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CASSAZIONE CIVILE ORDINANZA N. 10865/2023 DEL 24 APRILE 2023

Legittimazione legale rappresentante società amministratore del condominio – Possesso 

In primo luogo, va osservato che la Corte territoriale ha accertato che Omissis ha agito quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, che è la Omissis; in tale veste l’ Omissis era pienamente legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto del condominio e a rilasciare procura ad litem.
Il riconoscimento della legittimazione ad agire di Omissis, quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, è conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale l’incarico di amministratore del condominio può essere conferito, oltre che a una persona fisica, anche a una persona giuridica (Cass., Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406). In tale quadro, evidentemente è il legale rappresentante della società nominata amministratore dall’assemblea legittimato a conferire mandato al difensore per la rappresentanza in giudizio del condominio (Cass. Sez. 2, n. 11155 del 1994).
Escluso dalla stessa prospettazione di parte ricorrente l’esercizio di un possesso del diritto di passaggio carrabile sull’area condominiale ad immagine di un diritto reale, il Giudice d’appello ha correttamente applicato l’art. 1168 comma II cod. proc. civ., secondo cui il detentore cosiddetto qualificato, cioè colui che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l’intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale, può proporre azione di reintegrazione del possesso, ma deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l’esistenza del titolo posto a base dell’allegata detenzione (Cass. Sez. 6 – 2, n. 3627 del 2014); inoltre, poiché la posizione lato sensu possessoria del detentore non ha un’estensione oggettiva pari a quella del possesso stricto sensu, tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, il giudice del merito, a fronte delle contestazioni dell’intimato, non può, ai fini del riconoscimento della tutela possessoria, esimersi dall’accertamento del rapporto obbligatorio e dalla verifica che l’attività, contestata dal preteso autore dello spoglio, rientri nell’ambito della detenzione consentita da quel rapporto (Cass. Sez. 2, n. 8489 del 22/06/2000; cfr. Sez. 6 – 2, n. 19114 del 2015).


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso Omissis proposto da:
YYYYY, elettivamente domiciliato in Omissis, presso lo studio dell’avv. Omissis, rappresentato e difeso dagli avv. Omissis, come da procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis che lo rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Omissis, come da procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3198/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2023 dal consigliere Omissis;
lette le memorie delle parti.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2013 YYYYY ottenne dal Tribunale di Belluno (Sez. di Pieve di Cadore), nei confronti del Condominio XXXXX, un’ordinanza possessoria di rimozione di una fioriera che, a suo dire, gli impediva l’accesso alle aree del piano interrato e del fabbricato ad uso autorimessa, confinante con uno spazio scoperto dello stabile condominiale.
Nel giudizio di merito, promosso dal condominio ex art. 703 cod. proc. civ., il Tribunale, tuttavia, revocò il provvedimento interdittale.
2. Con sentenza n. 3198 del 2018, la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello di YYYYY, ritenendo che non vi fosse prova del titolo per cui il ricorrente aveva agito in possessoria, atteso che egli stesso aveva rappresentato di avere soltanto la disponibilità non titolata del piano interrato e dell’autorimessa e, pertanto, non un possesso tutelabile e che non risultava neppure provato il passaggio sul piazzale da sempre destinato al parcheggio del condominio;
preliminarmente, per quel che ancora qui rileva, rigettò anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del rappresentante costituito per il condominio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione YYYYY, sulla base di quattro motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, in relazione all’eccezione di inammissibilità della produzione documentale indicata in ricorso con «n. 5 – fascicolo ad hoc con atti e documenti richiamati», come proposta dal Condominio controricorrente, deve rilevarsi in fatto che YYYYY ha depositato la sua produzione ai sensi dell’art. 369, comma II, n. 4 cod. proc. civ. con il ricorso, nella cui parte narrativa ha indicato, nell’illustrazione di ogni motivo, il documento prodotto a sostegno e la sua collocazione nei fascicoli di parte dei precedenti gradi; in tal modo, ha supplito alla mancata formulazione di un indice dettagliato per ciascuna produzione in questa sede, atteso che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, «gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Cass. Sez. U, n. 22726 del 03/11/2011; Sez. 3, n. 11805 del 05/05/2021).
