa, un comportamento gravemente ostativo al regolare svolgimento della procedura, con la conseguenza che la decisione della mediatrice di dichiarare impossibile la mediazione risulta corretta.
Infatti l’attrice ammette nei propri atti di aver, attraverso il proprio difensore, chiesto ben tre rinvii degli incontri, che erano stati appositamente fissati e ai quali risulta aver partecipato, oltre alla mediatrice e al difensore dell’attrice, l’amministratore del condominio con il proprio difensore (v. pag. 5 e 6 della comparsa conclusionale). Conferma altresì che, come riportato nel verbale conclusivo del procedimento, i rinvii erano stati motivati da ragioni di salute della stessa attrice a fronte della presentazione di certificati medici. Non contesta, infine, che nessuno dei certificati indicasse una prognosi temporale per la fine della malattia accertata (come attestato dalla mediatrice nel verbale conclusivo). Del resto anche i certificati medici depositati in questa causa e le ragioni esposte a giustificazione delle richieste di rinvio attestano patologie croniche, che possono comportare un’effettiva difficoltà ad affrontare situazioni stressanti come potrebbe essere una seduta di mediazione, ma se tali patologie, come afferma l’attrice, devono ritenersi ostative alla partecipazione al procedimento, l’attrice stessa avrebbe dovuto conferire una procura speciale affinché il procuratore partecipasse direttamente alle sedute; la continua richiesta di rinvii in attesa di un momento, del tutto indefinito e aleatorio, in cui l’attrice potesse raggiungere una condizione di benessere tale da partecipare alla mediazione contrastava invece con qualunque principio di celerità e di buon andamento della procedura, comportando un ingiustificato impegno sine die della mediatrice e della controparte, inutilmente tenuti a partecipare a sedute ogni volta rinviate per le medesime ragioni, senza alcuna seria prospettiva di giungere a un incontro effettivo.
Deve aggiungersi che il difensore dell’attrice aveva anche dato la propria disponibilità a recarsi al domicilio dell’attrice stessa per collegamenti da remoto, ma anche questa opportunità non è stata sfruttata dall’attrice medesima.
Peraltro, al fine del verificarsi della condizione di procedibilità, sarebbe stato sufficiente che l’attrice prendesse atto delle finalità e delle modalità della mediazione e dichiarasse di non voler proseguire, con minimo impegno fisico ed emotivo, tanto più se avesse voluto fare il collegamento da remoto.
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. Omissis R.G. promossa da
YYYYY, C.F. Omissis con il patrocinio dell’Avv. Omissis e con domicilio eletto in Omissis
ATTRICE
contro
Condominio XXXXX, C.F. Omissis, con il patrocinio dell’Avv. Omissis e con domicilio eletto in Omissis
CONVENUTO
CONCLUSIONI DI PARTE ATTRICE
“Voglia il Giudice adito Ill.mo del Tribunale di Pavia, disattesa ogni contraria istanza,
in via preliminare e pregiudiziale, dare atto che la condizione di procedibilità ex art. 5 D. Lgs. 28/2010 si è realizzata e pertanto dichiarare e/o statuire che la domanda giudiziale qui proposta è procedibile e concedere i termini ex art. 183, 6° comma, c.p.c.;
in via altrettanto preliminare e pregiudiziale, dare atto che parte attrice ha promosso tempestivamente la procedura di mediaconciliazione e pertanto l’attrice ha diritto di essere rimessa in termini per integrare, con procura speciale sostanziale, peraltro già conferita al legale nominato nella medesima, l’esperimento della procedura di mediazione, conclusa dal Mediatore nonostante la richiesta di rinvio motivata dalla parte invitante o, in difetto, concedere termine perché la predetta procedura venga rinnovata in toto, così come dispone l’art. 5 D. Lgs. 28/2010;
in via altrettanto preliminare e pregiudiziale, accertare e dichiarare l’incompatibilità del Dott. Omissis ad amministrare il Condominio XXXXX a nome e per conto della Società Omissis, di cui è socio accomandatario ed a cui viene riferita direttamente l’attività qui svolta dal medesimo e conseguentemente dichiarare e/o statuire la nullità della delibera impugnata, che risulta assunta in presenza e con l’ausilio di un amministratore in palese “conflitto di interessi” con il Condominio amministrato ed in violazione di una norma di legge;
nel merito, dichiarare e/o statuire la nullità e/o annullabilità della deliberazione assembleare impugnata dato che occorreva l’unanimità per modificare il criterio relativo alla misura delle spese dell’ascensore ai singoli condomini, quest’ultimo approvato all’unanimità nell’assemblea del 27.4.2016 e per l’effetto, dichiarare tenuto e conseguentemente condannare il Condominio XXXXX in persona del suo Amministratore pro tempore, C.F.: Omissis, ad applicare il criterio sino ad oggi usualmente adottato e confermato nell’assemblea condominiale del 27.4.2016nella ripartizione delle spese dell’ascensore ed a eseguire immediatamente il corrimano già preventivato, con vittoria delle spese e compensi del giudizio;
in via istruttoria, nella denegata ipotesi che la domanda giudiziale non sia ritenuta sufficientemente provata, ammettere prova per testi sui capitoli della narrativa di cui all’atto di citazione, che qui si intendono integralmente richiamati per motivi di brevità, preceduti dalla locuzione “Vero che”, con riserva di indicare nelle concedende successive memorie ex art. 183 c.p.c. i nominativi dei testi”.
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
Piaccia al Tribunale Ill.mo,
IN VIA PRELIMINARE E PREGIUDIZIALE
Dichiarare l’improcedibilità della domanda proposta dall’Avv. YYYYY nei confronti del Condominio XXXXX per mancato, regolare ed effettivo svolgimento della procedura di mediazione obbligatoria in materia di condominio degli edifici ai sensi dell’art. 5, co. 1 bis D.lgs. n. 28/2010.
NEL MERITO
Respingere le domande, eccezioni ed istanze tutte dell’avv. YYYYY nei confronti del Condominio XXXXX perché infondate in fatto ed in diritto.
Con riserva di altro dedurre e produrre nei prefiggendi termini di rito di cui sin d’ora si chiede la concessione nell’ipotesi in cui il Giudice ritenesse di disporre l’istruttoria della causa.
Con vittoria di spese e competenze di lite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La causa deve essere decisa senza la necessità di concedere i termini ex art. 183, VI comma c.p.c. (da intendersi nella formulazione applicabile a questo giudizio, antecedente alla c.d. “riforma Cartabia”) richiesti da parte attrice e, seppure in via subordinata, anche da parte convenuta. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, osservato che: “In forza del combinato disposto dell’art. 187, comma 1, c.p.c. e dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 di detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che, ogni diversa interpretazione delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il “favor” legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c.” (Cass. n. 4767/2016; nello stesso senso anche Cass. n. 7474/2017 e Cass. n. 8287/2017).
Nel caso che ci occupa parte convenuta ha eccepito l’improcedibilità della domanda di parte attrice per mancato svolgimento di un effettivo e regolare procedimento di mediazione obbligatoria; questa eccezione preliminare deve essere decisa senza attività istruttoria, in quanto è pacifico e risulta altresì dal verbale redatto dalla mediatrice, depositato da entrambe le parti (doc. 13 di parte attrice e doc. 22 di parte convenuta) quale sia stato l’andamento della procedura.
Va premesso che l’azione promossa da YYYYY riguarda l’impugnazione di una delibera condominiale e pertanto la mediazione è obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, del D. L.vo n.28/2010: l’effettivo svolgimento della procedura rappresenta quindi una condizione di procedibilità.
La giurisprudenza di legittimità, peraltro invocata anche da parte attrice, ha più volte ritenuto che “Nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in l. n. 98 del 2013), è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste. La condizione di procedibilità può ritenersi, inoltre, realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto improcedibile, ai soli fini della soccombenza virtuale, l’azione di risoluzione del contratto di locazione rinunciata dalla parte, in quanto le parti non erano mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tenuto conto che, per un verso, la procura speciale notarile rilasciata dalla parte al proprio difensore e autenticata da quest’ultimo, era in realtà una semplice procura alle liti e che, per l’altro, non era stato neppure redatto un verbale negativo)” (Cass. n. 8473/2019; nello stesso senso, da ultimo, Cass. n. 13029/2022).
Nel caso che ci occupa la mediatrice, all’incontro del 17 gennaio 2023, ha dato atto che nonostante più rinvii della prima seduta a causa delle condizioni di salute di YYYYY, non era stato possibile comprendere se la medesima fosse o meno disponibile alla mediazione e pertanto non ha concesso l’ulteriore rinvio domandato dal suo legale e ha dato atto dell’impossibilità di procedere alla mediazione.
Alla luce della stessa ricostruzione dei fatti esposta da parte attrice nei propri atti e pur volendo tenere anche conto delle condizioni di salute dell’attrice esposte negli atti della medesima e risultanti dai documenti depositati, si deve senza dubbio concludere che YYYYY abbia tenuto, durante la mediazione, seppure da lei promossa, un comportamento gravemente ostativo al regolare svolgimento della procedura, con la conseguenza che la decisione della mediatrice di dichiarare impossibile la mediazione risulta corretta.
Infatti l’attrice ammette nei propri atti di aver, attraverso il proprio difensore, chiesto ben tre rinvii degli incontri, che erano stati appositamente fissati e ai quali risulta aver partecipato, oltre alla mediatrice e al difensore dell’attrice, l’amministratore del condominio con il proprio difensore (v. pag. 5 e 6 della comparsa conclusionale). Conferma altresì che, come riportato nel verbale conclusivo del procedimento, i rinvii erano stati motivati da ragioni di salute della stessa attrice a fronte della presentazione di certificati medici. Non contesta, infine, che nessuno dei certificati indicasse una prognosi temporale per la fine della malattia accertata (come attestato dalla mediatrice nel verbale conclusivo). Del resto anche i certificati medici depositati in questa causa e le ragioni esposte a giustificazione delle richieste di rinvio attestano patologie croniche, che possono comportare un’effettiva difficoltà ad affrontare situazioni stressanti come potrebbe essere una seduta di mediazione, ma se tali patologie, come afferma l’attrice, devono ritenersi ostative alla partecipazione al procedimento, l’attrice stessa avrebbe dovuto conferire una procura speciale affinché il procuratore partecipasse direttamente alle sedute; la continua richiesta di rinvii in attesa di un momento, del tutto indefinito e aleatorio, in cui l’attrice potesse raggiungere una condizione di benessere tale da partecipare alla mediazione contrastava invece con qualunque principio di celerità e di buon andamento della procedura, comportando un ingiustificato impegno sine die della mediatrice e della controparte, inutilmente tenuti a partecipare a sedute ogni volta rinviate per le medesime ragioni, senza alcuna seria prospettiva di giungere a un incontro effettivo.
Deve aggiungersi che il difensore dell’attrice aveva anche dato la propria disponibilità a recarsi al domicilio dell’attrice stessa per collegamenti da remoto, ma anche questa opportunità non è stata sfruttata dall’attrice medesima.
Peraltro, al fine del verificarsi della condizione di procedibilità, sarebbe stato sufficiente che l’attrice prendesse atto delle finalità e delle modalità della mediazione e dichiarasse di non voler proseguire, con minimo impegno fisico ed emotivo, tanto più se avesse voluto fare il collegamento da remoto.
Neanche questa possibilità risulta essere stata vagliata e pertanto non può che concludersi che l’attrice, con comportamento gravemente censurabile e non improntato a buona fede, ha interposto ostacoli del tutto superabili allo svolgimento della mediazione, con la conseguenza che la condizione di procedibilità non risulta soddisfatta per ragioni a lei imputabili e le domande proposte devono, conseguentemente, essere dichiarate improcedibili.
Rispetto alle argomentazioni di parte attrice è opportuno osservare, infine, che la dichiarazione d’improcedibilità per le ragioni sin qui esposte non comporta alcuna violazione del diritto costituzionale di difesa: tale diritto è garantito nell’ambito delle norme che regolano il processo (comprese quelle sulle condizioni di procedibilità, già vagliate dalla Corte Costituzionale) e sarebbe bastato, come s’è visto, un comportamento di collaborazione da parte dell’attrice per il buon esito del procedimento di mediazione o, quanto meno, per l’inutile tentativo dopo l’avvio del procedimento, che viceversa non ha potuto avere inizio proprio per gli insuperabili ostacoli frapposti dall’attrice medesima.
Le spese di lite devono essere poste a carico di parte attrice secondo il criterio di soccombenza. Sono liquidate, in dispositivo, in conformità alla nota-spese depositata, che indica valori leggermente inferiori a quelli medi previsti nel tariffario professionale ed esclude la fase istruttoria e di trattazione.
PER QUESTI MOTIVI
il Tribunale di Pavia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa da YYYYY con atto di citazione notificato al Condominio XXXXX così decide:
1) dichiara improcedibili le domande proposte da parte attrice per mancato effettivo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria;
2) condanna YYYYY a rifondere al Condominio XXXXX le spese di lite, che liquida in € 3.300,00 per compensi, oltre I.V.A. e C.P.A. se e come dovuti per legge e rimborso per spese generali nella misura del 15 % dei compensi.
Così deciso il 12 giugno 2023 [...]
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14 Giugno 2023Sentenze CiviliContabilità condominiale – Intellegibilità – Art. 1123 c.c. – Criteri di ripartizione delle spese – Acqua
Come già ricordato nella sentenza gravata la Corte di Cassazione (454/2017; 9099/2000) precisa che: “La contabilità presentata dall’amministratore del condominio non è necessario che sia redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma deve essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione”.
Secondo la Corte di Cassazione (17557/2014): “In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”
S E N T E N Z A
nella causa civile n. Omissis R.G. promossa con atto di citazione notificato in data e posta in decisione all’udienza collegiale del 25/01/2023
da
YYYYY, rappresentato e difeso dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis presso il suo studio
APPELLANTE
c o n t r o
Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’avv. Omissis e dall’avv. Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis presso il loro studio
APPELLATO
In punto: appello a sentenza n. 528/2020 del Tribunale di Brescia terza sezione in
OGGETTO:
Comunione e Condominio, impugnazione di delibera assembleare – spese condom.
CONCLUSIONI
Dell’appellante: IN VIA PRINCIPALE:- dichiarare l’invalidità e comunque l’inefficacia delle delibere assembleari del 29 dicembre 2014 punti da 1 a 10, per i motivi indicati nell’atto di citazione e nelle memorie di causa; – per l’effetto, condannare il Condominio XXXXX, in persona del suo amministratore pro tempore, alla rifusione delle spese e competenze del primo e del secondo grado del giudizio, oltre alle spese generali del 15% e agli ulteriori oneri di legge ed occorrende successive; – di conseguenza condannare, altresì, il Condominio XXXXX in persona del suo amministratore pro tempore, alla restituzione delle somme pagate dal YYYYY (somma di € 10.835,57 data da: euro 8.770,82, oltre euro 2.064,75 di spese legali, pagati in data 18.12.2015), versate in esecuzione delle delibere assembleari impugnate per la parte che risulterà non dovuta, maggiorata dagli interessi ex art. 1284, penultimo comma, c.c.;- condannare, infine, il Condominio XXXXX in persona del suo amministratore pro tempore, a restituire a parte attrice l’importo di € 14.591,20, o nella maggior e minor misura, eventualmente versato in esecuzione della sentenza qui appellata, maggiorata dagli interessi ex art. 1284, penultimo comma, c.c.;
IN VIA ISTRUTTORIA: – si chiede l’ammissione delle prove indicate nelle memorie del 29 settembre 2015 e 19 ottobre 2015 e nell’eventualità che parte appellata richieda ed ot-tenga l’ammissione delle prove dedotte nella memoria 28 settembre 2015, si chiede l’ammissione della prova contraria, già richiesta in prime cure con memoria del 29 settembre 2015. – In particolare, si chiede ammettersi consulenza tecnica d’ufficio per verificare, acquisite le necessarie informazioni: – la rispondenza tra i rendiconti presentati ed approvati ai requisiti minimi previsti dalla legge, avuto riguardo alla documentazione dell’amministrazione dal 2005 al 2013 e dell’anno 2014 sino a 31 maggio 2014; – nonché per determinare la quota effettiva dei consumi di acqua ed energia elettrica a carico del YYYYY; – oltre, acquisite le dovute informazioni, anche presso la casa costruttrice “Omissis”, quale fosse l’effettivo consumo di energia elettrica del bruciatore a gasolio “OMISSIS” modello “OMISSIS” utilizzato dal YYYYY dal 2005 al 2013 e la relativa spesa annua di energia elettrica”.
Dell’appellato: In via principale e nel merito: Rigettare integralmente l’appello proposto dal YYYYY avverso la sentenza n. 528/2020 pubblicata dal Tribunale di Brescia in data 06.03.2020 e, per l’effetto, confermare la sentenza medesima, respingendo le istanze tutte dell’appellante perché infondate in fatto e diritto. In via istruttoria: Respingere le istanze istruttorie di controparte. In ogni caso: Spese ed onorari di causa rifusi, oltre IVA e CPA per legge
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato YYYYY conveniva in giudizio il Condominio XXXXX, chiedeva dichiararsi l’invalidità e /o l’inefficacia della delibera condominiale assunta in data 29/12/2014 (con la quale erano stati approvati i bilanci degli ultimi 10 anni) e stabilirsi gli importi effettivamente da lui dovuti come spese condominiali, con conseguente condanna del condominio al rimborso di quanto eventualmente pagato in eccesso.
Si costituiva il condominio che instava per il rigetto delle avverse domande.
La causa era istruita documentalmente.
Con la sentenza gravata il Tribunale rigettava le domande dell’attore con condanna dello stesso al rimborso delle spese di lite.
Il Tribunale, sull’eccepita non intellegibilità e assenza di requisiti minimi dei rendiconti, rilevava che le nuove regole ex art. 1130 c.c (in vigore dal giugno 2013) non riguardavano la quasi totalità dei 10 bilanci approvati (2005-2014), ma eventualmente solo l’ultimo; riteneva comunque intellegibili i medesimi (trattandosi di poche voci- spese generali, manutenzioni ordinarie e compenso amministratore), evidenziando che i condomini potevano altresì accedere alla visione della documentazione in possesso dell’amministratore.
Considerava tardive ed in contrasto con il regolare principio del contraddittorio le argomentazioni contenute nella memoria n. 3 ex art. 183 cpc e nella conclusionale. Rilevava che il consuntivo 2004 approvato all’assemblea del 06/05/2005 e la conseguente delibera non erano stati impugnati.
Sulle ulteriori eccezioni dedotte in citazione il giudice:
– riteneva irrilevanti, ai fini dell’approvazione dei bilanci, i punti a-b-c (ovvero sospensione servizio pulizie; degrado immobile; interventi dei condomini);
– riteneva generiche ed incomprensibili le censure dei punti e-f-g poichè le spese erano state ripartite secondo i millesimi di proprietà;
– inconferente la censura al punto h (spese corrente elettrica), dato che le stesse erano state ripartite, come sempre avvenuto nel corso degli anni: 75% a carico della centrale termica e 25% secondo i millesimi generali;
-infondato il punto i (spese estintore), dato che l’estintore era destinato in via esclusiva al locale centrale termica in comodato all’attore, pertanto, in base al principio dell’uso del bene comune, le spese erano a lui addebitali; ciò fino al 2014 quando l’assemblea aveva deciso di installarne uno in diversa posizione a vantaggio di tutti i condomini con ripartizione delle spese proporzionalmente a carico di tutti i proprietari;
– non condivisibile il Punto J (spese acqua potabile), considerato che le spese dell’acqua (per il periodo decennale dei bilanci) erano state correttamente ripartite in base ai millesimi, non potendosi fare ricorso alle letture dei contatori a causa del fatto che diversi apparati non risultavano funzionanti;
-ugualmente infondato il Punto K (spese spurgo), poiché le spese, rientranti tra i servizi di cui all’art. 1123 comma 1 c.c, erano state correttamente ripartite secondo i millesimi, secondo quanto sottolineato dalla Core di Cassazione (17557/2014);
-lo stesso dicasi per il punto l (spese centrale termica) correttamente calcolati in base ai millesimi;
-inconsistenti le censure ai Punti m-n (spese corrente elettrica) relative ad una diversa tabella millesimale conseguente al distacco di tutti i condomini dall’impianto centralizzato ed all’installazione di un faro condominiale e di un ascensore ad uso esclusivo dell’ultimo piano, dato che l’ascensore in uso ai condomini del 5° piano è collegato al loro contatore, mentre il faro illumina aree comuni;
-I Punti r-s-t-u infondati per quanto già argomentato in ordine alla intellegibilità dei bilanci.
Il Tribunale non ravvisava poi alcun eccesso di potere da parte dell’assemblea nell’approvazione dei bilanci non riscontrando in essi alcuna anomalia ed una sostanziale conformità alla realtà condominiale ed alle modalità di riparto già utilizzate in precedenza.
Infine sulla pretesa invalidità dell’approvazione delle ripartizioni in quanto non indicate all’ordine del giorno, il giudice di primo grado la considerava infondata stante il fatto che tutti i punti elencati presentavano la dicitura “Analisi ed approvazione rendiconto di gestione amministratore Omissis anno …” ed erano accompagnati dal bilancio consuntivo e dal relativo riparto.
Avverso la citata sentenza YYYYY proponeva appello con atto di citazione notificato in data 11.06.2020, reiterando le domande già svolte in primo grado.
Si costituiva il Condomino che instava per il rigetto dell’appello e per la conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 25/01/2023 la causa era trattenuta in decisione con assegnazione alle parti dei termini per il deposito delle memorie conclusive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va in primis ricordato che l’assemblea condominiale, con delibera del 20.11.2014, aveva approvato contestualmente i bilanci condominiali delle annualità dal 2005 al 2014 (stante l’inattività del precedente amministratore che in precedenza non aveva assolto tali incombenti); la delibera veniva impugnata da YYYYY (proprietario di più unità).
