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TRIBUNALE DI TRIESTE SENTENZA N. 272/2023 17 MAGGIO 2023

TRIBUNALE DI TRIESTE SENTENZA N. 272/2023 17 MAGGIO 2023

L’attrice ha dichiarato di agire a titolo di responsabilità extracontrattuale, sotto la specie della responsabilità del custode prevista dall’art. 2051 c.c..

E’ noto, in generale, che tale disposizione postula, da un verso, che il danno sia cagionato da un’anomalia (originaria o sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa, occorrendo cioè una “relazione diretta tra la cosa in custodia e l’evento dannoso” (Cass. civ. 1682/00 e 6121/99), dall’altro verso, che esista un “effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivino danni ad altri” (cfr. Cass. civ. sez. III 18/02/00 n. 1859). Trattasi, invero, di una speciale ipotesi di responsabilità rispetto a quella più generale di cui all’art. 2043 c.c., dalla quale non differisce comunque per essenza e natura, salvo essere caratterizzata da un dovere specifico di contenuto positivo, ovvero da un più intenso dovere di vigilanza – comportante anche quello di adottare le misure idonee ad impedire danni a terzi – imposto a carico di chi abbia a qualsiasi titolo un effettivo, non occasionale, “potere fisico” sulla cosa (cfr. Cass. 5885/99, 3129/87, 1897/83). Ne deriva altresì, che la responsabilità ex art. 2051 c.c. prescinde dal carattere insidioso della cosa dannosa, che perciò il danneggiato non è tenuto a dimostrare, come invece sarebbe necessario se agisse ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 3041/97).

Quanto poi alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., occorre dimostrare il caso fortuito, ossia un fatto estraneo alla sfera di azione del custode tale da determinare da solo, per la sua imprevedibilità ed assoluta eccezionalità, l’evento dannoso, avendo cioè impulso causale autonomo, sì da “interrompere il nesso eziologico fra cosa ed evento lesivo”; fatto che, si badi, può essere ricondotto non solo ad un fattore naturale, bensì anche alla condotta umana, di un terzo o dello stesso danneggiato (in proposito, cfr. Cass. civ. 10703/99, 10434/98, 2430/04 e 584/01; più di recente, la S.C. ha ribadito il principio della cd. “autoresponsabilità”, parlando di “comportamento ordinariamente cauto”: Cass. civ. 4390/2017, 12895/2016 e 11661/2014, ovvero di “normali cautele esigibili in situazioni analoghe”: Cass. civ. 4638/2017, 16885/2016 e 23919/2013).

Con specifico riferimento al danno provocato non direttamente dalla cosa, bensì da una sua alterazione, quale ad es. la comparsa di una macchia d’olio, va menzionata Cass. civ. 13222/16, la quale ha precisato che “Ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazione di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa in custodia e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione della stessa. Solamente in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi” (v. anche Cass. 1691/09).

Per altro verso, resta fermo che l’astratta configurabilità dell’art. 2051 c.c., così come dell’art. 2043 c.c., non esime comunque il danneggiato dall’onere di provare, prima ancora del danno, e prima che il danneggiante sia chiamato ad offrire la prova liberatoria di competenza, il nesso di causalità tra danno medesimo e condotta dell’agente o debitore, ovvero cosa in custodia (in relazione ad un’anomalia originaria o sopravvenuta nella struttura o nel funzionamento di questa); ossia il danneggiante deve dimostrare che “l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa” (v. Cass. civ. sez. III 13/2/02 n. 2075, 20/10/05 n. 20317, 2331/01; si segnala specialmente Cass. 03/02/2015 n. 1896, che bene chiarisce come “la prova del caso fortuito … incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia. La natura oggettiva (o ‘semi-oggettiva’) della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell’elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita. Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall’obbligazione risarcitoria. … È erroneo, in particolare, l’assunto in base al quale l’affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l’onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta ‘insidia’, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito. Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l’attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell’intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che – in assenza di una simile caratteristica della cosa – il nesso causale non può per definizione essere predicato. La oggettiva pericolosità (c.d. “insidiosità”) della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell’indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all’ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode”).