Diversa questione è, invece, la produzione nel procedimento per cassazione – che non consente alcuna forma d’istruzione probatoria – di documenti ovvero di altre cose materiali che servano come mezzi di prova non riguardanti la nullità della sentenza o l’inammissibilità del ricorso o del controricorso non acquisiti su istanza di parte o d’ufficio nei gradi precedenti: il coordinamento e la interpretazione degli artt. 369, n. 4, e 372 cod. proc. civ. vanno compiuti, infatti, in relazione al quadro sistematico risultante dalla funzione del ricorso e dalla struttura del giudizio di cassazione che consentono censure fondate su errori in iudicando o in procedendo, in riferimento ad elementi di fatto già acquisiti al giudizio, nonché all’art. 366 cod. proc. civ. che indica il contenuto del ricorso, in relazione al quale l’art. 369 determina ed indica i documenti che ad esso debbono essere allegati, al fine di offrire alla Corte un quadro immediato, completo e autosufficiente delle censure sulle quali deve pronunciarsi. Ne deriva che, in tale quadro, non soltanto possono essere prodotti nel giudizio di legittimità, ma a norma dell’art. 369 debbono esserlo, a pena di improcedibilità del ricorso (soltanto, peraltro, ove la mancata produzione renda impossibile l’esame del ricorso stesso) i documenti, già prodotti dalle parti o acquisiti di ufficio al giudizio nei gradi precedenti, sui quali si fonda il ricorso; cosicché la norma dell’art. 372 va interpretata nel senso che non è vietata l’allegazione al ricorso di documenti già acquisiti al giudizio nei gradi precedenti, ma soltanto – di regola – di quelli nuovi, trovando l’art. 372 la sua ratio nel divieto di introdurre nel giudizio di cassazione nuovi elementi di fatto, salvo che nelle particolari ipotesi da esso previste (Cass. Sez. 1, n. 570 del 22/01/1998).
Nei limiti fissati da questi principi è allora evidentemente inammissibile la produzione di documenti già non acquisita nei gradi precedenti, quando la relativa statuizione di inammissibilità del Giudice di merito non sia stata – come nella specie e come di seguito specificato – oggetto di specifica censura nel giudizio di legittimità.
2. Ciò precisato in rito, può procedersi all’esame dei motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli art. 2266 e segg. cod. civ. e 83 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte territoriale escluso la nullità della sentenza di primo grado per difetto di legittimazione attiva di Omissis.
Il motivo è inammissibile sotto duplice profilo.
In primo luogo, va osservato che la Corte territoriale ha accertato che Omissis ha agito quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, che è la Omissis; in tale veste l’ Omissis era pienamente legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto del condominio e a rilasciare procura ad litem.
Il riconoscimento della legittimazione ad agire di Omissis, quale legale rappresentante della società amministratrice del condominio, è conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale l’incarico di amministratore del condominio può essere conferito, oltre che a una persona fisica, anche a una persona giuridica (Cass., Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406). In tale quadro, evidentemente è il legale rappresentante della società nominata amministratore dall’assemblea legittimato a conferire mandato al difensore per la rappresentanza in giudizio del condominio (Cass. Sez. 2, n. 11155 del 1994).

In secondo luogo, poi, la Corte di appello ha accertato che l’operato di Omissis, con riferimento al giudizio di primo grado, è stato successivamente ratificato dall’assemblea condominiale.
Tale seconda ratio decidendi non è attinta dal motivo, con conseguente inammissibilità dell’intera censura.
2.2. Con il secondo motivo, YYYYY ha prospettato, in riferimento all’articolo 360, comma I, n.3 e 5 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 in relazione agli articoli 1168 e 1170 cod. civ. e, in riferimento all’art. 360, comma I, n.3-5 cod. proc. civ., «per inconciliabilità della motivazione in relazione a due diverse situazioni fattuali e per avere omesso di considerare lo ius possidendi quale condomino». Illustrando la censura, il ricorrente ha sostenuto che la «situazione di fatto in cui egli si trovava, ovvero l’uso di garages e della rampa per accedervi, di proprietà di terzi», «impedita» (così in ricorso) dall’avvenuta apposizione della fioriera sul solaio del piano 1° del Condominio, non necessitava di alcuna «prova del diritto reale corrispondente» per giustificare il potere di fatto e che, in ogni caso, il diritto di passaggio risultava accertato nella sentenza n. 1177/2016 del Tribunale di Belluno, passata in giudicato, che tuttavia la Corte non aveva esaminato ritenendola produzione tardiva; infine, risulterebbe contraddittoria ed erronea la motivazione nella parte in cui è stato escluso il possesso del passaggio carrabile attraverso il fondo di proprietà del condominio atteso che egli stesso è un condomino.
Anche questo motivo è inammissibile perché ugualmente non si confronta con la ratio decidendi.
La Corte territoriale (in accoglimento dell’eccezione del condominio appellato) ha ritenuto inutilizzabile la sentenza allegata all’atto di impugnazione, in quanto prodotta nel giudizio di appello in violazione produzione dell’art. 345, comma III, cod. proc. civ.; ha quindi rilevato che la legittimazione attiva del ricorrente per difetto di prova del titolo della pretesa detenzione era stata già esclusa in primo grado proprio perché egli stesso aveva affermato «di essere nella disponibilità dei beni senza averne titolo» e che non era stato offerto alcun «documento che contenga l’autorizzazione da parte della proprietà [al signor YYYYY] ad utilizzare l’autorimessa interrata»;
ha poi ritenuto che la prova della legittimazione attiva non fosse ricavabile dalle fotografie dello stato dei luoghi, perché del tutto inidonee alla prova di un titolo; ha infine sottolineato che non è stata offerta prova di un passaggio carraio da e verso l’autorimessa.