In pendenza del processo l’assemblea condominiale, approvava nuovamente i medesimi bilanci con delibera del 29/12/2014.
L’impugnativa era rigettata per cessazione della materia del contendere e la sentenza (n. 790/16), veniva impugnata da YYYYY in punto di spese di lite.
La Corte d’Appello rigettava il gravame con sentenza n. 4/2019 che era impugnata dal condomino per revocazione, ex art. ex art. 395 n. 4, c.p.c.; il procedimento si concludeva con il rigetto delle domande di YYYYY.
La presente causa verte sulla impugnazione della delibera condominiale del 29/12/2014.
Rendiconti annuali (Motivi da 1 a 5)
Con il primo motivo d’appello YYYYY censura la sentenza per avere il primo giudice posto a fondamento della decisione una prova atipica inammissibile e, segnatamente, la sentenza pronunciata sulla sentenza non definitiva della Corte d’appello di Brescia n. 04/2019 intervenuta tra le stesse parti (su bilanci in parte diversi) e comunque mai depositata in giudizio.
Con il secondo motivo critica la sentenza laddove il giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto prodotta in giudizio la contabilità condominiale.
L’appellante in particolare eccepisce che non è stata tenuta e prodotta una contabilità condominiale (per i bilanci anteriori alla riforma in vigore dal giugno 2013), né il registro della contabilità, previsto dal nuovo art. 1130 c.c (per il bilancio 2014), idoneo a rendere intellegibili le voci di entrata e di uscita verificatesi nell’anno.
Menziona la Ctu (dott Omissis), intervenuta in diverso procedimento (RG 6079/2017) tra altre parti (Condominio XXXXX e l’amministratore di cui si chiedeva la revoca), in cui si dava atto dell’assenza del riepilogo finanziario.
Con il terzo motivo censura la sentenza per omesso esame di un punto decisivo inerente la cassa negativa/anticipazioni dell’amministratore.
Sostiene che i rendiconti non sono supportati dalla prova dell’esistenza della tenuta di una contabilità condominiale, delle voci di entrata e di uscita, e sottolinea che, per ogni annualità, sono sconosciuti i saldi di cassa e di banca.
In particolare YYYYY ribadisce la sua contestazione del punto 10) della delibera impugnata con il quale, l’assemblea approvò (in assenza di uno specifico argomento all’O.d.G), la cassa negativa di euro 23.963,23 (quale credito dell’amministratore Omissis per anticipazioni sostenute), senza alcuna indicazione dei singoli importi, delle date e delle spese anticipate, lamentando che il giudice non abbia sul punto nulla argomentato. Sostiene che il credito dato da una cassa negativa deve essere provato dall’amministratore richiedente le somme anticipate nell’interesse del condominio e che l’accettazione della documentazione condominiale da parte del nuovo amministratore non costituisce prova idonea. Sottolinea di avere contestato le anticipazioni dell’amministratore, se pur genericamente, anche nella sua prima memoria istruttoria.
Con il quarto motivo ribadisce l’errata ricostruzione di fatti decisivi inerenti l’assenza di voci di entrata e di uscita e situazioni patrimoniali.
Rammenta che ex art. 1130 bis cc il rendiconto condominiale deve contener le voci di entrata e di uscita e la situazione patrimoniale e che la documentazione prodotta dal Condominio contiene, per la sola annualità 2014, la situazione patrimoniale, i flussi di cassa, il riepilogo finanziario ed il conto economico (doc. 6 fs cond.), tempestivamente contestati per gravi anomalie.
Viceversa i rendiconti annuali degli anni 2005-2013 sono composti solo da elenchi annuali di spese (doc. 11 cond.) e quindi, a suo avviso, non rispettano la nuova normativa ma nemmeno quella ante riforma, perché sono incompleti e non verificabili. Quelli degli anni 2013 e 2014 sono altresì incompleti in assenza del registro contabile e della nota esplicativa.
Ritiene che la comprensibilità di un elenco di spese non è sufficiente a rendere intellegibili, come ritenuto dal Tribunale, i bilanci in mancanza delle voci di entrata e di uscita e della situazione patrimoniale del condominio.
Ribadisce che l’unico criterio corretto è quello di cassa, mentre quello “misto” o “di contabilità” sono entrambi inammissibili, perché non consentono alcun tipo di controllo con le risultanze bancarie.
Con il quinto motivo l’appellante lamenta che il Tribunale non ha riscontrato l’assenza di prove su specifiche spese di manutenzione ed uscite considerate, dal giudicante, contestate tardivamente solo in comparsa conclusionale. Sostiene di avere contestato anche in citazione le spese di manutenzione, precisando che sono “prive di riscontri documentali” (punto 18) “non è dato conoscere né l’effettiva effettuazione né la misura: a titolo di esempio si indicano quelle di manutenzione di cui alle fatture Omissis, Omissis , Omissis (Punto S e pure Punti Q. R.); e così anche altre voci di uscita anno 2014 “spese condominiali ed uscite ignote ed incomprensibili (euro 492,41, euro 965,34, euro 36,30, euro 680,00) (Punto S), riportate nel prospetto “Flussi di cassa dal 1.1.2014 al 31.12.2014” (doc. 6 convenuta).
Ammette di aver elencato più dettagliatamente in conclusionale (pagg. 14-17) le numerose anomalie e discrepanze contabili, ma che tale illustrazione era finalizzata a contestare solo il criterio di redazione delle spese annuali, che non era né di cassa né di competenza, gli unici criteri, a suo dire, ammissibili, bensì “misto”.
Rileva di aver ricevuto i bilanci il 18.12.2014 ed il giorno prima, il 17.12.2014, la raccomandata da parte del precedente amministratore, con la quale veniva riferito che le pezze giustificative dei bilanci erano presso di lui, e non presso il nuovo amministratore Rag. Omissis. (doc. 12 attore), ciò gli avrebbe reso impossibile effettuare esami completi della documentazione.
I cinque motivi vanno valutati unitariamente vertendo tutti sulla pretesa non intellegibilità e completezza dei rendiconti annuali approvati e sulla loro non conformità alla normativa in materia.
Va in primis evidenziato che la legge 220/2012 di riforma del condominio va applicata alle sole gestioni iniziate dopo l’entrata in vigore della medesima (giugno 2013) e pertanto le prescrizioni in tema di redazione del rendiconto condominiale ex art. 1130 bis riguardano la gestione del 2014.
La delibera assembleare (29/12/2014) impugnata, come evidenziato, comprendeva l’approvazione di tutti i bilanci condominiali dal 2005 al 2014 (quest’ultimo poi solo parziale, stante l’intervenuto cambio dell’amministratore).
Come già ricordato nella sentenza gravata la Corte di Cassazione (454/2017; 9099/2000) precisa che: “La contabilità presentata dall’amministratore del condominio non è necessario che sia redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma deve essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione”.
La Corte ritiene che il requisito di intellegibilità del contenuto dei bilanci sia presente nei rendiconti, sia ante che post riforma, forniti ai condomini e poi approvati dall’assemblea.
Alla lettera del nuovo amministratore rag. Omissis di convocazione dell’assemblea del 29/12/2014 (docc. 4 fs YYYYY) veniva allegata la documentazione (redatta dal precedente amministratore Omissis) concernente le gestioni suddivise per singole annualità.
Ciascun rendiconto consta dell’elencazione di tutte le fatture di spese (suddivise per voci) con i relativi importi ed in calce del saldo della gestione corrente e di quella dell’esercizio precedente. A titolo esemplificativo la gestione 2005, in calce alle spese, presenta il saldo della gestione dell’anno (-6.812,91), il saldo (-19.373,59) della precedente gestione 2004 (già approvato), le rate incassate (19.808,48) e conseguentemente il saldo negativo finale di -6.378,00; importo quest’ultimo che risulta poi regolarmente riportato nel bilancio della gestione 2006 unitamente al saldo negativo (-9.764,44) per quell’annualità e così via per le successive gestioni.
La gestione 2014 riporta un saldo negativo, accumulatosi progressivamente dalle precedenti gestioni (-42.734,25), un saldo della gestione corrente (-528,71 parziale) e così un saldo totale di – 43.262,96.
Risultano ugualmente allegati, per singole annualità, i rendiconti con le ripartizioni suddivise pro quota (in base ai millesimi, salvo per le spese centrale termica di cui si dirà nel proseguo) per i singoli condomini; per quanto riguarda ancora il 2014 (in ossequio alla riforma) viene anche redatto ed allegato il conto economico, i flussi di cassa (entrate e uscite), la situazione patrimoniale (con indicazione delle attività e passività), il riepilogo finanziario (con i saldi iniziale e finale di conto corrente bancario, fondo di riserva e cassa).nonchè i movimenti del conto bancario e la nota esplicativa ( doc. 6-7 fs cond.).
Per quanto riguarda il criterio seguito per la redazione dei bilanci questo è necessariamente misto (di cassa e di competenza), dal momento che non vi sono stati regolari pagamenti da parte dei condomini. L’amministratore Omissis nella citata nota esplicativa (doc.7) evidenzia che i crediti verso i condomini nel periodo 2005-2014 ammontano ad € 43.262,96 (già dedotto il saldo delle rate dagli stessi versate nel 2005 per € 19.8080,48 e nell’anno 2013 per € 671,22), mentre le spese sono state correttamente riportate con la data delle corrispondenti fatture.
Risulta chiara quindi la contabilità condominiale inviata dall’amministratore in previsione della assemblea.
YYYYY lamenta di averne avuto copia solo al ricevimento della convocazione il 18/12/2014, ma il Condominio aveva già in precedenza approvato i bilanci all’assemblea del 20/11/2014 (da lui impugnata) ed è agli atti che l’amministratore Omissis inviava in data 28/11/2014 via pec (doc. 5 fs cond.) all’appellante il verbale di detta assemblea corredato di tutti i bilanci ed i riparti.
YYYYY poteva poi, come normativamente previsto, in ogni momento prendere visione dei documenti giustificativi delle spese (eventualmente estraendone copia a sue spese), ma non consta l’abbia fatto, nonostante l’appellante stesso tra l’altro abbia prodotto (doc. 16 fs YYYYY) la lettera inviata per conto del precedente amministratore Omissis che manifestava la sua disponibilità a fare visionare ai condomini le pezze giustificative.
Non può quindi che confermarsi quanto già correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, ovvero che era onere dell’appellante elencare e motivare dettagliatamente, già nell’atto introduttivo e comunque nei termini istruttori, le presunte anomalie e discrepanze dei bilanci che invero questi illustrava (come da lui ammesso) solo tardivamente in comparsa conclusionale.
Anche la censura (motivo tre) in merito alla cassa negativa di euro – 23.963,23 (punto 10 delibera) non è fondata, dal momento che tutti i punti all’O.d.g prevedevano già espressamente l’analisi e l’approvazione del rendiconto delle singole gestioni e la voce inerente al credito del precedente amministratore (per anticipazioni spese dei servizi erogati a favore del condominio-vd nota esplicativa doc. 7) era presente nel rendiconto ed era meglio illustrata anche nello stato patrimoniale.
Alla luce di quanto sopra i primi 5 motivi vanno rigettati.
Ripartizione delle spese (Motivi 6-7-8)
Con il sesto motivo YYYYY lamenta poi erroneità della sentenza laddove ritiene che gli siano state addebitate maggiori spese rispetto al dovuto (rappresentate nella terza colonna dei prospetti di ripartizione alla voce “manutenzioni ordinarie-centrale termica”), mentre le spese definite “manutenzioni ordinarie” nei bilanci approvati, avrebbero dovuto essere ripartite sulla base della tabella generale dei millesimi di proprietà.
Contesta l’affermazione del giudice di primo grado che considera le spese in oggetto (sulla base delle sole affermazioni della controparte) ripartite secondo tabelle millesimali già in uso e con le modalità di riparto già utilizzate nei precedenti bilanci, dal momento che il Condominio non ha depositato in giudizio i bilanci degli anni precedenti 2002-2004.
Evidenzia che la transazione sottoscritta in data 05/02/2005 così statuiva: “YYYYY assume ogni onere e responsabilità in relazione al funzionamento, consumi inclusi, della caldaia a gasolio, attualmente in uso, ed ogni spesa diretta per l’ordinaria e straordinaria manutenzione della stessa oggettivamente quantificabile.” (punto 4, doc 8 YYYYY).
Le spese per energia elettrica riguardavano prevalentemente l’illuminazione dell’atrio, delle scale e del cortile ed eventualmente solo una minima parte di tali spese poteva essere a lui addebitata in via esclusiva (sulla base delle caratteristiche del suo bruciatore a gasolio e per i mesi di funzionamento del medesimo).
Sottolinea che al contrario i consumi di energia elettrica sono stati ripartiti arbitrariamente e presuntivamente per il 75% a carico della centrale termica (da lui utilizzata in via esclusiva dopo il distacco degli altri condomini) e per il 25% secondo i millesimi generali, in base ad una tabella mai approvata convenzionalmente tra le parti e predisposta molti anni dopo.
Reitera inoltre la contestazione, già sollevata in citazione, per l’addebito a suo carico delle intere spese per l’estintore che era posto in prossimità del locale caldaia, ma che serviva anche la zona autorimessa (per cui vi era l’obbligo ai sensi D.M. 1.2.1986 punto 6.2), ribadendo che i costi andavano pertanto ripartiti secondo i millesimi di proprietà.
Con il settimo motivo censura ugualmente la sentenza laddove ha ritenuto corretta l’applicazione della tabella millesimale per i consumi dell’acqua anziché sulla base dei consumi dei contatori divisionali, dal momento che la maggior parte dei medesimi non risultava funzionante. Sostiene che quelli in sua dotazione erano funzionanti e sulla base di questi si sarebbe potuto fare un apposito conteggio.
Il sesto motivo va accolto nei limiti sotto indicati.
L’art. 1123 cc prevede che le spese condominiali vadano ripartite in base ai millesimi di proprietà, salva diversa convenzione e in proporzione all’uso di ciascuno, se servono in misura diversa.
Come confermato dal condominio i consumi di energia elettrica sono stati addebitati per il 75% a carico della centrale termica (utilizzata da YYYYY in via esclusiva dopo il distacco degli altri condomini) e per il 25% a carico dei condomini in base ai millesimi di proprietà. Il condominio ha depositato un prospetto di tabelle millesimali riferite alla centrale elettrica (doc. 10) ove sono rappresentati i millesimi di proprietà YYYYY (complessivamente pari a 212,749), ma non risulta provato che le parti avessero concordato il citato criterio per la ripartizione delle spese di energia.
La convenzione/transazione del 2005, sopra menzionata, prevedeva si che le spese tutte per la caldaia, ordinarie e non, fossero addebitate ad YYYYY, ma in quanto oggettivamente identificabili e non sulla base di presunzioni non documentate.
Il Condominio non ha provato poi che nelle gestioni precedenti (2001-2004) il criterio adottato fosse quello, dato che non ha depositato i bilanci relativi, ma unicamente un riepilogo generale della ripartizione delle quote al 31/12/2004 (doc.3), dal quale non si può desumere il principio poi applicato in seguito.
Le spese dell’estintore invece sono state correttamente addebitate interamente ad YYYYY, in quanto al servizio della centrale termica; questi si limita ad allegare che l’estintore, ai sensi di legge, era obbligatorio anche per le autorimesse, circostanza questa, che in assenza di altri elementi fattuali, non può dirsi provata, dal momento che le norme antincendio (D.M. 1.2.1986) prevedono dei distinguo (in base alla ubicazione e alla preesistenza delle autorimesse rispetto all’entrata in vigore del decreto).
Alla luce di ciò le sole spese dell’energia elettrica inserite (per la quota del 75%) nella terza colonna dei prospetti di ripartizione (denominata manutenzioni ordinarie-centrale termica) andranno ricalcolate in base ai millesimi di proprietà con condanna del condominio a restituire quanto eventualmente pagato in eccesso da YYYYY.
Il settimo motivo va rigettato.
Secondo la Corte di Cassazione (17557/2014): “In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”
La ripartizione quindi non può essere fatta, come suggerisce l’appellante, sulla base dei soli suoi contatori, ma giustamente sul criterio già individuato.
Con l’ottavo motivo l’appellante lamenta che il giudice abbia considerato tardiva la contestazione da lui già sollevata in citazione sull’erroneità dei saldi riportati in apertura nel consuntivo 2005 rispetto a quelli indicati nell’ultimo consuntivo (31/12/2004) approvato dall’assemblea.
La censura non coglie nel segno dato che il Tribunale ha motivato, sul punto, la sua decisione verificando (pag.7) che i saldi (- 1.172,80 e -2.555,62) al 31/12/2014 a carico di YYYYY, come riportati ed approvati dall’assemblea (doc. 3 fs cond.), risultano correttamente riportati nel consuntivo 2005 (come voce saldi di fine esercizio precedente).
Con il nono ed il decimo motivo l’appellante reitera le contestazioni già oggetto delle precedenti censure, ovvero la tardività dell’invio dei bilanci, l’incompletezza dei rendiconti (rappresentati da elenchi di entrate e uscite redatte secondo un criterio misto), la non conformità alla legge di riforma, la lesione del diritto di informazione sulla gestione condominiale, gli errati riparti e i maggior addebiti.
Tutte le censure sono già state considerate e valutate analizzando i precedenti motivi di appello.
Da ultimo con l’undicesimo motivo l’appellante lamenta erroneità dell’importo liquidato (€ 10.000) a favore del condominio quale rimborso delle spese di lite, ritenuto abnorme perché non parametrato né alle somme da lui richieste in restituzione, né allo scaglione fissato per il valore indeterminato.
Il motivo va ritenuto assorbito in considerazione del fatto che l’accoglimento, seppure parziale, del sesto motivo impone al giudice dell’appello anche ex officio di rideterminare le spese di entrambi i gradi.
Tuttavia l’esito complessivo del giudizio e l’accoglimento dell’appello limitatamente alle ripartizione delle sole spese dell’energia elettrica comporta la prevalenza della soccombenza a carico di YYYYY e la sua condanna al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi a favore del Condominio XXXXX alla cui liquidazione, di cui al dispositivo, si provvede in conformità ai criteri di cui alla tabella A approvata con DM n. 147/22 secondo i valori medi dello scaglione di riferimento (valore dichiarato indeterminabile)
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Brescia –Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’impugnazione avverso la sentenza n. 528/2020 del Tribunale di Brescia terza sezione in data 05/03/2020 così dispone:
rigetta la domanda di YYYYY di dichiarare l’invalidità e l’inefficacia delle delibere assembleari del 29 dicembre 2014 (punti da 1 a 10);
accoglie parzialmente il sesto motivo d’appello e conseguentemente dichiara che le sole spese dell’energia elettrica inserite (per la quota del 75%) nella terza colonna dei prospetti di ripartizione (denominata manutenzioni ordinarie-centrale termica)
andranno ricalcolate in base ai millesimi di proprietà con condanna del Condominio XXXXX a restituire quanto eventualmente pagato in eccesso da YYYYY in esecuzione delle medesime, oltre interessi legali dal versato al saldo;
conferma nel resto la sentenza impugnata;
condanna YYYYY a rimborsare al Condominio XXXXX le spese di lite del primo grado, che liquida in euro 1.620 per la “fase di studio”, euro 1.147 per “fase introduttiva”, euro 1.720 per la fase di trattazione ed euro 2.767 per la “fase decisionale”, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;
condanna YYYYY a rimborsare al Condominio XXXXX le spese di lite del presente grado, che liquida in euro 2.058 per la “fase di studio”, euro 1.418 per “fase introduttiva” ed euro 3.470 per la “fase decisionale”, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
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14 Giugno 2023Sentenze CiviliMediazione – Domanda di mediazione – Impugnazione delibera – Art. 1137 c.c. – Simmetria delle domande – Inammissibilità – Interruzione decadenza
Una domanda processuale diversa, che esuli, anche solo in parte, da quella prospettata in sede di mediazione, va quindi considerata una domanda nuova rispetto a quella passata per il filtro della mediazione ed in grado di superare, almeno in astratto, il giudizio sulla procedibilita`. Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum o, come nel caso di specie, della causa petendi, non puo` considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilita` della domanda. Orbene, se e` vero che per la mediazione ante causam e` sempre possibile sanare l’improcedibilita`, potendo il giudice demandare un nuovo esperimento della mediazione e, solo in caso di mancato (valido) esperimento di tale nuova mediazione, pronunciare l’improcedibilita` della domanda, e` anche vero che nel caso di impugnazione di delibera condominiale sussiste un termine di decadenza che viene interrotto (e non sospeso, come ormai chiarito dalla giurisprudenza anche di questo tribunale) dalla “comunicazione” (che puo` essere fatta sia dall’organismo di mediazione che direttamente dall’istante) della istanza di mediazione alla controparte una sola volta e che inizia a decorrere nuovamente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione. Tale effetto interruttivo, pero`, puo` essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all’istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell’istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, gia` dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito. Ed e` sempre in virtu` della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l’interruzione delle decadenze. Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell’impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una “istanza” che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l’istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte. Nel caso di specie l’istanza di mediazione versata in atti si presenta del tutto generica, non contiene alcun riferimento alle singole delibere impugnate ed ai vizi ad esse imputati; la domanda giudiziale, invece, contiene l’impugnativa di piu` deliberati (si tratta, infatti, di piu` delibere assunte su diversi ordini del giorno della stessa seduta) e l’esposizione, per ciascuna di essi, dei singoli vizi denunciati (contemplando, peraltro, in alcuni casi, anche censure che non si sostanziano, strictu sensu, in vizi di legittimita` delle delibere). Mancando la necessaria simmetria tra l’istanza di mediazione e la domanda giudiziale in concreto formulata, la mediazione non puo` ritenersi validamente svolta e, quindi, non impedita la decadenza dell’impugnazione ex art. 1137 c.c. (per cui sarebbe risultato inutile demandare alle parti una nuova mediazione che mai avrebbe potuto sanare la decadenza nella quale e` incorsa la parte attrice).”