SENTENZA

nel procedimento civile di I° grado iscritto al n. R.G. Omissis ed iniziato con atto di citazione dd. 5/10/19 da

YYYYY, con avv. Omissis

– attrice –

contro

Condominio XXXXX, in persona dell’amministratore in carica, con avv. Omissis

– parte convenuta –

Assicurazioni (quale incorporante di Omissis), in persona del legale rappresentante, con avv. Omissis

– parte terza chiamata –

avente ad oggetto : risarcimento danni.

Conclusioni della parte attrice:

dichiara di aderire alla proposta di cui all’art. 185 bis c.p.c. formulata dall’On.le Tribunale adito all’udienza tenutasi in data 03.03.2022.

precisa le conclusioni riportandosi ai propri scritti difensivi nonché a quanto dedotto, richiesto ed eccepito nei verbali di causa, chiedendo che la causa venga introitata per la decisione.

Conclusioni della parte convenuta:

In via principale

Respingersi le domanda attorea nei confronti del Condominio XXXXX perché infondata in fatto ed in diritto.

Col ristoro degli onorari e delle spese del giudizio.

In via estremamente subordinata

Nella denegata ipotesi che fossero accertati e quantificati danni all’attrice ascrivibili in una qualche misura al convenuto condominio, determinarli in quelli effettivamente subiti dalla stessa con conseguente e proporzionale riduzione della relativa domanda attorea anche in virtù del concorso della danneggiata alla produzione dell’evento lamentato dalla stessa ex art. 1227 c.c.

Col ristoro degli onorari e delle spese del giudizio.

In via principale nei confronti del terzo chiamato

Nel solo caso di accoglimento, anche parziale, della domanda attorea, accertarsi che la Assicurazioni, che ha incorporato per fusione la Omissis, è tenuta a garantire il convenuto condominio dalle pretese attoree e per l’effetto condannare la terza chiamata a tenerlo indenne da tutte le conseguenze negative della lite ma con compensazione delle spese del giudizio nei rapporti tra il condominio e la terza chiamata.

Conclusioni della parte terza chiamata:

Voglia l’Ill.mo Tribunale di Trieste, adversiss rejectis

IN VIA PRINCIPALE

Rigettarsi la domanda attorea in quanto – anche in ragione dell’art. 1227 c.c. – infondata in fatto ed in diritto e/o comunque del tutto indimostrata.

Con vittoria di diritti, onorari e spese di causa anche di ATP.

IN VIA DI MERO SUBORDINE E SALVO GRAVAME

Nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento della domanda attorea, contenersene il petitum entro quanto di giustizia.

Con integrale compensazione delle spese di lite, anche nel rapporto con la convenuta.

IN VIA ISTRUTTORIA

Al solo fine di non incorrere in decadenze di sorta e senza alcuna inversione dell’onus probandi attoreo – si chiede disporsi prova per interpello formale dell’attrice e per testi sulle seguenti circostanze, da intendersi in forma interrogativa e precedute da “Vero che:

1. la YYYYY, in data 23.09.2016, era ospite nell’appartamento della Signora Omissis, sito in Trieste, Omissis;

2. alla data del 23.09.2016, la YYYYY alloggiava nel sui dicato edificio da due settimane;

3. la YYYYY in precedenza era già stata ospite numerose volte della Signora Omissis;

4. alla data del 23.09.2016, la YYYYY era transitata molte altre volte sulle scale condominiali;

5. la YYYYY denunciava per la prima volta il riferito sinistro occorsole in data 23.09.2016 nel febbraio dell’anno successivo;

6. in data 23.09.2016, la rampa di scale dello stabile si trovava e si trova in perfette condizioni di manutenzione generale;

7. in particolare, la prima rampa di scale è composta da dodici gradini a piano marmoreo aventi una larghezza di 140 cm, pedata di 31 cm ed alzata d 15,2 cm, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

8. centralmente, i gradini sono rivestiti da una corsia di moquette a pelo corto, di cromia rossa, avente larghezza 100 cm, giusta fotografica che si rammostra (doc. 3);

9. in data 23.09.2016, i dispostivi di contenimento (asta ottonata) del tappeto insistente sulla rampa di scale del Condominio XXXXX erano agganciati e funzionanti, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