Pertanto, escluso dalla stessa prospettazione di parte ricorrente l’esercizio di un possesso del diritto di passaggio carrabile sull’area condominiale ad immagine di un diritto reale, il Giudice d’appello ha correttamente applicato l’art. 1168 comma II cod. proc. civ., secondo cui il detentore cosiddetto qualificato, cioè colui che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l’intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale, può proporre azione di reintegrazione del possesso, ma deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l’esistenza del titolo posto a base dell’allegata detenzione (Cass. Sez. 6 – 2, n. 3627 del 2014); inoltre, poiché la posizione lato sensu possessoria del detentore non ha un’estensione oggettiva pari a quella del possesso stricto sensu, tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, il giudice del merito, a fronte delle contestazioni dell’intimato, non può, ai fini del riconoscimento della tutela possessoria, esimersi dall’accertamento del rapporto obbligatorio e dalla verifica che l’attività, contestata dal preteso autore dello spoglio, rientri nell’ambito della detenzione consentita da quel rapporto (Cass. Sez. 2, n. 8489 del 22/06/2000; cfr. Sez. 6 – 2, n. 19114 del 2015).
In tal senso, è del tutto irrilevante la qualità di condomino e, in correlazione, il possesso del diritto a passare «a piedi» (così in ricorso) sull’area condominiale, perché quel che unicamente rileva è il passaggio carrabile per l’accesso all’autorimessa dei terzi: nel ricorso possessorio, infatti, YYYYY aveva proprio lamentato che fosse il passaggio carrabile alla rampa e all’autorimessa ad essere impedito dalla fioriera apposta dal Condominio.
Il ricorrente ha pure sostenuto che la prova sarebbe nella sentenza n. 177/2016 del Tribunale di Belluno, ma la produzione, come da lui riconosciuto, è stata ritenuta inammissibile dalla Corte territoriale perché tardiva; e su tale declaratoria di inammissibilità per tardività non è stata formulata censura.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la «violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma I, n. 3 e 5 cod. proc. civ. per omesso esame delle circostanze di fatto riferite dai testimoni».
Anche questo motivo è inammissibile sotto duplice profilo.
Innanzitutto, il motivo non indica la norma di legge che sarebbe stata in ipotesi violata (norma che non può essere l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che si limita ad indicare uno dei motivi per cui è consentito il ricorso per cassazione).
In secondo luogo, poi, è inammissibile il motivo proposto ex art. 360 n. 5, in presenza di “doppia conforme”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. 2, n. 5528 del 10/03/2014; conf., Cass., Sez. 1, n. 26774 del 22/12/2016; Cass., Sez. L, n. 20994 del 06/08/2019). Tale onere il ricorrente non ha adempiuto.
E peraltro, le dichiarazioni testimoniali, per come riportate in ricorso, non costituiscono per nulla fatto decisivo, in quanto non suppliscono alla carenza di prova della detenzione qualificata come già rilevata: queste dichiarazioni concernono, infatti, unicamente il mero passaggio sull’area condominiale e la fornitura della legna e questi fatti, in sé, non rilevano perché non escludenti l’uso precario.
2.4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione, in relazione all’articolo 360 comma I n. 3 e 5, degli articoli 342 e 345 cod. proc. civ. «per aver trattato questioni petitorie, così violando anche l’articolo 705 cod. proc. civ. per aver omesso l’esame di documenti comprovanti il giudicato esterno».
La censura, con cui il ricorrente ha sostenuto che la decisione contrasterebbe con la sentenza n. 792/2014 resa dalla stessa Corte d’appello di Venezia nei confronti dei condomini del Condominio convenuto e risulterebbe motivata in modo contraddittorio in riferimento alla destinazione a parcheggio dell’area condominiale dov’è stata apposta la fioriera, è inammissibile per plurime ragioni.
Innanzitutto, il ricorrente denuncia la violazione di una serie di disposizione di legge senza curarsi di prenderne in esame il precetto normativo e di raffrontarlo con la decisione impugnata. Sul punto, va richiamato il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. Un., n. 23745 del 28/10/2020). Sotto tale profilo il motivo appare del tutto privo di specificità.
E peraltro, va osservato che la questione della destinazione a parcheggio dell’area è stata rilevata non al fine di accertare una situazione petitoria preclusiva, ma soltanto allo scopo di sottolineare l’incompatibilità in fatto del preteso esercizio di un passaggio carrabile attraverso l’area condominiale invece vincolata e destinata in fatto a parcheggio.
Inammissibile, in presenza di doppia conforme, è poi il profilo del motivo dedotto come omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
3. In definitiva, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Condominio XXXXX, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.