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. Omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2021, vertente tra
YYYYY con l’avv. Omissis
e
Condominio XXXXX con l’avv. Omissis
MOTIVI DELLA DECISIONE
YYYYY – con atto di citazione notificato il 23.4.2021 – ha impugnato avanti a questo Tribunale le delibere adottate in sua assenza dal condominio convenuto nell’assemblea del 5.2.2021.
Ha dedotto – a sostegno – che tali delibere sono illegittime per le seguenti ragioni:
1) irrituale costituzione dell’assemblea – svoltasi da remoto in modalità videoconferenza – per omessa acquisizione preventiva del consenso da parte della maggioranza dei condomini ai sensi dell’art. 66, sesto comma, disp. att. cod. civ. (come integrato dalla L. 13.10.2020, n. 126 in sede di conversione del D. L. 14.8.2020, n. 104);
2) illegittima imputazione all’attore – nei riparti approvati afferenti ai consuntivi 2019 e 2020 – di spese individuali e di oneri condominiali già pagati afferenti a precedenti esercizi.
Ha pertanto concluso per la declaratoria di annullamento di tutte le delibere adottate in quell’assemblea.
Il condominio – nel costituirsi – ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità della domanda e ne ha comunque contestato – nel merito – la fondatezza.
All’esito delle memorie depositate dalle parti ex art. 183, sesto comma, c.p.c. – senza l’espletamento di attività istruttorie – la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 7.3.2023.
Il Tribunale – sulla base di tali premesse – osserva quanto segue.
Parte convenuta ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione – per decorso del termine ex art. 1137 cod. civ. – in conseguenza dell’asimmetria tra l’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del presente giudizio (cfr. verbale del 19.10.2021).
Tale eccezione appare fondata.
L’allegata istanza di mediazione era chiaramente riferita alle sole delibere di “approvazione bilancio consuntivo 2019 e consuntivo 2020” che venivano genericamente contestate “per attribuzione somme non dovute dall’istante”.
L’impugnazione giudiziale è stata invece indistintamente estesa a tutte le delibere – adottate nell’assemblea in oggetto – sulla base di un diverso vizio formale attinente allo svolgimento della riunione in modalità di videoconferenza.
La stessa impugnazione delle delibere afferenti ai consuntivi 2019 e 2020 è stata inoltre fondata – oltre che sull’attribuzione di somme non dovute (perché afferenti a spese individuali) – anche sulla mancata contabilizzazione di pagamenti afferenti a precedenti esercizi.
Questo Tribunale – con recente sentenza dell’11.1.2022, n. 259 – ha già avuto modo di evidenziare quanto segue. “L’art.4 del D.Lgs. n. 28 del 2010 riguardante la mediazione dispone che: “La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’art. 2 e` presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del Giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di piu` domande relative alla stessa controversia la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale e` stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza.”. Il comma 2 del medesimo articolo specifica che: “L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. Il contenuto del suddetto articolo e` praticamente equivalente a quello dell’art. 125 c.p.c., circa il contenuto degli atti processuali, fatta eccezione per i soli “elementi di diritto”. L’applicazione di detta norma impone, quindi, una simmetria tra fatti narrati in sede di mediazione ed i fatti esposti in sede processuale, almeno per quelli principali; diversamente, dovrebbe essere dichiarata l’improcedibilita`, per mancato assolvimento della condizione prevista dal legislatore.
L’art. 4 pretende, infatti, l’indicazione delle “ragioni della pretesa”, con cio` potendosi solo intendere – in un procedimento deformalizzato – come basti l’allegazione di una situazione latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito, non risultando necessario inquadrare giuridicamente il fatto: cio` in quanto, come gia` detto, l’istanza di mediazione non richiede anche l’indicazione di “elementi di diritto”, come invece avviene per la citazione ex art. 163 c.p.c., e per il ricorso, ex art. 414 c.p.c. (ovvero per gli atti in generale, ex art. 125 c.p.c.). Gli accadimenti narrati in fase di mediazione, pero`, perche´ si possa verificare in giudizio l’esatto adempimento della condizione di procedibilita`, devono essere corrispondenti, “simmetrici” a quelli che saranno poi esposti in fase processuale, per le materie obbligatorie. Pur non richiedendosi l’equivalente di un atto giudiziario sotto il profilo formale (e dell’indicazione degli elementi di diritto), l’istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, includendo tutti, e gli stessi, elementi fattuali che saranno introdotti nel futuro giudizio e cio` sia per consentire all’istituto della mediazione di svolgere efficacemente la funzione deflattiva affidatagli dal legislatore (rafforzata dalla eventuale sanzione della improcedibilita` della domanda), sia per consentire alla controparte evocata in mediazione di conoscere la materia del futuro contendere e di prendere posizione su di essa gia` nel corso della procedura, svolgendo le opportune difese che possono condurre ad una soluzione conciliativa o anche solo far ridurre il thema decidendum nella eventuale fase processuale.
Una domanda processuale diversa, che esuli, anche solo in parte, da quella prospettata in sede di mediazione, va quindi considerata una domanda nuova rispetto a quella passata per il filtro della mediazione ed in grado di superare, almeno in astratto, il giudizio sulla procedibilita`. Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum o, come nel caso di specie, della causa petendi, non puo` considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilita` della domanda. Orbene, se e` vero che per la mediazione ante causam e` sempre possibile sanare l’improcedibilita`, potendo il giudice demandare un nuovo esperimento della mediazione e, solo in caso di mancato (valido) esperimento di tale nuova mediazione, pronunciare l’improcedibilita` della domanda, e` anche vero che nel caso di impugnazione di delibera condominiale sussiste un termine di decadenza che viene interrotto (e non sospeso, come ormai chiarito dalla giurisprudenza anche di questo tribunale) dalla “comunicazione” (che puo` essere fatta sia dall’organismo di mediazione che direttamente dall’istante) della istanza di mediazione alla controparte una sola volta e che inizia a decorrere nuovamente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione. Tale effetto interruttivo, pero`, puo` essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all’istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell’istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, gia` dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito. Ed e` sempre in virtu` della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l’interruzione delle decadenze. Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell’impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una “istanza” che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l’istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte. Nel caso di specie l’istanza di mediazione versata in atti si presenta del tutto generica, non contiene alcun riferimento alle singole delibere impugnate ed ai vizi ad esse imputati; la domanda giudiziale, invece, contiene l’impugnativa di piu` deliberati (si tratta, infatti, di piu` delibere assunte su diversi ordini del giorno della stessa seduta) e l’esposizione, per ciascuna di essi, dei singoli vizi denunciati (contemplando, peraltro, in alcuni casi, anche censure che non si sostanziano, strictu sensu, in vizi di legittimita` delle delibere). Mancando la necessaria simmetria tra l’istanza di mediazione e la domanda giudiziale in concreto formulata, la mediazione non puo` ritenersi validamente svolta e, quindi, non impedita la decadenza dell’impugnazione ex art. 1137 c.c. (per cui sarebbe risultato inutile demandare alle parti una nuova mediazione che mai avrebbe potuto sanare la decadenza nella quale e` incorsa la parte attrice).”
Si tratta di rilievi pienamente condivisibili che portano a ritenere – anche nella fattispecie – l’inammissibilità dell’impugnazione per decorrenza del termine perentorio ex art. 1137 cod. civ (la comunicazione del verbale assembleare all’attore risale pacificamente all’11.2.2021 e la notifica della citazione al 23.4.2021).
Le spese processuali – liquidate ex d.m. 55/2014 – seguono la soccombenza di parte attrice e devono essere distratte in favore del difensore di parte convenuta che si è dichiarato antistatario ex art. 93 c.p.c..
P.Q.M.
definitivamente pronunziando,
dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione;
condanna l’attore al rimborso delle spese processuali – liquidate in euro 3.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge – disponendone la distrazione in favore dell’avv. Omissis [...]
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6 Giugno 2023Sentenze CiviliArt. 2051 c.c. – Caduta – Art. 1227 c.c. – Buche strada gestita da condominioSecondo il costante orientamento del giudice di legittimità, il criterio di imputazione della responsabilità ex a. 2051 cc ha carattere oggettivo, sicché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno. Nel caso fortuito, però, rientra anche la condotta incauta della vittima, la quale assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 cc e deve essere graduata sulla base dell’accertamento circa la sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva. Sulla scorta di tale costante principio, la Cassazione ha fra l’altro confermato una sentenza d’appello che aveva escluso la responsabilità dell’ente proprietario di una strada, sottolineando che la buca presente sul manto stradale, da cui era stata determinata la caduta di un ciclomotore, si presentava ben visibile in quanto di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta e collocata al centro della semicarreggiata percorsa dall’attrice, nell’ambito di un più ampio tratto stradale dissestato e sconnesso (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018).
SENTENZAnella causa civile di primo grado, iscritta al n° Omissis RG, promossa da:YYYYY YYYYY (cod. fisc. Omissis) col procuratore domiciliatario avv. OmissisPARTE ATTRICEcontro:Condominio XXXXX (cod. fisc. Omissis) col procuratore domiciliatario avv. OmissisPARTE CONVENUTAUUUUU (cod. fisc. Omissis) col procuratore domiciliatario avv. OmissisPARTE TERZA CHIAMATACONCLUSIONIParte attrice conferma le conclusioni della prima memoria, cioè:“Accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2051 c.c. e/o in via subordinata ex art. 2043c.c. del Condominio XXXXX, … in relazione al sinistro occorso, in danno dell’attrice YYYYY il giorno 30.12.2016, alle ore 12 circa, in Comune di Omissis, Via G Omissis, nella parte antistante la Farmacia comunale Omissis, … e, per l’effetto, − Condannare il Condominio convenuto… e/o la terza chiamata UUUUU, al risarcimento di tutti i danni alla persona, morali, patrimoniali subiti dall’attrice quantificati, sulla base della relazione peritale del dott. Omissis ( doc. 4 ) e delle Tabelle di calcolo del danno alla persona applicate dal Tribunale di Milano, nella somma di Euro 41.458,00=, maggiorata di interessi legali dal fatto al saldo, ovvero in quella maggiore o minor somma che sarà accertata e ritenuta di giustizia; − Rigettare le domande avversarie”Parte convenuta conferma le conclusioni della comparsa di risposta, cioè:“a) accertare e dichiarare che il Condominio XXXXX non ha alcuna responsabilità per i danni lamentati dalla Sig.ra YYYYY per i motivi esposti in narrativa e per l’effetto b) rigettare tutte le domande di parte attrice poiché infondate in fatto ed in diritto e comunque, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuta qualsivoglia responsabilità in capo al Condominio XXXXX c) condannare la UUUUU a manlevare l’odierno convenuto per ogni pagamento che dovesse essere riconosciuto in favore dell’attrice o di altri soggetti processuali da parte del proprio Assicurato”La terza chiamata conferma le conclusioni della prima memoria, cioè:“nel merito: – In via principale: respingere tutte le domande proposte dalla signora YYYYY nei confronti del Condominio XXXXX perché infondate … conseguentemente respingere tutte le domande di manleva o garanzia proposte nei confronti di UUUUU … Nel merito, in via subordinata: … graduare il risarcimento eventualmente dovuto alla signora YYYYY in proporzione all’incidenza della colpa della danneggiata, ex art. 1227 c.c., poiché la condotta non prudenziale dell’attrice ha contribuito in maniera determinante al prodursi del fatto lesivo e, comunque, nei limiti di quanto rigorosamente provato in corso di causa.
In via ulteriormente subordinata: … limitare il risarcimento dovuto a quanto accertato essere conseguenza immediata e diretta della gestione dello stesso, nei limiti della garanzia assicurativa prestata”Lo svolgimento del processoCon atto di citazione datato 8.1.2020, l’attrice esponeva che:
il 30.12.2016 verso le ore 12, “in prossimità di Via Omissis, Omissis, l’attrice, uscendo dalla Farmacia comunale Omissis, camminava sul marciapiede e scendendo dallo stesso nella parte in piano (per disabili) per dirigersi verso il cancello di accesso allo stabile ove è ubicata la propria abitazione, dopo pochi passi cadeva rovinosamente al suolo a causa dell’asfalto sbriciolato, ammalorato, sconnesso e del dislivello di calpestio ivi presente, dovuto alla presenza di microbuche superficiali, di profondità di circa 3 o 4 cm, imputabili alla totale incuria ed omessa manutenzione del Condominio XXXXX, amministrata dallo Studio Omissis, in persona della sig.na Omissis, con sede in Omissis, divenuto nel giugno 2017 Omissis, … gestore dell’area de qua ( docc. 1 e 7)”;
essa era stata poi assistita dai passanti e condotta al pronto soccorso coll’autovettura del marito;
a causa della caduta, aveva riportato postumi permanenti del 12% come da relazione del dott. Omissis;
sussisteva la responsabilità del “Condominio XXXXX, nella sua qualità di proprietario della strada ove si è verificato il sinistro de quo” ai sensi dell’a. 2051 cc, poiché “l’incidente è avvenuto su un’area antistante il marciapiede (per disabili peraltro, a causa della presenza di asfalto sconnesso, sbriciolato, ammalorato, sotto cui vi erano delle microbuche di profondità di tre/quattro centimetri”;
“costituendo tale marciapiede e l’area antistante una porzione di strada adibita al transito delle persone verso le proprie abitazioni, essi devono essere mantenuti in condizione di sicurezza, al fine di garantire l’incolumità di coloro che vi transitano, che siano giovani, anziani, bambini o madri con passeggini e carrozzine. In via generale, ai sensi dell’art. 14 del codice della strada, proprio al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, incombe sull’ente proprietario/gestore, e quindi CUSTODE della strada, l’obbligo di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi, etc… Nel caso di specie, il Condominio convenuto è incorso nella totale omissione di detto obbligo, posto che nel punto in cui è caduto l’attrice vi era disconnessione dell’asfalto, non adeguatamente manutenuto. Dalle foto allegate (doc.c. 1 e 1 bis) infatti, si evince chiaramente lo stato di omessa manutenzione dell’area ove è caduta la sig.ra YYYYY. L’incuria e l’omessa manutenzione da parte del Condominio continuano a persistere con deprecabile perseveranza, creando ulteriore pericolo per i terzi. Se poi si considera, e ciò lo si evince anche dalle foto allegate sub doc. 3 bis, che l’area residenziale in cui è avvenuto il sinistro è ad alta densità abitativa, e vi è una Farmacia comunale dove ogni giorno transitano decine di persone, soprattutto anziane, si deduce che la responsabilità del Condominio per l’omessa manutenzione dell’area è ancora più grave”;
il danno doveva quantificarsi in EUR 41.458,00.La parte attrice pertanto concludeva chiedendo: “Accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2051 c.c. e/o in via subordinata ex art. 2043 c.c. del Condominio XXXXX, … in relazione al sinistro occorso, in danno dell’attrice YYYYY il giorno 30.12.2016, alle ore 12 circa, in Comune di Omissis, Via Omissis, nella parte antistante la Farmacia comunale Omissis, … e, per l’effetto, Condannare il Condominio convenuto, … al risarcimento di tutti i danni alla persona, morali, patrimoniali subiti dall’attrice quantificati, sulla base della relazione peritale del dott. Omissis ( doc. 4 ) e delle Tabelle di calcolo del danno alla persona applicate dal Tribunale di Milano, nella somma di Euro 41.458,00=, maggiorata di interessi legali dal fatto al saldo, ovvero in quella maggiore o minor somma che sarà ritenuta congrua di Giustizia”La parte convenuta si costituiva con comparsa depositata il 10.3.2020 osservando che:
“dalla documentazione fotografica allegata (docc. 1 e 1bis), peraltro di piccole dimensioni, non si riesce a comprendere quale sia il punto indicato presumibilmente dalla Sig.ra YYYYY come determinante la caduta, in relazione alla zona “territoriale” di presunta competenza condominiale”;
“la documentazione allegata oltretutto non manifesta alcuna insidia che possa determinare responsabilità di terzi per una caduta accidentale”;
mancava la prova del nesso di causa, anche perché “dalla rappresentazione dei fatti dedotti in giudizio … non può che essere contestata. A seguito della presunta caduta l’attrice dichiara di essere stata trasportata presso il pronto soccorso tramite la propria autovettura e non a mezzo autolettiga SSN. La dinamica descritta, soprattutto in considerazione della presunta responsabilità in capo al Condominio, non può che essere contestata. Così come inevitabilmente dovrà essere contestata anche la quantificazione dei danni potenzialmente imputabili in modo diretto alla caduta atteso che, la mancata richiesta di intervento di personale sanitario specializzato, potrebbe aver determinato, nel tragitto fino alla struttura ospedaliera, ulteriori lesioni dovute alla mancata immobilizzazione immediata dell’arto chiaramente danneggiato dall’evento”;
chiedeva comunque l’estensione del contraddittorio al proprio assicuratore.La parte convenuta quindi concludeva chiedendo: “a) accertare e dichiarare che il Condominio XXXXX non ha alcuna responsabilità per i danni lamentati dalla Sig.ra YYYYY per i motivi esposti in narrativa e per l’effetto b) rigettare tutte le domande di parte attrice poiché infondate in fatto ed in diritto e comunque, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuta qualsivoglia responsabilità in capo al Condominio XXXXX c) condannare la UUUUU a manlevare l’odierno convenuto per ogni pagamento che dovesse essere riconosciuto in favore dell’attrice o di altri soggetti processuali da parte del proprio Assicurato”A seguito della notifica dell’atto di chiamata, eseguita non già nei confronti della “UUUUU” bensì nei confronti di Omissis, si costituiva quest’ultimo soggetto il quale, con comparsa depositata il 2.11.2020, osservava che:
“al fine di assolvere l’onere probatorio parte attrice ha prodotto una serie di scatti che, sempre a suo parere, darebbero conferma delle pessime condizioni di manutenzione dell’area antistante il Condominio, dove si sarebbe verificato il sinistro”;
“in relazione alle fotografie depositate come documenti 1) e 1bis) – alcune, tra l’altro, irrilevanti perché non supportate da alcun riferimento specifico al luogo – si osserva che non è stato possibile individuare la data certa in cui le stesse sarebbero state scattate; anzi, con riferimento al doc. 1bis), è la stessa signora YYYYY a riferire che si tratta di scatti recentissimi”;
“esaminata, comunque, la documentazione fotografica, si evidenza che la sequenza contenuta nel documento 1) riproduce un avvallamento della pavimentazione dell’area di transito (aperta anche alle autovetture dirette al Condominio) che, per le sue considerevoli dimensioni, è palesemente visibile; ne consegue, anche a voler imputare l’incidente alle descritte condizioni dell’asfaltatura del luogo, che le stesse non sono tali da poter costituire una “insidia” oggettivamente non visibile e non prevedibile”;
inoltre, non si poteva trascurare “l’ora del giorno in cui si è verificato il sinistro (mezzogiorno) e l’indubbia conoscenza dello stato dei luoghi in capo all’attrice (la signora risiede nell’edificio prospicente il Condominio)”;
il caso era perciò da ricondurre “a fatti e colpa esclusivi della signora YYYYY la quale, se avesse usato l’ordinaria diligenza (nel rispetto del principio di autoresponsabilità), avrebbe dovuto e potuto agevolmente evitare l’evento e i danni dallo stesso derivati.Cosicché, ritenuto interrotto dalla condotta distratta della signora YYYYY il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso – la caduta deve essere ascritta integralmente alla sua disattenzione – la domanda proposta dall’attrice, in quanto infondata, non potrà che essere rigettata”.Tale soggetto quindi concludeva chiedendo di respingere tutte le domande di manleva o garanzia proposte nei suoi confronti o in subordine di graduare il risarcimento in proporzione all’incidenza della colpa della danneggiata, ex art. 1227 c.c. e comunque limitare il risarcimento dovuto a quanto accertato essere conseguenza immediata e diretta della gestione dello stesso, nei limiti della garanzia assicurativa prestata.All’udienza di prima comparizione, tenuta il 24.11.2020 dal giudice originariamente designato, venivano assegnati alle parti i termini previsti dal sesto comma dell’a. 183 cpc.Dopo alcuni rinvii disposti dal giudice onorario, all’esito dell’udienza 6.6.2022 veniva ammesso l’interrogatorio formale del Condominio, che (a causa di impedimento clinico del nuovo amministratore, in corso di causa costituitosi con altro difensore) veniva infine espletato il 19.12.2022.All’udienza del 1.2.2023 il giudice onorario assumeva i testimoni Omissis, Omissis e Omissis.All’udienza del 08/03/2023 le parti rassegnavano le conclusioni in epigrafe trascritte.Scaduti il 22.5.2023 i termini per le conclusionali e le repliche, il giudice pronuncia questa sentenza.I motivi della decisioneOccorre anzitutto sintetizzare l’esito dell’istruttoria orale.