10. in particolare, lungo la pavimentazione di tutto l’atrio non era dato riscontrare la presenza di asperità o avvallamenti;

11. le aste ottonate di contenimento del tappeto erano fissate al pavimento tramite l’inserimento in occhielli infissi alla base di ciascuna alzata giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

12. il fissaggio al pianerottolo rialzato del tappeto era garantito da un lama ottonata avvitata al pavimento, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

13. il tappeto sito sulla prima rampa di scale (entrando) era munito di un sottogomma antiscivolo, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

14. in data 09.04.2016, la prima rampa di scala dello stabile era interessata dalla fornitura e posa in opera di una nuova corsia moquette, una nuova lama di fissaggio, un nuovo occhiolo a L in ottone lucido ed un bastone in ottone, giusto preventivo di spesa che si rammostra (doc. 4);

15. in data 23.09.2016, adiacente alla rampa di scale in questione era collocato un corrimano, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

16. in data 23.09.2016, le condizioni di illuminazione dell’atrio dello stabile erano ottime ed il luogo era perfettamente visibile agli occhi della YYYYY;

17. il portone condominiale presentava e presenta ampie vetrate che lasciano entrare la luce solare, giusta fotografia che si rammostra (doc. 3);

18. l’atrio dello stabile era ed è inoltre dotato di sistema di illuminazione artificiale funzionante;

19. nessun altro incidente ebbe a verificarsi nel punto indicato dall’attrice e nessuna segnalazione è mai pervenuta al Condominio XXXXX in merito alla particolare insidiosità o pericolosità del tratto di calpestio in questione.

S’indicano quali testimoni:

– Omissis

– Omissis

Si chiede, altresì, di essere ammessi a prova contraria sui capitoli avversari ammessi con i testi indicati in precedenza.

Ragioni di Fatto e di Diritto della Decisione

YYYYY ha citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste il Condominio XXXXX esponendo di aver riportato lesioni personali allorquando, in data 23/09/16, trovandosi all’interno dello stabile condominiale in quanto ospite della condomina Omissis, nel mentre saliva la prima rampa di scale, rovinava al suolo a causa di un dissesto del tappeto ornamentale ivi collocato, al momento libero ovvero non fissato al pavimento; soccorsa e portata al P.S. le veniva diagnosticata “frattura radiale destra, estremo distale”; vani erano stati i tentativi, compreso l’esperimento della negoziazione assistita, di ottenere un risarcimento in via stragiudiziale dei pregiudizi subiti, cui aveva fatto seguito altresì procedimento ex art. 696 bis c.p.c.. Pertanto, l’attrice ha chiesto accertarsi la responsabilità del condominio convenuto ex art. 2051 c.c e la sua condanna al di cui € 33.506 per biologico permanente, oltre spese mediche e rimborso spese dell’a.t.p..

Costituendosi in giudizio, il Condominio XXXXX ha concluso come in epigrafe, contestando an e quantum debeatur, in punto dinamica del fatto ovvero sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno lamentato, da ascrivere piuttosto a un caso fortuito consistente sia in un’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile, ovvero non segnalabile con la normale diligenza, sia nella condotta della danneggiata ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe.

Previo differimento della prima udienza, si è costituita altresì Assicurazioni quale incorporante Omissis, che ha svolto analoghe contestazioni circa la fondatezza delle domande attoree.

Richiesti e concessi i termini richiesti ex art. 183 VI comma c.p.c., il G.I. ha ammesso ed assunto prova testimoniale e formulato proposta conciliativa ex art. 185 bis c.c. dd. 16/02/18, non accettata però dalla parte convenuta. Infine – sulle definitive conclusioni delle parti ed assegnati i termini di legge per deposito di conclusionali e repliche -, la causa è stata trattenuta in decisione.

La domanda è infondata e, pertanto, va respinta.

L’attrice ha dichiarato di agire a titolo di responsabilità extracontrattuale, sotto la specie della responsabilità del custode prevista dall’art. 2051 c.c..