Omissis, impiegata, presente al sinistro, ha dichiarato: “Passavo di lì e stavo correndo. Non ero insieme all’attrice. A.d.r. conoscevo l’attrice solo di vista perché abitiamo nella stessa zona … a.d.r. Io arrivavo da Via Omissis. Ho visto la signora di fronte a me mentre scendeva dalla discesina dei disabili e poi inciampava cadendo in avanti a.d.r. al momento della caduta potevo essere a circa 200 metri di distanza a.d.r. 200 metri saranno come da qui alla fine della stanza a.d.r. io ero oltre la sbarra che si vede nella seconda foto sub doc 16 attoreo seconda foto sulla sinistra della foto. Non riesco a quantificare in metri la distanza ma vedevo l’attrice. a.d.r. l’area della caduta era quella visibile nella foto sub doc. 16, ma non so dire con precisione dove sia inciampata. La discesa è quella che si vede nella prima foto. Poi dopo la discesa aveva fatto dei passi sulla strada a.d.r. ho visto l’attrice che è caduta di lato e poi, mentre due o tre persone si avvicinavano per soccorrerla, l’ho vista che si teneva la spalla e lamentava dolore e piangeva. … L’asfalto è tutt’oggi sbriciolato e visibilmente, da sempre, in uno stato non piano. La dimensione della buca non la so quantificare. A.d.r. l’asfalto è sbriciolato in più punti. Non solo dove la signora è inciampata. A.d.r. nel punto in cui è inciampata c’era un po’ di dislivello ma non lo so quantificare … Ricordo che un po’ dopo il sinistro, ma non saprei dire quando, sono stati fatti dei rappezzi. Ogni tanto vengono fatti, ma l’asfalto non risulta mai piano…. Oggi l’area si presenta come nella foto sub doc. 19 circa. Non è un asfalto rifatto nella totalità della via”;
Omissis, pensionata, ha dichiarato: “a.d.r. sono un’amica e vicina di casa dell’attrice, indifferente, a.d.r. sono stata presente al momento del sinistro. Ero dietro l’attrice. Eravamo andate in farmacia. Io ero dietro di lei e ho visto che si è “distesa” per terra. E’ inciampata e caduta … a.d.r. confermo che è caduta nell’area che si vede nelle foto sub doc. 16 e confermo la situazione dei luoghi. Era un disastro e infatti lo dicevamo sempre a.d.r. la signora è caduta in avanti e ha battuto tutto il corpo. Poi sono arrivate altre persone che l’hanno soccorsa. … a memoria direi anche più di 4 centimetri.Intendo 4 centimetri di dislivello. Non l’ho misurata Di larghezza la buca era grande.A.d.r. che mi ricordi c’era in particolare questa buca dove la signora è inciampata che dava fastidio un po’ a tutti perché uscendo di lì e scendendo dallo scivolo, si entrava nella buca”;
Omissis, pensionata, ha dichiarato: “a.d.r. sono una conoscente dell’attrice perché andavamo dallo stesso parrucchiere a.d.r. sono stata presente al sinistro per cui è causa. Uscita dal parrucchiere, mi stavo dirigendo in farmacia e ho visto che all’attrice è ceduta una gamba e l’ho vista andare in terra a.d.r. al momento della caduta ero a pochissimi metri dall’attrice … Ho visto che l’attrice scendeva dove c’è il piano dei disabili e ha preso dentro perché in quel tratto ci sono delle buche ed è caduta e io mi sono avvicinata. Ho visto che le è ceduta la gamba, probabilmente prendendo dentro con la punta della scarpa dove c’era la buca ed è volata a.d.r. non ho visto la punta della scarpa, ma ho proprio visto un movimento come quando uno inciampa … Confermo che l’asfalto era sconnesso c’erano delle buche e anche io ho preso dentro una volta andando in farmacia … Non ricordo esattamente l’anno. So che dopo un po’ era stato rattoppato. Ma non è stato messo a posto bene e lì si rischia ancora di cadere”.Alla luce di tali testimonianze, e della documentazione fotografica offerta dalla stessa attrice, la domanda deve essere respinta.Secondo il costante orientamento del giudice di legittimità, il criterio di imputazione della responsabilità ex a. 2051 cc ha carattere oggettivo, sicché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno. Nel caso fortuito, però, rientra anche la condotta incauta della vittima, la quale assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 cc e deve essere graduata sulla base dell’accertamento circa la sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva. Sulla scorta di tale costante principio, la Cassazione ha fra l’altro confermato una sentenza d’appello che aveva escluso la responsabilità dell’ente proprietario di una strada, sottolineando che la buca presente sul manto stradale, da cui era stata determinata la caduta di un ciclomotore, si presentava ben visibile in quanto di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta e collocata al centro della semicarreggiata percorsa dall’attrice, nell’ambito di un più ampio tratto stradale dissestato e sconnesso (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018).Nel caso presente, già le fotografie prodotte dall’attrice dimostrano il complessivo stato di scarsa manutenzione del tratto di strada ove l’attrice cadde procurandosi le lesioni in questione, e risulta anche ben visibile (docc. 1 e 1 bis) la significativa dimensione dei vari avvallamenti. Che si trattasse di buca “grande” e perciò ben visibile risulta inoltre confermato dalla testimone Omissis (“Di larghezza la buca era grande”) la quale ha anche aggiunto che la situazione dei luoghi “era un disastro e infatti lo dicevamo sempre” dal che si inferisce che non poteva costituire affatto insidia, essendo ben nota ai frequentatori dell’area (quale risulta essere l’attrice), posto che la medesima Omissis ha ricordato che “questa buca dove la signora è inciampata che dava fastidio un po’ a tutti”.La chiara visibilità della situazione di pericolo è stata confermata anche dalla testimone Omissisla quale dopo aver confermato che “l’asfalto è tutt’oggi sbriciolato” ha anche precisato che esso si trova “visibilmente, da sempre, in uno stato non piano”, ciò che avrebbe dovuto indurre l’attrice a prestarvi attenzione e a camminare colla dovuta cautela. Che la questione non costituisse sorpresa né insidia viene infine confermato da Omissis, la quale ha confermato “che l’asfalto era sconnesso c’erano delle buche e anche io ho preso dentro una volta andando in farmacia”.Per l’effetto, la responsabilità della caduta deve essere ascritta al fatto colposo della danneggiata, che esclude la configurabilità della fattispecie ex a. 2051 cc e, a maggior ragione, quella ex a. 2043 cc, sicché la domanda risulta infondata e va respinta, con conseguente assoluzione -dalla domanda di manleva- del terzo chiamato (indipendentemente da ogni valutazione circa l’iniziale errore del condominio nella sua identificazione e la notifica della chiamata a soggetto diverso da quello indicato nelle conclusioni, ma desumibile dalla polizza prodotta).L’acclarata pericolosità del manto stradale in discorso, e il fatto che da lungo tempo esso sia sostanzialmente privo di efficace manutenzione, giustificano peraltro la compensazione integrale delle spese di lite fra tutte le parti ex a. 92 cpc.PER QUESTI MOTIVIpronunciando definitivamente nel contraddittorio fra le parti, rigettata ogni contraria domanda ed eccezione, letti gli aa. 281 quater e segg, 282 cpc, così decide:(1) respinge le domande proposte dall’attrice YYYYY contro il convenuto Condominio XXXXX;(2) compensa interamente fra tutte le parti le spese della presente lite.Così deciso il giorno 5 giugno 2023 dal tribunale di Milano. [...]
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1 Giugno 2023Sentenze CiviliArt. 1667 c.c. – Art. 1669 c.c. – Vizi dell’opera
Ora, è noto che, secondo la giurisprudenza, i principi che regolano la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1667 c.c. per le difformità ed i vizi dell’opera sono applicabili anche nell’ipotesi di responsabilità per la rovina ed i gravi difetti dell’edificio, prevista dall’art. 1669 c.c., la quale, peraltro, ha natura extracontrattuale e quindi coinvolge, a titolo di concorso con l’appaltatore, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (quale, ad esempio, il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso. Pertanto, il riconoscimento di tali difetti e l’impegno del costruttore di provvedere alla loro eliminazione – che non richiedono forme determinate e possono, quindi, risultare anche da fatti concludenti desumibili dalle stesse riparazioni eseguite sull’opera realizzata – concretano elementi idonei ad ingenerare un nuovo rapporto di garanzia che, pur restando circoscritto ai difetti che si manifestino in dieci anni dall’originario compimento dell’opera, si affianca a quello originario e che, conseguentemente, da un lato impedisce il decorso della prescrizione dell’azione di responsabilità, stabilita in un anno dalla denuncia, in base al secondo comma del medesimo art. 1669, e, dall’altro lato lascia impregiudicata, qualora il difetto – nonostante le riparazioni apportate – riemerga prima che siano decorsi i dieci anni a cui, in applicazione di detta norma, deve restare commisurata la responsabilità del costruttore, la possibilità di fare valere ulteriormente la garanzia ivi prevista. L’impegno assunto dall’appaltatore di eliminare i vizi e i difetti dell’opera realizzata, implicando il riconoscimento della loro esistenza, determina, dunque, il sorgere di una nuova obbligazione svincolata dai termini di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. e soggetta alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. Sez. 2, n. 19343 del 2022; Sez. 2, n. 62 del 2018; Sez. 2, n. 17874 del 2013; Sez. 2, n. 20853 del 2009; Sez. 2, n. 8026 del 2004; Sez. 2, n. 4936 del 1981).
Perché l’appaltatore, nonché chi sia con lui chiamato in concorso a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c. per colpa professionale, come nella specie il progettista e direttore dei lavori, possano dirsi tenuti a tale nuova ed autonoma obbligazione di eliminare i vizi delle opere eseguite, soggetta a prescrizione decennale decorrente dal momento della sua assunzione, non basta, tuttavia, individuare la dichiarazione unilaterale di ricognizione dei vizi e di impegno ad eliminarli (dalla quale discende, piuttosto, l’effetto di cui all’art. 2944 c.c.), ma occorre che la stessa, affiancandosi alla garanzia originaria, pur senza estinguerla, operando alle condizioni date e non ancora compiutamente definite, rechi il riconoscimento dell’obbligo di esecuzione dei lavori in concreto necessari per l’esecuzione della costruzione a regola d’arte, che avrebbero impedito l’insorgenza dei difetti, e confluisca in un accordo definitivo con il committente danneggiato, previa accettazione di tutte le relative modalità contrattuali, immediatamente inerenti alle opere convenute come oggetto dell’appalto ed ai soli difetti costruttivi contestati dal committente e imputabili a deficienze dell’appaltatore, non potendosi estendere ad ogni problematica che sia sorta successivamente all’esecuzione dell’appalto (Cass. Sez. 2, n. 14815 del 2018; Sez. 3, n. 6670 del 2009; Sez. 2, n. 15283 del 2005; Sez. 2, n. 11272 del 1995; Sez. 1, n. 7216 del 1995).
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis
-ricorrente-
DDDDD, elettivamente domiciliata in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentata e difesa dall’avvocato Omissis
-ricorrente-
Contro
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Omissis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 733/2018 depositata il 19/04/2018.
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibili o in subordine di rigettare i ricorsi.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2023 dal Consigliere Omissis;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibili o in subordine di rigettare i ricorsi;
uditi gli Avvocati Omissis, per delega dell’Avvocato Omissis
FATTI DI CAUSA
YYYYY ha notificato in data 19 novembre 2018 (ore 10,28) ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 733/2018 della Corte d’appello di Torino, pubblicata il 19 aprile 2018.
DDDDD ha notificato in data 19 novembre 2018 (ore 17,58) ricorso articolato in due motivi avverso la stessa sentenza n. 733/2018 della Corte d’appello di Torino.
Il Condominio XXXXX ha notificato distinti controricorsi.
La Corte d’appello di Torino, accogliendo il gravame del Condominio XXXXX contro la sentenza resa il 3 febbraio 2017 dal Tribunale di Torino, ha dichiarato DDDDD (erede di Bruno Omissis, titolare dell’omonima impresa edile incaricata dell’appalto per i lavori di manutenzione straordinaria del tetto dell’edificio condominiale eseguiti negli anni 2003-2204) e l’architetto YYYYY (progettista e direttore dei medesimi lavori) responsabili dei danni subiti dal Condominio, condannando gli stessi in solido fra loro al pagamento dell’importo di € 47.287,14, oltre interessi dal 2 novembre 2011.
Il Tribunale aveva dichiarato prescritta l’azione spiegata ai sensi dell’art. 1669 c.c., ma la Corte d’appello ha rilevato che, con riguardo ai difetti evidenziati nella lettera del novembre 2011 sottoscritta sia dal Omissis che dal YYYYY, il primo si era impegnato ad eseguire i lavori di ripristino del tetto, ed in particolare la guaina, non rilevando l’avvenuta esecuzione degli interventi individuati in sede di accertamento tecnico preventivo al fine di eliminare le infiltrazioni di acqua. A seguito del riconoscimento era così decorso il termine di prescrizione decennale, in luogo di quello annuale ex art. 1669 c.c., essendo poi stata proposta la domanda in esame con citazione del 10 novembre 2014. Parimenti soggetta alla prescrizione decennale è stata ritenuta dalla Corte d’appello l’azione di responsabilità contrattuale rivolta in via solidale verso il progettista e direttore dei lavori YYYYY, formulata nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. e successivamente richiamata fino alla precisazione delle conclusioni. Il danno è stato liquidato in € 47.287,14, rivalutando l’importo di € 46.496,70 stimato in sede di ATP nel maggio del 2013. In premessa la Corte d’appello di Torino ha affermato che “e istanze istruttorie avanzate dagli appellati appaiono irrilevanti e superflue attese le risultanze documentali in atti”.
I ricorsi sono stati decisi in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), con istanza di discussione orale della ricorrente DDDDD.
YYYYY ed il Condominio XXXXX hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Essendo stato avviato per la notifica per primo il ricorso di YYYYY, il ricorso di DDDDD, per il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, si converte in ricorso incidentale.
1.Il primo motivo del ricorso di YYYYY (che si sviluppa da pagina 18 a pagina 28) denuncia la violazione degli artt. 1453, 1667, 1669 c.c., 111 Cost., 112, 116, 132 n. 4, 352 e 359 c.p.c., quanto al rigetto dell’eccezione di prescrizione formulata da entrambi i convenuti, per effetto dell’assunto riconoscimento dei vizi desunto dal comportamento dell’appaltatore intervenuto per effettuare un intervento di riparazione. Si deduce che il committente Condominio fosse a conoscenza di gran parte dei difetti costruttivi sin dal 2010 e si obietta che giammai l’appaltatore avesse riconosciuto la propria responsabilità. La prima censura del ricorso di YYYYY ripercorre il contenuto della “missiva Omissis” del 15 febbraio 2011 e del verbale di sopralluogo del novembre 2011, specificando che l’appaltatore si era impegnato ad eseguire soltanto alcuni interventi di riparazione. Viene perciò negata l’insorgenza di una nuova obbligazione e riaffermato il decorso del termine annuale di cui all’art. 1669 c.c., avendo il committente avuto conoscenza delle carenze esecutive delle opere sin dal novembre 2010 (epoca della consulenza di parte dell’ingegnere Negri) o quanto meno dal maggio 2013 (momento del deposito della relazione di ATP). Si contesta poi, sempre facendo riferimento ad atti e documenti delle fasi pregresse del giudizio, che il Omissis, essendosi impegnato ad eseguire un intervento di manutenzione, avesse con ciò contratto l’obbligo di provvedere alle restanti riparazione pretese dal Condominio.
Il secondo motivo del ricorso di YYYYY (che si sviluppa da pagina 28 a pagina 30) denuncia la violazione degli artt. 1453 e 1669 c.c., 40-41 c.p. 111 Cost., 112, 116, 132 n. 4, 352 e 359 c.p.c., ovvero l’omessa motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi, quanto al rigetto delle istanze istruttorie (in particolare, l’espletamento di una CTU), necessariamente rilevanti una volta ritenuta non prescritta l’azione dell’attore, al fine di stabilire la riconducibilità dei difetti all’operato del YYYYY e dell’impresa Omissis.
Il terzo motivo del ricorso di YYYYY (pagine 30-31) denuncia degli artt. 1453, 1669, 1176, 2226 e ss. c.c., 111 Cost., 112, 116, 132 n. 4, 352 e 359 c.p.c., avendo la Corte d’appello affermato extra petitum la autonoma responsabilità contrattuale del YYYYY, essendo oggetto di causa soltanto la responsabilità del YYYYY come progettista ex art. 1669 c.c. in solido con l’appaltatore.
Il primo motivo del ricorso di DDDDD denuncia la “nullità della sentenza con riferimento alla mancata valutazione di una prova documentale offerta” ed attiene alle risultanze del verbale di sopralluogo del 17 novembre 2011, firmato anche dall’amministratore del Condominio. In tale documento, da cui si dovrebbe desumere il riconoscimento dei difetti delle opere da parte dell’appaltatore, emerge, piuttosto, il rilievo di numerose “criticità ed anomalie” sul manto di copertura del fabbricato (descritte a pagina 7 di ricorso) dovute all’intervento di altre imprese e non esistenti all’epoca della realizzazione (“circa otto anni or sono) da parte del Omissis. La documentazione richiamata (estratto dell’archivio edilizio del Comune di Torino) comproverebbe poi la realizzazione di opere da parte di terzi sulla copertura condominiale dopo la conclusione dei lavori appaltati alla impresa Omissis.
Il secondo motivo del ricorso di DDDDD denuncia la “nullità della sentenza con riferimento alla “mancata ammissione di determinati mezzi istruttori”, ed in particolare la CTU e l’esibizione ex art. 210 c.p.c. della documentazione attestante gli interventi edilizi eseguiti sulla copertura dell’edificio condominiale dopo la conclusione dei lavori appaltati alla impresa Omissis.
2. Sono superabili le eccezioni mosse dal controricorrente in ordine all’ammissibilità del ricorso YYYYY, giacché l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis) deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonché l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 16887 del 2013).
3. Vanno esaminati in via prioritaria e congiuntamente, perché connessi, il primo ed il secondo motivo del ricorso di YYYYY, nonché il primo ed il secondo motivo del ricorso di DDDDD. Tali censure si rivelano fondate nei sensi di seguito precisati.
4. La Corte d’appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato prescritta l’azione avanzata ai sensi dell’art. 1669 c.c., dopo aver deciso che “e istanze istruttorie avanzate dagli appellati appaiono irrilevanti e superflue attese le risultanze documentali in atti”, negli ultimi tre righi di pagina 6 e nei primi cinque righi di pagina 7 della sentenza impugnata ha affermato che “il riconoscimento dei difetti evidenziati nella lettera del novembre 2011 sottoscritta sia dal Omissis che dal YYYYY è stato negato, ma è lo stesso comportamento posto in atto dai predetti che conferma la circostanza. È pacifico che il primo ebbe ad impegnarsi e ad eseguire i lavori di ripristino interessanti il tetto, ed in particolare la guaina, a nulla rilevando la circostanza che siano stati eseguiti tutti gli interventi individuati dal consulente d’ufficio nella relazione dell’ATP. È indubbio che proprio a seguito dell’evidenza di infiltrazioni, vennero eseguiti interventi sul tetto al precipuo scopo di eliminare gli sgocciolamenti”.
Il primo motivo del ricorso di DDDDD deduce, tuttavia, ciò che risultava dal verbale di sopralluogo del 17 novembre 2011, ove era controverso fra le parti quali riparazioni a farsi fossero riferibili ai difetti dell’appalto Omissis e quali invece da imputare all’intervento di terzi.
Il controricorso del Condominio al ricorso DDDDD richiama nelle pagine 15 e 16 altri quattro documenti che riferivano dell’impegno del Omissis a realizzare una “guaina sotto colmo”, ovvero “i lavori necessari per eliminare le perdite segnalate dall’amministrazione”. Anche la memoria ex art. 378 c.p.c. presentata dal controricorrente fa rinvio a questi documenti.
5. Ora, è noto che, secondo la giurisprudenza, i principi che regolano la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1667 c.c. per le difformità ed i vizi dell’opera sono applicabili anche nell’ipotesi di responsabilità per la rovina ed i gravi difetti dell’edificio, prevista dall’art. 1669 c.c., la quale, peraltro, ha natura extracontrattuale e quindi coinvolge, a titolo di concorso con l’appaltatore, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (quale, ad esempio, il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso. Pertanto, il riconoscimento di tali difetti e l’impegno del costruttore di provvedere alla loro eliminazione – che non richiedono forme determinate e possono, quindi, risultare anche da fatti concludenti desumibili dalle stesse riparazioni eseguite sull’opera realizzata – concretano elementi idonei ad ingenerare un nuovo rapporto di garanzia che, pur restando circoscritto ai difetti che si manifestino in dieci anni dall’originario compimento dell’opera, si affianca a quello originario e che, conseguentemente, da un lato impedisce il decorso della prescrizione dell’azione di responsabilità, stabilita in un anno dalla denuncia, in base al secondo comma del medesimo art. 1669, e, dall’altro lato lascia impregiudicata, qualora il difetto – nonostante le riparazioni apportate – riemerga prima che siano decorsi i dieci anni a cui, in applicazione di detta norma, deve restare commisurata la responsabilità del costruttore, la possibilità di fare valere ulteriormente la garanzia ivi prevista. L’impegno assunto dall’appaltatore di eliminare i vizi e i difetti dell’opera realizzata, implicando il riconoscimento della loro esistenza, determina, dunque, il sorgere di una nuova obbligazione svincolata dai termini di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. e soggetta alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. Sez. 2, n. 19343 del 2022; Sez. 2, n. 62 del 2018; Sez. 2, n. 17874 del 2013; Sez. 2, n. 20853 del 2009; Sez. 2, n. 8026 del 2004; Sez. 2, n. 4936 del 1981).