E’ noto, in generale, che tale disposizione postula, da un verso, che il danno sia cagionato da un’anomalia (originaria o sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa, occorrendo cioè una “relazione diretta tra la cosa in custodia e l’evento dannoso” (Cass. civ. 1682/00 e 6121/99), dall’altro verso, che esista un “effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivino danni ad altri” (cfr. Cass. civ. sez. III 18/02/00 n. 1859). Trattasi, invero, di una speciale ipotesi di responsabilità rispetto a quella più generale di cui all’art. 2043 c.c., dalla quale non differisce comunque per essenza e natura, salvo essere caratterizzata da un dovere specifico di contenuto positivo, ovvero da un più intenso dovere di vigilanza – comportante anche quello di adottare le misure idonee ad impedire danni a terzi – imposto a carico di chi abbia a qualsiasi titolo un effettivo, non occasionale, “potere fisico” sulla cosa (cfr. Cass. 5885/99, 3129/87, 1897/83). Ne deriva altresì, che la responsabilità ex art. 2051 c.c. prescinde dal carattere insidioso della cosa dannosa, che perciò il danneggiato non è tenuto a dimostrare, come invece sarebbe necessario se agisse ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 3041/97).

Quanto poi alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., occorre dimostrare il caso fortuito, ossia un fatto estraneo alla sfera di azione del custode tale da determinare da solo, per la sua imprevedibilità ed assoluta eccezionalità, l’evento dannoso, avendo cioè impulso causale autonomo, sì da “interrompere il nesso eziologico fra cosa ed evento lesivo”; fatto che, si badi, può essere ricondotto non solo ad un fattore naturale, bensì anche alla condotta umana, di un terzo o dello stesso danneggiato (in proposito, cfr. Cass. civ. 10703/99, 10434/98, 2430/04 e 584/01; più di recente, la S.C. ha ribadito il principio della cd. “autoresponsabilità”, parlando di “comportamento ordinariamente cauto”: Cass. civ. 4390/2017, 12895/2016 e 11661/2014, ovvero di “normali cautele esigibili in situazioni analoghe”: Cass. civ. 4638/2017, 16885/2016 e 23919/2013).

Con specifico riferimento al danno provocato non direttamente dalla cosa, bensì da una sua alterazione, quale ad es. la comparsa di una macchia d’olio, va menzionata Cass. civ. 13222/16, la quale ha precisato che “Ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazione di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa in custodia e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione della stessa. Solamente in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi” (v. anche Cass. 1691/09).

Per altro verso, resta fermo che l’astratta configurabilità dell’art. 2051 c.c., così come dell’art. 2043 c.c., non esime comunque il danneggiato dall’onere di provare, prima ancora del danno, e prima che il danneggiante sia chiamato ad offrire la prova liberatoria di competenza, il nesso di causalità tra danno medesimo e condotta dell’agente o debitore, ovvero cosa in custodia (in relazione ad un’anomalia originaria o sopravvenuta nella struttura o nel funzionamento di questa); ossia il danneggiante deve dimostrare che “l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa” (v. Cass. civ. sez. III 13/2/02 n. 2075, 20/10/05 n. 20317, 2331/01; si segnala specialmente Cass. 03/02/2015 n. 1896, che bene chiarisce come “la prova del caso fortuito … incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia. La natura oggettiva (o ‘semi-oggettiva’) della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell’elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita. Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall’obbligazione risarcitoria. … È erroneo, in particolare, l’assunto in base al quale l’affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l’onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta ‘insidia’, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito. Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l’attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell’intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che – in assenza di una simile caratteristica della cosa – il nesso causale non può per definizione essere predicato. La oggettiva pericolosità (c.d. “insidiosità”) della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell’indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all’ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode”).

Tutto ciò premesso, ben potrebbe ipotizzarsi una responsabilità ex art. 2051 c.p.c. con riferimento al caso oggi in esame, apparendo indubbio che il sinistro denunciato si sia verificato in uno spazio rientrante nella effettiva possibilità di vigilanza e controllo del condominio convenuto, quale soggetto investito della relativa disponibilità e custodia. Né vi osta la circostanza che la caduta venga causalmente ricollegata ad un agente (tappeto mal ancorato) estrinseco rispetto alla cosa in riferita custodia (scale condominiali).

Tuttavia, si deve escludere che la presunzione sancita dall’art. 2051 c.c. possa giovare all’odierna istante, la quale infatti non ha adeguatamente assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante.