Perché l’appaltatore, nonché chi sia con lui chiamato in concorso a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c. per colpa professionale, come nella specie il progettista e direttore dei lavori, possano dirsi tenuti a tale nuova ed autonoma obbligazione di eliminare i vizi delle opere eseguite, soggetta a prescrizione decennale decorrente dal momento della sua assunzione, non basta, tuttavia, individuare la dichiarazione unilaterale di ricognizione dei vizi e di impegno ad eliminarli (dalla quale discende, piuttosto, l’effetto di cui all’art. 2944 c.c.), ma occorre che la stessa, affiancandosi alla garanzia originaria, pur senza estinguerla, operando alle condizioni date e non ancora compiutamente definite, rechi il riconoscimento dell’obbligo di esecuzione dei lavori in concreto necessari per l’esecuzione della costruzione a regola d’arte, che avrebbero impedito l’insorgenza dei difetti, e confluisca in un accordo definitivo con il committente danneggiato, previa accettazione di tutte le relative modalità contrattuali, immediatamente inerenti alle opere convenute come oggetto dell’appalto ed ai soli difetti costruttivi contestati dal committente e imputabili a deficienze dell’appaltatore, non potendosi estendere ad ogni problematica che sia sorta successivamente all’esecuzione dell’appalto (Cass. Sez. 2, n. 14815 del 2018; Sez. 3, n. 6670 del 2009; Sez. 2, n. 15283 del 2005; Sez. 2, n. 11272 del 1995; Sez. 1, n. 7216 del 1995).
6. La sentenza della Corte d’appello di Torino, essendosi limitata a ravvisare “il riconoscimento dei difetti evidenziati nella lettera del 3 novembre 2011 sottoscritta sia dal Omissis che dal YYYYY”, dando per “pacifico” che l’appaltatore “ebbe ad impegnarsi e ad eseguire i lavori di ripristino interessanti il tetto, ed in particolare la guaina”, “al precipuo scopo di eliminare gli sgocciolamenti”, non ha accertato la effettiva costituzione di una nuova obbligazione, da assoggettare alla prescrizione decennale, previa verifica della conclusione di un accordo determinativo dei difetti costruttivi contestati dal Condominio committente e imputabili all’appaltatore ed al progettista e direttore dei lavori, in quanto immediatamente inerenti alle opere convenute come oggetto dell’appalto inter partes.
La sentenza impugnata, avendo altresì rigettato le deduzioni istruttorie degli appellati “attese le risultanze documentali in atti”, il cui esame si è poi limitato al richiamo operato alla “lettera del 3 novembre 2011”, manca di motivazione, giacché non contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni di fatto e di diritto della decisione, ovvero l’iter logico giuridico seguito dai giudici di appello.
7. L’accoglimento in questi termini del primo e del secondo motivo del ricorso di YYYYY, nonché di entrambi i motivi del ricorso di DDDDD, comporta l’assorbimento del terzo motivo del ricorso di YYYYY, privando di immediata rilevanza decisoria la questione attinente alla ravvisata concorrente responsabilità contrattuale del medesimo YYYYY.
8. Conseguono: l’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso di YYYYY e del ricorso di DDDDD; l’assorbimento del terzo motivo del ricorso di YYYYY; la cassazione della sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Torino, che procederà a nuovo esame della causa uniformandosi agli enunciati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso di YYYYY e il ricorso di DDDDD, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso di YYYYY, cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 maggio 2023. [...]
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31 Maggio 2023Sentenze CiviliÈ pacifico in giurisprudenza, con riguardo ad edifici in condominio, che una canna fumaria, sia pure appoggiata alla facciata del fabbricato, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire esclusivamente l’unità immobiliare di proprietà esclusiva cui afferisce (Cass. Sez. 6-2, n. 4499 del 2020; n. 18350 del 2013; n. 9231 del 1991).
Non spetta, peraltro, all’assemblea accollare ad uno o ad alcuni dei condomini la spesa necessaria per la rimozione di una canna fumaria dalle parti condominiali, sia pure in ottemperanza ad ordine della pubblica autorità, in quanto il collegio dei partecipanti non può ascrivere spese ai singoli, ove non ne sia accertata in sede giudiziale la responsabilità, che comporti l’onere individuale del relativo ripristino (Cass. Sez. 2, n. 10053 del 2013; n. 7890 del 1999).
principio di diritto:
l’espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di altrui proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale non rientra tra le attribuzioni dell’assemblea di condominio, configurandosi come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. Ne consegue che, ove il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione di detta servitù, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c., non potendo perciò il proprietario del fondo gravato dalla servitù invocare il principio dell’apparenza del diritto, agli effetti dell’art. 1398 c.c., ove abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. Omissis R.G. proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliati in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentati e difesi dagli avvocati Omissis
-ricorrenti contro
DDDDD, difeso personalmente ex art. 86 c.p.c.
-controricorrente
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di PESCARA n. 355/2018 depositata il 08/03/2018.
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Omissis, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o in subordine di rigettare il ricorso.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2023 dal Consigliere Omissis.
FATTI DI CAUSA
YYYYY hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 355/2018 del Tribunale di Pescara, pubblicata l’8 marzo 2018.
Resiste con controricorso DDDDD.
Il Tribunale di Pescara ha accolto l’appello proposto dall’avvocato DDDDD contro la sentenza n. 133/2015 resa dal Giudice di pace di Pescara ed ha respinto l’appello proposto da YYYYY.
Il giudizio ha ad oggetto le domande proposte da YYYYY con citazione del 12 marzo 2014, volta ad accertare la responsabilità dell’avvocato DDDDD per aver indotto in errore gli attori, dichiarando nel corso dell’assemblea del condominio di viale Omissis svoltasi l’11 luglio 2008 che il condomino Omissis “lo aveva incaricato di esprimere la sua volontà favorevole alla rimozione” di tre canne fumarie in uso ai condomini Omissis e YYYYY, i cui comignoli erano collocati sul lastrico solare di proprietà esclusiva YYYYY. Si riferisce che all’epoca il condominio di viale Omissis era composto da cinque condomini: YYYYY, Omissis e Omissis, genitori di DDDDD, e Omissis. L’assemblea “totalitaria” dell’11 luglio 2008 (vi erano presenti i YYYYY per delega sia dei propri genitori che del Omissis) aveva, invero, “autorizzato” i YYYYY, i quali avevano in corso la realizzazione di un tetto di copertura in sostituzione del lastrico, a chiudere le canne fumarie. Stante il successivo divieto di rimuovere le canne fumarie comunicato dal Omissis, l’impresa appaltatrice delle opere inerenti al tetto ripristinò la canna fumaria e la somma occorrente per tale intervento (dell’importo di € 1.823,25) fu “anticipata” dai YYYYY. Costoro avevano agito con una prima citazione del 18 maggio 2010 nei confronti di Omissis, chiedendone il rimborso; tale domanda era stata tuttavia rigettata dal Giudice di pace di Pescara, con sentenza del 15 novembre 2012, la quale ipotizzava una possibile responsabilità di DDDDD per il danno procurato quale falsus procurator. Con la citazione del 12 marzo 2014, YYYYY chiesero così di condannare DDDDD al risarcimento dei danni pari all’importo della spesa di ripristino della canna fumaria (€ 1.823,25) e delle spese processuali pagate per il giudizio concluso con la prima sentenza del 15 novembre 2012 (€ 2.021,76). Il Giudice di pace accolse la domanda limitatamente alla somma di € 1.823,25, in quanto DDDDD, presente nel verbale dell’assemblea dell’11 luglio 2008 come delegato di Omissis, non aveva manifestato alcun dissenso in ordine alla autorizzazione alla chiusura delle canne fumarie.
Il Tribunale di Pescara, dopo aver riportato il testo dell’art. 67 disp. att. c.c. come modificato dalla legge n. 220 del 2012, non applicabile tuttavia nel caso in esame ratione temporis, ed aver escluso che in base al testo previgente la delega assembleare necessitasse della forma scritta, ha evidenziato che nell’ordine del giorno dell’assemblea dell’11 luglio 2008 non fosse ricompresa la questione della chiusura delle canne fumarie e che risultava accertata nella sentenza del Giudice di pace di Pescara del 15 novembre 2012, resa tra i YYYYY e il Omissis, che la canna fumaria abbattuta era di proprietà esclusiva Omissis, sicché non vi era al riguardo competenza deliberativa dell’assemblea. Il Tribunale ha così ritenuto non diligente, ex art. 1227, comma 2, c.c., la condotta dei YYYYY, i quali avevano proceduto immediatamente all’abbattimento della canna fumaria di proprietà Omissis sulla scorta di una delibera di assemblea adottata in materia estranea alle attribuzioni del collegio, su punto nemmeno all’ordine del giorno e in assenza di delega scritta di DDDDD, pur trattandosi di “dimissione di diritti reali”.
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14).
I ricorrenti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo del ricorso di YYYYY deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che l’appello di DDDDD si era “limitato a ventilare la presunta invalidità della delibera assembleare per attenere essa a diritti di proprietà esclusiva e a richiamare quanto statuito nella sentenza n. 1694/2012 del Giudice di pace di Pescara”, senza censurare minimamente la decisione di primo grado nella parte in cui aveva accertato la sussistenza della sua responsabilità e l’incolpevole affidamento dei YYYYY, essendosi così formato il giudicato sul punto. A fronte di ciò, il Tribunale avrebbe “finito per imbarcarsi” in questioni estranee ai motivi di gravame, quali la necessità della forma scritta della delega, l’ordine del giorno dell’assemblea, la competenza della stessa sull’abbattimento della canna fumaria, la mancanza di diligenza dei YYYYY.
1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’appello proposto da DDDDD aveva censurato la erroneità e contraddittorietà della sentenza di primo grado in relazione all’accoglimento della richiesta di pagamento avanzate dagli attori, e concerneva l’oggetto della delibera assembleare dell’11 luglio 2008 e i limiti delle competenze dell’assemblea in relazione ai diritti individuali di proprietà.
A fronte della sentenza di primo grado, recante la condanna del DDDDD al risarcimento dei danni sofferti da YYYYY per aver confidato senza colpa nel consenso di Omissis, falsamente rappresentato dal DDDDD, alla rimozione della canna fumaria, il conseguente appello del DDDDD, che deduceva l’invalidità della delibera assembleare ove tale consenso sarebbe stato espresso, apriva il riesame del giudice del gravame sull’intera questione della sussistenza e della validità del potere rappresentativo e dell’affidamento incolpevole dei YYYYY, non configurando tali questioni una “parte della sentenza”, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno (cfr. Cass. Sez. 2, n. 16583 del 2012; Sez. L, n. 2217 del 2016).
2. Il secondo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., sottolineandosi che la deliberazione assembleare dell’11 luglio 2008 era stata assunta all’unanimità (sia pure “col dubbio della necessità della delega scritta o meno”), sicché il consenso espresso dai proprietari delle canne fumarie rivestiva un valore negoziale.
Il terzo motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 disp. att. c.c., nella formulazione applicabile ratione temporis. Così i ricorrenti evidenziano che non occorreva delega scritta.
Il quarto motivo del ricorso di YYYYY denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, 2056 e 1175 c.c. Essendosi in presenza di una delibera approvata all’unanimità e sottoscritta da tutti i presenti, essa era “opponibile” anche ai YYYYY, obbligati ad eseguirla.
2.1. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, giacché connessi, e si rivelano del tutto non fondati, pur dovendosi correggere la motivazione parzialmente erronea in diritto della sentenza impugnata, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c.
Si ha riguardo, per quanto risulta accertato dai giudici di merito, alla vicenda della rimozione di una canna fumaria di proprietà di Omissis dal lastrico solare di proprietà esclusiva YYYYY.
Ciò basta già a rivelare l’erroneità dei presupposti normativi su cui sono fondate le censure del ricorso, in quanto esulano dal tema di lite le questioni afferenti alla obbligatorietà delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, all’ordine del giorno ed all’intervento dei condomini all’assemblea a mezzo di rappresentante di delega.
2.2. È pacifico in giurisprudenza, con riguardo ad edifici in condominio, che una canna fumaria, sia pure appoggiata alla facciata del fabbricato, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire esclusivamente l’unità immobiliare di proprietà esclusiva cui afferisce (Cass. Sez. 6-2, n. 4499 del 2020; n. 18350 del 2013; n. 9231 del 1991).
Non spetta, peraltro, all’assemblea accollare ad uno o ad alcuni dei condomini la spesa necessaria per la rimozione di una canna fumaria dalle parti condominiali, sia pure in ottemperanza ad ordine della pubblica autorità, in quanto il collegio dei partecipanti non può ascrivere spese ai singoli, ove non ne sia accertata in sede giudiziale la responsabilità, che comporti l’onere individuale del relativo ripristino (Cass. Sez. 2, n. 10053 del 2013; n. 7890 del 1999).
2.3. Altrettanto consolidata è l’interpretazione secondo cui l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni e non dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi. Qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può, quindi, essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi (Cass. Sez. 6 – 2, n. 16953 del 2022). Uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità è quella della “impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione”, ovvero in relazione alle “attribuzioni” proprie dell’assemblea (Cass. Sez. Unite, n. 9839 del 2021), dalle quali esulano gli interventi di manutenzione di beni di proprietà individuale.
2.4. Quando effettivamente si verte in tema di deliberazioni di competenza dell’assemblea condominiale, e si deduce che la stessa sia stata adottata in forza del voto di un “falso” (o “infedele”) delegato, voto che abbia inciso sulla regolare costituzione dell’assemblea o sul raggiungimento della maggioranza deliberativa prescritta dalla legge o dal regolamento, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato trovano disciplina in base alle regole sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante si ritiene legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (Cass. Sez. 2, n. 22958 del 2022; n. 2218 del 2013; n. 12466 del 2004). Incombe sul condomino che dal verbale dell’assemblea risulti rappresentato su delega l’onere di provare in sede di impugnazione che nessuna delega era stata rilasciata, ovvero che la stessa doveva ritenersi invalida.
2.5. Poiché il caso in esame atteneva, tuttavia, alla espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale, la fattispecie deve essere qualificata come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5302 del 1977). Nel caso in cui il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione della servitù gravante sull’immobile altrui, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c. Il proprietario del fondo gravato dalla servitù non può perciò invocare il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole, al fine di affermare la responsabilità del falsus procurator ex art. 1398 c.c. ove, come nella specie, abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.
2.6. Per il resto, la valutazione operata dal Tribunale di Pescara sulla colpa dei YYYYY, per aver proceduto immediatamente all’abbattimento della canna fumaria di proprietà Omissis confidando in una delibera di assemblea condominiale adottata in materia estranea alle attribuzioni del collegio, su punto nemmeno all’ordine del giorno e in assenza di delega scritta in capo a DDDDD, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto.
3. Può enunciarsi il seguente principio di diritto:
l’espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di altrui proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale non rientra tra le attribuzioni dell’assemblea di condominio, configurandosi come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. Ne consegue che, ove il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione di detta servitù, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c., non potendo perciò il proprietario del fondo gravato dalla servitù invocare il principio dell’apparenza del diritto, agli effetti dell’art. 1398 c.c., ove abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.
4. Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 1.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 maggio 2023 [...]
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25 Maggio 2023Sentenze CiviliArt. 1137 c.c. – Annullabilità – Nullità – Termine impugnazione
La doglianza è infondata, trovando applicazione il principio di diritto enunciato dalle S.U., secondo il quale in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come modificato dall’art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un’estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico – quest’ultima da valutarsi in relazione al “difetto assoluto di attribuzioni” -, contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all'”ordine pubblico” o al “buon costume”. Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. (sentenza n. 9839, 14/04/2021, Rv. 661084 – 03).
ORDINANZA
sul ricorso R.G. Omissis proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliata in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che la rappresenta e difende;
-ricorrente
contro
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avvocato Omissis, che lo rappresenta e difende;
-controricorrente
avverso la sentenza n. 844/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 14/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/04/2023 dal Consigliere Dott. Omissis;
La Corte osserva
1. YYYYY propose opposizione avverso il decreto con il quale le era stato ingiunto di pagare la somma di € 12.883,73 in favore del Condominio XXXXX, a titolo di quota parte per le spese sostenute dal medesimo Condominio dal 2003 al 2010 per lavori effettuati per la eliminazione delle infiltrazioni delle acque meteoriche provenienti dalla terrazza della YYYYY e per il risarcimento del danno procurato all’unità abitativa sottostante.
1.1. L’opponente dedusse la violazione dell’art. 1126 cod. civ., essendole stato addebitato il più gravoso importo del 60% e a carico del Condominio il residuo 40%.
2. Il Tribunale, accolta l’opposizione, rilevata la nullità della delibera assembleare, revocò il decreto.
3. La Corte d’appello di Bari, accolta l’impugnazione del Condominio, confermò il decreto ingiuntivo.
3.1. Questi, in sintesi, gli argomenti esposti dalla decisione d’appello.
I criteri di cui all’art. 1123 cod. civ. possono essere derogati, sia con un regolamento condominiale, che con una delibera approvata all’unanimità o col consenso di tutti i condomini. Può, inoltre, accettarsi un criterio di ripartizione per “facta concludentia” o la ratifica, anche per “facta concludentia”. <<Nella delibera condominiale, in data 29.11.2009 va ravvisato un accordo tra il condomino YYYYY (odierna appellante) ed il Condominio con il quale venivano regolamentati i costi dei lavori straordinari finalizzati alle infiltrazioni nell’immobile sottostante. Tale accordo risulta poi ratificato dagli altri Condomini, assenti, i quali hanno provveduto al pagamento delle quote Condominiali di loro spettanza>>.
3. YYYYY ricorre avverso la statuizione d’appello sulla base un solo motivo. Il Condominio resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
4. La ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1118, 1123, 1126, 1136, 1138 cod. civ., nonché dell’art. 19 del regolamento condominiale.
La delibera era stata correttamente giudicata affetta da nullità dal Tribunale, poiché in assenza del consenso unanime di tutti i condomini, aveva modificato i criteri legali e regolamentari di ripartizione delle spese condominiali. Né il consenso unanime poteva ricavarsi per “facta concludentia”.
La doglianza è infondata, trovando applicazione il principio di diritto enunciato dalle S.U., secondo il quale in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come modificato dall’art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un’estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico – quest’ultima da valutarsi in relazione al “difetto assoluto di attribuzioni” -, contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all'”ordine pubblico” o al “buon costume”. Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. (sentenza n. 9839, 14/04/2021, Rv. 661084 – 03).
Nel caso in esame risulta evidente che in seno alla delibera del 29/11/2009 si dette vita ad un accordo tra il condominio e la ricorrente, attraverso il quale si regolò ad hoc il riparto delle spese occorse per l’eliminazione delle infiltrazioni. Di conseguenza si trattò di una occasionale deroga, senza modificare i generali criteri di riparto, con la conseguenza che la delibera non era nulla, ma semmai annullabile, nel rispetto del termine decadenziale di legge, ampiamente elasso; in tal senso deve essere integrata e modificata la motivazione della sentenza d’appello.
La ricorrente va condannato a rimborsare le spese in favore del controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. [...]
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23 Maggio 2023Sentenze CiviliNotifica al condominio
Inoltre, in riferimento alla seconda di dette notificazioni (quella effettuata in data 28/11/2017 all’Amministratore del Condominio XXXXX presso i locali del Condominio muniti di portineria), risulta che il plico venne consegnato al portiere dello stabile, che sottoscrisse regolarmente la cartolina di ricevimento, cui seguì la spedizione, da parte dell’addetto al recapito, della raccomandata prevista dall’art. 7 l. 890/82: anche tale notifica, quindi, deve reputarsi pienamente valida, in quanto, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, cui questa Corte di merito aderisce, “la notifica di un atto indirizzato al condominio, qualora non avvenga nelle mani dell’amministratore, può essere validamente fatta nello stabile condominiale soltanto qualora in esso si trovino locali destinati allo svolgimento ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni (come ad esempio la portineria), idonei, come tali, a configurare un “ufficio” dell’amministratore, dovendo, in mancanza, essere eseguita presso il domicilio privato di quest’ultimo” (Cass. n. 11303/2007; nello stesso senso, vedi anche Cass. n. 2999/2010). Nel caso di specie, come detto, tali locali esistevano senz’altro, essendo presente una portineria presidiata da un portiere che ebbe modo di ricevere il plico, sottoscrivendo altresì la cartolina di ricezione.
S e n t e n z a
nella causa civile di II grado iscritta al n. Omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, posta in deliberazione all’udienza collegiale del 19/1/2023, vertente
tra
Condominio XXXXX, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
Appellante
e
YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’Avv. Omissis, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
Appellato
Oggetto: ripetizione d’indebito.
Conclusioni: come da scritti difensivi.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Condominio XXXXX (nel prosieguo, “Condominio”), proponeva appello avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.c., emessa dal Tribunale di Roma in data 8/5/2018, con la quale il Condominio era stato condannato al pagamento, in favore del sig. YYYYY, della somma di Euro 7.433,27, oltre interessi legali dal 21/9/2016 e spese processuali, a titolo di somme da costui versate e non dovute perché richieste in violazione del disposto di cui all’art. 63, comma 4, disp. att. c.c. (che prevede che il debito solidale dell’acquirente di un immobile ubicato in un Condominio per il versamento dei contributi condominiali sia limitato a quelli dovuti nell’anno in corso al momento dell’acquisto e all’anno immediatamente antecedente).
L’appellante, che nel primo grado di giudizio era stato dichiarato contumace, con un unico motivo di doglianza ha sostenuto che il Tribunale era incorso in un “error in procedendo”, in quanto il Condominio non aveva mai ricevuto la notifica dell’ordinanza (effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c.) con cui era stata fissata l’udienza di comparizione delle parti, né presso la propria casella postale (n. 7, cap 00052, Cerveteri), né presso l’ufficio dell’amministratore, sito in Omissis (contrariamente a quanto avvenuto in occasione dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., oggetto di impugnazione, che era stata notificata all’ufficio di Via Bennicelli).
Quindi, dopo aver richiamato la disciplina posta dagli artt. 137, 139 e 140 c.p.c., il Condominio concludeva chiedendo la riforma dell’impugnata ordinanza e, per l’effetto, in via principale, l’annullamento della stessa e, in via subordinata, il rinvio della causa al giudice di primo grado; il tutto con vittoria delle spese di lite.
Costituitosi in giudizio, l’appellato si limitava a resistere, evidenziando di aver regolarmente notificato l’atto introduttivo di primo grado all’amministratore del Condominio, unitamente al pedissequo provvedimento di fissazione dell’udienza, sia presso il suo ufficio “Omissis”, sito in Omissis, sia presso lo stesso Condominio XXXXX, dotato di locali di portineria destinati al servizio della cosa comune; pertanto il sig. YYYYY concludeva chiedendo il rigetto dello spiegato gravame e la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.
All’udienza del 19/2/2023, dopo la precisazione delle conclusioni, la causa era trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c..
Motivi della decisione
L’appello è infondato.
Infatti, dall’esame degli atti di causa emerge chiaramente che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado venne notificato al Condominio XXXXX, nel rispetto sia degli artt. 137 ss. c.p.c., sia delle norme poste dalla legge n. 890/82 e dalla legge n. 53/94.
Sul punto è sufficiente osservare che il ricorso di primo grado e il pedissequo decreto di fissazione di udienza furono notificati, a mezzo del servizio postale, sia al Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore sig. Omissis, sia presso il suo ufficio “Omissis” ubicato in Omissis, sia presso lo stabile condominiale, dotato di locali di portineria destinati al servizio della cosa comune.
Riguardo alla prima di dette notificazioni (all’amministratore presso il suo ufficio di Omissis stante la temporanea assenza del destinatario, attestata dal postino, essa venne effettuata in ossequio alle disposizioni di cui all’art. 8 l. 890/82, mediante il deposito del plico presso l’ufficio postale, la successiva spedizione a mezzo raccomandata della comunicazione di avvenuto deposito, nonché mediante l’immissione dell’avviso in cassetta in data 30 novembre 2017. Il plico, che non venne poi ritirato dal destinatario, venne restituito al mittente dopo la compiuta giacenza, sicché la notificazione deve intendersi perfezionata in data 10 dicembre 2017, una volta decorso il termine di 10 giorni dall’invio della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito. A ciò, poi, aggiungasi che il sig. YYYYY ha dimostrato documentalmente che non solo all’epoca della notifica, ma anche in epoca successiva (vedi la documentazione allegata al relativo fascicolo di parte) l’ufficio dell’amministratore (“Omissis”) era ubicato sia in Omissis, sia in Omissis, ove il postino effettivamente rinvenne il destinatario dell’atto, eseguendo, in sua temporanea assenza, tutti gli adempimenti previsti dall’art. 8 l. 890/82.
Inoltre, in riferimento alla seconda di dette notificazioni (quella effettuata in data 28/11/2017 all’Amministratore del Condominio XXXXX presso i locali del Condominio muniti di portineria), risulta che il plico venne consegnato al portiere dello stabile, che sottoscrisse regolarmente la cartolina di ricevimento, cui seguì la spedizione, da parte dell’addetto al recapito, della raccomandata prevista dall’art. 7 l. 890/82: anche tale notifica, quindi, deve reputarsi pienamente valida, in quanto, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, cui questa Corte di merito aderisce, “la notifica di un atto indirizzato al condominio, qualora non avvenga nelle mani dell’amministratore, può essere validamente fatta nello stabile condominiale soltanto qualora in esso si trovino locali destinati allo svolgimento ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni (come ad esempio la portineria), idonei, come tali, a configurare un “ufficio” dell’amministratore, dovendo, in mancanza, essere eseguita presso il domicilio privato di quest’ultimo” (Cass. n. 11303/2007; nello stesso senso, vedi anche Cass. n. 2999/2010). Nel caso di specie, come detto, tali locali esistevano senz’altro, essendo presente una portineria presidiata da un portiere che ebbe modo di ricevere il plico, sottoscrivendo altresì la cartolina di ricezione.
Per quanto concerne, infine, l’assunto dell’appellante secondo cui il sig. YYYYY sarebbe stato tenuto obbligatoriamente a notificare l’atto introduttivo ed il relativo decreto di fissazione d’udienza presso la casella postale di cui il Condominio si era dotato, esso dev’essere disatteso. Infatti, in materia di notifica degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale, la scelta del destinatario di avvalersi per il ricevimento della posta del servizio di casella postale deve ritenersi del tutto ininfluente rispetto alle modalità di notifica degli atti da parte dei terzi, non comportando alcuna deroga alla disciplina generale posta dalla legge n. 890 del 1982 che, all’art. 7, prevede, come regola generale, la consegna del piego a mani proprie del destinatario e, in mancanza, che questi sia avvisato con le modalità previste dall’art. 8 (v. Corte costituzionale n. 346 del 1998); ne consegue che la scelta di dotarsi di una casella postale non può assumere rilevanza nei confronti dei terzi, i quali hanno diritto di confidare nell’avvenuta notifica, una volta eseguite le normali operazioni di recapito postale previste dalla legge. Da quanto premesso deriva che l’appello, totalmente infondato, deve essere rigettato.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da separato dispositivo.
Trattandosi di causa iscritta a ruolo successivamente al 31-1-2013, occorre dare atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, come introdotto dall’art. 1, comma 17, L. n. 228/2012, per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, rigetta l’appello proposto dal Condominio XXXXX, nei confronti di YYYYY avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 8/5/2018;
condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese del grado d’appello, che vengono liquidate in Euro 150,00 per esborsi e in Euro 5.809,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge;
dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1, co. 17 della legge n. 228/2012, per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, lì 15/5/2023. [...]
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23 Maggio 2023Sentenze CiviliFrazionamento di una unità immobiliare – Tabelle millesimali – Art. 69 disp. att. c.c.
A fronte del frazionamento di una unità immobiliare, unità alla quale erano attributi 29 millesimi, sono stati indicati nei riparti 21,18 millesimi a una unità e 7,82 millesimi all’altra unità. Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha affermato che, non sussistendo alcuna modifica del numero delle carature millesimali, ma solo la loro distribuzione tra le due sub-unità, non vi è stata alcuna illegittima revisione della tabella, ma solamente una modifica dal punto di vista del calcolo matematico; d’altro canto, ha osservato la Corte d’appello, il regolamento condominiale prevede all’art. 1 che “le quote fissate saranno suddivise qualora una singola proprietà si trasferisse a più di un subentrante”. Per l’affermazione che la divisione di un appartamento non comporta alcuna automatica incidenza sulle tabelle millesimali, gravando sull’assemblea l’onere di provvedere a ripartire le spese tra le due nuove parti cosi create e i rispettivi titolari cfr. Cass. n. 15109/2019.
ORDINANZA
sul ricorso Omissis proposto da:
YYYYY, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dagli avvocati Omissis ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Omissis;
– ricorrente –
contro
Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 1554/2017 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 29 giugno 2017;
udita la relazione della causa, svolta dal Consigliere Omissis nell’adunanza in camera di consiglio del 28/11/2022.
PREMESSO CHE
YYYYY ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 1554/2017, con la quale la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dal ricorrente, confermando la sentenza del Tribunale di Bologna che aveva respinto la domanda di impugnazione delle deliberazioni assunte dal Condominio XXXXX. YYYYY aveva contestato la validità delle deliberazioni in quanto – per la costituzione dell’assemblea, per il quorum e il calcolo delle maggioranze per stabilire l’entità delle quote dei riparti delle spese – era stata applicata una tabella millesimale diversa da quella apposta in calce al regolamento condominiale di carattere contrattuale.
Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso è articolato in un motivo che contesta “violazione o falsa applicazione degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c. e delle norme ivi richiamate, artt. 1123, 1124 e 1136 c.c.”: le tabelle millesimali sono volte a stabilire le c.d. carature delle unità immobiliari, così che non possono essere modificate unilateralmente, ma la loro modifica deve essere contrattualmente approvata.
Il motivo non può essere accolto. A fronte del frazionamento di una unità immobiliare, unità alla quale erano attributi 29 millesimi, sono stati indicati nei riparti 21,18 millesimi a una unità e 7,82 millesimi all’altra unità. Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha affermato che, non sussistendo alcuna modifica del numero delle carature millesimali, ma solo la loro distribuzione tra le due sub-unità, non vi è stata alcuna illegittima revisione della tabella, ma solamente una modifica dal punto di vista del calcolo matematico; d’altro canto, ha osservato la Corte d’appello, il regolamento condominiale prevede all’art. 1 che “le quote fissate saranno suddivise qualora una singola proprietà si trasferisse a più di un subentrante”. Per l’affermazione che la divisione di un appartamento non comporta alcuna automatica incidenza sulle tabelle millesimali, gravando sull’assemblea l’onere di provvedere a ripartire le spese tra le due nuove parti cosi create e i rispettivi titolari cfr. Cass. n. 15109/2019.
2. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 28 novembre 2022 [...]
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23 Maggio 2023Sentenze CiviliArt. 1138 c.c. – Regolamento di condominio – Clausole contrattuali – Clausole regolamentari – Art. 1136 c.c.
Secondo la giurisprudenza di questa Corta, infatti, le clausole dei regolamenti condominiali “hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare; ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, secondo comma c.c.” (così Cass., sez. un., n. 943/1999).
ORDINANZA
sul ricorso Omissis proposto da:
YYYYY, rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso, dagli avvocati Omissis ed elettivamente domiciliati in Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis;
– ricorrenti –
contro
Condominio XXXXX, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis, per procura in calce al
controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 445/2018 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO, depositata il 2 marzo 2018;
udita la relazione della causa, svolta dal Consigliere Omissis, nell’adunanza in camera di consiglio del 28/11/2022.
PREMESSO CHE
1. YYYYY ricorrono per cassazione avverso la sentenza n. 445/2018, con la quale la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il gravame da loro proposto, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Trapani. Il Tribunale aveva accolto la domanda proposta dal Condominio XXXXX e aveva condannato i ricorrenti “a non parcheggiare al di fuori del proprio posto macchina e dello spazio condominiale fruito come parcheggio a pagamento”, sul presupposto della violazione dell’art. 13 del regolamento condominiale, come modificato e integrato dall’art. 13-bis adottato con delibera condominiale del 27 febbraio 2010; il Tribunale aveva invece rigettato la domanda riconvenzionale dei ricorrenti di accertamento della nullità di due delibere, quella sopra menzionata del 27 febbraio 2010 e quella del 5 aprile 2002, che aveva disposto l’assegnazione annuale, ai condomini che ne avessero fatto richiesta, dell’uso di posti macchina aggiuntivi ricavati nelle zone posteriori e laterali dell’area condominiale.
Resiste con controricorso il Condominio XXXXX.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
1. Il primo motivo denuncia “violazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c.”: il Condominio, che ha adito il giudice, aveva l’onere di provare che i ricorrenti hanno effettuato soste oltre il limite dei sessanta minuti stabilito dal regolamento condominiale per il tempo occorrente al carico e scarico, prova che il giudice d’appello ha invece addossato ai ricorrenti, così violando l’art. 2697 c.c.; il Condominio non ha infatti prodotto alcuna prova “che possa attestare un comportamento in dispregio dell’art. 13 del regolamento condominiale consistente nel parcheggio al di fuori dei posti assegnati per lungo periodo di tempo; al contrario i ricorrenti hanno provato che YYYYY, all’epoca dei fatti, lavorava a Palermo dove viveva cinque giorni a settimana “seguita” dalla sua macchina e che altri condomini posteggiavano “in maniera selvaggia” senza essere mai stati citati in giudizio.
Il motivo non può essere accolto. Correttamente il giudice di merito ha sottolineato che a fronte della circostanza – non contestata dai ricorrenti – della sosta della propria autovettura fuori dai posti assegnati, spettava ai ricorrenti provare che tale sosta non aveva superato i sessanta minuti previsti per il carico e scarico merci dal regolamento condominiale, lasso temporale fissato dalla delibera del 27 febbraio 2010, prova rispetto alla quale non appaiono certo decisive le circostanze sottolineate dai ricorrenti.
2. Il secondo motivo fa valere “nullità della delibera condominiale adottata dal Condominio in data 27 febbraio 2010, violazione delle norme di cui all’art. 70 disp. att. c.c. (antecedente la riforma) e all’art. 1136 c.c.”: la Corte d’appello, partendo dalla distinzione tra clausole oggettivamente regolamentari e clausole tipicamente contrattuali, ha erroneamente applicato al caso di specie il principio per cui solo le seconde, incidendo nella sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi dei condomini, devono trovare la loro fonte in un atto negoziale approvato da tutti i condomini; la delibera impugnata del 27 febbraio 2010 ha infatti posto in essere una modifica che interessa i diritti e gli obblighi di ciascun condomino e doveva quindi essere approvata all’unanimità.
Il motivo non può essere accolto. La delibera del 27 febbraio 2010 ha inserito nel regolamento l’art. 13-bis – trascritto alla pag. 3 del ricorso – secondo il quale fuori dai posti assegnati “è consentita la sosta per il tempo occorrente al carico e scarico merci che viene fissato in sessanta minuti”. Si tratta, ha correttamente affermato la Corte d’appello, di regolamentazione delle modalità di uso e di godimento del bene comune che rientra nella potestà regolamentare dell’assemblea dei condomini, integrando l’art. 13- bis una clausola tesa a disciplinare la fruizione della cosa comune.
Secondo la giurisprudenza di questa Corta, infatti, le clausole dei regolamenti condominiali “hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare; ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, secondo comma c.c.” (così Cass., sez. un., n. 943/1999).
3. Il terzo motivo contesta “istituzione di secondi posti auto a pagamento, violazione della norma di cui agli artt. 1102 e 1120 c.c. (antecedente la riforma legislativa del 2012)”: l’uso esclusivo di un bene comune è possibile solo a fronte di una esplicita autorizzazione dell’assemblea presa all’unanimità; l’assegnazione di un numero limitato di secondi posti macchina a pagamento è da ritenersi innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c., in quanto, essendo a pagamento e non ad uso turnario, altera il rapporto di equilibrio tra tutti gli aventi diritto sullo spazio comune.
Il motivo non può essere accolto. La delibera del 5 aprile 2002 (cfr. le pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata) ha stabilito “di ricavare nelle zone posteriori e laterali dell’area condominiale dei posti macchina aggiuntivi da assegnare annualmente in uso ai condomini che ne facciano richiesta e che hanno la necessità di parcheggiare all’interno dell’area condominiale una seconda vettura dietro pagamento di euro 7 mensili a posto, quale contributo per il temporaneo uso esclusivo della porzione della proprietà comune rispetto agli altri condomini; qualora le richieste superino il numero dei posti aggiuntivi disponibili, l’assegnazione di questi avverrà per sorteggio”. Si tratta – come ha osservato il giudice d’appello – non dell’attribuzione in via esclusiva e per un tempo indefinito di posti auto, al di fuori della logica della turnazione, ma della regolamentazione di una forma di godimento turnario dell’area del cortile comune: l’assegnazione dei posti è annuale, su richiesta o sorteggio, ed è previsto il versamento di un mero contributo (7 euro mensili), che non rende a pagamento l’attribuzione dei posti.
Tale regolamentazione rientrava pertanto nelle attribuzioni dell’assemblea condominiale ed è pertanto legittima la delibera che l’ha approvata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la delibera assembleare che, in considerazione dell’insufficienza dei posti auto in rapporto al numero dei condomini, ha previsto l’uso turnario e stabilito l’impossibilità, per i singoli condomini, di occupare gli spazi ad essi non assegnati anche se i condomini aventi diritto non occupino in quel momento l’area parcheggio loro riservata, costituisce corretta espressione del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune da parte dell’assemblea; infatti, se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; pertanto, l’assemblea, alla quale spetta il potere di disciplinare i beni e servizi comuni, al fine della migliore e più razionale utilizzazione, ben può stabilire, con deliberazione a maggioranza, il godimento turnario della cosa comune, nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – non sia possibile l’uso simultaneo da parte di tutti i condomini, a causa del numero insufficiente dei posti auto condominiali” (così, ex multis, Cass. 12485/2012).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 28 novembre 2022 [...]
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22 Maggio 2023Sentenze CiviliArt. 1117 c.c. – Varco muro dell’edificio condominiale – Androne e scale edificio
Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello, nel qualificare l’apertura del varco nel muro dell’edificio condominiale da parte di Omissis quale uso della parte comune, ha seguito l’orientamento di questa Corte. E’ infatti costante l’affermazione secondo la quale “l’androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche dei proprietari di locali terranei, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali, per piani o porzioni di piano, e rappresentano, inoltre, il tramite indispensabile per il godimento e la conservazione, da parte o a vantaggio di detti soggetti, delle strutture di copertura, a tetto o a terrazza; è pertanto legittima, e non costituisce spoglio, l’apertura praticata dal proprietario esclusivo di un terraneo con accesso diretto dalla strada, per accedere all’androne, in quanto diretto a utilizzare una parte dell’edificio da ritenersi comune, senza pregiudizio per gli altri condomini” (così Cass. n. 761/1979; più di recente v. Cass. n. 9036/2006).
ORDINANZA
sul ricorso Omissis proposto da:
Condominio XXXXX, rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso dall’avvocato Omissis ed elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis;
– ricorrente –
contro
YYYYY, rappresentati e difesi per procura in calce al controricorso dagli avvocati Omissis ed elettivamente domiciliati a Omissis presso lo studio dell’avvocato Omissis;
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA n. 654/2016 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, depositata il 19 dicembre 2016;
udita la relazione della causa, svolta dal Consigliere Omissis, nell’adunanza in camera di consiglio del 28/11/2022.
PREMESSO CHE
1. Il Tribunale di Sassari, per quanto interessa in questo giudizio, ha accolto la domanda del Condominio XXXXX di accertamento dell’inesistenza del diritto del convenuto Omissis (cui sono succeduti ex art. 111 c.p.c. i coniugi YYYYY) di accedere al vano scala condominiale e di condanna del medesimo al ripristino dei luoghi, mediante la chiusura della porta di accesso dal vano scala al locale di sua proprietà e del “tubo volante”. Il convenuto, ad avviso del Tribunale, con l’apertura nella parete condominiale di una porta di accesso al vano scala, porta volta a consentire l’ingresso alla sua unità immobiliare costituita da un piano ammezzato ricavato con la costruzione di un soppalco, aveva posto in essere una illegittima alterazione alla destinazione e al godimento di un bene condominiale.
2. YYYYY hanno impugnato la sentenza. La Corte d’appello di Cagliari, dopo avere disposto un supplemento della consulenza tecnica d’ufficio, ha parzialmente accolto il gravame.
Precisata la natura di bene comune delle scale, il giudice ha ricordato la giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di apertura di varchi nel muro condominiale e ha concluso per la legittimità dell’apertura della porta d’accesso al vano scale; ha così rigettato la domanda del Condominio di ripristino dello stato dei luoghi.
3. Avverso la sentenza n. 654/2016 della Corte d’appello il Condominio XXXXX ricorre per cassazione.
Resistono con controricorso YYYYY .
Il ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
1. Il primo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 1102 c.c. e all’art. 1120 c.c.”: Omissis, proprietario dei magazzini posti al piano terra del Condominio, nel 2002 ha realizzato una porta di accesso all’interno del vano scala che conduce alle singole unità immobiliari, al fine di creare un ingresso autonomo alla unità immobiliare di sua proprietà posta al piano ammezzato, creata attraverso il frazionamento in senso orizzontale dei magazzini; la Corte d’appello ha erroneamente fatto rientrare tale fattispecie tra le modificazioni dirette solamente a un migliore uso della cosa comune quando invece su tratta di una innovazione che necessitava di essere autorizzata dal condominio ex art. 1120 c.c.
Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello, nel qualificare l’apertura del varco nel muro dell’edificio condominiale da parte di Omissis quale uso della parte comune, ha seguito l’orientamento di questa Corte. E’ infatti costante l’affermazione secondo la quale “l’androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche dei proprietari di locali terranei, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali, per piani o porzioni di piano, e rappresentano, inoltre, il tramite indispensabile per il godimento e la conservazione, da parte o a vantaggio di detti soggetti, delle strutture di copertura, a tetto o a terrazza; è pertanto legittima, e non costituisce spoglio, l’apertura praticata dal proprietario esclusivo di un terraneo con accesso diretto dalla strada, per accedere all’androne, in quanto diretto a utilizzare una parte dell’edificio da ritenersi comune, senza pregiudizio per gli altri condomini” (così Cass. n. 761/1979; più di recente v. Cass. n. 9036/2006).
2. Il secondo motivo denuncia “violazione e/o anche falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 96 c.p.c., con espresso riferimento alla liquidazione delle spese da parte del giudice d’appello”: la Corte d’appello ha compensato le spese processuali del secondo grado solo nella misura della metà, ponendo a carico del ricorrente la restante parte, quando invece vi è stata soccombenza reciproca (è stata confermata la condanna di rimozione del tubo idrico ed è stata rigettata l’eccezione di controparte di carenza di legittimazione dell’amministratore).
Il motivo non può essere accolto. Il provvedimento di compensazione nella misura della metà delle spese è stato fondato dal giudice sull’accoglimento parziale dell’appello e a fronte della reciproca soccombenza delle parti il giudice ha il potere, ai sensi del comma 2 dell’art. 92 c.p.c., di compensare le spese “parzialmente o per intero”.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 28 novembre 2022 [...]
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22 Maggio 2023Sentenze CiviliTRIBUNALE DI TRIESTE SENTENZA N. 272/2023 17 MAGGIO 2023
L’attrice ha dichiarato di agire a titolo di responsabilità extracontrattuale, sotto la specie della responsabilità del custode prevista dall’art. 2051 c.c..