In verità, l’attrice si è limitata a produrre fotografie dei luoghi, referti e documentazione medica varia, la relazione di a.t.p. e una “dichiarazione testimoniale”, oltre che a proporre una inutile prova orale tramite testi che in realtà non assistettero al sinistro. Così la teste Omissis, in tesi informata sul fatto, ha chiaramente negato di aver visto la caduta, trovandosi anzi fuori dello stabile condominiale per aspettare la YYYYY, che ne era poi uscita “col braccio dolorante che diceva le faceva male perché era caduta, inciampando sulla prima rampa di scale”, e quindi venendo soccorsa dalla prima.

Ciò non basta ad integrare prova idonea, nei termini di cui si è detto sopra, del nesso eziologico tra cosa in custodia del Condominio ed eventus damni; prova che non può evidentemente sorreggersi soltanto su una (inutile ed irrilevante, come da pacifici e consolidati principi in materia) testimonianza de relato ex parte actoris o su valutazioni astratte ed ipotetiche, quali quelle contenute nell’a.t.p., l’una e le altre non idonee a dimostrare in quale preciso punto e con quali concrete modalità era avvenuta la caduta, né che questa fosse si fosse verificata proprio in corrispondenza dell’invocato difettoso ancoraggio del tappeto, o che tale ultima circostanza – ove anche già oggetto di segnalazioni – fosse in atto al momento della caduta; non senza peraltro rilevare la tardività della denuncia, intervenuta soltanto circa 5 mesi dopo. Rilievi che certo non possono ritenersi superati neanche dalle osservazioni difensive svolte con la memoria di replica attorea dd. 24/04/23.

Sicché, in definitiva – dando pure per avvenuto il fatto storico della caduta (alla luce del dato obiettivo costituito dalle lesioni riportate e vista pure la valutazione di compatibilità, comunque astratta, di cui all’a.t.p.), in mancanza di idonea prova od offerta di prova circa le concrete circostanze e modalità del fatto – il sinistro in questione non potrà che imputarsi a caso fortuito, se non alla condotta della stessa danneggiata (ovvero trattasi di semplice caduta causalmente ascrivibile a mera fatalità, se non a imprudenza o disattenzione).

Pertanto, alla luce del complessivo contesto sopra evidenziato, la domanda attorea non può che essere respinta.

Quanto al regime delle spese processuali, pur prendendo atto dell’accettazione da parte dell’attrice della proposta di rinuncia formulata dal giudice all’udienza del 22/11/22, non può non rilevarsi però che detta rinuncia è intervenuta soltanto ad istruttoria compiuta e dopo un a.t.p, che hanno indubbiamente costretto le controparti a non trascurabili sforzi difensivi altrimenti evitabili, ove l’attrice avesse agito con maggiore prudenza (sapendo di non avere testi oculari).

Pertanto, non vi è ragione di discostarsi dalla soccombenza, senza che peraltro possa parlarsi di rifiuto ingiustificato delle controparti di accettare la proposta di rinuncia a spese compensate, alla luce dei principi, specie di causalità, che vigono in materia.

L’attrice va quindi condannata a rifondere le spese di lite sia della convenuta che della terza chiamata, la cui evocazione in giudizio ha pur sempre provocato, salva peraltro una parziale compensazione, stante l’avvenuta accettazione della proposta.

La liquidazione segue il D.M. 55/14, con gli aggiornamenti ex D.M. 247/22 (quanto al presente giudizio), applicate anche le riduzioni di cui all’art. 4 comma 1, in ragione dell’obiettivo spessore delle attività svolte.

P.Q.M.

ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda attorea

condanna l’attrice a rifondere 2/3 delle spese di lite del condominio convenuto e della compagnia terza chiamata, liquidate per l’intero, per ciascuno, in € 1.600 per la fase di atp ed € 4.900 per il presente giudizio, per compensi, oltre spese gen, 15% ed IVA e CAP di legge, nonché € 546 per esborsi di parte convenuta; compensato il residuo terzo.

Pone definitivamente gli oneri dell’a.t.p. a carico dell’attrice.

Così deciso a Trieste, il 16/05/23