E’ noto, in generale, che tale disposizione postula, da un verso, che il danno sia cagionato da un’anomalia (originaria o sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa, occorrendo cioè una “relazione diretta tra la cosa in custodia e l’evento dannoso” (Cass. civ. 1682/00 e 6121/99), dall’altro verso, che esista un “effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivino danni ad altri” (cfr. Cass. civ. sez. III 18/02/00 n. 1859). Trattasi, invero, di una speciale ipotesi di responsabilità rispetto a quella più generale di cui all’art. 2043 c.c., dalla quale non differisce comunque per essenza e natura, salvo essere caratterizzata da un dovere specifico di contenuto positivo, ovvero da un più intenso dovere di vigilanza – comportante anche quello di adottare le misure idonee ad impedire danni a terzi – imposto a carico di chi abbia a qualsiasi titolo un effettivo, non occasionale, “potere fisico” sulla cosa (cfr. Cass. 5885/99, 3129/87, 1897/83). Ne deriva altresì, che la responsabilità ex art. 2051 c.c. prescinde dal carattere insidioso della cosa dannosa, che perciò il danneggiato non è tenuto a dimostrare, come invece sarebbe necessario se agisse ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 3041/97).
Quanto poi alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., occorre dimostrare il caso fortuito, ossia un fatto estraneo alla sfera di azione del custode tale da determinare da solo, per la sua imprevedibilità ed assoluta eccezionalità, l’evento dannoso, avendo cioè impulso causale autonomo, sì da “interrompere il nesso eziologico fra cosa ed evento lesivo”; fatto che, si badi, può essere ricondotto non solo ad un fattore naturale, bensì anche alla condotta umana, di un terzo o dello stesso danneggiato (in proposito, cfr. Cass. civ. 10703/99, 10434/98, 2430/04 e 584/01; più di recente, la S.C. ha ribadito il principio della cd. “autoresponsabilità”, parlando di “comportamento ordinariamente cauto”: Cass. civ. 4390/2017, 12895/2016 e 11661/2014, ovvero di “normali cautele esigibili in situazioni analoghe”: Cass. civ. 4638/2017, 16885/2016 e 23919/2013).
Con specifico riferimento al danno provocato non direttamente dalla cosa, bensì da una sua alterazione, quale ad es. la comparsa di una macchia d’olio, va menzionata Cass. civ. 13222/16, la quale ha precisato che “Ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazione di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa in custodia e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione della stessa. Solamente in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi” (v. anche Cass. 1691/09).
Per altro verso, resta fermo che l’astratta configurabilità dell’art. 2051 c.c., così come dell’art. 2043 c.c., non esime comunque il danneggiato dall’onere di provare, prima ancora del danno, e prima che il danneggiante sia chiamato ad offrire la prova liberatoria di competenza, il nesso di causalità tra danno medesimo e condotta dell’agente o debitore, ovvero cosa in custodia (in relazione ad un’anomalia originaria o sopravvenuta nella struttura o nel funzionamento di questa); ossia il danneggiante deve dimostrare che “l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa” (v. Cass. civ. sez. III 13/2/02 n. 2075, 20/10/05 n. 20317, 2331/01; si segnala specialmente Cass. 03/02/2015 n. 1896, che bene chiarisce come “la prova del caso fortuito … incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia. La natura oggettiva (o ‘semi-oggettiva’) della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell’elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita. Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall’obbligazione risarcitoria. … È erroneo, in particolare, l’assunto in base al quale l’affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l’onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta ‘insidia’, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito. Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l’attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell’intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che – in assenza di una simile caratteristica della cosa – il nesso causale non può per definizione essere predicato. La oggettiva pericolosità (c.d. “insidiosità”) della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell’indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all’ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode”).
SENTENZA
nel procedimento civile di I° grado iscritto al n. R.G. Omissis ed iniziato con atto di citazione dd. 5/10/19 da
YYYYY, con avv. Omissis
– attrice –
contro
Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore in carica, con avv. Omissis
– parte convenuta –
Assicurazioni (quale incorporante di Omissis), in persona del legale rappresentante, con avv. Omissis
– parte terza chiamata –
avente ad oggetto : risarcimento danni.
Conclusioni della parte attrice:
dichiara di aderire alla proposta di cui all’art. 185 bis c.p.c. formulata dall’On.le Tribunale adito all’udienza tenutasi in data 03.03.2022.
precisa le conclusioni riportandosi ai propri scritti difensivi nonché a quanto dedotto, richiesto ed eccepito nei verbali di causa, chiedendo che la causa venga introitata per la decisione.
Conclusioni della parte convenuta:
In via principale
Respingersi le domanda attorea nei confronti del Condominio XXXXX perché infondata in fatto ed in diritto.
Col ristoro degli onorari e delle spese del giudizio.
In via estremamente subordinata
Nella denegata ipotesi che fossero accertati e quantificati danni all’attrice ascrivibili in una qualche misura al convenuto condominio, determinarli in quelli effettivamente subiti dalla stessa con conseguente e proporzionale riduzione della relativa domanda attorea anche in virtù del concorso della danneggiata alla produzione dell’evento lamentato dalla stessa ex art. 1227 c.c.
Col ristoro degli onorari e delle spese del giudizio.
In via principale nei confronti del terzo chiamato
Nel solo caso di accoglimento, anche parziale, della domanda attorea, accertarsi che la Assicurazioni, che ha incorporato per fusione la Omissis, è tenuta a garantire il convenuto condominio dalle pretese attoree e per l’effetto condannare la terza chiamata a tenerlo indenne da tutte le conseguenze negative della lite ma con compensazione delle spese del giudizio nei rapporti tra il condominio e la terza chiamata.
Conclusioni della parte terza chiamata:
Voglia l’Ill.mo Tribunale di Trieste, adversiss rejectis
IN VIA PRINCIPALE
Rigettarsi la domanda attorea in quanto – anche in ragione dell’art. 1227 c.c. – infondata in fatto ed in diritto e/o comunque del tutto indimostrata.
Con vittoria di diritti, onorari e spese di causa anche di ATP.
IN VIA DI MERO SUBORDINE E SALVO GRAVAME
Nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento della domanda attorea, contenersene il petitum entro quanto di giustizia.
Con integrale compensazione delle spese di lite, anche nel rapporto con la convenuta.
IN VIA ISTRUTTORIA
Al solo fine di non incorrere in decadenze di sorta e senza alcuna inversione dell’onus probandi attoreo – si chiede disporsi prova per interpello formale dell’attrice e per testi sulle seguenti circostanze, da intendersi in forma interrogativa e precedute da “Vero che:
1. la YYYYY, in data 23.09.2016, era ospite nell’appartamento della Signora Omissis, sito in Trieste, Omissis;
2. alla data del 23.09.2016, la YYYYY alloggiava nel sui dicato edificio da due settimane;
3. la YYYYY in precedenza era già stata ospite numerose volte della Signora Omissis;
4. alla data del 23.09.2016, la YYYYY era transitata molte altre volte sulle scale condominiali;
5. la YYYYY denunciava per la prima volta il riferito sinistro occorsole in data 23.09.2016 nel febbraio dell’anno successivo;
6. in data 23.09.2016, la rampa di scale dello stabile si trovava e si trova in perfette condizioni di manutenzione generale;
7. in particolare, la prima rampa di scale è composta da dodici gradini a piano marmoreo aventi una larghezza di 140 cm, pedata di 31 cm ed alzata d 15,2 cm, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
8. centralmente, i gradini sono rivestiti da una corsia di moquette a pelo corto, di cromia rossa, avente larghezza 100 cm, giusta fotografica che si rammostra (doc. 3);
9. in data 23.09.2016, i dispostivi di contenimento (asta ottonata) del tappeto insistente sulla rampa di scale del Condominio XXXXX erano agganciati e funzionanti, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
10. in particolare, lungo la pavimentazione di tutto l’atrio non era dato riscontrare la presenza di asperità o avvallamenti;
11. le aste ottonate di contenimento del tappeto erano fissate al pavimento tramite l’inserimento in occhielli infissi alla base di ciascuna alzata giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
12. il fissaggio al pianerottolo rialzato del tappeto era garantito da un lama ottonata avvitata al pavimento, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
13. il tappeto sito sulla prima rampa di scale (entrando) era munito di un sottogomma antiscivolo, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
14. in data 09.04.2016, la prima rampa di scala dello stabile era interessata dalla fornitura e posa in opera di una nuova corsia moquette, una nuova lama di fissaggio, un nuovo occhiolo a L in ottone lucido ed un bastone in ottone, giusto preventivo di spesa che si rammostra (doc. 4);
15. in data 23.09.2016, adiacente alla rampa di scale in questione era collocato un corrimano, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
16. in data 23.09.2016, le condizioni di illuminazione dell’atrio dello stabile erano ottime ed il luogo era perfettamente visibile agli occhi della YYYYY;
17. il portone condominiale presentava e presenta ampie vetrate che lasciano entrare la luce solare, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);
18. l’atrio dello stabile era ed è inoltre dotato di sistema di illuminazione artificiale funzionante;
19. nessun altro incidente ebbe a verificarsi nel punto indicato dall’attrice e nessuna segnalazione è mai pervenuta al Condominio XXXXX in merito alla particolare insidiosità o pericolosità del tratto di calpestio in questione.
S’indicano quali testimoni:
– Omissis
– Omissis
Si chiede, altresì, di essere ammessi a prova contraria sui capitoli avversari ammessi con i testi indicati in precedenza.
Ragioni di Fatto e di Diritto della Decisione
YYYYY ha citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste il Condominio XXXXX esponendo di aver riportato lesioni personali allorquando, in data 23/09/16, trovandosi all’interno dello stabile condominiale in quanto ospite della condomina Omissis, nel mentre saliva la prima rampa di scale, rovinava al suolo a causa di un dissesto del tappeto ornamentale ivi collocato, al momento libero ovvero non fissato al pavimento; soccorsa e portata al P.S. le veniva diagnosticata “frattura radiale destra, estremo distale”; vani erano stati i tentativi, compreso l’esperimento della negoziazione assistita, di ottenere un risarcimento in via stragiudiziale dei pregiudizi subiti, cui aveva fatto seguito altresì procedimento ex art. 696 bis c.p.c.. Pertanto, l’attrice ha chiesto accertarsi la responsabilità del condominio convenuto ex art. 2051 c.c e la sua condanna al di cui € 33.506 per biologico permanente, oltre spese mediche e rimborso spese dell’a.t.p..
Costituendosi in giudizio, il Condominio XXXXX ha concluso come in epigrafe, contestando an e quantum debeatur, in punto dinamica del fatto ovvero sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno lamentato, da ascrivere piuttosto a un caso fortuito consistente sia in un’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile, ovvero non segnalabile con la normale diligenza, sia nella condotta della danneggiata ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe.
Previo differimento della prima udienza, si è costituita altresì Assicurazioni quale incorporante Omissis, che ha svolto analoghe contestazioni circa la fondatezza delle domande attoree.
Richiesti e concessi i termini richiesti ex art. 183 VI comma c.p.c., il G.I. ha ammesso ed assunto prova testimoniale e formulato proposta conciliativa ex art. 185 bis c.c. dd. 16/02/18, non accettata però dalla parte convenuta. Infine – sulle definitive conclusioni delle parti ed assegnati i termini di legge per deposito di conclusionali e repliche -, la causa è stata trattenuta in decisione.
La domanda è infondata e, pertanto, va respinta.
L’attrice ha dichiarato di agire a titolo di responsabilità extracontrattuale, sotto la specie della responsabilità del custode prevista dall’art. 2051 c.c..
E’ noto, in generale, che tale disposizione postula, da un verso, che il danno sia cagionato da un’anomalia (originaria o sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa, occorrendo cioè una “relazione diretta tra la cosa in custodia e l’evento dannoso” (Cass. civ. 1682/00 e 6121/99), dall’altro verso, che esista un “effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivino danni ad altri” (cfr. Cass. civ. sez. III 18/02/00 n. 1859). Trattasi, invero, di una speciale ipotesi di responsabilità rispetto a quella più generale di cui all’art. 2043 c.c., dalla quale non differisce comunque per essenza e natura, salvo essere caratterizzata da un dovere specifico di contenuto positivo, ovvero da un più intenso dovere di vigilanza – comportante anche quello di adottare le misure idonee ad impedire danni a terzi – imposto a carico di chi abbia a qualsiasi titolo un effettivo, non occasionale, “potere fisico” sulla cosa (cfr. Cass. 5885/99, 3129/87, 1897/83). Ne deriva altresì, che la responsabilità ex art. 2051 c.c. prescinde dal carattere insidioso della cosa dannosa, che perciò il danneggiato non è tenuto a dimostrare, come invece sarebbe necessario se agisse ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 3041/97).
Quanto poi alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., occorre dimostrare il caso fortuito, ossia un fatto estraneo alla sfera di azione del custode tale da determinare da solo, per la sua imprevedibilità ed assoluta eccezionalità, l’evento dannoso, avendo cioè impulso causale autonomo, sì da “interrompere il nesso eziologico fra cosa ed evento lesivo”; fatto che, si badi, può essere ricondotto non solo ad un fattore naturale, bensì anche alla condotta umana, di un terzo o dello stesso danneggiato (in proposito, cfr. Cass. civ. 10703/99, 10434/98, 2430/04 e 584/01; più di recente, la S.C. ha ribadito il principio della cd. “autoresponsabilità”, parlando di “comportamento ordinariamente cauto”: Cass. civ. 4390/2017, 12895/2016 e 11661/2014, ovvero di “normali cautele esigibili in situazioni analoghe”: Cass. civ. 4638/2017, 16885/2016 e 23919/2013).
Con specifico riferimento al danno provocato non direttamente dalla cosa, bensì da una sua alterazione, quale ad es. la comparsa di una macchia d’olio, va menzionata Cass. civ. 13222/16, la quale ha precisato che “Ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazione di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa in custodia e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione della stessa. Solamente in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi” (v. anche Cass. 1691/09).
Per altro verso, resta fermo che l’astratta configurabilità dell’art. 2051 c.c., così come dell’art. 2043 c.c., non esime comunque il danneggiato dall’onere di provare, prima ancora del danno, e prima che il danneggiante sia chiamato ad offrire la prova liberatoria di competenza, il nesso di causalità tra danno medesimo e condotta dell’agente o debitore, ovvero cosa in custodia (in relazione ad un’anomalia originaria o sopravvenuta nella struttura o nel funzionamento di questa); ossia il danneggiante deve dimostrare che “l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa” (v. Cass. civ. sez. III 13/2/02 n. 2075, 20/10/05 n. 20317, 2331/01; si segnala specialmente Cass. 03/02/2015 n. 1896, che bene chiarisce come “la prova del caso fortuito … incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia. La natura oggettiva (o ‘semi-oggettiva’) della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell’elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita. Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall’obbligazione risarcitoria. … È erroneo, in particolare, l’assunto in base al quale l’affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l’onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta ‘insidia’, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito. Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l’attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell’intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che – in assenza di una simile caratteristica della cosa – il nesso causale non può per definizione essere predicato. La oggettiva pericolosità (c.d. “insidiosità”) della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell’indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all’ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode”).
Tutto ciò premesso, ben potrebbe ipotizzarsi una responsabilità ex art. 2051 c.p.c. con riferimento al caso oggi in esame, apparendo indubbio che il sinistro denunciato si sia verificato in uno spazio rientrante nella effettiva possibilità di vigilanza e controllo del condominio convenuto, quale soggetto investito della relativa disponibilità e custodia. Né vi osta la circostanza che la caduta venga causalmente ricollegata ad un agente (tappeto mal ancorato) estrinseco rispetto alla cosa in riferita custodia (scale condominiali).
Tuttavia, si deve escludere che la presunzione sancita dall’art. 2051 c.c. possa giovare all’odierna istante, la quale infatti non ha adeguatamente assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante.
In verità, l’attrice si è limitata a produrre fotografie dei luoghi, referti e documentazione medica varia, la relazione di a.t.p. e una “dichiarazione testimoniale”, oltre che a proporre una inutile prova orale tramite testi che in realtà non assistettero al sinistro. Così la teste Omissis, in tesi informata sul fatto, ha chiaramente negato di aver visto la caduta, trovandosi anzi fuori dello stabile condominiale per aspettare la YYYYY, che ne era poi uscita “col braccio dolorante che diceva le faceva male perché era caduta, inciampando sulla prima rampa di scale”, e quindi venendo soccorsa dalla prima.
Ciò non basta ad integrare prova idonea, nei termini di cui si è detto sopra, del nesso eziologico tra cosa in custodia del Condominio ed eventus damni; prova che non può evidentemente sorreggersi soltanto su una (inutile ed irrilevante, come da pacifici e consolidati principi in materia) testimonianza de relato ex parte actoris o su valutazioni astratte ed ipotetiche, quali quelle contenute nell’a.t.p., l’una e le altre non idonee a dimostrare in quale preciso punto e con quali concrete modalità era avvenuta la caduta, né che questa fosse si fosse verificata proprio in corrispondenza dell’invocato difettoso ancoraggio del tappeto, o che tale ultima circostanza – ove anche già oggetto di segnalazioni – fosse in atto al momento della caduta; non senza peraltro rilevare la tardività della denuncia, intervenuta soltanto circa 5 mesi dopo. Rilievi che certo non possono ritenersi superati neanche dalle osservazioni difensive svolte con la memoria di replica attorea dd. 24/04/23.
Sicché, in definitiva – dando pure per avvenuto il fatto storico della caduta (alla luce del dato obiettivo costituito dalle lesioni riportate e vista pure la valutazione di compatibilità, comunque astratta, di cui all’a.t.p.), in mancanza di idonea prova od offerta di prova circa le concrete circostanze e modalità del fatto – il sinistro in questione non potrà che imputarsi a caso fortuito, se non alla condotta della stessa danneggiata (ovvero trattasi di semplice caduta causalmente ascrivibile a mera fatalità, se non a imprudenza o disattenzione).
Pertanto, alla luce del complessivo contesto sopra evidenziato, la domanda attorea non può che essere respinta.
Quanto al regime delle spese processuali, pur prendendo atto dell’accettazione da parte dell’attrice della proposta di rinuncia formulata dal giudice all’udienza del 22/11/22, non può non rilevarsi però che detta rinuncia è intervenuta soltanto ad istruttoria compiuta e dopo un a.t.p, che hanno indubbiamente costretto le controparti a non trascurabili sforzi difensivi altrimenti evitabili, ove l’attrice avesse agito con maggiore prudenza (sapendo di non avere testi oculari).
Pertanto, non vi è ragione di discostarsi dalla soccombenza, senza che peraltro possa parlarsi di rifiuto ingiustificato delle controparti di accettare la proposta di rinuncia a spese compensate, alla luce dei principi, specie di causalità, che vigono in materia.
L’attrice va quindi condannata a rifondere le spese di lite sia della convenuta che della terza chiamata, la cui evocazione in giudizio ha pur sempre provocato, salva peraltro una parziale compensazione, stante l’avvenuta accettazione della proposta.
La liquidazione segue il D.M. 55/14, con gli aggiornamenti ex D.M. 247/22 (quanto al presente giudizio), applicate anche le riduzioni di cui all’art. 4 comma 1, in ragione dell’obiettivo spessore delle attività svolte.
P.Q.M.
ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda attorea
condanna l’attrice a rifondere 2/3 delle spese di lite del condominio convenuto e della compagnia terza chiamata, liquidate per l’intero, per ciascuno, in € 1.600 per la fase di atp ed € 4.900 per il presente giudizio, per compensi, oltre spese gen, 15% ed IVA e CAP di legge, nonché € 546 per esborsi di parte convenuta; compensato il residuo terzo.
Pone definitivamente gli oneri dell’a.t.p. a carico dell’attrice.
Così deciso a Trieste, il 16/05/23 [...]
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20 Maggio 2023Sentenze CiviliArt. 67 disp. Att. c.c. – Art. 1106 c.c. – Rappresentante della comunione in assemblea – Assemblea condominiale Art. 1105 c.c.
Ora, come noto, l’art. 67 disp. att. c.c. prevede che, qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, “che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’art. 1106 c.c.”.
In altri termini, per come emergente dalla citata disposizione normativa, ai fini della scelta del rappresentante della comunione in sede di assemblea condominiale, occorre far riferimento unicamente alle previsioni ex art. 1106 c.c., che rimanda, a sua volta, “alla maggioranza calcolata nel modo indicato dall’articolo precedente” .
L’art. 1105 c.c. prevede poi, sul punto, che per gli atti di ordinaria amministrazione, le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il calore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.
Deve quindi ritenersi, atteso il richiamo ex art. 67 disp. att. c.c. all’art. 1106 c.c. e il successivo richiamo, da parte di quest’ultimo, alla “maggioranza calcolata nel modo indicato dall’articolo precedente”, che, ai fini della scelta del rappresentante della comunione nell’assemblea condominiale, occorra aver riferimento unicamente al criterio della “maggioranza dei partecipanti”, non risultando rilevante che, nel contesto dell’art. 1105 c.c., il detto criterio sia riferito ai soli atti di ordinaria amministrazione.
Ne consegue come risulti del tutto irrilevante se l’assemblea condominiale abbia natura ordinaria o straordinaria, dovendosi invece, in relazione alla designazione del rappresentante della Comunione in seno alla stessa, procedersi alla sua scelta unicamente in base alle citate disposizioni legislative, e quindi in base al criterio della “maggioranza dei partecipanti”, come peraltro avvenuto nel caso in esame.
Né devono essere condivise le ulteriori deduzioni delle attrici, per come dalle stesse tempestivamente svolte, dovendosi evidenziare, per un verso, l’avvenuta allegazione al verbale assembleare della delibera della Comunione in data 12 maggio 2021 e, per l’altro, che non risultano riconosciuti in capo al Presidente dell’assemblea condominiale, fra le sue funzioni e i suoi doveri, anche poteri valutativi e decisori in ordine all’illegittimità, o meno, delle deleghe conferite.
SENTENZA
Nella causa civile di 1° grado iscritta al N. Omissis del ruolo contenzioso generale dell’anno 2021, posta in deliberazione all’udienza del 18 gennaio 2023, (con termini di legge alle parti per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica) e vertente
Tra
YYYYY, elettivamente domiciliate in Omissis, presso lo Studio dell’Avv. Omissis, che le rappresenta e difende per procura in atti
ATTRICI
E
Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore Sig.ra Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo Studio dell’Avv. Omissis, che lo rappresenta e difende per procura in atti
CONVENUTO
OGGETTO: Impugnazione delibera condominiale
CONCLUSIONI
All’udienza del 18 gennaio 2023, svolta a mezzo della cd trattazione scritta, le parti concludevano riportandosi ai propri atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, le YYYYY esponevano di essere, rispettivamente, comproprietaria pro indiviso per 1/8, unitamente ad altri sei comunisti, dei locali terreni con ingressi da Viale Omissis e Via Omissis, e di un appartamento ed un magazzino in comproprietà.
Evidenziavano che, in data 12 maggio 2021, si era tenuta, su piattaforma Zoom, l’assemblea della Comunione Ereditaria Omissis avente ad oggetto la nomina ed il conferimento di delega, ex art. 67 disp. att. c.c., al rappresentante della comunione per l’assemblea del Condominio XXXXX data 18 – 19 maggio 2021, impugnata in sede giudiziaria in quanto inficiata dall’illegittimità della nomina, quale rappresentante, del Sig. Omissis.
Rilevavano che, atteso l’ordine del giorno dell’assemblea condominiale del 19 maggio 2021, avevano richiesto, a verbale, di allegare la delibera della Comunione al fine di evidenziare l’illegittimità della nomina del rappresentante Omissis, con richiesta al Presidente, Sig.ra Omissis, anch’ella appartenente alla comunione, di verifica della legittimità e validità della procura alla detta rappresentanza; nulla era però stato disposto dal Presidente dell’assemblea.
Concludevano richiedendo la declaratoria di nullità o annullabilità della deliberazione impugnata.
Disposta la comparizione delle parti si costituiva in giudizio il Condominio XXXXX, che eccepiva la decadenza dell’attrice YYYYY dal diritto di impugnare la deliberazione, oltre che la sua carenza di interesse; contestava poi le ulteriori censure di controparte, richiamando il contenuto del verbale dell’assemblea dei comunisti, allegato a quello dell’assemblea condominiale.
Concludeva richiedendo il rigetto delle domande attrici.
La causa veniva trattenuta in decisione all’udienza del 18 gennaio 2023, svolta a mezzo della cd trattazione scritta, con termini di legge alle parti per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre in primo luogo evidenziare, che a fondamento dell’impugnativa della delibera condominiale avanzata nella presente sede, parte attrice ha posto la delibera della Comunione Eredi Omissis in data 12 maggio 2021, in atti, laddove veniva conferita la delega di rappresentante, per partecipare all’assemblea condominiale, al Sig. Omissis sulla base del voto di 4/8.
In particolare, parte attrice ha evidenziato di aver richiesto al Presidente dell’assemblea condominiale, peraltro appartenente alla Comunione, la verifica della legittimità e della validità della procura alla rappresentanza del Sig. Omissis, senza però ottenerne riscontro.
Chiarito ciò, si deve innanzi tutto rilevare, a fronte dell’eccezione di decadenza formulata da parte convenuta nei confronti dell’attrice YYYYY i, che, per come emergente dalla documentazione in atti, il procedimento di mediazione risulta essere stato promosso unicamente dai Sigg. Omissis né la Sig.ra YYYYY risulta aver partecipato alla relativa procedura, come da prodotti verbali.
A ciò deve aggiungersi che, nel corso dell’assemblea del 19 maggio 2021, l’assemblea condominiale autorizzava la Sig.ra YYYYY all’apertura di una seconda porta d’ingresso del magazzino sito all’interno 3A, così dovendosi condividere anche le tempestive censure di difetto di carenza di interesse formulate da parte convenuta.
In ogni caso, le censure attoree formulate nella presente sede, aventi ad oggetto, per come chiarito, l’illegittimità della nomina del Sig. Omissis quale rappresentante, in sede di assemblea condominiale, della Comunione non devono essere condivise.
Per come infatti emergente dalla documentazione in atti, nel corso dell’assemblea della Comunione in data 12 maggio 2021, come da relativo verbale, constatata la regolarità della convocazione, si deliberava, a maggioranza, di conferire, secondo quanto previsto ex art. 67 disp. att. c.c., la delega di rappresentante della comunione all’assemblea condominiale in questione al Sig. Omissis, a favore del quale avevano votato tutti i comunisti ad eccezione della Sig.ra YYYYY, presente per delega anche del Sig. Omissis.
Deve quindi ritenersi che, attesa la quota di un ottavo in capo a ciascun comunista, e di due ottavi in capo al solo Omissis, per come emergente dal citato verbale, la quota di cinque ottavi dei comunisti abbia votato in favore del Sig. Omissis, così esprimendo una volontà a maggioranza, per come peraltro riportato nel verbale.
Ora, come noto, l’art. 67 disp. att. c.c. prevede che, qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, “che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’art. 1106 c.c.”.
In altri termini, per come emergente dalla citata disposizione normativa, ai fini della scelta del rappresentante della comunione in sede di assemblea condominiale, occorre far riferimento unicamente alle previsioni ex art. 1106 c.c., che rimanda, a sua volta, “alla maggioranza calcolata nel modo indicato dall’articolo precedente” .
L’art. 1105 c.c. prevede poi, sul punto, che per gli atti di ordinaria amministrazione, le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il calore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.
Deve quindi ritenersi, atteso il richiamo ex art. 67 disp. att. c.c. all’art. 1106 c.c. e il successivo richiamo, da parte di quest’ultimo, alla “maggioranza calcolata nel modo indicato dall’articolo precedente”, che, ai fini della scelta del rappresentante della comunione nell’assemblea condominiale, occorra aver riferimento unicamente al criterio della “maggioranza dei partecipanti”, non risultando rilevante che, nel contesto dell’art. 1105 c.c., il detto criterio sia riferito ai soli atti di ordinaria amministrazione.
Ne consegue come risulti del tutto irrilevante se l’assemblea condominiale abbia natura ordinaria o straordinaria, dovendosi invece, in relazione alla designazione del rappresentante della Comunione in seno alla stessa, procedersi alla sua scelta unicamente in base alle citate disposizioni legislative, e quindi in base al criterio della “maggioranza dei partecipanti”, come peraltro avvenuto nel caso in esame.
Né devono essere condivise le ulteriori deduzioni delle attrici, per come dalle stesse tempestivamente svolte, dovendosi evidenziare, per un verso, l’avvenuta allegazione al verbale assembleare della delibera della Comunione in data 12 maggio 2021 e, per l’altro, che non risultano riconosciuti in capo al Presidente dell’assemblea condominiale, fra le sue funzioni e i suoi doveri, anche poteri valutativi e decisori in ordine all’illegittimità, o meno, delle deleghe conferite.
Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, sulla base delle censure formulate e degli elementi tempestivamente introdotti in giudizio, la domanda attrice deve essere rigettata, risultando le conclusioni raggiunte assorbenti ogni ulteriore profilo dedotto ed evidenziandosi, in ultimo, l’inammissibilità, nella presente sede, della domanda di improcedibilità del giudizio, peraltro formulata dalle medesime attrici, avanzata solo in sede di comparsa conclusionale.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Il Tribunale di Roma, V Sezione Civile, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, così provvede:
I) Rigetta la domanda attrice;
II) Condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite in favore di parte convenuta, liquidate in complessivi euro 2.300,00, di cui euro 700,00 per la fase introduttiva, euro 600,00 per la fase di studio ed euro 1.000,00 per la fase decisoria, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2023 [...]
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17 Maggio 2023Sentenze CiviliLegittimazione legale rappresentante società amministratore del condominio – Possesso In primo luogo, va osservato che la Corte territoriale ha accertato che Omissis ha agito quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, che è la Omissis; in tale veste l’ Omissis era pienamente legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto del condominio e a rilasciare procura ad litem.Il riconoscimento della legittimazione ad agire di Omissis, quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, è conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale l’incarico di amministratore del condominio può essere conferito, oltre che a una persona fisica, anche a una persona giuridica (Cass., Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406). In tale quadro, evidentemente è il legale rappresentante della società nominata amministratore dall’assemblea legittimato a conferire mandato al difensore per la rappresentanza in giudizio del condominio (Cass. Sez. 2, n. 11155 del 1994).Escluso dalla stessa prospettazione di parte ricorrente l’esercizio di un possesso del diritto di passaggio carrabile sull’area condominiale ad immagine di un diritto reale, il Giudice d’appello ha correttamente applicato l’art. 1168 comma II cod. proc. civ., secondo cui il detentore cosiddetto qualificato, cioè colui che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l’intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale, può proporre azione di reintegrazione del possesso, ma deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l’esistenza del titolo posto a base dell’allegata detenzione (Cass. Sez. 6 – 2, n. 3627 del 2014); inoltre, poiché la posizione lato sensu possessoria del detentore non ha un’estensione oggettiva pari a quella del possesso stricto sensu, tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, il giudice del merito, a fronte delle contestazioni dell’intimato, non può, ai fini del riconoscimento della tutela possessoria, esimersi dall’accertamento del rapporto obbligatorio e dalla verifica che l’attività, contestata dal preteso autore dello spoglio, rientri nell’ambito della detenzione consentita da quel rapporto (Cass. Sez. 2, n. 8489 del 22/06/2000; cfr. Sez. 6 – 2, n. 19114 del 2015).
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso Omissis proposto da:YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, rappresentato e difeso dagli avv. Omissis, come da procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;– ricorrente –controCondominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Omissis, come da procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;– controricorrente –avverso la sentenza n. 3198/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/11/2018;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2023 dal consigliere Omissis;lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2013 YYYYY ottenne dal Tribunale di Belluno (Sez. di Pieve di Cadore), nei confronti del Condominio XXXXX, un’ordinanza possessoria di rimozione di una fioriera che, a suo dire, gli impediva l’accesso alle aree del piano interrato e del fabbricato ad uso autorimessa, confinante con uno spazio scoperto dello stabile condominiale.Nel giudizio di merito, promosso dal condominio ex art. 703 cod. proc. civ., il Tribunale, tuttavia, revocò il provvedimento interdittale.2. Con sentenza n. 3198 del 2018, la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello di YYYYY, ritenendo che non vi fosse prova del titolo per cui il ricorrente aveva agito in possessoria, atteso che egli stesso aveva rappresentato di avere soltanto la disponibilità non titolata del piano interrato e dell’autorimessa e, pertanto, non un possesso tutelabile e che non risultava neppure provato il passaggio sul piazzale da sempre destinato al parcheggio del condominio;preliminarmente, per quel che ancora qui rileva, rigettò anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del rappresentante costituito per il condominio.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione YYYYY, sulla base di quattro motivi.Il Condominio ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, in relazione all’eccezione di inammissibilità della produzione documentale indicata in ricorso con «n. 5 – fascicolo ad hoc con atti e documenti richiamati», come proposta dal Condominio controricorrente, deve rilevarsi in fatto che YYYYY ha depositato la sua produzione ai sensi dell’art. 369, comma II, n. 4 cod. proc. civ. con il ricorso, nella cui parte narrativa ha indicato, nell’illustrazione di ogni motivo, il documento prodotto a sostegno e la sua collocazione nei fascicoli di parte dei precedenti gradi; in tal modo, ha supplito alla mancata formulazione di un indice dettagliato per ciascuna produzione in questa sede, atteso che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, «gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Cass. Sez. U, n. 22726 del 03/11/2011; Sez. 3, n. 11805 del 05/05/2021).Diversa questione è, invece, la produzione nel procedimento per cassazione – che non consente alcuna forma d’istruzione probatoria – di documenti ovvero di altre cose materiali che servano come mezzi di prova non riguardanti la nullità della sentenza o l’inammissibilità del ricorso o del controricorso non acquisiti su istanza di parte o d’ufficio nei gradi precedenti: il coordinamento e la interpretazione degli artt. 369, n. 4, e 372 cod. proc. civ. vanno compiuti, infatti, in relazione al quadro sistematico risultante dalla funzione del ricorso e dalla struttura del giudizio di cassazione che consentono censure fondate su errori in iudicando o in procedendo, in riferimento ad elementi di fatto già acquisiti al giudizio, nonché all’art. 366 cod. proc. civ. che indica il contenuto del ricorso, in relazione al quale l’art. 369 determina ed indica i documenti che ad esso debbono essere allegati, al fine di offrire alla Corte un quadro immediato, completo e autosufficiente delle censure sulle quali deve pronunciarsi. Ne deriva che, in tale quadro, non soltanto possono essere prodotti nel giudizio di legittimità, ma a norma dell’art. 369 debbono esserlo, a pena di improcedibilità del ricorso (soltanto, peraltro, ove la mancata produzione renda impossibile l’esame del ricorso stesso) i documenti, già prodotti dalle parti o acquisiti di ufficio al giudizio nei gradi precedenti, sui quali si fonda il ricorso; cosicché la norma dell’art. 372 va interpretata nel senso che non è vietata l’allegazione al ricorso di documenti già acquisiti al giudizio nei gradi precedenti, ma soltanto – di regola – di quelli nuovi, trovando l’art. 372 la sua ratio nel divieto di introdurre nel giudizio di cassazione nuovi elementi di fatto, salvo che nelle particolari ipotesi da esso previste (Cass. Sez. 1, n. 570 del 22/01/1998).Nei limiti fissati da questi principi è allora evidentemente inammissibile la produzione di documenti già non acquisita nei gradi precedenti, quando la relativa statuizione di inammissibilità del Giudice di merito non sia stata – come nella specie e come di seguito specificato – oggetto di specifica censura nel giudizio di legittimità.2. Ciò precisato in rito, può procedersi all’esame dei motivi di ricorso.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli art. 2266 e segg. cod. civ. e 83 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte territoriale escluso la nullità della sentenza di primo grado per difetto di legittimazione attiva di Omissis.Il motivo è inammissibile sotto duplice profilo.In primo luogo, va osservato che la Corte territoriale ha accertato che Omissis ha agito quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, che è la Omissis; in tale veste l’ Omissis era pienamente legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto del condominio e a rilasciare procura ad litem.Il riconoscimento della legittimazione ad agire di Omissis, quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, è conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale l’incarico di amministratore del condominio può essere conferito, oltre che a una persona fisica, anche a una persona giuridica (Cass., Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406). In tale quadro, evidentemente è il legale rappresentante della società nominata amministratore dall’assemblea legittimato a conferire mandato al difensore per la rappresentanza in giudizio del condominio (Cass. Sez. 2, n. 11155 del 1994).In secondo luogo, poi, la Corte di appello ha accertato che l’operato di Omissis, con riferimento al giudizio di primo grado, è stato successivamente ratificato dall’assemblea condominiale.Tale seconda ratio decidendi non è attinta dal motivo, con conseguente inammissibilità dell’intera censura.2.2. Con il secondo motivo, YYYYY ha prospettato, in riferimento all’articolo 360, comma I, n.3 e 5 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 in relazione agli articoli 1168 e 1170 cod. civ. e, in riferimento all’art. 360, comma I, n.3-5 cod. proc. civ., «per inconciliabilità della motivazione in relazione a due diverse situazioni fattuali e per avere omesso di considerare lo ius possidendi quale condomino». Illustrando la censura, il ricorrente ha sostenuto che la «situazione di fatto in cui egli si trovava, ovvero l’uso di garages e della rampa per accedervi, di proprietà di terzi», «impedita» (così in ricorso) dall’avvenuta apposizione della fioriera sul solaio del piano 1° del Condominio, non necessitava di alcuna «prova del diritto reale corrispondente» per giustificare il potere di fatto e che, in ogni caso, il diritto di passaggio risultava accertato nella sentenza n. 1177/2016 del Tribunale di Belluno, passata in giudicato, che tuttavia la Corte non aveva esaminato ritenendola produzione tardiva; infine, risulterebbe contraddittoria ed erronea la motivazione nella parte in cui è stato escluso il possesso del passaggio carrabile attraverso il fondo di proprietà del condominio atteso che egli stesso è un condomino.Anche questo motivo è inammissibile perché ugualmente non si confronta con la ratio decidendi.La Corte territoriale (in accoglimento dell’eccezione del condominio appellato) ha ritenuto inutilizzabile la sentenza allegata all’atto di impugnazione, in quanto prodotta nel giudizio di appello in violazione produzione dell’art. 345, comma III, cod. proc. civ.; ha quindi rilevato che la legittimazione attiva del ricorrente per difetto di prova del titolo della pretesa detenzione era stata già esclusa in primo grado proprio perché egli stesso aveva affermato «di essere nella disponibilità dei beni senza averne titolo» e che non era stato offerto alcun «documento che contenga l’autorizzazione da parte della proprietà ad utilizzare l’autorimessa interrata»;ha poi ritenuto che la prova della legittimazione attiva non fosse ricavabile dalle fotografie dello stato dei luoghi, perché del tutto inidonee alla prova di un titolo; ha infine sottolineato che non è stata offerta prova di un passaggio carraio da e verso l’autorimessa.Pertanto, escluso dalla stessa prospettazione di parte ricorrente l’esercizio di un possesso del diritto di passaggio carrabile sull’area condominiale ad immagine di un diritto reale, il Giudice d’appello ha correttamente applicato l’art. 1168 comma II cod. proc. civ., secondo cui il detentore cosiddetto qualificato, cioè colui che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l’intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale, può proporre azione di reintegrazione del possesso, ma deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l’esistenza del titolo posto a base dell’allegata detenzione (Cass. Sez. 6 – 2, n. 3627 del 2014); inoltre, poiché la posizione lato sensu possessoria del detentore non ha un’estensione oggettiva pari a quella del possesso stricto sensu, tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, il giudice del merito, a fronte delle contestazioni dell’intimato, non può, ai fini del riconoscimento della tutela possessoria, esimersi dall’accertamento del rapporto obbligatorio e dalla verifica che l’attività, contestata dal preteso autore dello spoglio, rientri nell’ambito della detenzione consentita da quel rapporto (Cass. Sez. 2, n. 8489 del 22/06/2000; cfr. Sez. 6 – 2, n. 19114 del 2015).In tal senso, è del tutto irrilevante la qualità di condomino e, in correlazione, il possesso del diritto a passare «a piedi» (così in ricorso) sull’area condominiale, perché quel che unicamente rileva è il passaggio carrabile per l’accesso all’autorimessa dei terzi: nel ricorso possessorio, infatti, YYYYY aveva proprio lamentato che fosse il passaggio carrabile alla rampa e all’autorimessa ad essere impedito dalla fioriera apposta dal Condominio.Il ricorrente ha pure sostenuto che la prova sarebbe nella sentenza n. 177/2016 del Tribunale di Belluno, ma la produzione, come da lui riconosciuto, è stata ritenuta inammissibile dalla Corte territoriale perché tardiva; e su tale declaratoria di inammissibilità per tardività non è stata formulata censura.2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la «violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma I, n. 3 e 5 cod. proc. civ. per omesso esame delle circostanze di fatto riferite dai testimoni».Anche questo motivo è inammissibile sotto duplice profilo.Innanzitutto, il motivo non indica la norma di legge che sarebbe stata in ipotesi violata (norma che non può essere l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che si limita ad indicare uno dei motivi per cui è consentito il ricorso per cassazione).In secondo luogo, poi, è inammissibile il motivo proposto ex art. 360 n. 5, in presenza di “doppia conforme”.Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. 2, n. 5528 del 10/03/2014; conf., Cass., Sez. 1, n. 26774 del 22/12/2016; Cass., Sez. L, n. 20994 del 06/08/2019). Tale onere il ricorrente non ha adempiuto.E peraltro, le dichiarazioni testimoniali, per come riportate in ricorso, non costituiscono per nulla fatto decisivo, in quanto non suppliscono alla carenza di prova della detenzione qualificata come già rilevata: queste dichiarazioni concernono, infatti, unicamente il mero passaggio sull’area condominiale e la fornitura della legna e questi fatti, in sé, non rilevano perché non escludenti l’uso precario.2.4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione, in relazione all’articolo 360 comma I n. 3 e 5, degli articoli 342 e 345 cod. proc. civ. «per aver trattato questioni petitorie, così violando anche l’articolo 705 cod. proc. civ. per aver omesso l’esame di documenti comprovanti il giudicato esterno».La censura, con cui il ricorrente ha sostenuto che la decisione contrasterebbe con la sentenza n. 792/2014 resa dalla stessa Corte d’appello di Venezia nei confronti dei condomini del Condominio convenuto e risulterebbe motivata in modo contraddittorio in riferimento alla destinazione a parcheggio dell’area condominiale dov’è stata apposta la fioriera, è inammissibile per plurime ragioni.Innanzitutto, il ricorrente denuncia la violazione di una serie di disposizione di legge senza curarsi di prenderne in esame il precetto normativo e di raffrontarlo con la decisione impugnata. Sul punto, va richiamato il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. Un., n. 23745 del 28/10/2020). Sotto tale profilo il motivo appare del tutto privo di specificità.E peraltro, va osservato che la questione della destinazione a parcheggio dell’area è stata rilevata non al fine di accertare una situazione petitoria preclusiva, ma soltanto allo scopo di sottolineare l’incompatibilità in fatto del preteso esercizio di un passaggio carrabile attraverso l’area condominiale invece vincolata e destinata in fatto a parcheggio.Inammissibile, in presenza di doppia conforme, è poi il profilo del motivo dedotto come omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.3. In definitiva, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Condominio XXXXX, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto. [...]
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